
Black Mirror (stagione 7)
Charlie Brooker
Black Mirror non solo è tornata, ma lo ha fatto nella sua forma migliore.
Dopo la deludente sesta stagione di un paio d’anni fa, la serie creata da Charlie Brooker torna su Netflix con sei nuovi episodi, dalla durata variabile (dai quaranta minuti all'ora e mezza), e soprattutto con un'identità ritrovata. La settima stagione abbandona le derive horror e soprannaturali degli ultimi tempi per riportare al centro la tecnologia, la società e i futuri possibili, sempre più vicini.
Il primo episodio, "Gente comune", è a mio avviso il più riuscito della stagione. La storia segue Amanda e Mike (Rashida Jones e Chris O'Dowd — sì, proprio il Roy di The IT Crowd), una coppia qualunque con il sogno di avere un figlio. Quando Amanda scopre di avere un tumore al cervello, la loro unica speranza è affidarsi a Rivermind, una compagnia in grado di rimuovere la parte malata e sostituirla con una porzione sintetica, la cui memoria è però collegata a un server remoto. L’operazione è gratuita, ma il canone mensile che la coppia è costretta a sottoscrivere si rivelerà invasivo, costoso e totalizzante. È una satira feroce contro la logica degli abbonamenti perpetui e l'illusione della gratuità. Un futuro opprimente, plausibile, angosciante nella sua verità.
"Bête Noire" è più leggero nel tono, ma non meno inquietante. Protagonista è una ricercatrice alimentare che lavora per un'azienda dolciaria e che si ritrova faccia a faccia con una sua ex compagna del liceo, appassionata di tecnologia, vittima di bullismo e oggi esperta di informatica quantistica. Ne nasce un thriller psicologico fatto di vendetta e manipolazione della memoria. È forse l’episodio più "fantascientifico" della stagione e anche uno dei più sorprendenti.
Con "Hotel Reverie", il tono cambia ancora. Una giovane attrice accetta di prendere parte a un remake immersivo di un film romantico anni ’40. La sua coscienza viene trasferita in una simulazione dove interagisce con repliche digitali dei personaggi dell'originale. Episodio elegante, malinconico, ma, a mio avviso, il meno incisivo.
"Plaything" è una piccola perla per gli appassionati di videogiochi. Peter Capaldi interpreta un critico videoludico che riceve una copia di Thronglets, un gioco simulativo con creature digitali in grado di evolversi e comunicare, in pratica un Tamagotchi portato all’estremo. Tra nostalgia anni ’90, acidi lisergici e riflessioni sull’intelligenza artificiale, l’episodio gioca (letteralmente) con l’etica del gioco e la responsabilità del giocatore.
"Eulogy" è l’episodio più emozionante. Paul Giamatti è Philip, un uomo sollecitato da una compagnia tech a contribuire a un memoriale digitale della sua ex compagna. Attraverso una tecnologia capace di rielaborare il lutto con un'intelligenza artificiale empatica, Philip affronta i suoi ricordi e scopre segreti nascosti. È un racconto struggente, dove la tecnologia non è più un mostro da temere, ma uno strumento per capire, per perdonare, per chiudere i conti con il passato.
Chiude la stagione "USS Callister: Into Infinity", primo vero sequel della serie, che riprende i personaggi dell’episodio cult della quarta stagione. L’equipaggio della USS Callister è ora un gruppo di pirati spaziali in fuga, in un universo virtuale che mescola avventura e satira sociale. È l’episodio più spettacolare, anche se meno profondo.
Non c’è più l’effetto sorpresa dei primi anni, ma Black Mirror dimostra di avere ancora molto da dire. Il ritorno all’origine, alla tecnologia come specchio oscuro dell’umanità, è evidente. Ci sono scelte discutibili, certo, e non tutti gli episodi sono allo stesso livello, ma il salto di qualità rispetto alla sesta stagione è notevole.
La serie torna a inquietare, ma con una malinconia nuova, fatta di silenzi, crepe e ferite emotive. Non è solo il futuro a spaventarci, ma le emozioni che abbiamo perso per strada. È meno futuristica, più umana. E proprio in questa fragilità ritrovata — penso a episodi come Eulogy — Black Mirror riscopre la sua anima.

Scissione (stagione 2)
Dan Erickson, Ben Stiller
La prima stagione di Scissione (Severance in originale) è stata un colpo di fulmine. Geniale, alienante, costruita con un'intelligenza visiva e narrativa che non vedevo da anni. Erano dai tempi di Dark che una serie televisiva non mi catturava in questo modo. Per chi ancora non la conoscesse, siamo nel territorio del thriller psicologico con toni da fantascienza distopica avvolto in un'atmosfera surreale e inquietante. Un viaggio allucinato tra i corridoi bianchi e soffocanti di un ufficio di una multinazionale, dove la realtà si sdoppia e l'identità si sgretola.
Creata da Dan Erickson e prodotta da Ben Stiller (che dirige anche alcuni episodi), la serie si svolge negli uffici della misteriosa Lumon Industries, un'azienda biotech gestita dalla famiglia Eagan – legata a una sorta di ideologia pseudo-religiosa basata sugli insegnamenti di Kier Eagan, il suo fondatore – la quale ha sviluppato un congegno che permette, tramite intervento neurologico, di dividere la coscienza dei dipendenti in due esistenze separate: una dedicata esclusivamente al lavoro (innie) e l’altra alla vita privata (outie). Quando si è in ufficio, non si ricorda nulla del mondo esterno, quando si esce dall'uffico, il lavoro scompare dalla memoria. Nel corso della prima stagione, abbiamo visto i dipendenti del Macrodata Refinement, le versioni innie di Mark (Adam Scott), Helly (Britt Lower), Irving (John Turturro) e Dylan (Zach Cherry), mettere in discussione il capo del dipartimento Harmony Cobe (Patricia Arquette) e il loro supervisore Milchick (Seth Milchick) iniziando a indagare sulla natura del loro lavoro e sul passato della Lumon. Nel finale, gli innies riescono temporaneamente a "risvegliarsi" nel mondo esterno, scoprendo che Helly è la figlia di Jame Eagan (Michael Siberry) CEO della Lumon, mentre Mark realizza che sua moglie, Gemma (Dichen Lachman), che credeva morta, è ancora viva… e lavora per la Lumon. Peccato che, prima di poter fare qualcosa, il sistema venga resettato.
La seconda stagione - che arriva a tre anni dalla prima a causa dello sciopero di Hollywood nel 2023 - si apre con l'interno di Mark che torna a lavorare per la Lumon dopo quello che è stata chiamata la "Rivolta di Macrodata". Sono trascorsi cinque mesi e ora il suo supervisore è Huang, una bambina che si è sottoposta alla scissione, mentre Milchick è il capo del dipartimento dopo l'allontanamento di Cobel dalla Lumon Industries. Inizialemente Mark trova nuovi colleghi, ma dopo aver manifestato il desiderio di licenziarsi, il giorno dopo ritrova Helly, Irving e Dylan come se nulla fosse cambiato. A loro confessa di aver scoperto che sua moglie è viva, probabilmente prigioniera alla Lumon, e sente il dovere di salvarla. Helly, senza rivelare la sua vera identità, decide di aiutarlo. Solo che Mark, ormai, si è innamorato di lei e non prova più nulla per la moglie del suo esterno.
Questo in sintesi l'incipit della seconda stagione di Scissione. Raccontare cosa avviene nei successivi episodi (in tutto sono dieci), oltre a essere complicato, avrebbe poco senso. Posso solo dire che la serie non perde il suo fascino surreale, contorto e alienante, con quelle scenografie minimal e asettiche che ormai sono il marchio di fabbrica di Scissione. Tra gli episodi che mi hanno più coinvolto, il quarto (La valle del dolore), ambientato nella foresta, il settimo (Il Bardo Chikhai), quello incentrato su Gemma, che contiene una delle sequenze più suggestive, rivelatrici e inquietanti della stagione, e ovviamente il finale (Cold Harbor), che apre nuovi scenari per la terza stagione.
Il fascino di questa serie è il modo in cui gioca sull’identità. Gli innie, pur costretti a un’esistenza frammentata, sembrano più umani dei loro outie. Helly, ad esempio, o persino Dylan, che la stessa moglie preferisce rispetto alla sua versione esterna. Resta ancora il mistero sul vero scopo della Lumon: la scissione serve solo a dividere vita privata e lavoro, o è un modo per cancellare la sofferenza e le emozioni che ci rendono umani? Il fermo immagine dell'ultimo episodio della stagione sembra suggerire che, nonostante tutto, l’amore riesca a trascendere la scissione.
Apple TV+ ha rinnovato ufficialmente Scissione per una terza stagione che speriamo, questa volta, non tardi troppo ad arrivare.
Serie TV
Silo (stagione 1-2)
Graham Yost
Fino a qualche tempo fa ero un divoratore di serie TV. Negli ultimi tempi, però, ho iniziato a recuperare i grandi classici del cinema e a riscoprire vecchi capolavori - senza mai trascurare i miei amati horror e i weird movie - diventando molto più selettivo nel dedicare il mio tempo libero alle serie televisive. Spesso le trovo eccessivamente dilatate, mi annoiano, e finisco per abbandonarle dopo poche puntate. Finalmente, dopo diversi mesi, complice la presenza di un ospite in casa (che ha gentilmente insistito), sono riuscito a portare a termine non una, ma ben due stagioni di una serie.
Sto parlando di Silo, la serie sci-fi di Apple TV+ che ha appena chiuso la sua seconda stagione.
Creata da Graham Yost e tratta dai romanzi di Hugh Howey, Silo è ambientata in un futuro distopico, dove da centinaia di anni, una comunità di persone vive in un gigantesco silo sotteraneo, ignorando cosa abbia reso la superficie terrestre tossica e inabitabile. Con i suoi oltre cento piani, il silo è una città verticalmente organizzata, strutturata a livello piramidale e governata da leggi inflessibili che regolano ogni aspetto della vita quotidiana. Il fatto di essere una società fortemente gerarchizzata, con i meccanici che si occupano dei lavori più duri collocati in basso, e quelli del reparto IT, i giudiziari e le diverse autorità che governano il silo, nei piani più alti, porta a inevitabili e periodici conflitti e tensioni. Dopo la morte dello sceriffo - uscito all'esterno convinto che il mondo sia vivibile e che le immagini dei monitor che mostrano una terra desolata siano finte - Juliette Nichols (Rebecca Ferguson), caposquadra del reparto meccanico, viene inspiegabilmente promossa a capo delle forze di sicurezza. Investita di un nuovo potere e decisa a scoprire cosa si nasconde dietro ai segreti, i misteri, e le incongruenze che aleggiano sul silo, Juliette, donna determinata e dalla forte tempra, si scontra con il Sindaco e capo dell'IT Bernard Holland (Tim Robbins), che insieme Robert Sims, il temibile capo dei Giudiziari, sembra coinvolto in un complotto per nascondere la verità.
Silo si rifà alle grandi opere distopiche come 1984, Il mondo nuovo e Fahrenheit 451, usando un futuro inquietante per parlare del presente. La scenografia rétrofuturistica, con il suo fascino claustrofobico, i toni scuri dell’ocra e del marrone e una fotografia cupa, contribuisce a creare un’atmosfera opprimente, ma visivamente affascinante.
Apple TV+ ci ha abituati a produzioni di alta qualità, e Silo non è da meno: una regia solida, un cast eccellente (Rebecca Ferguson e Tim Robbins su tutti), e una scrittura che bilancia bene politica, rivolte sociali e misteri. Tuttavia, il ritmo non è sempre impeccabile. La narrazione si dilunga inutilmente nella parte centrale di entrambe le stagioni, con episodi che aggiungono poco alla storia e rischiano di annoiare. Un peccato, perché il materiale è ricco di spunti interessanti e i personaggi sono ben caratterizzati.
La prima stagione introduce l'ambiente distopico del silo sotterraneo diventando quasi una detective-story, mentre la seconda amplia la visione, presentando nuovi personaggi e svelando una società sempre più complessa. Il finale della seconda stagione non solo lascia molte domande aperte, ma ci porta indietro nel tempo, mostrando un frammento dei giorni pre-apocalittici e suggerendo che nella terza stagione scopriremo cosa ha portato alla distruzione del pianeta e alla creazione dei silos.
Se amate i misteri distopici con una vena politica e una buona dose di tensione, Silo è sicuramente una serie da tenere d’occhio. Non è perfetta, ma è avvincente, ben realizzata e pone le basi per un’esplorazione ancora più profonda nella prossima stagione. La terza (e quarta) sono già state confermate, e non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserveranno.
Serie TV
Black Mirror (stagione 6)
Charlie Brooker
Siamo alla sesta stagione di Black Mirror e come e successo per le precedenti - in pratica da quando è approdata su Netflix acquisendo notorietà - anche questa stagione l'ho trovata deludente. Il punto è che, a parte il primo e il terzo episodio, le storie non hanno nulla a che fare con Black Mirror, ovvero quella serie innovativa di qualche anno fa che ci mostrava l’angosciante e distopico futuro derivato dall’evoluzione tecnologica.
Dei cinque episodi forse si salvano Joan is awful, in cui una donna accettando le condizioni della piattaforma streaming Streamberry - chiaro riferimento alla stessa Netflix - si ritrova suo malgrado protagonista di una serie televisiva che ricalca la sua vita ma con le sembianze di Salma Hayek generata dall’AI, e Beyond the Sea che racconta di due astronauti che trasferiscono la loro coscienza su due robot che vivono sulla Terra con la famiglia di ognuno per sfuggire alla solitudine (mi chiedo perché non ci hanno messo direttamente i robot sull’astronave ma vabbè). Quando una delle due famiglie subisce un massacro in stile Charles Manson, l’astronauta propone all’astronauta che ha perso la famiglia di “indossare” il robot dell’altro ma facendo questo gesto altruista provoca delle terribili conseguenze. Per il resto Loch Henry è un thriller caruccio, Mazey Day è un semplice horror come tanti, e Demon 79 è simpatico e grottesco ma dimenticabile - che sia il pilot di Red Mirror? Fatto sta che in nessuno dei tre c’è un qualche minimo accenno alla tecnologia quindi mancando il comune denominatore potrebbero tranquillamente essere episodi di qualunque altra serie.
Charlie, è inutile spingerci oltre, esaurito le idee sarebbe meglio fare qualcos’altro, senza il supporto del nome che ti ha reso famoso.