Caught Stealing - Una scomoda circostanza
di Darren Aronofsky
Ho un rapporto un po’ contrastante con Darren Aronofsky. Ho amato i suoi primi due film, mentre altri mi hanno lasciato parecchio perplesso. Senza dubbio mi pare sia un autore parecchio eclettico, capace di spostarsi con disinvoltura dal dramma paranoico all'horror psicologico, fino alla dimensione più visionaria e allegorica. Nel 2025 decide di adattare il romanzo A tuo rischio e pericolo di Charlie Huston e realizzare Caught Stealing - Una scomoda circostanza, un thriller action urbano dalle spiccate influenze tarantiniane, che segna una nuova deviazione nel suo percorso cinematografico.
La storia è ambientata nel 1998, nel Lower East Side di Manhattan, e segue le disavventure di Henry “Hank” Thompson (Austin Butler), ex promessa del baseball la cui carriera è stata stroncata da un incidente stradale. Ora Hank lavora come barista in un pub, affoga le giornate nell’alcol, frequenta una giovane infermiera (Zoë Kravitz), ed è legato alla madre, che gli ha trasmesso la passione per il baseball. La sua esistenza tutto sommato tranquilla prende una piega inaspettata quando il suo vicino di casa punkettone, Russ (Matt Smith), gli chiede di badare al suo gatto per qualche giorno. Da quel momento, Hank si ritrova improvvisamente braccato da gangster, poliziotti corrotti e criminali senza scrupoli, trascinato in una spirale di violenza, inseguimenti e paranoia di cui non riesce a capire le ragioni.
Strizzando l’occhio al Fuori orario di Scorsese — che omaggia con il cameo di Griffin Dunne nei panni del proprietario del pub — Aronofsky prova a mescolare l’umorismo nero dei fratelli Coen, il pulp sanguinolento di Tarantino e il gangster crime di Guy Ritchie, per confezionare un film tutto azione, situazioni esasperate, toni da commedia grottesca e personaggi sopra le righe. Volendo, anche divertente, ma che io, personalmente, l'ho trovato di poca sostanza.
Mi pare che Aronofsky abbia voluto realizzare un polpettone derivativo più per voglia di distrarsi che per raccontare un storia capace di scuotere davvero qualche corda emotiva. Alla fine è ancora la storia dell’atleta (dopo il wrestler, questa volta un giocatore di baseball, sport che non ho mai capito e non ho neanche troppa voglia di sforzarmi di capire) che ha perso la sua occasione e si ritrova sbandato, trascinato in un vortice di situazioni assurde e sempre più fuori controllo.
Di buono c’è la ricostruzione del Lower East Side di New York di fine anni novanta, sporco, malfamato, pieno di spazzatura e palazzi fatiscenti. Poi c’è il gattone, che a tratti diventa il vero protagonista del film, e la musica degli Idles, perfetta per accompagnare il caos.
Troppo poco, però, per evitargli l’insufficienza.
Una battaglia dopo l'altra
di Paul Thomas Anderson
Spinto dalle tante critiche entusiastiche mi sono andato a vedere al cinema Una battaglia dopo l'altra, l'ultima pellicola di Paul Thomas Anderson. Conosco poco i suoi lavori, ho un ricordo un pò sbiadito di Magnolia e poco altro, ma è considerato da più parti uno dei migliori registi americani contemporanei.
La storia è ambienta negli Stati Uniti, non si capisce bene se si tratta di un America distopica o quella Trumpiana contemporanea.
Pat Calhoun detto "Ghetto Pat" (Leonardo DiCaprio) e Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor) sono membri del gruppo rivoluzionario di estrema sinistra conosciuto come French 75. Dopo aver liberato gli immigrati detenuti da un centro di detenzione in California, Perfidia umilia il colonnello, Steven Lockjaw (Sean Penn), che sviluppa un'attrazione sessuale nei suoi confronti. Con il tempo Ghetto e Perfidia diventano amanti ma Lockjaw sembra ossessionato da Perfidia e dopo averla sorpresa mentre stava piazzando una bomba in una banca, la lascia andare dopo che lei accetta di fare sesso in un motel. Perfidia dà alla luce una bambina, Charlene (interpretata da Chase Infiniti nell’età adolescenziale), ma la donna vuole continuare la sua attività rivoluzionaria e poco dopo li abbandona. Sedici anni dopo, il passato riaffiora e Ghetto si ritrova di nuovo in prima linea per proteggere sua figlia dall’ossessione di Lockjaw.
Il film mi è piaciuto? Sì, e pure molto. Ingannato dal titolo e dalle poche immagini che me lo aveva fatto accostare al Civil War di Garland, mi sono trovato davanti invece a un action-movie d’autore dal ritmo travolgente, capace di divertire, spaventare e commuovere.
Liberamente tratto da Vineland, romanzo di Thomas Pynchon, il film è stato prodotto dalla Warner Bros con un budget di oltre 150 milioni di dollari. Una buona fetta dev’essere finita nel cachet di DiCaprio, visto che non ci sono sequenze catastrofiche né scenografie monumentali da blockbuster. Poco importa, non faccio i conti alle case di produzione, soprattutto quando il risultato convince e il pubblico sembra gradire.
La sceneggiatura non è perfetta e a tratti mostra qualche debolezza, mi riferisco ad alcune ripetizioni e forzature nel finale. Ma i punti di forza del film sono altri. Innanzitutto nella regia e nel montaggio, magistrali, che fanno volare via due ore e quarantacinque minuti in un baleno. Poi negli attori con un grande DiCaprio che intrepreta un rivoluzionario nerd, appassionato di congegni esplosivi, che quindici anni dopo lo ritroviamo a fumarsi anche il cervello, dimenticandosi delle parole d’ordine. Ma è Sean Penn a rubare la scena, trasformato in una sorta di Popeye (Braccio di Ferro) militarizzato e razzista, che incute timore e insieme suscita una strana tenerezza. Una performance da Oscar la sua, che ho adorato, insieme alle dinamiche di sottomissione e trasgressione con Perfidia, la femmina ribelle e dominatrice interpretata dalla brava Teyana Taylor, che urla al mondo: "La fica è per la guerra, è un’arma". Da segnalare anche Benicio Del Toro nei panni assurdi di un sensei messicano, e la giovane Chase Infiniti, credibile nella parte della figlia.
Infine, la musica. La colonna sonora è firmata da Jonny Greenwood, già compagno di avventure di Anderson e polistrumentista dei Radiohead. È una partitura incalzante, che non accompagna semplicemente il ritmo del film ma lo detta, con momenti di sperimentazione jazz che trovano il loro culmine in una lunga sequenza costruita attorno a una singola nota ripetuta ossessivamente. La musica è parte integrante del film.
Il sottotesto politico e sociale è evidente e non serve dilungarsi troppo. Una battaglia dopo l’altra è il ritratto di un’America divisa, corrotta, fascista e sull’orlo del collasso.
Per il resto il film ha qualcosa dei fratelli Coen – il personaggio di DiCaprio ammicca chiaramente al Drugo de Il Grande Lebowski – di Tarantino, nelle situazioni grottesche ma mai eccessive, ma anche di Kubrick e Spielberg che insieme si mescolano in un racconto che resta sempre personale.
Un film frenetico e pieno d’azione, tra inseguimenti automobilistici (memorabile quello sui dossi, con la macchina da presa che pare ondeggiare) e situazioni al limite del parossistico (come quella in cui un DiCaprio disperato è alla ricerca di una presa per ricaricare il cellulare). Anderson eleva l’action movie prendendolo anche in giro – la citazione su Tom Cruise è esilarante. Gioca con i generi, li piega al presente, mescolando satira e commedia nera, riuscendo a essere insieme epico e intimo.
Un film attuale, intelligente e godibile, con più piani di lettura a seconda dello spettatore. Non il capolavoro del decennio, come ho letto in giro, ma probabilmente uno dei migliori film dell’anno.
Film
Civil War
di Alex Garland
Non sono un amante dei film di guerra ma adoro Alex Garland.
Con questa premessa sono andato al cinema a vedere Civil War.
Siamo in una America di un futuro prossimo. Non conosciamo il motivo scatenante ma negli Stati Uniti è in corso una feroce guerra civile. Il Texas e la California sono gli stati secessionisti che, insieme alla Florida, vogliono abbattere il Presidente degli Stati Uniti considerato una sorta di dittatore fascista. Lee Smith (Kirsten Dunst), una rinomata fotografa di guerra, insieme al giornalista Joel (Wagner Moura) e all'anziano collega Sammy (Stephen McKinley Henderson) decidono di partire da New York per recarsi a Washington e intervistare il Presidente trinceratosi nella Casa Bianca. Al gruppo si aggrega la giovane Jessie (Cailee Spaeny), una aspirante fotoreporter che vuole seguire la carriera di Lee. Durante il viaggio i quattro testimoniano con la loro macchina fotografica le atrocità della guerra passando attraverso scene di guerriglia urbana, duelli tra cecchini, pompe di rifornimento in cui la benzina non ha prezzo e fattorie dell'orrore in cui militari nazionalisti (tra questi un ottimo Jesse Plemons) uccidono indistintamente i civili in base alla loro etnia.
Il film di Garland racconta una ipotetica guerra civile come conseguenza di una politica populista protesa all'estremismo e alle divisioni. É inevitabile pensare a Donald Trump - che proprio nei prossimi mesi concorrerà nuovamente per la Casa Bianca - e all’attacco a Capitol Hill nel gennaio del 2021 da parte dei suoi seguaci. Garland afferma che il film è apolitico ed è stato scritto prima di questo evento, affermando inoltre che ha cercato di attribuire le responsabilità del violento conflitto a entrambi gli schieramenti ma come era prevedibile Civil War ha suscitato negli Stati Uniti un acceso dibattito, sopratutto dalla parte della destra conservatrice, che accusa il film di "predictive programming", una teoria secondo cui i media popolari, come film, serie TV o romanzi, possano contenere messaggi subliminali o indizi sul futuro, influenzando le percezioni e preparando il pubblico per eventi o cambiamenti sociali.
Al di là dell'aspetto politico e provocatorio, Civil War - il film più costoso prodotto dello studio indipendente A24 - è un roadmovie ambientato durante un conflitto in cui i protagonisti documentano in maniera disicantata la violenza scaturita da questa guerra civile, una violenza molto spesso fine a se stessa dove non sempre c'è un nemico da sconfiggere ma solo il desiderio di usare le armi per sfogare la propria rabbia repressa. Il tutto, come detto, viene documentato dai protagonisti con il personaggio di Lee che assume il ruolo di mentore nei confronti della giovane e inesperta Jessie, la quale, nel giro di pochi giorni, supera la più celebrata collega proprio durante l’assedio di Washington.
Il film di Alex Garland è girato indubbiamente bene e restituisce una certa tensione - in particolar modo nella scena con Plemons già citata - ma nonostante riconosca le sue qualità tecniche non mi ha pienamente convinto. Accantonando il prevedibile finale, ho trovato poco coraggiosa la scelta di porsi come testimone distaccato, così come mi è parso superficiale il fatto di non aver approfondito il cinismo autodistruttivo dei fotoreporter che si sentono vivi nel mettere a rischio la propria vita e trovano la bellezza in una fotografia che testimonia l'istante della morte.
Non so, probabilmente il fatto che non sia mai stato un amante dei film di guerra - tanto per intenderci in una ipotetica lista sui miei cento film preferiti, pur riconoscendo il loro valore, pellicole come Platoon, Full Metal Jacket e lo stesso Apocalypse Now non rientrebbero in questa classifica - ha contribuito a rendere il film di Garland emotivamente poco coinvolgente e distante. Presumo che sia un problema mio dal momento che tutti stanno osannando questo film.
The Northman
di Robert Eggers
The Northman del 2022 è il terzo film diretto da Robert Eggers, autore della sceneggiatura insieme allo scrittore islandese Sjón (co-sceneggiatore del film Lamb e autore dei testi di numerose canzoni di Björk).
Se i primi due lungometraggi erano stati dei film indipendenti a tutti gli effetti, con The Northman il regista americano si trova per la prima volta alle prese con una grande produzione.
The Northman è ispirato all'Amleto della mitologia normanna, un antico racconto di Saxo Grammaticus, al quale William Shakespeare si ispirò per realizzare il più famoso Amleto.
Siamo in Norvegia del X secolo. Il principe Amleth (Alexander Skarsgård) da bambino assiste alla morte di suo padre, il re Aurvandill (Ethan Hawke), ucciso in un agguato dal fratello Fjölnir (Claes Bang) per impossessarsi del regno e prendere in sposa la regina Gudrún (Nicole Kidman), la madre di Amleth. Riuscito a fuggire, Amleth viene trovato da una banda di vichinghi che lo crescono come un guerriero. Durante una razzia a un villaggio, Amleth incontra una veggente (Björk) che gli ricorda il suo destino e il suo giuramento: vendicarsi dalla morte del padre uccidendo lo zio. Spacciandosi per uno schiavo, Amleth arriva in Islanda - dove Fjölnir era stato esiliato - incontrando nel suo viaggio una schiava slava di nome Olga (Anya Taylor-Joy), che si unisce a lui per mettere in atto il suo piano e vendicarsi di suo padre.
Divisa in atti, la storia è abbastanza semplice, è un racconto epico di sangue e vendetta. Quello che balza all'occhio è la ricostruzione storica e i dettagli quasi maniacali per la scenografia e i costumi che conferiscono al film un realismo violento, brutale e sanguinoso. Gli autori sono bravi e oltre a quelli citati torna anche Willem Dafoe nella parte del giullare di corte protagonista di una sequenza in cui compie una sorta di rituale "bestiale". Nonostante la produzione gli abbia imposto dei tagli - il film dura più di due ore - la traccia autoriale del regista è ancora presente. Il piano sequenza di quando il protagonista insieme agli altri vikinghi assediano il malcapitato villaggio è davvero da urlo mentre le scene più oniriche - quella in cui appare Björk ma sopratutto quella in cui Amleth recupera la spada leggendaria con cui intende compiere la sua vendetta - sono molto suggestive. Sono delle scene che potremmo definire fantasy ma integrate perfettamente nel contesto realistico del film.
The Northman si è rivelato un flop ai botteghini incassando meno di quanto è costato. Io, pur non apprezzando particolarmente il genere, ritengo che sia uno dei migliori film epici degli ultimi anni.
Bravo Robert Eggers, ora aspetto con trepidazione il suo Nosferatu.
Everything Everywhere All at Once
di The Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert)
Incuriosito, e facilitato per averlo trovato su Prime, provo a capire il motivo del tanto clamore mediatico che ha suscitato questo film negli Stati Uniti tanto da fargli vincere ben sette premi Oscar dell'edizione 2023.
La storia è quella di una donna cinese trapiantata negli Stati Uniti che insieme al marito gestisce una lavanderia a gettoni. La donna - che ha un rapporto conflittuale con la figlia gay - ha dei problemi con le tasse e durante un incontro con la consulente dell'agenzia delle entrate viene avvicinata dal marito proveniente da un universo alternativo che gli dice che lei è l'unica speranza di salvezza dell'intero multiuniverso.
Il film è simpatico, divertente e con delle trovate esileranti - su tutte la sequenza dei würstel al posto delle dita - ma secondo me è troppo lungo, e ha un ritmo eccessivamente sincopatico, tanto che verso la fine ho fatto fatica a stargli dietro trovando un momento di sollievo solo nelle scene delle pietre.
Non vorrei che l'assegnazione di tutti questi Oscar sia stato il "risarcimento" cinematografico alle comunità cinesi di immigrati sulla scia del politically correct tanto in voga a Hollywood.
Drive
di Nicolas Wending Refn
Drive del 2011 è il film che ha fatto conoscere Nicolas Wending Refn al grande pubblico e che gli ha fatto vincere nello stesso anno il premio come miglior regia al festival di Cannes.
Basato sull'omonimo romanzo noir di James Sallis, Drive vede come protagonista uno stunt-man che lavora nel cinema (Ryan Gosling) che per racimolare qualche soldo, occasionalmente fa il pilota ad alcuni rapinatori di banche durante i loro colpi. Il "driver" - il protagonista non viene mai chiamato per nome - è un tipo schivo e taciturno la cui vita, per certi versi monotona, viene scossa dall'incontro di una donna (Carey Mulligan), madre di un bambino e sposata con un tizio uscito da poco di galera. I due diventano amici finendo invischiati in un pericoloso giro mafioso.
Drive è un action movie decisamente particolare in cui i ritmi adrenalitici tipici del genere rallentano improvvisamente dando spazio a lunghe sequenze che vanno in sottrazione. Potremmo definirlo un Blockbuster d'autore con alcune scene memorabili (tra queste c'è sicuramente quella dell'ascensore).
La regia di Refn è asciutta e dettagliata con delle inquadrature geometricamente perfette ed equilibrate. Ottima fotografia così come la colonna sonora elettronica affidata a Cliff Martinez. Un noir americano con uno stile tutto europeo.
