
Copenhagen Cowboy
Nicolas Wending Refn
Nicolas Winding Refn è un regista che si ama o si odia.
Io adoro molto la sua estetica visiva ma capisco le motivazioni di coloro che lo trovano pretenzioso e poco accessibile. Il suo stile estremamente stilizzato, con lunghe sequenze silenziose e una cura dell'immagine che spesso sacrifica la narrazione, per molti può risultare alienante, almeno per chi cerca un racconto più tradizionale o immediato. In effetti, Refn non è interessato a raccontare storie convenzionali, il suo cinema è più una sorta di esperienza sensoriale, una discesa nell'atmosfera e nel simbolismo. Coloro che non lo apprezzano lo accusano di mettere la forma sopra la sostanza, ma per me è proprio questa audacia visiva e narrativa che lo rende unico e affascinante.
Copenhagen Cowboy è la sua seconda serie televisiva dopo Too Old to Die Young. Si può vederla su Netflix.
Protagonista è una ragazza di nome Miu, una sorta di eroina in tuta monoespressiva che viene venduta e usata come amuleto perchè in grado di conferire fortuna a chi gli sta vicino.
Ambientata nel sottobosco criminale di Copenaghen, la serie può sembrare molto criptica e di difficile lettura (in particolar modo i primi episodi) discostandosi completamente dai canoni classici delle serie tv. I ritmi lenti e ipnotici non appartengono al mondo delle produzioni commerciali e, proprio per questo, affascinano chi riesce a sintonizzarsi sulla stessa frequenza. Non ci sono facili risposte, non ci sono dialoghi esplicativi, ma un mondo opprimente e alienante che si svela piano, come se fosse un sogno dal quale non ci si può svegliare. Memorabili le inquadrature a 360°. Bellissima la fotografia e la colonna sonora.
Alla fine della serie (6 episodi), Copenhagen Cowboy non offre una chiusura tradizionale. La sensazione è quella che potrebbe esserci una seconda stagione. Staremo a vedere.