
Black Mirror (stagione 7)
Charlie Brooker
Black Mirror non solo è tornata, ma lo ha fatto nella sua forma migliore.
Dopo la deludente sesta stagione di un paio d’anni fa, la serie creata da Charlie Brooker torna su Netflix con sei nuovi episodi, dalla durata variabile (dai quaranta minuti all'ora e mezza), e soprattutto con un'identità ritrovata. La settima stagione abbandona le derive horror e soprannaturali degli ultimi tempi per riportare al centro la tecnologia, la società e i futuri possibili, sempre più vicini.
Il primo episodio, "Gente comune", è a mio avviso il più riuscito della stagione. La storia segue Amanda e Mike (Rashida Jones e Chris O'Dowd — sì, proprio il Roy di The IT Crowd), una coppia qualunque con il sogno di avere un figlio. Quando Amanda scopre di avere un tumore al cervello, la loro unica speranza è affidarsi a Rivermind, una compagnia in grado di rimuovere la parte malata e sostituirla con una porzione sintetica, la cui memoria è però collegata a un server remoto. L’operazione è gratuita, ma il canone mensile che la coppia è costretta a sottoscrivere si rivelerà invasivo, costoso e totalizzante. È una satira feroce contro la logica degli abbonamenti perpetui e l'illusione della gratuità. Un futuro opprimente, plausibile, angosciante nella sua verità.
"Bête Noire" è più leggero nel tono, ma non meno inquietante. Protagonista è una ricercatrice alimentare che lavora per un'azienda dolciaria e che si ritrova faccia a faccia con una sua ex compagna del liceo, appassionata di tecnologia, vittima di bullismo e oggi esperta di informatica quantistica. Ne nasce un thriller psicologico fatto di vendetta e manipolazione della memoria. È forse l’episodio più "fantascientifico" della stagione e anche uno dei più sorprendenti.
Con "Hotel Reverie", il tono cambia ancora. Una giovane attrice accetta di prendere parte a un remake immersivo di un film romantico anni ’40. La sua coscienza viene trasferita in una simulazione dove interagisce con repliche digitali dei personaggi dell'originale. Episodio elegante, malinconico, ma, a mio avviso, il meno incisivo.
"Plaything" è una piccola perla per gli appassionati di videogiochi. Peter Capaldi interpreta un critico videoludico che riceve una copia di Thronglets, un gioco simulativo con creature digitali in grado di evolversi e comunicare, in pratica un Tamagotchi portato all’estremo. Tra nostalgia anni ’90, acidi lisergici e riflessioni sull’intelligenza artificiale, l’episodio gioca (letteralmente) con l’etica del gioco e la responsabilità del giocatore.
"Eulogy" è l’episodio più emozionante. Paul Giamatti è Philip, un uomo sollecitato da una compagnia tech a contribuire a un memoriale digitale della sua ex compagna. Attraverso una tecnologia capace di rielaborare il lutto con un'intelligenza artificiale empatica, Philip affronta i suoi ricordi e scopre segreti nascosti. È un racconto struggente, dove la tecnologia non è più un mostro da temere, ma uno strumento per capire, per perdonare, per chiudere i conti con il passato.
Chiude la stagione "USS Callister: Into Infinity", primo vero sequel della serie, che riprende i personaggi dell’episodio cult della quarta stagione. L’equipaggio della USS Callister è ora un gruppo di pirati spaziali in fuga, in un universo virtuale che mescola avventura e satira sociale. È l’episodio più spettacolare, anche se meno profondo.
Non c’è più l’effetto sorpresa dei primi anni, ma Black Mirror dimostra di avere ancora molto da dire. Il ritorno all’origine, alla tecnologia come specchio oscuro dell’umanità, è evidente. Ci sono scelte discutibili, certo, e non tutti gli episodi sono allo stesso livello, ma il salto di qualità rispetto alla sesta stagione è notevole.
La serie torna a inquietare, ma con una malinconia nuova, fatta di silenzi, crepe e ferite emotive. Non è solo il futuro a spaventarci, ma le emozioni che abbiamo perso per strada. È meno futuristica, più umana. E proprio in questa fragilità ritrovata — penso a episodi come Eulogy — Black Mirror riscopre la sua anima.

Scissione (stagione 2)
Dan Erickson, Ben Stiller
La prima stagione di Scissione (Severance in originale) è stata un colpo di fulmine. Geniale, alienante, costruita con un'intelligenza visiva e narrativa che non vedevo da anni. Erano dai tempi di Dark che una serie televisiva non mi catturava in questo modo. Per chi ancora non la conoscesse, siamo nel territorio del thriller psicologico con toni da fantascienza distopica avvolto in un'atmosfera surreale e inquietante. Un viaggio allucinato tra i corridoi bianchi e soffocanti di un ufficio di una multinazionale, dove la realtà si sdoppia e l'identità si sgretola.
Creata da Dan Erickson e prodotta da Ben Stiller (che dirige anche alcuni episodi), la serie si svolge negli uffici della misteriosa Lumon Industries, un'azienda biotech gestita dalla famiglia Eagan – legata a una sorta di ideologia pseudo-religiosa basata sugli insegnamenti di Kier Eagan, il suo fondatore – la quale ha sviluppato un congegno che permette, tramite intervento neurologico, di dividere la coscienza dei dipendenti in due esistenze separate: una dedicata esclusivamente al lavoro (innie) e l’altra alla vita privata (outie). Quando si è in ufficio, non si ricorda nulla del mondo esterno, quando si esce dall'uffico, il lavoro scompare dalla memoria. Nel corso della prima stagione, abbiamo visto i dipendenti del Macrodata Refinement, le versioni innie di Mark (Adam Scott), Helly (Britt Lower), Irving (John Turturro) e Dylan (Zach Cherry), mettere in discussione il capo del dipartimento Harmony Cobe (Patricia Arquette) e il loro supervisore Milchick (Seth Milchick) iniziando a indagare sulla natura del loro lavoro e sul passato della Lumon. Nel finale, gli innies riescono temporaneamente a "risvegliarsi" nel mondo esterno, scoprendo che Helly è la figlia di Jame Eagan (Michael Siberry) CEO della Lumon, mentre Mark realizza che sua moglie, Gemma (Dichen Lachman), che credeva morta, è ancora viva… e lavora per la Lumon. Peccato che, prima di poter fare qualcosa, il sistema venga resettato.
La seconda stagione - che arriva a tre anni dalla prima a causa dello sciopero di Hollywood nel 2023 - si apre con l'interno di Mark che torna a lavorare per la Lumon dopo quello che è stata chiamata la "Rivolta di Macrodata". Sono trascorsi cinque mesi e ora il suo supervisore è Huang, una bambina che si è sottoposta alla scissione, mentre Milchick è il capo del dipartimento dopo l'allontanamento di Cobel dalla Lumon Industries. Inizialemente Mark trova nuovi colleghi, ma dopo aver manifestato il desiderio di licenziarsi, il giorno dopo ritrova Helly, Irving e Dylan come se nulla fosse cambiato. A loro confessa di aver scoperto che sua moglie è viva, probabilmente prigioniera alla Lumon, e sente il dovere di salvarla. Helly, senza rivelare la sua vera identità, decide di aiutarlo. Solo che Mark, ormai, si è innamorato di lei e non prova più nulla per la moglie del suo esterno.
Questo in sintesi l'incipit della seconda stagione di Scissione. Raccontare cosa avviene nei successivi episodi (in tutto sono dieci), oltre a essere complicato, avrebbe poco senso. Posso solo dire che la serie non perde il suo fascino surreale, contorto e alienante, con quelle scenografie minimal e asettiche che ormai sono il marchio di fabbrica di Scissione. Tra gli episodi che mi hanno più coinvolto, il quarto (La valle del dolore), ambientato nella foresta, il settimo (Il Bardo Chikhai), quello incentrato su Gemma, che contiene una delle sequenze più suggestive, rivelatrici e inquietanti della stagione, e ovviamente il finale (Cold Harbor), che apre nuovi scenari per la terza stagione.
Il fascino di questa serie è il modo in cui gioca sull’identità. Gli innie, pur costretti a un’esistenza frammentata, sembrano più umani dei loro outie. Helly, ad esempio, o persino Dylan, che la stessa moglie preferisce rispetto alla sua versione esterna. Resta ancora il mistero sul vero scopo della Lumon: la scissione serve solo a dividere vita privata e lavoro, o è un modo per cancellare la sofferenza e le emozioni che ci rendono umani? Il fermo immagine dell'ultimo episodio della stagione sembra suggerire che, nonostante tutto, l’amore riesca a trascendere la scissione.
Apple TV+ ha rinnovato ufficialmente Scissione per una terza stagione che speriamo, questa volta, non tardi troppo ad arrivare.
Serie TV
Silo (stagione 1-2)
Graham Yost
Fino a qualche tempo fa ero un divoratore di serie TV. Negli ultimi tempi, però, ho iniziato a recuperare i grandi classici del cinema e a riscoprire vecchi capolavori - senza mai trascurare i miei amati horror e i weird movie - diventando molto più selettivo nel dedicare il mio tempo libero alle serie televisive. Spesso le trovo eccessivamente dilatate, mi annoiano, e finisco per abbandonarle dopo poche puntate. Finalmente, dopo diversi mesi, complice la presenza di un ospite in casa (che ha gentilmente insistito), sono riuscito a portare a termine non una, ma ben due stagioni di una serie.
Sto parlando di Silo, la serie sci-fi di Apple TV+ che ha appena chiuso la sua seconda stagione.
Creata da Graham Yost e tratta dai romanzi di Hugh Howey, Silo è ambientata in un futuro distopico, dove da centinaia di anni, una comunità di persone vive in un gigantesco silo sotteraneo, ignorando cosa abbia reso la superficie terrestre tossica e inabitabile. Con i suoi oltre cento piani, il silo è una città verticalmente organizzata, strutturata a livello piramidale e governata da leggi inflessibili che regolano ogni aspetto della vita quotidiana. Il fatto di essere una società fortemente gerarchizzata, con i meccanici che si occupano dei lavori più duri collocati in basso, e quelli del reparto IT, i giudiziari e le diverse autorità che governano il silo, nei piani più alti, porta a inevitabili e periodici conflitti e tensioni. Dopo la morte dello sceriffo - uscito all'esterno convinto che il mondo sia vivibile e che le immagini dei monitor che mostrano una terra desolata siano finte - Juliette Nichols (Rebecca Ferguson), caposquadra del reparto meccanico, viene inspiegabilmente promossa a capo delle forze di sicurezza. Investita di un nuovo potere e decisa a scoprire cosa si nasconde dietro ai segreti, i misteri, e le incongruenze che aleggiano sul silo, Juliette, donna determinata e dalla forte tempra, si scontra con il Sindaco e capo dell'IT Bernard Holland (Tim Robbins), che insieme Robert Sims, il temibile capo dei Giudiziari, sembra coinvolto in un complotto per nascondere la verità.
Silo si rifà alle grandi opere distopiche come 1984, Il mondo nuovo e Fahrenheit 451, usando un futuro inquietante per parlare del presente. La scenografia rétrofuturistica, con il suo fascino claustrofobico, i toni scuri dell’ocra e del marrone e una fotografia cupa, contribuisce a creare un’atmosfera opprimente, ma visivamente affascinante.
Apple TV+ ci ha abituati a produzioni di alta qualità, e Silo non è da meno: una regia solida, un cast eccellente (Rebecca Ferguson e Tim Robbins su tutti), e una scrittura che bilancia bene politica, rivolte sociali e misteri. Tuttavia, il ritmo non è sempre impeccabile. La narrazione si dilunga inutilmente nella parte centrale di entrambe le stagioni, con episodi che aggiungono poco alla storia e rischiano di annoiare. Un peccato, perché il materiale è ricco di spunti interessanti e i personaggi sono ben caratterizzati.
La prima stagione introduce l'ambiente distopico del silo sotterraneo diventando quasi una detective-story, mentre la seconda amplia la visione, presentando nuovi personaggi e svelando una società sempre più complessa. Il finale della seconda stagione non solo lascia molte domande aperte, ma ci porta indietro nel tempo, mostrando un frammento dei giorni pre-apocalittici e suggerendo che nella terza stagione scopriremo cosa ha portato alla distruzione del pianeta e alla creazione dei silos.
Se amate i misteri distopici con una vena politica e una buona dose di tensione, Silo è sicuramente una serie da tenere d’occhio. Non è perfetta, ma è avvincente, ben realizzata e pone le basi per un’esplorazione ancora più profonda nella prossima stagione. La terza (e quarta) sono già state confermate, e non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserveranno.
Serie TV
Constellation
Peter Harness
Serie hard sci-fi prodotta da Apple TV scritta da Peter Harness e composta da otto episodi.
Jo Ericsson (interpretata da Noomi Rapace) è un astronauta svedese che, insieme ad altri suoi quattro colleghi di diversa nazionalità, si trova all'interno della Stazione Spaziale Internazionale per compiere un esperimento con il CAL, uno strumento sperimentale che misura la materia a livello quantistico progettato dal premio Nobel Henry Caldera (Jonathan Banks). Quando un oggetto non identificato colpisce la stazione spaziale provocando seri danni nonchè la morte di un astronauta americano, Joe lascia che siano gli altri tre colleghi a prendere la soyuz integra per tornare a casa. Rimasta da sola nello spazio con una riserva di ossigeno in rapida diminuzione, Joe cerca disperatamente di riparare la sua navetta di salvataggio per poter fare ritorno dal marito Magnus e dalla figlia Alice. In una alienante solitudine e perseguitata da diverse visioni, tra cui quella di un cosmonauta in decomposione all'interno di una tuta spaziale (il corpo che ha causato l'incidente), Joe, facendo ricorso a tutta la sua volontà e al suo addestramento riesce a riparare la Soyuz danneggiata e non con poche difficoltà a tornare sulla Terra per riabbracciare la sua famiglia.
Sembrebbe un lieto fine se non fosse che qualcosa non torna. Al suo rientro ci sono numerosi dettagli che sono diversi da come li ricordava. Suo marito è distante e sua figlia Alice non parla più lo svedese. Tutti pensano che soffra di disturbo da stress post-traumatico dovuto ai mesi nello spazio ma Joe è convinta che questo straniante disorientamento sia stato causato dall'esperimento condotto a bordo della ISS e si mette alla disperata ricerca della verità.
Tra teorie complottistiche e l'ipotesi dei molti mondi della meccanica quantistica, Constellation è un thriller psicologico dai risvolti fantascientifici riuscito per metà. Sostanzialmente la serie è divisa in due parti, quella che si svolge nello spazio, ovvero la parte più riuscita, e quella ambientata sulla Terra dove la protagonista cerca di ricostruire la sua identità in un mondo che non le appartiene. Il problema principale di Constellation è che lo spettatore già dai primi episodi si è fatta una idea di quello che sta accadendo e passata l'adrenalina e l'angoscia iniziale tutto diventa caotico, macchinoso e ripetitivo perdendosi tra drammi familiari e complotti mai del tutto chiariti. Peccato, perchè, almeno qualitativamente, i primi episodi sembravano davvero buoni.
Nonostante il finale non necessariamente aperto, Apple TV ha cancellato l'ipotesi di una seconda stagione. Questa volta è una scelta che condivido.

Il Problema dei Tre Corpi
David Benioff, D. B. Weiss e Alexander Woo
Mi sono visto la serie fantascientifica "Il Problema dei Tre Corpi" prodotta da Netflix e firmata da David Benioff e D.B. Weiss (quelli di Game of Thrones). Convinto si trattasse della trasposizione del primo volume della trilogia dello scrittore cinese Cixin Liu, mi ero fermato al terzo episodio per leggermi di tutta fretta il suddetto romanzo. Terminato il libro e proseguendo con la visione degli altri episodi, ho scoperto che la serie di Netflix presenta al suo interno diverse trame anche degli altri due volumi. E va beh.
La storia in breve. Alla fine degli anni sessanta una astrofisica cinese intercetta e risponde a un messaggio di una civiltà aliena. Cinquant'anni più tardi, siamo ai giorni nostri, scopriamo che gli alieni hanno lasciato il loro pianeta - invivibile a causa di un complesso sistema solare - e che tra quattrocento anni giungeranno sulla Terra per invadere il nostro pianeta. Utilizzando la loro evoluta tecnologia, gli alieni, che nella serie vengono chiamati San-Ti, si sono già introdotti sulla Terra, hackerando i sistemi informatici e ostacolando la ricerca scientifica in modo tale che i terrestri, non progredendo, siano indifesi al loro arrivo. Mentre tutte le risorse e le menti scientifiche della Terra preparano una difesa per respingere l'invasione, alcuni terrestri, disillusi dall'umanità, si sono organizzati in una sorta di setta per favorire l'arrivo degli alieni.
A differenza del romanzo di Cixin Liu la serie è ambientata solo all'inizio in Cina sviluppandosi prevalentemente in Inghilterra e negli Stati Uniti. Comprendo questa scelta in quanto, oltre a voler globalizzare la storia, l'esigenza di Netflix, che ha investito parecchi soldi su questa serie, è quella di "vendere" il suo prodotto principalmente sul mercato occidentale. Volendo condivido pure la scelta di internazionalizzare il cast e sostituire il protagonista del libro con un gruppo eterogeneo di scienziati di diverse etnie - peraltro tutti amici tra di loro in modo da creare sottotrame sfruttando le loro interazioni personali. Il problema è che i personaggi risultano parecchio stereotipati e nessuno di loro alla fine mi è sembrato particolarmente riuscito. Il difetto più evidente, almeno secondo me, risiede nel fatto che in questi otto episodi si è messo un pò troppa carne al fuoco, alcuni concetti sono stati molto semplificati, e le vicende si susseguono in modo troppo sbrigativo chiudendosi in fretta e furia. In tutti i modi la serie ha un buon ritmo e tutto risulta abbastanza godibile grazie a una storia avvincente supportata da una produzione ad alto budget visivamente spettacolare. La scena dell'attacco alla "Giorno del Giudizio" per recuperare l'hard disk - resa alla perfezione così come è descritta nel libro - l'ho trovata davvero coinvolgente così come il momento in cui i San-Ti si rivelano all'umanità facendo apparire sugli schermi di tutto il mondo la minacciosa frase "siete insetti" si è rivelata addirittura ancora più efficace che del libro. La storia poi prosegue andando ad accingere ad alcune trame presenti negli altri due volumi della trilogia. Assistiamo dunque alla prima contromossa dei governi della Terra all'invasione aliena con la spedizione di una sonda a propulsione atomica con a bordo il cervello ibernato di uno degli scienziati del cosidetto team di Oxford. L'obiettivo sarebbe quello di intercettare il nemico per recuperare informazioni solo che non ho capito come un cervello umano, una volta finito nelle mani di una entità aliena, possa poi comunicare con la Terra a milioni di km di distanza. L'altra trama che viene lanciata proprio nell'ultimo episodio della serie è quello del progetto degli impenetrabili, ovvero scegliere tre individui che possano formulare e dirigere piani strategici interamente nella loro mente, senza condividerli con nessuno, così da poter sfuggire al controllo dell'"occhio" alieno. Non avendo ancora letto gli altri due libri della trilogia ovviamente ignoro il motivo per cui è stato scelto lo scienziato nero, quello più cinico, come uno degli impenetrabili. La serie si conclude qui, aperta ovviamente a una seconda stagione.
Una cosa è certo, al di là di tutti i difetti, la serie di Netflix ha avuto il merito di farmi conoscere un autore di fantascienza capace di coinvolgermi e appassionarmi con la sua storia.
Ora, tanto per non farmi mancare nulla, ho iniziato a vedere anche la serie cinese (reperibile su Rakuten sottotitolata) che al momento risulta più fedele al libro ma che mi pare sia anche parecchio più dilatata.
Serie TV

La caduta della casa degli Usher
Mike Flanagan
Mike Flanagan è uno degli autori più interessanti nel panorama dell'horror seriale.
Se nelle due stagioni di The Haunting, Flanagan ha preso ispirazione da alcuni classici della lettura gotica, ne la La caduta della casa degli Usher si cimenta addirittura con il maestro del genere, Edgar Allan Poe.
A dispetto del titolo, la serie non si basa solo sul celebre racconto di Poe (anche perchè il racconto che prende il titolo della serie è di poche pagine). Flanagan, che è anche lo sceneggiatore, prende spunto da tutta la produzione dello scrittore statunitense adattando e rivisitando in chiave contemporanea le sue opere in un unica storia colma di citazioni, riferimenti e connessioni che ovviamene possono essere apprezzate solo da chi conosce Poe.
La storia è quella del ricco imprenditore Roderick Usher, di sua sorella Madeline e della sua famiglia, una potente dinastia proprietaria di un azienda farmaceutica che ha fatto la sua fortuna grazie al Licodone, un antidolorifico assai discusso per i suoi gravi effetti collaterali. All'interno di una casa misteriosa e decadente Roderick Usher racconta ad Auguste Dupin, un avvocato che da anni sta cercando di farlo condannare per i suoi crimini, la disgrazia che si è abbattuta sulla sua famiglia, una sorta di maledizione che nell'arco di pochi giorni ha portato alla morte violenta e apparentemente accidentale dei suoi sei figli. In ogni episodio si assiste così alla tragica e cruenta morte di uno degli Usher ispirandosi a un celebre racconto di Edgar Allan Poe.
Fare l'elenco delle numerose citazioni presenti in questa serie avrebbe poco senso. Di certo a Flanagan, oltre la sempre curata regia, va riconosciuto la grande capacità di scrittura nel riadattare l’universo narrativo delle opere di Poe in chiave moderna. Buona la recitazione da parte del circolo di habitué di Flanagan (più o meno gli attori che sceglie nelle sue serie sono sempre gli stessi) a partire dalla camaleontica Carla Gugino fino a Mark Hammil (io sulle prime non l'avevo riconosciuto) che interpreta il mefistofelico avvocato degli Usher.
Ottima serie, sicuramente sopra la media della maggior parte delle serie horror di questi ultimi anni. Tuttavia, paragonandola alle precedenti serie di Flanagan, l'ho trovato un pò meno coinvolgente. L'unico episodio che mi ha suscitato un profondo turbamento è stato il secondo episodio, La maschera della morte rossa, ma è stato un caso isolato. Da lì in avanti, una volta capito il meccanismo, il ripetersi ciclico delle morti non mi ha restituito quella tensione emotiva e quel senso di mistero che avevo riscontrato in Hill House e Bly Manor.
Serie TV
The Haunting of Bly Manor
Mike Flanagan
The Haunting of Bly Manor è la seconda stagione della serie antologica "The Haunting", e può essere vista tranquillamente senza aver visto la prima stagione avendo trama, ambientazione e personaggi diversi. Ad accomunare le due stagioni ci sono gli attori e ovviamente il tema della "casa infestata".
The Haunting of Bly Manor è del 2020 ed è stata ideata da Mike Flanagan che però, a differenza di "Hill House" si presta alla regia solo nel primo episodio.
La storia è liberamente tratta dal famoso romanzo gotico Giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James e vede come protagonista una ragazza americana, Dani Clayton (Victoria Pedretti), trasferitasi da poco in Inghilterra per lasciarsi alle spalle un passato doloroso, che accetta di fare da educatrice e due bambini, Flora e Miles, rimasti orfani di entrambi i genitori. I due bambini dimorano nella magione di Bly, una grande casa in campagna, insieme alla governante Hannah Grose (T’Nia Miller), il cuoco Owen (Rahul Kohli) e la giardiniera Jamie (Amalia Eve). Fin da subito scopriamo che i due bambini nascondono qualcosa di inquietante e che la villa ospita i fantasmi del passato.
Rispetto a The Haunting of Hill House questa serie risulta sicuramente meno paurosa e "orrorifica". Si, è vero, c'è la Donna del Lago, il raccapriccante fantasma senza volto che di notte si aggira per le stanze del maniero (la cui origine ci viene raccontata nell'ottava puntata), ma il tratto distintivo di Bly Manor è il fatto di essere una serie più intima e romantica, potremmo definirla una storia d'amore (lo dice anche una delle protagoniste) in cui aleggia la falce della morte. Ottimi dialoghi, prova attoriale e profondità dei personaggi, anche se dal punto strettamente tecnico e qualitativo (regia, montaggio, fotografia) gli ho preferito Hill House. Il finale di Bly Manor invece mi ha innegabilmente coinvolto ed emozionato maggiormente. In tutti i modi si tratta di due ottime serie in cui Flanagan prendendo come spunto i grandi classici delle letteratura gotica dimostra la sua grande capacità di maneggiare l'orrore in tutta la sua affascinante potenza evocativa. E ora lo voglio vedere alle prese con Edgar Allan Poe!
Serie TV
The Haunting of Hill House
Mike Flanagan
The Haunting of Hill House è una serie horror scritta e diretta da Mike Flanagan, prodotta e distribuita da Netflix nel 2018, e liberamente tratta dal romanzo di Shirley Jackson, L’incubo di Hill House del 1959 (in Italia noto anche come La casa degli invasati).
Ho recuperato questa serie solo di recente dopo aver letto i buoni commenti che circolavano in rete.
La storia è incentrata sui coniugi Hugh e Olivia Crain e i suoi cinque figli, Steven, Shirley, Theodora, Luke e Nell. Nell’estate del 1992 la famiglia Crain si trasferisce a Hill House con l'intenzione di ristrutturare l'mmensa villa gotica per poi venderla e farne un investimento. La casa però fin da subito appare infestata da presenze inquietanti, con Olivia e i figli più ricettivi che subiscono delle esperienze paranormali. Durante una notte la situazione degenera, Olivia si suicida in circostanze misteriose e Hugh scappa dalla casa portandosi dietro i suoi figli terrorizzati.
Trent'anni dopo ritroviamo i figli, ormai cresciuti, che si portano dietro, ognuno a suo modo, il trauma subito e l'elaborazione di un lutto rimasto incompreso. Steven, il fratello più grande, ha scritto un libro di successo su quanto accaduto a Hill House, la rigida Shirley gestisce insieme al marito un'impresa di onoranze funebri, Theo è una psicologa pediatrica che ha delle capacità psicometriche, Luke è un tossicodipendente squattrinato che ha trovato nell’eroina la sua unica via d’uscita, e infine Nell è una ragazza fragile e depressa che soffre di paralisi nel sonno, ossessionata da un lugubre spettro con il collo rotto, che fin da bambina chiama la donna dal collo storto. Quando uno dei fratelli Crain si suicida, il resto della famiglia si riunisce per commemorare la perdita e affrontare finalmente la verità su quanto accaduto a Hill House.
I primi episodi sono dedicati all'esplorazione delle personalità dei Crain e del loro rapporto con la casa alternandosi tra presente e passato. I singoli eventi si ripetono cambiando solo il punto di vista del protagonista mentre ci vengono mostrati i tasselli di un puzzle ancora poco definito. La serie ci mette un pò a carburare ma dal quinto episodio, forse uno dei più belli insieme al successivo, abbiamo la svolta con un finale davvero sconvolgente. Il sesto episodio, quello in cui dopo tanti anni si riunisce la famiglia Crain, è caratterizzato da una serie di lunghi piani sequenza che lo rendono uno degli episodi tecnicamente più complessi da realizzare tanto che inizialmente ho pensato, sbagliando, ci fosse il supporto della cgi (qui il dietro le quinte dell'episodio 6). Forse solo l'ultimo episodio, quello che conclude la serie e che ci mostra cosa è accaduto dentro la stanza dalla porta rossa, l'ho trovato un pochino deludente per quel lieto fine troppo forzato. Non è abbastanza per rovinare una delle serie horror più interessanti ed eleganti degli ultimi anni, non perfetta perchè in alcuni punti secondo me si dilunga troppo, ma senz'altro coinvolgente e inquitante realizzata in maniera impeccabile.
The Haunting of Hill House si conclude ma c'è una seconda stagione chiamata The Haunting of Bly Manor, sempre realizzata da Mike Flanagan ma con altri interpetri e con un altra storia (una sorta di secondo capitolo di un'antologia dell'orrore) che ovviamente mi preparo a vedere.
Serie TV
Midnight Mass
Mike Flanagan
Midnight Mass è una serie horror creata e diretta da Mike Flanagan uscita su Netflix un paio di anni fa. Ne avevo sentito parlare bene, quindi, approfittando di una momentanea tregua dell'afa estiva, mi sono visto i sette episodi che compongono la serie.
La trama di Midnight Mass ruota attorno a una desolata isola di pescatori popolata da poco più di 100 persone la cui economia locale, a causa di un disastro ecologico di qualche anno prima, ha subito un notevole rallentamento. La vita monotona e disincantata della comunità, viene stravolta dall'arrivo di un giovane sacedote di nome Paul Hill (interpretato da Hamish Linklater) chiamato a sostituire l’anziano monsignor Pruitt, partito in pellegrinaggio per la Terra Santa. Insieme a lui, torna sull'isola anche Riley (Zach Gilford) dopo quattro anni trascorsi in prigione a causa di un omicidio stradale commesso in stato di ebbrezza. L’arrivo del nuovo sacerdote segna l'inizio di una serie di inspiegabili eventi e guarigioni miracolose che porta l'intera comunità ad abbracciare un nuovo fervore religioso che si trasforma presto in fanatismo. Intanto nell'ombra una presenza oscura e misteriosa si aggira sull'isola.
La serie, sopratutto nei primi episodi, si distingue per il suo ritmo lento e contemplativo. I dialoghi sono numerosi, lunghi, ma anche intensi e ricchi di significato. Attraverso la lente del soprannaturale e dell'horror, la serie, oltre a portare alla luce l'oscurità che può emergere quando la fede si scontra con l'estremismo, affronta il tema della morte, invitando a una profonda contemplazione sulla fede, la redenzione e la natura umana. Nel finale si perde un pò ma tralasciando dei monologhi di troppo e un paio di cadute stilistiche (per esempio la "creatura" in chiesa con l'abito talare) nel complesso l'ho trovata abbastanza interessante.
Serie TV
From (stagione 1-2)
Eh niente, a distanza di una quindicina di anni ci sono ricascato.
From è una serie televisiva di genere horror-mistery soprannaturale che si può vedere in Italia sulla piattaforma streaming Paramount+. Al momento è composta da due stagioni (dieci episodi l'una) con una terza stagione in produzione.
La storia inizia con una famiglia in viaggio su un camper che facendo una deviazione dalla strada principale si ritrova in una piccola e sconosciuta cittadina nel mezzo degli Stati Uniti. La famigliola cerca di allontanarsi ma la strada li riporta sempre nello stesso punto. Tutti gli abitanti del paese hanno subito la loro stessa sorte, sono persone che arrivate in questa misteriosa cittadina ne sono rimaste intrappolate. Ma c’è di più. Al tramonto, lo sceriffo del paese (interpretato da Harold Perrinau, il Micheal di Lost) suona una campana per avvertire gli abitanti di ritirarsi nelle loro case. Questo perchè di notte delle mostruose creature con un diabolico ghigno escono dai boschi circostanti uccidendo tutti coloro che trovano all'esterno. Solo grazie a dei misteriosi talismani collocati all'interno delle abitazioni i mostri sono impossibilitati ad entrare senza esservi invitati.
Che dire, l'incipit è quello di Wayward Pines ma le analogie con questa serie si fermano qui. La vera similarità io l'ho trovata con Lost, e questo non è punto a suo favore.
Breve inciso. Lost è stata una serie che ai tempi ho amato ma che mi ha lasciato una grande delusione. Non parlo solo del discusso finale, mi riferisco al fatto che tutto quel groviglio di misteri, segreti, colpi di scena, ed eventi inspiegabili, non erano funzionali alla storia ma solo degli espedienti per tenere alta l’attenzione del pubblico (il contrario di Dark dove lì invece tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati alla perfezione). Fine dell'inciso.
In From ci sono tanti punti di somiglianza con Lost (e non è solo per l'attore protagonista e una coppia di produttori in comune) ma ci ho ritrovato anche dei temi cari a Stephen King (che in un tweet ha apprezzato la serie). La cittadina rurale senza nome è una sorta di escape room a cielo aperto dove i suoi abitanti, non solo si ritrovano costretti a difendersi dai mostri, dagli incubi e dalle loro più grandi paure, ma minati dalla paranoia, dalla diffidenza e dalla disperazione, cercano di risolvere tutta una serie di misteri che li possa condurre alla via di uscita.
La serie non spicca di originalità ma, a parte dei momenti di pausa (leggi relazioni stucchevoli tra alcuni protagonisti), tiene alta la tensione. Tutto sta nel capire come andrà a svilupparsi e a chiudere i tanti misteri presenti nella trama. Soffrendo della sindrome di Lost il timore di imbattermi in un altra boiata è dietro l'angolo.

Black Mirror (stagione 6)
Charlie Brooker
Siamo alla sesta stagione di Black Mirror e come e successo per le precedenti - in pratica da quando è approdata su Netflix acquisendo notorietà - anche questa stagione l'ho trovata deludente. Il punto è che, a parte il primo e il terzo episodio, le storie non hanno nulla a che fare con Black Mirror, ovvero quella serie innovativa di qualche anno fa che ci mostrava l’angosciante e distopico futuro derivato dall’evoluzione tecnologica.
Dei cinque episodi forse si salvano Joan is awful, in cui una donna accettando le condizioni della piattaforma streaming Streamberry - chiaro riferimento alla stessa Netflix - si ritrova suo malgrado protagonista di una serie televisiva che ricalca la sua vita ma con le sembianze di Salma Hayek generata dall’AI, e Beyond the Sea che racconta di due astronauti che trasferiscono la loro coscienza su due robot che vivono sulla Terra con la famiglia di ognuno per sfuggire alla solitudine (mi chiedo perché non ci hanno messo direttamente i robot sull’astronave ma vabbè). Quando una delle due famiglie subisce un massacro in stile Charles Manson, l’astronauta propone all’astronauta che ha perso la famiglia di “indossare” il robot dell’altro ma facendo questo gesto altruista provoca delle terribili conseguenze. Per il resto Loch Henry è un thriller caruccio, Mazey Day è un semplice horror come tanti, e Demon 79 è simpatico e grottesco ma dimenticabile - che sia il pilot di Red Mirror? Fatto sta che in nessuno dei tre c’è un qualche minimo accenno alla tecnologia quindi mancando il comune denominatore potrebbero tranquillamente essere episodi di qualunque altra serie.
Charlie, è inutile spingerci oltre, esaurito le idee sarebbe meglio fare qualcos’altro, senza il supporto del nome che ti ha reso famoso.

Copenhagen Cowboy
Nicolas Wending Refn
Nicolas Winding Refn è un regista che si ama o si odia.
Io adoro molto la sua estetica visiva ma capisco le motivazioni di coloro che lo trovano pretenzioso e poco accessibile. Il suo stile estremamente stilizzato, con lunghe sequenze silenziose e una cura dell'immagine che spesso sacrifica la narrazione, per molti può risultare alienante, almeno per chi cerca un racconto più tradizionale o immediato. In effetti, Refn non è interessato a raccontare storie convenzionali, il suo cinema è più una sorta di esperienza sensoriale, una discesa nell'atmosfera e nel simbolismo. Coloro che non lo apprezzano lo accusano di mettere la forma sopra la sostanza, ma per me è proprio questa audacia visiva e narrativa che lo rende unico e affascinante.
Copenhagen Cowboy è la sua seconda serie televisiva dopo Too Old to Die Young. Si può vederla su Netflix.
Protagonista è una ragazza di nome Miu, una sorta di eroina in tuta monoespressiva che viene venduta e usata come amuleto perchè in grado di conferire fortuna a chi gli sta vicino.
Ambientata nel sottobosco criminale di Copenaghen, la serie può sembrare molto criptica e di difficile lettura (in particolar modo i primi episodi) discostandosi completamente dai canoni classici delle serie tv. I ritmi lenti e ipnotici non appartengono al mondo delle produzioni commerciali e, proprio per questo, affascinano chi riesce a sintonizzarsi sulla stessa frequenza. Non ci sono facili risposte, non ci sono dialoghi esplicativi, ma un mondo opprimente e alienante che si svela piano, come se fosse un sogno dal quale non ci si può svegliare. Memorabili le inquadrature a 360°. Bellissima la fotografia e la colonna sonora.
Alla fine della serie (6 episodi), Copenhagen Cowboy non offre una chiusura tradizionale. La sensazione è quella che potrebbe esserci una seconda stagione. Staremo a vedere.

Arcane
Serie animata prodotta da Netflix nel 2021 ispirata al videogioco online League of Legends.
Non conosco il videogioco - in realtà, a parte rari casi, non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi - ma questo non mi ha impedito ad appassionarmi a questa serie animata e ai suoi personaggi. Diciamo che l'aspetto visivo e la tecnica di animazione sono il valore aggiunto che fa sì che la serie possa essere apprezzata anche da un pubblico più ampio.
Arcane si svolge in un mondo fantasy con elementi steampunk. Abbiamo due città, Piltover e Zaun. La prima è una città votata alla scienza, all'innovazione e al commercio, mentre la seconda è una città degradata, povera e malfamata. In quest'ultima vivono due sorelle orfane, Vi, dai capelli rossi e Powder, dai capelli blu, che cercano di sopravvivere compiendo furti con la loro banda. Parallelamente a Zaun un giovane scienziato chiamato Jayce Talis, insieme al suo amico fidato Viktor, sta cercando di utilizzare una tecnologia proibita che fa uso di magia per poter rendere il mondo migliore. Le strade di questi personaggi, e di molti altri, si incontreranno tra intrighi, vendette, colpi di scena e l’eterna lotta per il potere.
La serie dal punto di vista narrativo è fluida, ha il giusto ritmo, una buona sceneggiatura e i personaggi appaiono credibili ed espressivi, non solo i protagonisti ma anche quelli secondari. Parlando invece dell'estetica credo che i tipi della Riot Games coaiuvati dallo studio di animazione francese Fortiche Production, abbiano raggiunto un risultato davvero incredibile. Visivamente è qualcosa di fenomenale, le ambientazioni e i fondali sono spettacolari e dettagliati. Un connubio perfetto tra animazione classica e CGI che conferisce alla serie un suo stile particolare a tratti pittorico. Difficile trovare un prodotto destinato alla televisione con una animazione del genere (non può essere paragonato a Spider-Man: Un nuovo Universo, ovviamente, ma, se lo rapportiamo al fatto che questo è un prodotto per il piccolo schermo, il metro di paragone è quello).
La prima stagione di Arcane è composta da nove episodi divisi in tre atti.
Aspettando la seconda stagione (dovrebbe essere in lavorazione) al momento per me è la migliore serie animata degli ultimi anni.

Devs
Alex Garland
Serie di otto episodi scritta e diretta da Alex Garland (regista di Ex Machina, Annientamento/Annihilation) uscita nel 2020 ma ancora inedita in Italia.
Il genere potremmo definirlo una fantascienza filosofica che parla di tecnologia e libero arbitrio.
Una riflessione sul ruolo della tecnologia, sui limiti della scienza e sulla condizione umana.
La serie è ambientata in un prossimo futuro a San Francisco. Fuori città, in un parco immerso nel verde risiede una grande azienda tecnologica chiamata Amaya che ha al suo interno un dipartimento segreto chiamato Devs che si occupa di fisica quantistica e che ha [spoiler] sviluppato un computer con un altissima capacità di calcolo capace di vedere il passato e prevedere il futuro [/spoiler]. Un giorno, un programmatore che era riuscito a entrare nel dipartimento scompare misteriosamente e la sua compagna iniza a indagare scoprendo che la sua scomparsa ha a che fare proprio con Devs e con il capo della azienda, Forest, un uomo tormentato dalla perdita della figlia, convinto sostenitore del determinismo, la teoria secondo la quale nel mondo nulla avviene per caso e che tutto accade secondo rapporti di causa ed effetto.
Questa serie conferma di come Alex Garland sia lo sceneggiatore/regista di fantascienza più interessante del momento. Un opera complessa, lenta e celebrale che fa riflettere.

Sandman
Neil Gaiman
Aspettavo da anni questa serie. Il Sandman di Neil Gaiman è uno dei miei fumetti preferiti di sempre, probabilmente il fumetto della mia post adolescenza a cui sono più legato. Ancora oggi conservo gelosamente nella mia libreria, e in bella vista, i volumi che compongono la serie, anche in varie edizioni.
Fatta questa premessa, avevo una notevole aspettativa e il timore di andare a sbattere in una cocente delusione era dietro l'angolo.
Veloce introduzione per chi non conoscesse Sandman. Pubblicato negli Stati Uniti tra il 1989 e il 1996 per l'etichetta Vertigo della Dc Comics, Sandman è composto da 75 albi raccolti in una decina di volumi. Neil Gaiman, lo scrittore inglese a cui viene dato il compito di reinventare un vecchio personaggio della DC, da vita a Morpheus, il Signore dei Sogni, un personaggio affascinante e complesso che fa parte della famiglia degli Eterni, la personificazione antropomorfizzata delle forze che muovono l'universo. Sandman è un’opera complessa che mescola storia e mitologia, un punto di svolta nella storia del fumetto, vincitrice di numerosi premi e capace di catturare l’attenzione anche di coloro che abitualmente leggono solo romanzi letterari.
A distanza di trent'anni dalla sua prima sceneggiatura, Neil Gaiman torna a lavorare sulla sua opera, adattando la storia in una serie televisiva prodotta e distribuita da Netflix e composta da dieci episodi "regolari" più uno bonus. La prima stagione si concentra sulla storia narrata nei primi due volumi, Preludi e notturni e Casa di bambola, mentre l'episodio bonus rilasciato due settimane dopo è l'adattamento di due racconti brevi, Il sogno di mille gatti e Calliope.
Adattare un opera del genere, così sedimentata nell'immaginario di coloro che ci sono cresciuti, è davvero difficile. Partiamo dai personaggi e togliamoci subito il dente dolente.
Morfeo (Dream), intepretato da Tom Sturridge, è abbastanza fedele al personaggio (nei disegni è un incrocio tra Robert Smith, Peter Murphy e lo stesso Gaiman). Sturridge ha una faccia un pò paffutella ma ha una buona presenza scenica. Passando agli altri personaggi, mentre trovo appropriata la sostituzione di Lucien con una ragazza di colore (Vivienne Acheampong), va bene che Constantine sia diventata una donna, così come ho apprezzato la brava Gwendoline Christie che interpreta Lucifero (nei disegni era ispirato a David Bowie), nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà faccio davverò difficoltà ad accettare il blackwashing di Death . Nei fumetti la sorella di Dream è una ragazza "dark" dalla pelle diafana e dai capelli corvino che negli anni è diventata una vera e propria icona del movimento e della cultura "goth". Stravolgere visivamente questo personaggio affidandolo all'intepretazione dell’attrice nera Kirby Howell-Baptise mi pare una scelta compiuta solo in nome del politically-correct ad ogni costo tanto in voga negli ultimi anni. Non si tratta di razzismo, sarei rimasto infastidito anche se l'attrice fosse stata bionda e con gli occhi azzurri. Solo che stravolgere un personaggio così iconico in nome di questa insistente inclusione io l'ho trovato una forzatura idiota e parecchio ipocrita. Mi dispiace Gaiman, questa scelta non riesco proprio a mandarla giù.
Tralasciando la nota stonata e passando alla trasposizione del fumetto devo ammettere che complessivamente il risultato e la resa di questa prima stagione è ottima. La serie risulta parecchio fedele al fumetto, in particolarmodo nei dialoghi, e le parti alterate sono più che giustificate dal fatto che alcune situazioni richiedevano un aggiornamento e il prodotto necessariamente doveva essere fruibile a un pubblico che non ha mai letto l'opera di Gaiman. Sono dei cambiamenti che però non stravolgono o snaturano la fedeltà del fumetto ma lo rendono solo più attuale.
In questa prima stagione la prima metà è dedicata al ritorno di Sogno nel suo reame e al ritrovamento dei suoi amuleti, mentre nella seconda parte c'è la storia di Rose Walker e il vortice. In entrambi il Corinzio determina la trama orizzontale. Tra la prima e la seconda parte c'è il bellissimo episodio "The Sound of Her Wings" (che bello che anche i titoli corrispondono alle storie del fumetto) in cui un Morfeo disilluso trascorre una giornata con sua sorella Morte. Tra gli altri episodi metto in evidenza quello in cui Morfeo va all'Inferno per sfidare Lucifero e il disturbante "24 Hours".
In conclusione la serie è ottima ma per quanto fedele non raggiunge la bellezza del fumetto, trattandosi di un capolovoro inarrivabile. E per quanto mi riguarda è pure giusto che sia così.
Aspetto la seconda stagione.

Scissione (stagione 1)
Dan Erickson
Scissione (Severance) è una serie distopica/psicologica prodotta da Apple TV e diretta (in alcuni episodi) da Ben Stiller.
La Lumon Industries, una misteriosa compagnia di biotecnologia, ha realizzato una tecnologia innovativa, un microchip che impiantato nella corteccia celebrale dei suoi dipendenti permette di separargli i ricordi della loro vita privata da quella lavorativa. In pratica, una volta entrato nell'ascensore dell'azienda che conduce ai loro uffici, i dipendenti non ricordano nulla del loro vissuto all'esterno, della loro famiglia e dei propri interessi. Finito l'orario di lavoro, quando escono, riacquistano i loro ricordi ma non ricordano nulla di ciò che hanno fatto in ufficio, delle loro mansioni e dei loro colleghi. Protagonisti principali sono quattro impiegati (tra questi spicca un grande John Turturro) che lavorano nel dipartimento Meta Data Refinement e il cui lavoro consiste principalmente nel collocare, archiviare ed eliminare dei numeri che compaiono sui monitor dei loro vetusti computer seguendo uno schema non definito. L'arrivo di un donna che non accetta che il suo io esterno abbia preso una decisione così estrema - ovvero quella di trascorrere otto ore al giorno della propria vita a fare un lavoro senza senso e ripetitivo oltre al fatto di non conoscere nulla della propria vita all'esterno - da il via a una serie di interrogativi nei quattro protagonisti che iniziano a mettere in discussione il loro ruolo nell'azienda.
La serie esplora la psiche umana e l'alienazione al mondo del lavoro rifacendoci a una fantascienza applicata alla tecnologia alla Black Mirror. La scenografia è molto curata ed è caratterizzata da una ambientazione claustrofobica fatta da uffici asettici e corridoi alienanti tutti uguali che sembrano parte di un labirinto che non porta da nessuna parte e in cui non si sa mai cosa possa nascondersi dietro l'angolo. Quando l'ambientazione si svolge all'esterno invece ci troviamo in una indefinita città dell'Europa del nord o del Canada, fredda e innevata.
La serie di conclude con tante domande ancora senza risposte. È prevista una seconda stagione nel 2025.
Questa serie mi ha catturato come non mi capitava da tempo, e senza ombra di dubbio la considero la migliore serie degli ultimi dieci anni (insieme a Dark)
Il lavoro è misterioso e importante.
Serie TV
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Serie thriller/horror prodotta da Netflix tratta da un podcast di grande successo negli Stati Uniti.
Dan, un ragazzo di New York specializzato nel recuperare vecchi nastri magnetici, viene contattato da una misteriosa azienda che gli offre un bel po' di soldi per restaurare una serie di videocassette, l'unico obbligo è quello che dovrà svolgere il suo lavoro in una villa isolata nei boschi. I nastri contengono la ricerca di un’antropologa, Melody, che nei primi anni ’90 stava realizzando un documentario, tramite videocamera, sulla storia di un condominio, conosciuto come Visser, al centro di alcune inquietanti leggende urbane. L'incarico è economicamente allettante e il ragazzo accetta ma, poco dopo essersi trasferito nella villa e aver visionato le cassette iniziano ad accadere degli strani e inquietanti eventi.
La serie è composta da otto episodi, riuscendo fin da subito a catturare l'attenzione dello spettatore chiamato, insieme ai due protagonisti, a investigare e mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. E' una "storia nella storia" - ha molti riferimenti al ciclo di Chtulhu di Lovecraft, tracce di Rosemary Baby e al found footage alla The Ring - in cui assistiamo alla anomala "fusione" delle due vicende (quella di Dan nella villa e quella di Melody nel palazzo dell'East Village) nonostante queste siano collocate in periodi e luoghi diversi. Putroppo quando gran parte dei pezzi del puzzle vengono collocati al posto giusto e si ha un quadro completo, tutta la tensione svanisce e la serie, con il suo rassicurante spiegone, finisce per perdere mordente e non lasciare nulla.
Nonostate il finale aperto che ha lasciato il solito cliffhanger, la serie è stata cancellata e quindi non è prevista una seconda stagione.
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