
Love Life
di Koji Fukada
Love Life è un film giapponese del 2022 diretto da Koji Fukada e presentato in concorso alla 79° Mostra d'arte Cinematografica di Venezia.
Il film racconta la storia di una giovane coppia, Taeko e Jiro che vive in un piccolo appartamento situato in un quartiere periferico di una indefinita città giapponese. I due si sono sposati da poco ma i genitori di Jiro non vedono di buon occhio il matrimonio, in quanto Taeko ha un figlio nato da un precedente matrimonio: Keita, un bambino di otto anni brillante giocatore di Othello. La vita della famiglia sembra scorrere in una calma apparente, fino a quando un tragico incidente causa la morte del bambino spezzando il fragile equilibrio, e costringendo Taeko e Jiro ad affrontare non solo il lutto, ma anche le difficoltà e le incomprensioni che hanno sempre cercato di evitare.
Il film esplora con delicatezza il tema del lutto, soffermandosi sui silenzi e sugli sguardi che dicono ciò che le parole non riescono a esprimere. È un'opera profondamente "giapponese", nel senso che per comprenderla appieno è necessario entrare in sintonia con la loro cultura. Le emozioni sono misurate, controllate, tanto che i protagonisti appaiono freddi, quasi glaciali. Fukada lavora per sottrazione, lasciando che siano i gesti e i silenzi a raccontare la sofferenza. La scena della morte del bambino è un esempio magistrale di questo approccio: ambientata nel bagno di casa, la telecamera, posizionata in una stanza adiacente, si muove lentamente attraverso la porta aperta, mentre la tragedia si consuma in silenzio. È un momento di grande intensità che apre un vuoto emotivo incolmabile. La tragedia genera un vuoto che amplifica il senso di colpa e l’incapacità di comunicare di Taeko che non riesce a trovare nel marito il conforto di cui ha bisogno. Il ritorno inaspettato di Park, padre biologico di Keita, sordomuto coreano senza fissa dimora, offre a Taeko un'ancora di salvezza, un interlocutore che comprende il suo dolore perché lo condivide. La lingua dei segni, utilizzata da Park, diventa il mezzo attraverso cui Taeko riesce a esprimere se stessa, a parlare quando le parole sembrano inutili.
Unico appunto ma non meno rilevante, la parte finale, quella in cui Taeko insegue l'ex marito fino in Corea per quello che si rivela essere non un funerale, ma un matrimonio, non è proprio riuscita. La figura di Park, scivola progressivamente verso la caricatura e l'intera sequenza, che dovrebbe concludere il viaggio emotivo della protagonista, appare invece forzata e discutibile, minando in parte l’equilibrio emotivo costruito fino a quel momento.
Un film silenzioso passato inosservato.