
Fall
di Scott Mann
È da un po' che avevo puntato questo film, aspettavo solo il momento adatto per vedere questo thriller ansiolitico poco adatto a chi soffre di vertigini. Per fortuna, la paura dell’altezza non figura tra i primi posti nella classifica delle mie fobie preferite – le mie sono altre e legate ad altri titoli – ma chi non ha mai avuto un momento di crisi esistenziale in cima a un trampolino, su una torre panoramica o peggio, in fila per le montagne russe fingendo entusiasmo mentre ti domandi perché non hai scelto di rimare a casa a guardare la partita.
Uscito nel 2022 e diretto da Scott Mann, Fall è un survival movie che punta tutto sull'idea, tanto semplice quanto efficace, di trovarsi su una torre altissima, con il vuoto sotto e il panico dentro. La storia vede come protagoniste Becky (Grace Currey) e Hunter (Virginia Gardner), due amiche legate dall’adrenalina e da un passato traumatico. Durante una scalata in montagna, Becky ha visto precipitare nel vuoto suo marito Dan – di cui era follemente innamorata – e da quel momento ha perso la fiducia in sé stessa e la voglia di andare avanti. A distanza di un anno dalla tragedia, Hunter, influencer spericolata e arrampicatrice seriale di torri, le propone una terapia d’urto, scalare una torre a traliccio abbandonata nel bel mezzo del nulla, alta oltre 600 metri. Proprio un’ottima idea per superare un trauma. A trovarne di amici del genere.
Le due ragazze, armate di GoPro, battutine da Instagram e incoscienza, si arrampicano fino alla cima… ma ovviamente qualcosa va storto. Molto storto. E quando la scala cede e si ritrovano bloccate lassù, con zero segnale, poca acqua e nessuna via di discesa, l’unica cosa che resta da fare è sopravvivere. E possibilmente non diventare cibo per avvoltoi.
Conoscendo la storia, quando, dopo poco più di una ventina di minuti, le due ragazze si ritrovano sulla cima della torre senza la possibilità di scendere, mi sono chiesto come il regista avrebbe gestito il resto del film senza cadere nella trappola della monotonia e nella sequenza di tentativi disperati di sopravvivenza. Se accettate la premessa del film – quella di mantenerci per un'ora abbondante sospesi su un traliccio arrugginito, cercando di alzare costantemente il livello di agitazione e introdurre un colpo di scena dopo l'altro – allora Fall riesce nel suo intento. Accompagnato da un ottima colonna sonora, il film mantiene alta la tensione sfruttando l'isolamento delle protagoniste per trasformarlo in una continua lotta per la loro sopravvivenza non solo fisica, ma anche psicologica (il trauma del dolore, la continua sfida con se stessi, segreti rivelati). Dal punto di vista tecnico, sebbene Fall utilizzi il green screen, le scene in cima alla torre sono state effettivamente girate a circa 30 metri di altezza, dando al tutto una sensazione di realismo che amplifica il panico delle protagoniste.
Per chi ama il genere e non ha grosse pretese se non quello di assistere a un thriller adreanalinico ad alta quota, Fall è un film riuscito dall'ansia garantita.
Film
Love Life
di Koji Fukada
Love Life è un film giapponese del 2022 diretto da Koji Fukada e presentato in concorso alla 79° Mostra d'arte Cinematografica di Venezia.
Il film racconta la storia di una giovane coppia, Taeko e Jiro che vive in un piccolo appartamento situato in un quartiere periferico di una indefinita città giapponese. I due si sono sposati da poco ma i genitori di Jiro non vedono di buon occhio il matrimonio, in quanto Taeko ha un figlio nato da un precedente matrimonio: Keita, un bambino di otto anni brillante giocatore di Othello. La vita della famiglia sembra scorrere in una calma apparente, fino a quando un tragico incidente causa la morte del bambino spezzando il fragile equilibrio, e costringendo Taeko e Jiro ad affrontare non solo il lutto, ma anche le difficoltà e le incomprensioni che hanno sempre cercato di evitare.
Il film esplora con delicatezza il tema del lutto, soffermandosi sui silenzi e sugli sguardi che dicono ciò che le parole non riescono a esprimere. È un'opera profondamente "giapponese", nel senso che per comprenderla appieno è necessario entrare in sintonia con la loro cultura. Le emozioni sono misurate, controllate, tanto che i protagonisti appaiono freddi, quasi glaciali. Fukada lavora per sottrazione, lasciando che siano i gesti e i silenzi a raccontare la sofferenza. La scena della morte del bambino è un esempio magistrale di questo approccio: ambientata nel bagno di casa, la telecamera, posizionata in una stanza adiacente, si muove lentamente attraverso la porta aperta, mentre la tragedia si consuma in silenzio. È un momento di grande intensità che apre un vuoto emotivo incolmabile. La tragedia genera un vuoto che amplifica il senso di colpa e l’incapacità di comunicare di Taeko che non riesce a trovare nel marito il conforto di cui ha bisogno. Il ritorno inaspettato di Park, padre biologico di Keita, sordomuto coreano senza fissa dimora, offre a Taeko un'ancora di salvezza, un interlocutore che comprende il suo dolore perché lo condivide. La lingua dei segni, utilizzata da Park, diventa il mezzo attraverso cui Taeko riesce a esprimere se stessa, a parlare quando le parole sembrano inutili.
Unico appunto ma non meno rilevante, la parte finale, quella in cui Taeko insegue l'ex marito fino in Corea per quello che si rivela essere non un funerale, ma un matrimonio, non è proprio riuscita. La figura di Park, scivola progressivamente verso la caricatura e l'intera sequenza, che dovrebbe concludere il viaggio emotivo della protagonista, appare invece forzata e discutibile, minando in parte l’equilibrio emotivo costruito fino a quel momento.
Un film silenzioso passato inosservato.

Terrifier 2
di Damien Leone
Sei anni dopo il primo Terrifier, nel 2022 Damien Leone torna con un sequel, riportando sullo schermo il sadico Art il Clown grazie a una campagna di crowdfunding che ha permesso di finanziare il progetto.
La trama è esile come una ragnatela bucata. Art il Clown (David Howard Thornton) risorge per tormentare una nuova sfortunata famiglia, in particolare la giovane Sienna (Lauren LaVera) e suo fratello Jonathan, in una notte di Halloween che sembra durata un'eternità.
In questo secondo capitolo, Leone spinge a tavoletta sul pedale del citazionismo slasher e aggiunge un tocco onirico alla Nightmare, senza però rinunciare alle sue classiche sequenze di gore estremo ed esagerato. A differenza del primo film, qui c’è una traccia di trama, seppur minima, ma ancora nessuna spiegazione dei perché e dei percome. Fa la sua comparsa un nuovo, inquietante villain: The Little Pale Girl, il fantasma di una bambina a metà tra Harley Quinn e un pierrot posseduto, che fa la sua (s)porca figura tra una mattanza e l'altra.
Nonostante l’indubbio miglioramento tecnico, la sensazione è che questa volta Leone abbia voluto farla fuori dal vasetto (e non è un caso che utilizzo questa espressione). L'introduzione di elementi fantasy e surreali si scontra un po' con la crudezza dell'orrore, creando un contrasto che può risultare destabilizzante. Inoltre, la durata del film - due ore e venti - è davvero eccessiva, soprattutto se consideriamo che si tratta di un B-movie pensato per un puro intrattenimento orrorifico.
Eppure, non si può negare a Leone il merito di aver osato e di non essersi limitato a ripetersi, sperimentando nuovi percorsi. Gli effetti speciali, tutti pratici, sono una celebrazione del cinema splatter anni ’80, e Art il Clown si riconferma come un’icona moderna dell’horror, pronto a mostrare il suo ghigno malefico nell'imminente nuovo capitolo della saga.
Film
Un buio diverso
Luigi Musolino
Luigi Musolino è considerato uno degli autori più validi del panorama horror italiano contemporaneo. Avevo già letto la sua novella nera Pupille, che mi aveva colpito per il suo stile asciutto e la capacità di evocare atmosfere inquietanti e terrificanti. Dopo aver letto questa raccolta antologica, posso dire che Musolino mi ha definitivamente conquistato.
Un buio diverso è una antologia di racconti che esplora l’oscurità e il male che si trova nell'animo umano, nei luoghi misteriosi e negli angoli dimenticati della vita quotidiana, i cosiddetti "Necromilieus".
In tutto sono quindici racconti, che si alternano da quelli più lunghi a quelli di poche pagine, preceduti da una visionaria iilustrazione di David Fragale.
Il racconto d'apertura, "Come cani", è un vero pugno allo stomaco. La storia è quella di un contadino che, insieme a un cane da sempre legato a una catena, ha vissuto tutta la sua vita nell'ombra di un padre violento e autoritario. È una narrazione cruda e disturbante dove il dolore e la brutalità umana raggiungono livelli insostenibili. Un altro racconto che mi ha colpito è "La foresta, i bivi" dove una coppia in crisi si reca in Romania per un intervento odontoiatrico. Durante il loro soggiorno i due si addentrano in un bosco venendo inghiottiti da un male atavico. "Lago senza domani" è un'altra perla, con due amici che decidono di accamparsi presso un lago maledetto. Poi c'è "La Copia" dove il protagonista riesce a trasferire su carta il suo io più oscuro, dando vita ai suoi desideri più proibiti. "L'ultima scatola" tocca corde emotive delicate, raccontando il singolare modo di un padre e un figlio contorsionisti di affrontare un lutto. Infine, il racconto che chiude la raccolta, "Un buio diverso", forse quello il più sconvolgente di tutti. La storia è quella di una coppia felice e benestante che si ritrova ad affrontare il dramma della scomparsa della figlia piccola persa in un supermercato. Il dolore di questa perdita si trasforma in una lenta discesa nella disperazione, dove un buio ancora più oscuro e malvagio diventa l'unica consolazione. Sarà che sono padre di un bambino ma a me questo racconto, a distanza di giorni, continua ancora a ronzarmi in testa. Devastante.
Musolino scrive davvero bene. Il suo stile è semplice e diretto, ma sa colpire in profondità, toccando le corde delle nostre paure più recondite e ancestrali. Con grande maestria, riesce a evocare un senso di disagio e inquietudine che si insinua piano, fino a diventare un vero terrore psicologico. Un buio diverso è un libro cupo, un horror profondamente pessimista, dove i protagonisti sprofondano nella disperazione umana e negli anfratti più oscuri di una realtà ostile. Sono personaggi sconfitti, che prendono decisioni sbagliate e si ritrovano in abissi senza fondo, dove la normalità si deforma fino a diventare un incubo.
C'è un forte richiamo all'orrore cosmico di Lovecraft, ma Musolino lo declina in contesti quotidiani, nascondendolo tra le pieghe della vita di tutti i giorni, lì dove la realtà si disgrega sotto l'influenza di forze oscure e inarrestabili. I racconti sono appiccicosi, permeati da un'oscurità densa e oleosa, con alcuni che restano impressi nella mente molto a lungo.
Non sorprende che alcune delle sue novelle siano state tradotte per il mercato statunitense, un riconoscimento che testimonia ulteriormente il valore delle sue opere e la capacità di Musolino di toccare paure universali, comprese oltre i confini nazionali.
Libri
Membrana
Chi Ta-wei
Pubblicato a Taiwan nel 1995, "Membrana" è un romanzo di fantascienza cyberpunk che tratta temi queer e transgender scritto da Chi Ta-wei, uno scrittore taiwanese abbastanza popolare in patria. Il libro è stato pubblicato in Italia solo nel 2022 dalla Add editore nella sua collana Asia che si distingue per le originali copertine di Lucrezia Viperina.
Anno 2100. A causa dei cambiamenti climatici provocati dall'inquinamento e dal riscaldamento globale, l'umanità è stata costretta a ritirarsi nelle profondità dell'oceano per ripararsi dai raggi ultravioletti del sole diventati ormai letali. L'incredibile sviluppo tecnologico ha permesso di costruire delle metropoli sottomarine e tutte le nazioni della Terra (compreso le multinazionali che controllano sempre di più l'economia mondiale) hanno ricevuto una parte di fondale in base alla loro forza economica. In superficie sono rimasti solo i grandi monumenti del passato, i condannati a morte, e gli androidi che svolgono quei lavori necessari ma diventati impossibili da eseguire dagli umani.
In questo contesto, nella città di "T", troviamo Momo, giovane e rinomata estetista specializzata nella cura della pelle. L'estetismo è una professione importante in questa società, in quanto la pelle umana, sott'acqua, ha maggiore bisogno di cure e protezione e coloro che lavorano in questo campo vengono considerate delle vere e proprie star. Nonostante la notorietà, Momo è una ragazza introversa che non ama le relazioni e vive isolata nel suo appartamento/studio con un cane regalatogli da una sua affezionata cliente. Nel suo lavoro di estetista, Momo impiega la M-Skin, una membrana che viene applicata sulla pelle e che, una volta staccata e collegata a uno speciale scanner, gli permette di vivere le emozioni e gli stimoli sensoriali vissuti dai suoi clienti. Un giorno Momo viene a sapere che sua madre, una dirigente di una grande multinazionale editoriale, la vuole incontrare. Momo non la vede da vent'anni, ovvero da quando all'età di dieci anni, per salvarsi da una grave malattia, affrontò una operazione invasiva in cui cambiò il sesso. Ora è arrivato il momento di sapere perchè la madre si è inspiegabilmente allontanata da lei, rifacendosi viva proprio alla vigilia del suo trentesimo compleanno.
Il romanzo pur essendo breve (siamo sulle centocinquanta pagine) risulta abbastanza complesso. Non tanto per la sua scrittura, il libro in finale è molto scorrevole, quanto per i numerosi argomenti trattati che si sovrappongono l'uno sull'altro. Nel mondo post apocalttico immaginato da Chi Ta-wei la tecnologia ha permesso di fabbricare degli androidi che vengono usati, oltre per i lavori più duri, anche come pezzi di ricambio per sostituire gli organi compromessi degli umani. Nel romanzo, il punto di vista è quello di Momo la quale ci descrive il periodo in cui venne ricoverata in una asettica clinica a causa di una grave malattia. Durante questa lunga degenza, la nostra protagonista è stata privata di ogni contatto fisico. La sua unica compagna era un androide simile a lei chiamata Andy con cui entró in simbiosi diventando la sua migliore amica. Il giorno dopo l'operazione Momo diventa una bambina ma al suo risveglio non c'è più Andy dando la colpa alla madre che da quel momento in poi si allontana da lei. Il doppio trauma dell'abbandono svilupperà in lei l'odio verso la persona che l'ha messa al mondo e la diffidenza nei confronti del prossimo.
"Membrana" è un libro a strati, in cui la realtà, almeno quella della protagonista, non è quella che sembra. È un romanzo esistenziale, molto intimo, con un finale estremamente malinconico e coinvolgente. Sono tanti i temi trattati, come la difficoltà relazionale, il concetto di identità, il controllo audiovisivo, e come i nostri sensi possano essere ingannati dalla tecnologia. Sono temi così attuali che sorprende siano presenti in un romanzo di fantascienza scritto quasi trent'anni fa. L'unico elemento che appare invecchiato sono le tecnologie usate nel libro (email, scanner, discolibri, ecc.), che oggi ci sembrano datate. Tuttavia, questo non infastidisce particolarmente, poiché è un aspetto comune nei libri di fantascienza del passato.
Il romanzo di Chi Ta-wei contiene numerosi riferimenti letterari e citazioni cinematografiche. A un certo punto viene menzionato anche Pier Paolo Pasolini, l'ultimo nome che mi sarei aspettato di trovare in un romanzo di fantascienza taiwanese. Il libro è definito "queer", ma a mio avviso non è il tema predominante, o quantomeno le sue implicazioni vengono date per scontate e non sono particolarmente evidenziate. Di certo, la presenza maschile in questo libro è quasi del tutto assente e la stessa protagonista, che nasce maschio dopo essere stata concepita in vitreo da due donne, accetta senza problemi la sostituzione dei genitali quando viene operata per motivi di salute, come se fosse sempre stata femmina.
In conclusione, "Membrana" di Chi Ta-wei è un romanzo di fantascienza che può essere apprezzato anche da chi non ama il genere. È un libro da leggere tutto d'un fiato, con un inaspettato colpo di scena nel finale.
Libri
Libri di Sangue - Racconti voll. 1-3
Clive Barker
Clive Barker è uno degli autori più innovativi e influenti nel genere dell'horror contemporaneo. Nei primi anni novanta, dopo aver visto il suo film "Hellraiser" (probabilmente la sua opera più iconica e conosciuta), mi ritrovai a leggere un libro con alcuni suoi racconti rimanendo profondamente turbato da quel senso di disagio straniante che la storia e i suoi personaggi erano riusciti a trasmettermi.
Nato a Liverpool, Inghilterra, nel 1952, Barker è un artista poliedrico che spazia dalla scrittura alla regia cinematografica, dalla pittura ai fumetti. In Italia tutti i suoi libri sono stati pubblicati ma da tempo si trovano fuori catalogo. Io ne conservo alcuni, ingialliti dal tempo, affianco ai vecchi libri di Stephen King letti durante la mia adolescenza. Nonostante il "Re dell'Horror" definì Barker il suo erede, come riportato nelle copertine dei libri di quest'ultimo (un espediente usato dagli editori per catturare l'attenzione dei lettori) i due autori, pur appartenendo allo stesso genere, hanno uno stile e delle tematiche decisamente diverse. King predilige una narrativa più tradizionale ed eccelle nella creazione di paure radicate nella realtà quotidiana, mentre Barker crea mondi completamente nuovi e inquietanti trascinando i lettori in un'odissea di orrori carnali, viscerali e surreali.
Esponente di spicco della letteratura splatterpunk e body horror, Barker fa il suo esordio nella letteratura con la serie di racconti e storie brevi pubblicate in sei volumi tra il 1984 e il 1985 intitolata "Libri di Sangue" (Books of Blood). In Italia sono stati pubblicati negli anni novanta prima dalla Sonzogno e poi dalla Bompiani con i titoli di "Infernalia", "Ectoplasm", "Sudario", "Creature", "Visions" e "Monsters".
In tempi recenti i "Libri di Sangue" sono stati nuovamente riproposti al pubblico grazie alla Fanucci editore che ha accorpato i sei libri in due volumi distinti impreziositi dalle splendide copertine dell'illustratore Daniele Serra.
Dal momento che avevo dei "buchi" io me li sono presi entrambi e per l'occasione mi sono letto il primo dei due volumi.
In questo primo volume ci sono sedici storie di media lunghezza che esplorano una vasta gamma di orrori, dalle creature mostruose alle perversioni umane. Molti di questi racconti sono intrisi di erotismo, tensioni sessuali e da una estrema morbosità del corpo in cui la soglia del dolore e quella del piacere si confondono, creando un'esperienza narrativa intensa e disturbante.
Senza citarli tutti, tra i racconti che più mi hanno coivolto ci sono "Mai dire maiali" dove degli orfani vengono dati in pasto a un maiale in una sorta di macabro sacrificio, "In collina, le città" dove in un paese dei balcani si svolge ogni anno una competizione tra due villaggi vicini che si combattono assemblando due giganti con i corpi dei cittadini, "Jacqueline Ess: le sue ultime volontà" che ha come protagonista una donna che ha la capacità di modificare il proprio corpo e quello altrui, e infine "Macelleria Mobile di Mezzanotte", probabilmente il suo racconto più celebrato e (insieme a "La pelle dei padri") quello più "lovecraftiano".
In "Macelleria Mobile di Mezzanotte", dal quale è stato tratto il film Prossima fermata - L'inferno del 2008, un uomo, mentre viaggia di notte sulla metropolitana di New York, si ritrova nel vagone adiacente a quello di un serial killer che uccide i passeggeri del treno appendendo i loro corpi come carne da macello. Alla fine della corsa il nostro protagonista si ritroverà in un incubo senza via d'uscita e nella profondità della città verrà a contatto con un orrore primordiale.
Per gli amanti dell'horror, i "Libri di Sangue" sono una lettura imprescindibile, un'opera che continua a influenzare e ispirare generazioni di scrittori e cineasti.

Piove
di Paolo Strippoli
Dopo aver esordito accanto a Roberto De Feo in A Classic Horror Story del 2021, il giovane regista pugliese Paolo Strippoli debutta in solitaria dietro la macchina da presa con Piove del 2022.
In un quartiere di periferia di una Roma sporca e violenta, una famiglia spezzata da un tragico incidente automobilistico tenta di sopravvivere tra tensioni, rabbia e incomprensioni. Dopo la morte di sua moglie, Thomas (Fabrizio Rongione), si porta dietro un senso di colpa che sta avvelenando il rapporto con il figlio Enrico (Francesco Gheghi), un adolescente ribelle e provocatore, e la piccola Barbara (Aurora Menenti), la più giovane della famiglia, costretta sulla sedia rotelle dall’incidente che ha causato la morte della madre. Quando una forte e incessante pioggia si abbatte su Roma, dalle fogne, i vapori di una misteriosa sostanza si propaga all'interno delle case provocando una follia omicida che in breve tempo porta alla follia.
Il film è un dramma il cui orrore si manifesta solo nell'ultimo atto - la parte più interessante - usando il trauma vissuto da una famiglia per raccontare l'odio, il rancore e la rabbia in forma di un incubo melmoso e opprimente. Ho apprezzato la rappresentazione di una Roma cupa e desolata, un pò alla Seven, che descrive bene il senso di isolamento e la frustrazione dei suoi protagonisti. Il film ha una buona fotografia e un elegante regia ma la sceneggiatura di certo non spicca di originalità legandosi ad alcuni temi, molto italiani, già ampiamente trattati in numerose pellicole degli ultimi anni - il dramma familiare, il rapporto generazionale padre-figlio, il malesessere dei giovani. Alcune scene sono però molto interessanti, per esempio quella della rappresentazione della madre/moglie che si manifesta in contemporanea al figlio e al marito per istigare l'impulso omicida, oppure quella della casa piena di palloncini in cui il ragazzo si perde alla ricerca del padre da uccidere. Anche la rappresentazione della rabbia che assume la forma di un umanoide fangoso è stata realizzata abbastanza bene. Insomma, a conti fatti, la parte migliore si trova solo in un terzo del film, però il film di Strippoli merita sicuramente una visione, se non altro per incentivare produttori e registi italiani al rinascimento dell'horror italiano.
Ultimo appunto. Non riesco a trovare il motivo per cui la censura italiana lo ha fatto uscire al cinema con il divieto ai minori di anni 18. Io non ho trovato nulla di particolarmente forte ed estremo. Inspiegabile.

Smile
di Parker Finn
Film horror del 2022 diretto dal debuttante Parker Finn.
Rose Cotter, una giovane psichiatra che lavora nel reparto psichiatrico di un ospedale (interpretata da Sosie Bacon, la figlia di Kevin), riceve una ragazza visibilmente sconvolta che dice di aver assistito al brutale suicidio del suo insegnante e di essere ora perseguitata da una malvagia entità. Improvvisamente la ragazza inizia ad avere le convulsioni poi si ferma, le sorride in modo inquietante, e con un frammento di un vaso rotto si taglia la gola davanti a lei. Da quel momento Rose, che da bambina ha assistito alla morte di sua madre, inizia ad avere una serie di angoscianti allucinazioni di carattere soprannaturale che lentamente la portano alla paranoia più totale. Nessuno sembra crederle che è vittima di una sorta di maledizione e che presto anche a lei toccherà lo stesso terribile destino.
Un horror commerciale senza troppe pretese, girato bene, con una buona fotografia e numerosi jumpscare, forse troppi. A metà tra Ring, It Follows e Babadook. Basato su un suo precedente cortometraggio dal titolo Laura Hasn’t Slept , il film di Finn non spicca di certo per originalità e solo la buona interpretazione della protagonista lo salva da una bocciatura.
Film
L'Orafo
di Vincenzo Ricchiuto
L'Orafo è un film italiano indipendente prodotto da Almost Famous e diretto da Vincenzo Ricchiuto. Si tratta di un thriller/horror attualmente visibile su Prime.
La storia è quella di tre giovani delinquenti che si introducono nella casa di campagna di un anziano orafo e di sua moglie (interpretati da Giuseppe Tambieri e Stefania Casini). Riusciti a farsi dare l'accesso al laboratorio di oreficeria i tre rapinatori finiscono bloccati all'interno della stanza blindata alla mercè della coppia di anziani che sembrano nascondere dei terribili e inquietanti segreti.
La sceneggiatura è interessante e il film, escludendo la prima parte, è dotato di una certa tensione. La prova dei due "inermi" vecchietti, sopratutto la Casini è buona, ma purtroppo si contrappone con la pessima recitazione dei tre ragazzi che, sopratutto nella parte iniziale, finiscono per abbassare di parecchio la qualità del film. Peccato perchè L'Orafo per essere un film italiano con poco budget non è poi così malaccio ma, ripeto, la recitazione dei tre "delinquenti" è davvero scarsa, a tratti irritante.
Film
Lockdown Tower
di Guillaume Nicloux
Guillaume Nicloux è un regista, scrittore, sceneggiatore e attore francese che ha diretto e sceneggiato numerosi film e scritto svariati romanzi.
Riconosco di non essere un grande patito del cinema francese ma io prima di questo film non avevo la minima idea della sua esistenza.
Mi sono avvicinato a questo film incuriosito nel leggere l'incipit della trama.
Eccola. Gli inquilini di un grande palazzone popolare della periferia parigina una mattina si svegliano e scoprono che una spessa nebbia nera avvolge tutte le finestre e le porte dell'edificio, una coltre nera che divora qualsiasi cosa e chiunque tenti di attraversarla. Intrappolati all’interno senza possibilità di uscire per procurarsi da mangiare o riuscire a comunicare con il resto del mondo (internet, cellulare e televisione sono inaccessibili), gli inquilini, per sopravvivere, si organizzano in gruppi - prevalentemente legati alla razza e all'etnia - cercando con la violenza di prevalere l'uno sull'altro. Trascorrono settimane, mesi, addirittura anni e dopo aver esaurito gli animali domestici, gli abitanti sopravissuti sempre più simili a bestie abbandonati ai propri istinti [spoiler on] finiscono per nutrirsi della propra prole [spoiler off] perdendo ogni tipo di umanità in quella che è una cruda e vertiginosa discesa negli inferi di un animo umano nero come la pece.
L'idea di partenza è interessante ma viene abbondonata immediatamente. L'elemento soprannaturale della nebbia è solo un pretesto per descrivere l'orrore della natura umana e le devastanti conseguenze di questo lockdown forzato (il film è stato scritto durante la pandemia). A parte le evidenti analogie con "Il Condominio" di J.G.Ballard e sopratutto con il romanzo "Il Drive-In" di Joe R. Lansdale, il film ha una buona tensione ed è dotato di un atmosfera inquietante e claustrofobica. La fotografia giallognola contribuisce a renderlo sudicio, marcio e sgradevole. Per il resto non c'è nessun approfondimento psicologico dei personaggi e tutto si riduce a essere una estenuante lotta di sopravvivenza tra i diversi clan che danno sfogo a una primordiale ferocia.
Un film in cui il nulla si trova nella natura umana. Abbastanza ostico.

M3gan
di Gerard Johnstone
Prodotto dalla Blumhouse e diretto da Gerard Johnstone, al secondo lungometraggio dopo Housebound del 2014, M3gan è un thriller horror del 2022 che rielabora, attualizzando, il genere legato alle bambole assassine.
Dopo aver perso i genitori, la giovane Cady viene affidata alla zia Gemma, (Allison Williams), un ingegnere che lavora per una grossa società di giocattoli di ultima generazione e che nel tempo libero ha realizzato M3gan, il prototipo di un robot con sembianze umane prodotto dall’intelligenza artificiale. Troppo presa dal suo lavoro e inadatta a occuparsi della nipote, Gemma decide di affiancarle M3gan che in breve tempo diventa, oltre che una educatrice, una vera amica per Cady. Mentre l'azienda di Gemma sembra entusiasta della rivoluzionaria bambola ed è pronta a lanciarla sul mercato, M3gan inizia a diventare sempre più morbosa nei confronti della bambina distaccandosi in maniera inquietante dal controllo dei suoi creatori.
Il tema dell'Intelligenza Artificiale e la tecnologia che si ribella è un argomento che nel cinema è già stato ampiamente esplorato fin dai tempi di Hal 9000. Quindi cosa dice di nuovo questo film? Poco, se non quello che l'AI fa ormai parte del nostro presente e che ci stiamo sempre di più affidando alle macchine. L'intenzione degli autori non è quella di fornire uno spunto di riflessione oppure di sorprendere con una trama articolata, anche perchè fin dalle scene iniziali sappiamo dove si andrà a parare, bensì di dare al proprio pubblico - un pubblico giovane catturato sui social dal balletto di M3gan à-la Mercoledì subito diventato virale - il prodotto che vuole vedere. Semplicemente. Un film di intrattenimento senza troppe pretese a metà strada tra Annabelle e Terminator che potrebbe essere uscito da una delle recenti stagioni di Black Mirror. Probabilmente diventerà un franchising.

Speak No Evil
di Christian Tafdrup
Speak No Evil, film danese del 2022 diretto da Christian Tafdrup, era da tempo nella mia lista dei film da vedere, e quindi mi pareva giusto, in questo bel clima natalizio, concedermi uno dei film più ansiogeni e disturbanti che abbia mai visto.
La storia è quella di due famiglie, una danese e l'altra olandese, che si conoscono durante una vacanza in toscana. La famiglia danese è composta da Bjørn (Morten Burian), Louise (Sidsel Siem Koch) e la loro piccola figlia Agnes, mentra la famiglia olandese è composta da Patrick (Fedja van Huêt), la moglie Karin (Karina Smulders) e il figlio Abel, un bambino scontroso che non può parlare a causa di una malformazione alla lingua. Le due famiglie si piacciono e si divertono insieme durante la vacanza in Italia. Tempo dopo, tornati nelle loro rispettive case, i danesi ricevono l'invito dagli olandesi di trascorrere un week-end nella loro casa di campagna. I danesi inizialmente sono restii, alla fine non si conoscono per niente, ma per non voler essere scortesi e ricordandosi dei giorni passati bene insieme, decidono di accettare la proposta.
Il nuovo incontro però risulta diverso dal precedente. La coppia olandese accoglie la famiglia danese con ospitalità e allegria ma fin da subito ci sono una serie di comportamenti ambigui e irritanti che mettono a disagio Bjørn e Louise. I due non capiscono se si tratta di usanze e abitudini diverse dalla loro quindi in un primo momento soprassiedono. Tuttavia le continue provocazioni della coppia olandese si fanno più pressanti. Quando finalmente la famiglia danese si rende conto di essere caduta nella classica tela del ragno si ritrova incapace di reagire aspettando con rassegnazione l'inevitabile orrore.
Dal punto di vista emozionale il film di Tafdrup raggiunge indiscutibilmente il suo obiettivo: provocare una forte e crescente ansia nello spettatore che finisce da una parte per identificarsi nella coppia danese mentre dall'altra per provare un forte disagio per la loro passività. La musica, il montaggio, la stessa fotografia contribuiscono a creare una costante e disturbante tensione che a un certo punto diventa quasi impossibile da sostenere. E' per questo che il finale - quando l'orrore vero, non quello soprannaturale ma quello reale, esplode in tutta la sua credultà - diventa quasi liberatorio e accolto con accettazione. Nel comportamento passivo delle vittime ci stà l'evidente critica a una società conformistica, perbenista e repressiva - ovviamente parliamo di quella danese - che pur di agire, ribellarsi e accogliere le proprie pulsioni emotive preferisce consegnarsi inerme al proprio carnefice.
Il senso di Speak No Evil si può racchiudere in questo scambio di battutte tra Bjørn e Patrick: "Perché ci fate questo?" Perché ce lo avete permesso".
Ottimo film, peccato per gli evidenti problemi di sceneggiatura. Se accantoniamo l'aspetto emotivo e andiamo ad analizzare razionalmente il film [spoiler on] è impossibile che i due serial killer possano uccidere così tante coppie per rapire i loro figli in maniera così indisturbata e tutto alla luce del sole [spoiler off].
In tutti i modi, tralasciando questo aspetto inverosimile, Speak No Evil è di certo un film che lascia il segno e non si dimentica facilmente con uno dei finali più feroci e crudeli che abbia mai visto.

Piggy
di Carlota Pereda
Thriller/horror scritto e diretto da Carlota Pereda, Piggy è un film spagnolo del 2022 uscito quest'estate (in concomitanza con Barbie!!) in una decina di sale cinematografiche italiane, che sviluppa e amplia il suo omonimo cortometraggio di pochi anni prima vincitore del premio Goya 2019 come miglior corto di fiction.
Ambientato durante un'afosa estate in un paese di campagna spagnolo, protagonista è Sara (Laura Galán) una giovane ragazza con problemi di obesità che lavora controvoglia nella macelleria del padre. Sara è vittima di body shaming venendo bullizzata dalle sue coetanee che la chiamano "Piggy" e si divertono a mettere le sue foto sui social per deriderla. Un giorno Sara si reca nella piscina comunale dove le tre sue compagne di classe dopo averla presa di mira pesantemente gli rubano lo zaino con i suoi vestiti. Tutta la scena viene vista da uno sconociuto, che si rivelerà essere uno psicopatico omicida, che poco dopo rapisce e sevizia le tre bullette. Costretta a tornare a casa in bikini, Sara vede il furgoncino dello sconosciuto con all'interno le ragazze sanguinanti che chiedono il suo aiuto. Il rapitore si ferma offrendogli un asciugamano per coprirsi e lanciandogli uno sguardo di intesa. Terrorizzata e al tempo stesso confusa dall'unica persona che gli mostra un po’ di gentilezza, Sara prosegue per la sua strada senza dire nulla su quanto accaduto.
Piggy è la storia di una ragazza incompresa e talmente disperata da accettare l'affetto di un serial killer per prendersi una rivincita sulle sue carnefici. Almeno così sembra. E' un film che ricalca, non solo come tematiche ma anche come fotografia, alcuni slasher degli anni settanta in cui spicca l'ottima prova attoriale della protagonista. E' un horror interessante che mette in scena in tutta la sua credultà il tema del bullismo ma che secondo me scade un pò nel finale.
Film
From (stagione 1-2)
Eh niente, a distanza di una quindicina di anni ci sono ricascato.
From è una serie televisiva di genere horror-mistery soprannaturale che si può vedere in Italia sulla piattaforma streaming Paramount+. Al momento è composta da due stagioni (dieci episodi l'una) con una terza stagione in produzione.
La storia inizia con una famiglia in viaggio su un camper che facendo una deviazione dalla strada principale si ritrova in una piccola e sconosciuta cittadina nel mezzo degli Stati Uniti. La famigliola cerca di allontanarsi ma la strada li riporta sempre nello stesso punto. Tutti gli abitanti del paese hanno subito la loro stessa sorte, sono persone che arrivate in questa misteriosa cittadina ne sono rimaste intrappolate. Ma c’è di più. Al tramonto, lo sceriffo del paese (interpretato da Harold Perrinau, il Micheal di Lost) suona una campana per avvertire gli abitanti di ritirarsi nelle loro case. Questo perchè di notte delle mostruose creature con un diabolico ghigno escono dai boschi circostanti uccidendo tutti coloro che trovano all'esterno. Solo grazie a dei misteriosi talismani collocati all'interno delle abitazioni i mostri sono impossibilitati ad entrare senza esservi invitati.
Che dire, l'incipit è quello di Wayward Pines ma le analogie con questa serie si fermano qui. La vera similarità io l'ho trovata con Lost, e questo non è punto a suo favore.
Breve inciso. Lost è stata una serie che ai tempi ho amato ma che mi ha lasciato una grande delusione. Non parlo solo del discusso finale, mi riferisco al fatto che tutto quel groviglio di misteri, segreti, colpi di scena, ed eventi inspiegabili, non erano funzionali alla storia ma solo degli espedienti per tenere alta l’attenzione del pubblico (il contrario di Dark dove lì invece tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati alla perfezione). Fine dell'inciso.
In From ci sono tanti punti di somiglianza con Lost (e non è solo per l'attore protagonista e una coppia di produttori in comune) ma ci ho ritrovato anche dei temi cari a Stephen King (che in un tweet ha apprezzato la serie). La cittadina rurale senza nome è una sorta di escape room a cielo aperto dove i suoi abitanti, non solo si ritrovano costretti a difendersi dai mostri, dagli incubi e dalle loro più grandi paure, ma minati dalla paranoia, dalla diffidenza e dalla disperazione, cercano di risolvere tutta una serie di misteri che li possa condurre alla via di uscita.
La serie non spicca di originalità ma, a parte dei momenti di pausa (leggi relazioni stucchevoli tra alcuni protagonisti), tiene alta la tensione. Tutto sta nel capire come andrà a svilupparsi e a chiudere i tanti misteri presenti nella trama. Soffrendo della sindrome di Lost il timore di imbattermi in un altra boiata è dietro l'angolo.

Pearl
di Ti West
Pearl di Ti West del 2022 è il sequel di X: A Sexy Horror Story e fa parte di una trilogia che si conclude con Maxxxine, film del 2024.
Uscito da poco in Italia in streaming e home video, quindi senza passare per le sale, il film prodotto come il precedente dalla A24 (sempre loro) è ambientato durante gli anni della Prima Guerra mondiale e racconta la storia di Pearl - che in X: A Sexy Horror Story era una donna anziana - sempre interpretata dalla brava Mia Goth che qui è accreditata anche come co-sceneggiatrice.
Texas, 1918. Pearl è una giovane ragazza che vive in una fattoria dove si occupa del padre paraplegico insieme a sua madre, una donna di origini tedesche severa e autoritaria. La ragazza sogna di diventare una ballerina famosa e vivere una vita affascinante come quella dei film. I suoi sogni però si scontrano con la realtà, la madre, infelice e depressa, invece di incoraggiarla la riporta alle sue manzioni quotidiane e ai suoi doveri. Mentre attende con poca pazienza il ritorno del giovane marito andato in guerra, Pearl, sentendosi in gabbia, sviluppa un profondo odio per quella vita uccidendo una papera che poi da in pasto a un alligatore. Quando una compagnia di ballo organizza un’audizione che si terrà in città, Pearl decide di partecipare, con la speranza di iniziare una nuova vita nel mondo dello spettacolo. Nessuno può ostacolarla, né la madre, né il padre né il marito che l'ha abbandonata. E' disposta a tutto pur di inseguire il suo sogno, anche a uccidere e a rivelare il suo folle lato diabolico.
Pearl a livello di sceneggiatura dice poco, nel senso che avendo visto X sappiamo già dove va a finire. I punti di forza del film sono altri, la messa in scena e l'interpretazione della protagonista. Sulla regia, l'allestimento scenografico e la fotografia, West e i suoi collaboratori hanno fatto un ottimo lavoro ricostruendo un film in technicolor dai colori saturi e il sapore vintage. Visivamente il film si ispira ai vecchi film della Disney e ai musical degli anni cinquanta citando apertamente la Dorothy del Mago di Oz (vedi l'incontro con lo spaventapasseri ma anche la madre/strega). Sono toni quasi fiabeschi che si contrappongono nettamente con la follia della protagonista e la sua furia omicida. L'altra aspetto positivo di Pearl è la grande prova di Mia Goth che regge l'intero film fino al lungo e graffiante monologo che sfocia in una prolungata e forzata risata sotto i titoli di coda, prima che si spengano la luce dei riflettori.
Aspettando Maxxxine, Pearl l'ho preferito a X.
Film
X - A sexy horror story
di Ti West
X - A sexy horror story di Ti West è un omaggio ai film slasher del passato (Non aprite quella porta, Psycho, Venerdì 13) raccontando il dietro le quinte di un film porno alla fine degli anni settanta.
Siamo in Texas nel 1979. Un produttore insieme a una troupe cinematografica composta da un giovane regista con velleità artistiche, la sua assistente nonché fidanzata (Jenna Ortega) due attrici in cerca di fama, Maxine e Bobby-Lynne (Mia Goth e Brittany Snow) e un attore nero, nonché ex marine, si trasferiscono in un isolato casale nei pressi di una fattoria per girare un film porno chiamato The Farmer’s Daughter. Il proprietario della fattoria che ha affittato il casale, l'anziano burbero Howard, è all'oscuro di tutto. Quando sua moglie Pearl (sempre interpretata da Mia Goth truccata per sembrare anziana) scopre quello che sta accadendo, la situazione prende una brutta piega risvegliando nella donna desideri, invidie e frustrazioni mai sopite.
Il film inizia e si sviluppa seguendo tutti i cliché del genere, tanto che a un certo punto faccio la classifica su chi saranno i primi a morire. Sbaglio e questo mi rincuora.
X è girato come se fosse un b-movie in Super 8 con numerosi rimandi e citazioni ad altri film di genere. Ci sono delle belle sequenze (tipo quella dello stagno con il coccodrillo che si avvicina alla protagonista girata dall'alto) e delle interessanti interpretazioni (il tema della vecchiaia, l'invidia della giovinezza, etc).
Oltre a segnalare la presenza di Chelsea Wolfe come autrice della colonna sonora, informandomi in rete ho scoperto che X fa parte di una trilogia e che in contemporanea a questo film, quindi nel 2022, è stato girato un prequel chiamato Pearl (che ho subito recuperato).

The Northman
di Robert Eggers
The Northman del 2022 è il terzo film diretto da Robert Eggers, autore della sceneggiatura insieme allo scrittore islandese Sjón (co-sceneggiatore del film Lamb e autore dei testi di numerose canzoni di Björk).
Se i primi due lungometraggi erano stati dei film indipendenti a tutti gli effetti, con The Northman il regista americano si trova per la prima volta alle prese con una grande produzione.
The Northman è ispirato all'Amleto della mitologia normanna, un antico racconto di Saxo Grammaticus, al quale William Shakespeare si ispirò per realizzare il più famoso Amleto.
Siamo in Norvegia del X secolo. Il principe Amleth (Alexander Skarsgård) da bambino assiste alla morte di suo padre, il re Aurvandill (Ethan Hawke), ucciso in un agguato dal fratello Fjölnir (Claes Bang) per impossessarsi del regno e prendere in sposa la regina Gudrún (Nicole Kidman), la madre di Amleth. Riuscito a fuggire, Amleth viene trovato da una banda di vichinghi che lo crescono come un guerriero. Durante una razzia a un villaggio, Amleth incontra una veggente (Björk) che gli ricorda il suo destino e il suo giuramento: vendicarsi dalla morte del padre uccidendo lo zio. Spacciandosi per uno schiavo, Amleth arriva in Islanda - dove Fjölnir era stato esiliato - incontrando nel suo viaggio una schiava slava di nome Olga (Anya Taylor-Joy), che si unisce a lui per mettere in atto il suo piano e vendicarsi di suo padre.
Divisa in atti, la storia è abbastanza semplice, è un racconto epico di sangue e vendetta. Quello che balza all'occhio è la ricostruzione storica e i dettagli quasi maniacali per la scenografia e i costumi che conferiscono al film un realismo violento, brutale e sanguinoso. Gli autori sono bravi e oltre a quelli citati torna anche Willem Dafoe nella parte del giullare di corte protagonista di una sequenza in cui compie una sorta di rituale "bestiale". Nonostante la produzione gli abbia imposto dei tagli - il film dura più di due ore - la traccia autoriale del regista è ancora presente. Il piano sequenza di quando il protagonista insieme agli altri vikinghi assediano il malcapitato villaggio è davvero da urlo mentre le scene più oniriche - quella in cui appare Björk ma sopratutto quella in cui Amleth recupera la spada leggendaria con cui intende compiere la sua vendetta - sono molto suggestive. Sono delle scene che potremmo definire fantasy ma integrate perfettamente nel contesto realistico del film.
The Northman si è rivelato un flop ai botteghini incassando meno di quanto è costato. Io, pur non apprezzando particolarmente il genere, ritengo che sia uno dei migliori film epici degli ultimi anni.
Bravo Robert Eggers, ora aspetto con trepidazione il suo Nosferatu.

Teddy
Jason Rekulak
Premessa. Erano alcuni anni che non leggevo un libro, quindi per tornare alla lettura avevo bisogno di un libro facile e di puro intrattenimento.
Un thriller/horror mi sembrava potesse fare il caso mio.
Attirato dalla copertina e dai disegni al suo interno (che poi scoprirò essere strettamente legati alla narrazione), Teddy è il romanzo di esordio di Jason Rakulak.
Protagonista è una ragazza di nome Mallory, una ex tossica che ha intrapreso un percorso di riabilitazione, la quale viene assunta da una coppia benestante che vive in una lussuosa villa per fare da babysitter al loro figlio Teddy. Tutto sembra perfetto quando il bambino inizia a parlare con una amica immaginaria di nome Anya e disegna un uomo che trascina il corpo senza vita di una donna. Da quel momento i suoi disegni si fanno sempre più sinistri e più dettagliati ben oltre l'abilità di un bambino di cinque anni.
Un thriller dal sapore soprannaturale leggero e scorrevole, con un colpo di scena ben assestato ma volendo pure molto prevedibile. Scrittura semplice adatto a un adolescente che senza troppe pretese si vuole avvicinare alla lettura, oppure, come accaduto a me, a uscire dal blocco del lettore.
Ho letto che presto uscirà un film per Netflix, o addirittura una serie.
Ecco, quello è il target.

Nope
di Jordan Peele
Uscito nelle sale nel 2022, Nope, il terzo film di Jordan Peele, si discosta dal genere horror avvicinandosi di più alla fantascienza.
Il protagonista (Daniel Kaluuya) e sua sorella (Keke Palmer) ereditano il ranch in cui si allevano i cavalli da generazione dopo che il padre muore venendo colpito da una moneta caduta inspiegabilmente dal cielo. I due fratelli scoprono presto che un oggetto volante non identificato si nasconde tra le nuvole e che pare sia legato alla sparizione dei loro cavalli.
In questo film Peele riflette sul voyeurismo insito nello showbiz e nell'ossessione per il "grande spettacolo", sfruttando le tragedie e disastri per attirare attenzione e profitto. La vicenda di Gordy, lo scimpanzé star della TV che impazzisce in un set televisivo, funge da ulteriore sottotesto inquietante, metafora del prezzo del successo e dello sfruttamento.
Le tematiche razziali sono più sfumate rispetto ai precedenti due film ma sempre presenti anche se in modo sottile e intelligente: nel corso del film i due protagonisti dichiarano di essere discendenti del fantino di colore ripreso nel 1878 nella serie di fotografie note come Il cavallo in movimento, considerato il primo esempio di cinematografia mai realizzato nella storia.
Visivamente, Nope si muove tra la fantascienza à la Shyamalan e le atmosfere horror tipiche di John Carpenter, per poi evolversi in un climax finale che ricorda quasi un western: una sfida epica contro il misterioso UFO, che sembra incarnare tanto una minaccia fisica quanto una simbolica.
Carino, ma i due precedenti film di Peele li preferisco.
Film
Whale
di Darren Aronofsky
Darren Aronofsky è un regista che intorno gli anni duemila mi avevo preso parecchio, sopratutto con "Pi Greco" e "Requiem for a Dream". Poi, tolto "Il Cigno Nero", non mi ha più catturato come prima.
"Whale", film del 2022, è l'adattamento di un opera teatrale che ricalca in qualche modo il precedente "The Wrestler", non solo per il tema della redenzione ma anche per la scelta di riportare alla ribalta un attore rimasto da tempo fuori dal giro, Brendan Fraser, facendogli addirittura vincere l'oscar come miglior attore protagonista.
La storia si svolge tutta in un soffocante appartamento, dove un insegnante d’inglese gravemente obeso e omosessuale passa i suoi ultimi giorni di vita cercando una riconciliazione tardiva con la figlia. Il set è volutamente limitato, quasi teatrale, e la scelta si rivela vincente: lo spettatore è intrappolato, claustrofobico, come il protagonista nella sua stessa prigione di carne. La macchina da presa non scappa, si ferma, ci costringe a guardare il dolore, la solitudine e la fragilità umana con occhi sgranati.
Aronofsky ha trovato la formula per conquistare un certo pubblico. Forse ammicca un po' troppo a Hollywood ma il film coinvolge ed è ben realizzato.
Film
Everything Everywhere All at Once
di The Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert)
Incuriosito, e facilitato per averlo trovato su Prime, provo a capire il motivo del tanto clamore mediatico che ha suscitato questo film negli Stati Uniti tanto da fargli vincere ben sette premi Oscar dell'edizione 2023.
La storia è quella di una donna cinese trapiantata negli Stati Uniti che insieme al marito gestisce una lavanderia a gettoni. La donna - che ha un rapporto conflittuale con la figlia gay - ha dei problemi con le tasse e durante un incontro con la consulente dell'agenzia delle entrate viene avvicinata dal marito proveniente da un universo alternativo che gli dice che lei è l'unica speranza di salvezza dell'intero multiuniverso.
Il film è simpatico, divertente e con delle trovate esileranti - su tutte la sequenza dei würstel al posto delle dita - ma secondo me è troppo lungo, e ha un ritmo eccessivamente sincopatico, tanto che verso la fine ho fatto fatica a stargli dietro trovando un momento di sollievo solo nelle scene delle pietre.
Non vorrei che l'assegnazione di tutti questi Oscar sia stato il "risarcimento" cinematografico alle comunità cinesi di immigrati sulla scia del politically correct tanto in voga a Hollywood.

Men
di Alex Garland
Men è un film del 2022 scritto e diretto da Alex Garland.
Protagonista è una donna, Harper (Jessie Buckley), che ha vissuto il trauma del presunto sucidio del marito dopo una litigata in cui gli aveva detto che voleva lasciarlo. Per superare il trauma decide di andare in una casa in campagna nei pressi di un isolato paesino per ritrovare se stessa. Harper viene accolta da Geoffrey, il proprietario della casa, non accorgendosi che tutti gli abitanti del paese (che sia un bambino, un viscido parroco o un poliziotto) hanno il volto di Geoffrey. Nel momento in cui trova un uomo nudo nel suo giardino che la fissa immobile e che lei fa in seguito arrestare, inizia a salire la tensione che da vita a un vortice allucinogeno di visioni inquietanti e surreali.
Men è un film horror psicologico, atipico, forse difficile da comprendere, dichiaratamente femminista (detto dallo stesso Garland), una metafora contro la figura maschile, la misoginia e la cultura patriarcale.
La sequenza dell'uomo che si autorigenera più e più volte è memorabile, molto Cronenberg e Brian Yuzna.
Ottima fotografia e colonna sonora.

Exister
Soft Moon
Quinto album dei Soft Moon di Luis Vasquez, il progetto musicale a cui sono più legato da dieci anni a questa parte.
Se il precedente album mi aveva lasciato un pò freddino, questo Exister mi è penetrato dentro fin da subito come un affilato coltello. Ci muoviamo in territori postpunk, industrial e a tratti noise. Sono sonorità che adoro e con le quali sono cresciuto. Nonostante il tutto potrebbe risultare già sentito, in ogni brano di Exister, Vasquez lascia una sua impronta ben distintinguibile partorendo un disco di una claustrofobica cupezza ipnotica.
Brani preferiti "Become the Lies", "Monster", "Answers", ma anche la cupissima ballata d'apertura "Sad Song".
Musica
Sandman
Neil Gaiman
Aspettavo da anni questa serie. Il Sandman di Neil Gaiman è uno dei miei fumetti preferiti di sempre, probabilmente il fumetto della mia post adolescenza a cui sono più legato. Ancora oggi conservo gelosamente nella mia libreria, e in bella vista, i volumi che compongono la serie, anche in varie edizioni.
Fatta questa premessa, avevo una notevole aspettativa e il timore di andare a sbattere in una cocente delusione era dietro l'angolo.
Veloce introduzione per chi non conoscesse Sandman. Pubblicato negli Stati Uniti tra il 1989 e il 1996 per l'etichetta Vertigo della Dc Comics, Sandman è composto da 75 albi raccolti in una decina di volumi. Neil Gaiman, lo scrittore inglese a cui viene dato il compito di reinventare un vecchio personaggio della DC, da vita a Morpheus, il Signore dei Sogni, un personaggio affascinante e complesso che fa parte della famiglia degli Eterni, la personificazione antropomorfizzata delle forze che muovono l'universo. Sandman è un’opera complessa che mescola storia e mitologia, un punto di svolta nella storia del fumetto, vincitrice di numerosi premi e capace di catturare l’attenzione anche di coloro che abitualmente leggono solo romanzi letterari.
A distanza di trent'anni dalla sua prima sceneggiatura, Neil Gaiman torna a lavorare sulla sua opera, adattando la storia in una serie televisiva prodotta e distribuita da Netflix e composta da dieci episodi "regolari" più uno bonus. La prima stagione si concentra sulla storia narrata nei primi due volumi, Preludi e notturni e Casa di bambola, mentre l'episodio bonus rilasciato due settimane dopo è l'adattamento di due racconti brevi, Il sogno di mille gatti e Calliope.
Adattare un opera del genere, così sedimentata nell'immaginario di coloro che ci sono cresciuti, è davvero difficile. Partiamo dai personaggi e togliamoci subito il dente dolente.
Morfeo (Dream), intepretato da Tom Sturridge, è abbastanza fedele al personaggio (nei disegni è un incrocio tra Robert Smith, Peter Murphy e lo stesso Gaiman). Sturridge ha una faccia un pò paffutella ma ha una buona presenza scenica. Passando agli altri personaggi, mentre trovo appropriata la sostituzione di Lucien con una ragazza di colore (Vivienne Acheampong), va bene che Constantine sia diventata una donna, così come ho apprezzato la brava Gwendoline Christie che interpreta Lucifero (nei disegni era ispirato a David Bowie), nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà faccio davverò difficoltà ad accettare il blackwashing di Death . Nei fumetti la sorella di Dream è una ragazza "dark" dalla pelle diafana e dai capelli corvino che negli anni è diventata una vera e propria icona del movimento e della cultura "goth". Stravolgere visivamente questo personaggio affidandolo all'intepretazione dell’attrice nera Kirby Howell-Baptise mi pare una scelta compiuta solo in nome del politically-correct ad ogni costo tanto in voga negli ultimi anni. Non si tratta di razzismo, sarei rimasto infastidito anche se l'attrice fosse stata bionda e con gli occhi azzurri. Solo che stravolgere un personaggio così iconico in nome di questa insistente inclusione io l'ho trovato una forzatura idiota e parecchio ipocrita. Mi dispiace Gaiman, questa scelta non riesco proprio a mandarla giù.
Tralasciando la nota stonata e passando alla trasposizione del fumetto devo ammettere che complessivamente il risultato e la resa di questa prima stagione è ottima. La serie risulta parecchio fedele al fumetto, in particolarmodo nei dialoghi, e le parti alterate sono più che giustificate dal fatto che alcune situazioni richiedevano un aggiornamento e il prodotto necessariamente doveva essere fruibile a un pubblico che non ha mai letto l'opera di Gaiman. Sono dei cambiamenti che però non stravolgono o snaturano la fedeltà del fumetto ma lo rendono solo più attuale.
In questa prima stagione la prima metà è dedicata al ritorno di Sogno nel suo reame e al ritrovamento dei suoi amuleti, mentre nella seconda parte c'è la storia di Rose Walker e il vortice. In entrambi il Corinzio determina la trama orizzontale. Tra la prima e la seconda parte c'è il bellissimo episodio "The Sound of Her Wings" (che bello che anche i titoli corrispondono alle storie del fumetto) in cui un Morfeo disilluso trascorre una giornata con sua sorella Morte. Tra gli altri episodi metto in evidenza quello in cui Morfeo va all'Inferno per sfidare Lucifero e il disturbante "24 Hours".
In conclusione la serie è ottima ma per quanto fedele non raggiunge la bellezza del fumetto, trattandosi di un capolovoro inarrivabile. E per quanto mi riguarda è pure giusto che sia così.
Aspetto la seconda stagione.

Scissione (stagione 1)
Dan Erickson
Scissione (Severance) è una serie distopica/psicologica prodotta da Apple TV e diretta (in alcuni episodi) da Ben Stiller.
La Lumon Industries, una misteriosa compagnia di biotecnologia, ha realizzato una tecnologia innovativa, un microchip che impiantato nella corteccia celebrale dei suoi dipendenti permette di separargli i ricordi della loro vita privata da quella lavorativa. In pratica, una volta entrato nell'ascensore dell'azienda che conduce ai loro uffici, i dipendenti non ricordano nulla del loro vissuto all'esterno, della loro famiglia e dei propri interessi. Finito l'orario di lavoro, quando escono, riacquistano i loro ricordi ma non ricordano nulla di ciò che hanno fatto in ufficio, delle loro mansioni e dei loro colleghi. Protagonisti principali sono quattro impiegati (tra questi spicca un grande John Turturro) che lavorano nel dipartimento Meta Data Refinement e il cui lavoro consiste principalmente nel collocare, archiviare ed eliminare dei numeri che compaiono sui monitor dei loro vetusti computer seguendo uno schema non definito. L'arrivo di un donna che non accetta che il suo io esterno abbia preso una decisione così estrema - ovvero quella di trascorrere otto ore al giorno della propria vita a fare un lavoro senza senso e ripetitivo oltre al fatto di non conoscere nulla della propria vita all'esterno - da il via a una serie di interrogativi nei quattro protagonisti che iniziano a mettere in discussione il loro ruolo nell'azienda.
La serie esplora la psiche umana e l'alienazione al mondo del lavoro rifacendoci a una fantascienza applicata alla tecnologia alla Black Mirror. La scenografia è molto curata ed è caratterizzata da una ambientazione claustrofobica fatta da uffici asettici e corridoi alienanti tutti uguali che sembrano parte di un labirinto che non porta da nessuna parte e in cui non si sa mai cosa possa nascondersi dietro l'angolo. Quando l'ambientazione si svolge all'esterno invece ci troviamo in una indefinita città dell'Europa del nord o del Canada, fredda e innevata.
La serie di conclude con tante domande ancora senza risposte. È prevista una seconda stagione nel 2025.
Questa serie mi ha catturato come non mi capitava da tempo, e senza ombra di dubbio la considero la migliore serie degli ultimi dieci anni (insieme a Dark)
Il lavoro è misterioso e importante.
Serie TV