
Mimì - Il principe delle tenebre
di Brando De Sica
Ammetto che quando ho visto il nome del regista ho storto un po' il naso. Brando De Sica. Figlio di Christian, nipote di Vittorio, Carlo Verdone come zio. Il pregiudizio che in Italia, se non sei un figlio d'arte, il cinema lo guardi e basta, è scattato immediatamente. E invece Mimì – Il principe delle tenebre mi ha fregato. Non solo perché è un film coraggiosamente fuori tempo, diverso, ma anche perché ha toccato corde familiari della mia indole gotica.
La storia racconta di Mimì (Domenico Cuomo), un adolescente orfano, nato con i piedi deformi, che lavora in una pizzeria a Napoli. Bullizzato dal figlio di un boss camorrista, un giorno incontra Carmilla (Sara Ciocca), una giovane ragazza "dark" convinta di essere una discendente del conte Dracula. Lei rimane affascinata dal goffo Mimì – forse proprio per la sua deformità – e lui trova in Carmilla quel calore umano che gli è sempre mancato.
In una Napoli insolita e decadente, tra bande camorristiche appassionate di neomelodica e gruppi gotici che frequentano cimiteri, cripte, e feste alternative, Mimì – Il principe delle tenebre si presenta come un film strano e affascinante, capace di spaziare dall'horror al fantasy, dal noir alla dark comedy. La commistione di generi è dosata con intelligenza e la virata horror arriva al momento giusto. Brando De Sica, da quanto si dice in giro, è un appassionato di questo genere, e si vede. Le citazioni cinefile sono ovunque, ma non risultano mai esibite. Piuttosto, sono tracce, omaggi ben inseriti in una narrazione personale e visivamente curata. La regia è solida e la fotografia mi ha particolarmente colpito, con quei colori irreali – blu e rosso, caldi e freddi spesso contrapposti – che rimandano al cinema di Mario Bava. L'uso del colore è particolarmente significativo nella scena finale, dove Mimì e Camilla – ehm, Carmilla con la erre (cit) – vengono illuminati dal lampeggiante della polizia, in un contrasto emotivo che trascende la realtà.
L’epilogo, drammatico e ambiguo – è tutto vero o una fantasia del protagonista? – ha un tocco poetico e surreale. Al centro della storia, c'è una relazione d'amore tra due "diversi": una ragazza borderline, fragile e imprevedibile, e un ragazzo in cerca di identità, ingenuo, segnato nel corpo e nell'anima. Due anime rotte che cercano di salvarsi a vicenda.
I due attori protagonisti sono molto bravi. La giovane e minuta Sara Ciocca è sorprendente. Affascinante nella sua versione goth, fragile e vulnerabile nella sua cameretta da bambina. Domenico Cuomo è altrettanto bravo, capace di passare dalla timidezza di Mimì alla trasformazione violenta del "vampiro", con i suoi denti aguzzi e lo sguardo distorto. Il film, inoltre, è recitato bene. Finalmente in un film italiano i dialoghi, anche quando sono sussurrati, sono sempre chiari. Il dialetto napoletano non infastidisce, e quando è troppo stretto, intervengono i sottotitoli.
Guardandolo, mi è venuto spontaneo accostarlo a Lo chiamavano Jeeg Robot, ma con i vampiri al posto dei supereroi. E in alcune scene, come quella nelle catacombe, ho sentito forti echi del cinema di Guillermo del Toro.
Alla fine, Brando De Sica sembra più un orfano adottato da Tim Burton e dalla malinconia di Fellini che un regista cresciuto sulle spalle della becera commedia natalizia. Pare che per realizzare questo film non abbia sfruttato le sue conoscenze familiari, anzi, ci ha messo dieci anni e ha incontrato numerosi ostacoli. E si vede. È un film ostinato, personale, fuori rotta. Farsi strada nel cinema di genere in Italia non è facile. Ma io, sinceramente, tifo per lui. A volte i pregiudizi sono proprio deleteri.

Pandemonium
di Quarxx
Quarxx è un regista, pittore e artista multimediale francese con una spiccata inclinazione per il cinema fantastico e horror. Dopo l’esordio con Tous Les Dieux Du Ciel e una serie di cortometraggi, nel 2023 porta sullo schermo Pandemonium, un viaggio visionario negli Inferi. Entrambi i film, al momento, restano inediti in Italia.
Tutto comincia su una strada di montagna avvolta nella nebbia, dove un'auto e una moto si sono da poco scontrate violentemente. Nathan (Hugo Dillon), il conducente dell'auto, si risveglia sull’asfalto, illeso ma confuso. Poco distante si trova il motociclista, Daniel (Arben Bajraktaraj), il quale gli rivela che entrambi sono morti. inizialmente Nathan non gli crede, ma quando vede il proprio cadavere all'interno della macchina, è costretto ad accettare la tragica verità. Inaspettatamente, appare anche una bambina, vittima dell’incidente, e mentre per lei si spalanca la porta verso la luce, per Nathan e Daniel si apre l’ingresso all’Inferno.
Il viaggio infernale di Nathan diventa il filo conduttore di altre due storie che scavano nel senso di colpa e nella disperazione umana. La prima riguarda una bambina profondamente disturbata che uccide i suoi genitori e poi la sorellina, mentre nella seconda incontriamo una giovane suicida, vittima di bullismo, e sua madre, troppo assorbita dal lavoro per rendersi conto della sofferenza della figlia. La storia della bambina è grottesca e raccapricciante, mentre quella della madre e della figlia suicida è particolarmente straziante.
Quarxx si ispira dichiaratamente a "…E tu vivrai nel terrore! – L’aldilà" di Lucio Fulci, un film che lo ha segnato fin da bambino, e l’influenza è evidente. Pandemonium condivide con il cult italiano lo stesso senso di oppressione e di ineluttabilità. Ma ci sono anche richiami all’estetica sadica di Hellraiser di Barker soprattutto nella parte finale, dove Nathan si ritrova condannato a un’eternità di sofferenza, diventando il "giocattolo" del suo carnefice. Visivamente, il film è potente. L'Inferno immaginato da Quarxx ha una qualità pittorica, oscura e ipnotica. Ma la narrazione? Qui iniziano i problemi.
L’aspetto antologico rende il film frammentato, quasi disorientante. Le storie, per quanto affascinanti, sembrano poco coese e il tutto risulta discontinuo e un pò confusionario. Per esempio dove è andato a finire il motocilista? E la bambina che ha ucciso i genitori quando muore? E quella sottotrama sull'anticristo che appare sul finale, è un accenno a un possibile seguito o solo un’idea abbozzata?
Alla fine, Pandemonium lascia una sensazione strana. È come se Quarxx avesse tra le mani un concept perfetto per una serie televisiva antologica, con ogni episodio dedicato a una delle storie e un filo conduttore più solido. Così com'è, sembra un esperimento dal potenziale enorme, ma non del tutto realizzato. Eppure, nonostante la sua discontinuità, il film riesce a colpire. È destabilizzante, angosciante, visivamente ipnotico, e non lascia indifferenti. In fondo, non è forse questo lo scopo dell’horror?

Vampira umanista cerca suicida consenziente
di Ariane Louis-Seize
Colpito dal titolo wertmülleriano, mi sono recuperato Vampira umanista cerca suicida consenziente, una dark comedy canadese in lingua francese del 2023, diretta dall’esordiente Ariane Louis-Seize. Presentato all'80ª Mostra del Cinema di Venezia, il film è disponibile su IWonderfull, la piattaforma streaming attivabile su Prime Video.
Sasha (Sara Montpetit) è una giovane vampira con un problema decisamente insolito: è troppo empatica per uccidere. Cresciuta grazie alle sacche di sangue fornite dai genitori, si rifiuta di cacciare, scatenando la frustrazione della famiglia che la vede incapace di rendersi indipendente. Quando i genitori, ormai esasperati, le tagliano i rifornimenti, Sasha si trova davanti a un bivio, accettare la sua natura o rischiare di morire di fame. A offrirle una via d’uscita è Paul (Félix-Antoine Bénard), un adolescente solitario con tendenze suicide, disposto a sacrificarsi per lei. Ma prima che arrivi il momento fatidico, i due decidono di prendersi una notte tutta per loro, esaudendo i desideri di Paul in un viaggio notturno tra amicizia, scoperta e, forse, una nuova voglia di vivere.
Tra umorismo nero e tenerezza, Vampira umanista cerca suicida consenziente gioca con il mito del vampiro per raccontare un coming-of-age originale e profondo. Sasha è l’emblema di una generazione sospesa, una ragazza mantenuta dai genitori che cerca disperatamente di sopprimere la sua natura. Paul, dal canto suo, è altrettanto perso, un’anima alla deriva che ha smesso di credere nel futuro e che cerca di porre fine alla sua esistenza. La loro amicizia nasce in quella zona grigia tra morte e salvezza, due adolescenti che si sentono fuori posto nel loro mondo, due emarginati che trovano conforto nelle reciproche fragilità.
Il film si muove con leggerezza tra grottesco, surreale e malinconico, lasciando spazio a momenti di grande delicatezza. Bellissima la scena in cui Sasha e Paul, in silenzio, cantano Emotions di Brenda Lee, lasciando che la musica parli per loro. Ottime anche le interpretazioni dei due giovani protagonisti, con la Montpetit che sembra uscita da un vecchio film di Tim Burton.
Non è il nuovo Lasciami entrare ma possiede un equilibrio raro tra humour nero e dolcezza, riuscendo a rendere il macabro incredibilmente umano.
Film
Cobweb
di Samuel Bodin
Cobweb è un film horror del 2023, che segna l’esordio alla regia di Samuel Bodin.
La storia ha come protagonista Peter (Woody Norman), un bambino introverso che vive con i suoi genitori, Carol (Lizzy Caplan) e Mark (Antony Starr, il Patriot di The Boys), in una vecchia casa isolata. Le sue notti iniziano a essere turbate da strani rumori provenienti dalle pareti della sua stanza, ma, nonostante le sue segnalazioni, i genitori minimizzano o ignorano la situazione. Isolato e vittima di bullismo a scuola, Peter trova un sostegno inaspettato nella supplente Miss Devine, che intuisce il suo disagio dopo aver visto un inquietante disegno del bambino. Nel frattempo, le cose si fanno ancora più sinistre quando, di notte, una voce proveniente da dietro la parete – che si presenta come sua sorella – lo avverte che i suoi genitori nascondono oscuri segreti e potrebbero addirittura volerlo uccidere.
Cobweb è un horror che per buona parte del film è carico di tensione, gioca abilmente sull'ambiguità e presenta un paio di scene davvero inquietanti – è riuscito a spaventare perfino me, che sono ormai avvezzo a questo genere. Il film costruisce un'atmosfera efficace, facendo leva sulla percezione distorta della realtà attraverso gli occhi di Peter. I genitori, in particolare, vengono dipinti come figure minacciose e disturbanti, anche se è chiaro che questa visione potrebbe essere il frutto delle paure e delle proiezioni del bambino.
Putroppo, nel momento in cui la "creatura" aracnoide – realizzata con un CGI non proprio memorabile – viene liberata e la minaccia diventa tangibile, il film precipita in un guazzabuglio citazionista mescolando J-Horror di basso livello, jumpscare a ripetizione e un elenco di cliché degno di un manuale del genere. A questo punto tutta la tensione accumulata fin qui si dissolve, in una sequela di colpi di scena prevedibili e situazioni già viste centinaia di volte.
Un vero peccato, perché Cobweb aveva tutte le carte in regola per essere un horror intrigante e intressante, almeno per la prima ora.

Silo (stagione 1-2)
Graham Yost
Fino a qualche tempo fa ero un divoratore di serie TV. Negli ultimi tempi, però, ho iniziato a recuperare i grandi classici del cinema e a riscoprire vecchi capolavori - senza mai trascurare i miei amati horror e i weird movie - diventando molto più selettivo nel dedicare il mio tempo libero alle serie televisive. Spesso le trovo eccessivamente dilatate, mi annoiano, e finisco per abbandonarle dopo poche puntate. Finalmente, dopo diversi mesi, complice la presenza di un ospite in casa (che ha gentilmente insistito), sono riuscito a portare a termine non una, ma ben due stagioni di una serie.
Sto parlando di Silo, la serie sci-fi di Apple TV+ che ha appena chiuso la sua seconda stagione.
Creata da Graham Yost e tratta dai romanzi di Hugh Howey, Silo è ambientata in un futuro distopico, dove da centinaia di anni, una comunità di persone vive in un gigantesco silo sotteraneo, ignorando cosa abbia reso la superficie terrestre tossica e inabitabile. Con i suoi oltre cento piani, il silo è una città verticalmente organizzata, strutturata a livello piramidale e governata da leggi inflessibili che regolano ogni aspetto della vita quotidiana. Il fatto di essere una società fortemente gerarchizzata, con i meccanici che si occupano dei lavori più duri collocati in basso, e quelli del reparto IT, i giudiziari e le diverse autorità che governano il silo, nei piani più alti, porta a inevitabili e periodici conflitti e tensioni. Dopo la morte dello sceriffo - uscito all'esterno convinto che il mondo sia vivibile e che le immagini dei monitor che mostrano una terra desolata siano finte - Juliette Nichols (Rebecca Ferguson), caposquadra del reparto meccanico, viene inspiegabilmente promossa a capo delle forze di sicurezza. Investita di un nuovo potere e decisa a scoprire cosa si nasconde dietro ai segreti, i misteri, e le incongruenze che aleggiano sul silo, Juliette, donna determinata e dalla forte tempra, si scontra con il Sindaco e capo dell'IT Bernard Holland (Tim Robbins), che insieme Robert Sims, il temibile capo dei Giudiziari, sembra coinvolto in un complotto per nascondere la verità.
Silo si rifà alle grandi opere distopiche come 1984, Il mondo nuovo e Fahrenheit 451, usando un futuro inquietante per parlare del presente. La scenografia rétrofuturistica, con il suo fascino claustrofobico, i toni scuri dell’ocra e del marrone e una fotografia cupa, contribuisce a creare un’atmosfera opprimente, ma visivamente affascinante.
Apple TV+ ci ha abituati a produzioni di alta qualità, e Silo non è da meno: una regia solida, un cast eccellente (Rebecca Ferguson e Tim Robbins su tutti), e una scrittura che bilancia bene politica, rivolte sociali e misteri. Tuttavia, il ritmo non è sempre impeccabile. La narrazione si dilunga inutilmente nella parte centrale di entrambe le stagioni, con episodi che aggiungono poco alla storia e rischiano di annoiare. Un peccato, perché il materiale è ricco di spunti interessanti e i personaggi sono ben caratterizzati.
La prima stagione introduce l'ambiente distopico del silo sotterraneo diventando quasi una detective-story, mentre la seconda amplia la visione, presentando nuovi personaggi e svelando una società sempre più complessa. Il finale della seconda stagione non solo lascia molte domande aperte, ma ci porta indietro nel tempo, mostrando un frammento dei giorni pre-apocalittici e suggerendo che nella terza stagione scopriremo cosa ha portato alla distruzione del pianeta e alla creazione dei silos.
Se amate i misteri distopici con una vena politica e una buona dose di tensione, Silo è sicuramente una serie da tenere d’occhio. Non è perfetta, ma è avvincente, ben realizzata e pone le basi per un’esplorazione ancora più profonda nella prossima stagione. La terza (e quarta) sono già state confermate, e non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserveranno.
Serie TV
Stopmotion
di Robert Morgan
L'inglese Robert Morgan è un animatore in stopmotion noto per i suoi cortometraggi oscuri e profondamente inquietanti. Alcuni dei suoi lavori più interessanti sono The Cat with Hands, Bobby Yeah e The Separation che denotano il suo gusto per il macabro, l'orrore e le atmosfere disturbanti e surreali.
Nel 2023 Morgan compie il grande passo è realizza il suo primo lungometraggio, Stopmotion, un horror psicologico che mescola live action e animazione. Il film è stato presentato alla 24ª edizione del ToHorror Fantastic Film Fest di Torino ed è, al momento, ancora inedito in Italia.
La storia ha come protagonista Ella (Aisling Franciosi), una giovane animatrice in stopmotion, che sta aiutando la madre, una vera leggenda in questo campo, a realizzare il suo ultimo film. Il rapporto tra le due è tutt’altro che idilliaco. La madre, affetta da una grave artrite alle mani, utilizza la figlia per muovere i pupazzi, rimproverandola severamente a ogni suo errore. Ella, frustrata e intrappolata, sogna di creare qualcosa di proprio, ma è paralizzata dalla mancanza di una visione chiara e dalla pressione materna. Quando la madre viene colpita da un ictus e successivamente muore, Ella si trasferisce in un appartamento isolato per completare il progetto incompiuto e trovare finalmente la propria voce artistica. La sua solitudine viene presto interrotta dall'arrivo di una misteriosa bambina, che critica il lavoro di Ella e le suggerisce di abbandonare il film della madre per dedicarsi a una nuova storia: quella di una ragazzina perduta nei boschi, perseguitata da un'entità malvagia conosciuta come Ash Man. Influenzata dalla bambina, Ella comincia a creare pupazzi fatti di carne cruda e carcasse di animali, sprofondando lentamente in un incubo psicologico dove le sue creazioni sembrano prendere vita, e lei stessa diventa vittima delle sue ossessioni e delle sue allucinazioni.
Il film di Robert Morgan esplora la dinamica dell'artista tormentato che scivola nella follia, spinto da un'ossessione inarrestabile per la propria arte. E' un tema caro al cinema horror, rivisitato questa volta attraverso il filtro del laborioso mondo dell'animazione in stop motion.
Le sequenze animate, realizzate con pupazzi fatti di materiali disturbanti e arricchite da un sound design appiccicoso e viscerale, sono il punto forte del film, suscitando un mix di fascino e disgusto. Tolte queste, il film si perde in una sceneggiatura che soffre di prevedibilità e si appoggia a cliché come l’artista instabile, il trauma ereditato e il confine sfocato tra realtà e fantasia. La figura della bambina misteriosa, che dovrebbe aggiungere ambiguità, risulta troppo prevedibile, e il crollo psicologico di Ella, che si ritrova persa, incapace di definire se stessa o la propria arte, quando i fili che la tenevano sotto il controllo della madre manipolatrice vengono tagliati, non viene esplorato con la profondità necessaria.
Pur visivamente audace, il film manca di coesione narrativa e fatica a bilanciare le sue immagini potenti con una storia che lasci il segno. E' un film che colpirà gli amanti dell'animazione e del gore, ma che probabilmente lascerà delusi coloro che cercano un racconto più incisivo e originale.

La cerimonia della vita
Murata Sayaka
La cerimonia della vita è una raccolta di racconti di Murata Sayaka, scrittrice giapponese che ho apprezzato ne I Terrestri e il recente Parti e omicidi.
Sono dodici racconti ambientati in un imprecisato futuro dispotico in cui le convenzioni sociali sono ribaltate e situazioni che potrebbero sembrare estreme o assurde rappresentano la normalità.
Il racconto che mi ha colpito di più è quello che dà il titolo alla raccolta. In questa storia, è tradizione che, alla morte di un proprio caro, si celebri un rito funebre durante il quale gli invitati consumano il corpo del defunto per poi accoppiarsi e procreare. Un modo insolito di elaborare il lutto, trasformando la morte in simbolo di rinascita. Ciò che potrebbe sembrare disgustoso viene narrato con una naturalezza sorprendente, quasi fosse la cosa più normale del mondo, arricchita da un significato profondo.
Gli altri racconti, almeno quelli che più mi sono rimasti impressi, sono "Materiale di prima qualità" che racconta di come i corpi dei defunti vengono utilizzati per realizzare gioielli, oggetti di arredamento e vestiti, "Un lauto banchetto", la storia di una donna convinta di essere un aliena nella sua vita precendente abituata a cucinare i piatti tradiziononali del suo pianeta di origine, "Gli amanti del vento" che racconta la storia d'amore tra una ragazza e la tenda appesa alla finestra della sua camera da letto, e infine "La schiusa" in cui una ragazza, in modo spontaneo, ha una personalità diversa per ogni situazione non sapendo come comportarsi quando si ritrova a invitare tutti i conoscenti al suo matrimonio.
I dodici racconti si alternano tra storie provocatorie, grottesche e surreali a storie decisamente più delicate e umoristiche. Tutte sono contradistinte dal tema dell'anticonformismo sociale e del ribaltamento di quella che viene definita normalità. Anche se non tutte le storie mi hanno colpito allo stesso modo, l'originalità di Murata continua a emergere, sopratutto nei racconti più spiazzanti e visionari, rendendo questa raccolta un'esperienza comunque stimolante e fuori dagli schemi
Libri
Past Lives
di Celine Song
Past Lives è il film di esordio di Celine Song, regista e sceneggiatrice sudcoreana trapiantata in Canada e oggi residente negli Stati Uniti.
Il film, prodotto dalla A24, è stato presentato nel 2023 in numerosi festival cinematografici ottenendo un grande riscontro di critica e di pubblico.
La storia vede protagonisti un uomo e una donna sudcoreani, due amici di infanzia, Nora Moon (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo), ed è divisa in tre atti, separati l’uno dall’altro da dodici anni.
Nella prima parte vediamo i due protagonisti bambini frequentare la stessa scuola. I due sono troppo giovani perchè la loro relazione si possa definire amore, ma il loro è un legame forte ed esclusivo. Quando i genitori di lei decidono di trasferisi in Canada, le loro strade si dividono. Il loro addio avviene quasi senza parole in una scena in cui i due ragazzini si separano a un bivio di una strada in salita.
Trascorrono dodici anni e Hae, giovane ingegnere, decide di cercare Nora su internet. Per una serie di coincidenze i due si ritrovano, anche se virtualmente. Nora è diventata una sceneggiatrice e si è trasferita a New York. Nora e Hae iniziano a farsi delle videochiamate avvicinandosi sentimentalmente ma quando Nora capisce che la distanza tra di loro è incolmabile e nessuno di loro, per motivi diversi, ha intenzione di trasferirsi nel paese dell'altro, preferisce interrompere i contatti.
Trascorrono altri dodici anni. Nora si è sposata con Arthur (John Magaro), un suo collega, e vive a Manhattan mentre Hae, lavora in una azienda di Seul e ha una relazione poco definita. Un giorno Hae decide di recarsi in vacanza a New York per incontrare finalmente l'amica di infanzia, il primo amore della sua vita.
Ispirata all'esperienza personale della regista coereana, "Past Lives" potrebbe sembrare semplicemente una storia d'amore, la storia di un amore mai consumato, ma in realtà è un film molto più profondo che tocca temi come il destino, il rimpianto e la riconciliazione, esplorando la complessità delle relazioni umane e il peso delle scelte che si compiono con una delicatezza e una sensibilità rara. Il film si distingue per un narrazione sottile e introspettiva e alterna momenti di dolcezza a riflessioni più amare, senza mai cadere nella trappola del melodramma e del romanticismo forzato. La sceneggiatura di Song è elegante e precisa, costruita su dialoghi autentici e momenti di silenzio che parlano più delle parole stesse. L'interpretazione dei protagonisti, compreso il marito di lei che ha un ruolo alquanto scomodo e delicato, è davvero notevole con pochi dialoghi ma profondi. E' una recitazione incentrata sugli sguardi, sui silenzi e sul non-verbale che esprime in modo vivido e profondo l'intensità della passione e delle scelte sentimentali. La regia di Celine Song è caratterizzata da una grande eleganza, con una scelta impeccabile delle inquadrature e un'accuratezza nei dettagli che sorprende, considerando che si tratta del suo esordio alla regia. Il film per certi versi mi ha ricordato Lost in Translation di Sofia Coppola e Eternal Sunshine in the Spotless Mind di Micheal Gondry (quest'ultimo appare per un momento alla televisione) per il tema delle esperienze perdute. Ottima la colonna sonora dei Grizzly Bear che accompagna e completa l’atmosfera della pellicola.
Un film delicato, struggente e malinconico che riesce a toccare ed emozionare in maniera autentica.

Foglie al vento
di Aki Kaurismäki
Sono fuori dalla mia comfort zone ma ogni tanto mi piace farmi persuadere e vedere qualcosa di diverso.
"Foglie al vento" è una malinconica storia d'amore di Aki Kaurismäki, apprezzato regista finlandese, che con questo film ha vinto il Premio della Giuria alla scorsa 76° edizione del Festival di Cannes.
In quella che sembra essere una grigia città dell'europa dell'est alla fine degli anni ottanta - ma in realtà la storia è ambientata nel presente dal momento che ci sono i bollettini della recente invasione russa dell'Ucraina - due anime solitarie vivono la loro vita precaria ai margini della società. Ansa (Alma Pöysti) è una donna sola che lavora in un supermercato dove viene presto licenziata per aver portato a casa un prodotto alimentare scaduto destinato al macero. Holappa (Jussi Vatanen) invece è un operaio metalmeccanico, altrettanto solo, mite e col vizio dell'alcol che viene pure lui licenziato dopo essere stato scoperto a bere durante il turno di lavoro. Una sera i due si incontrano in un locale di karaoke dove si scambiano un timido sguardo senza parlarsi. Un paio di giorni dopo Holappa incontra casualmente Ansa invitandola a vedere un film al cinema. All'uscita la donna gli lascia un pezzetto di carta con il suo numero di telefono ma l'uomo distrattamente se lo perde. I due si cercano, si trovano, e si perdono nuovamente, venendo trascinate come foglie al vento in una serie di casualità, imprevisti e malintesi che sembrano impedirgli di uscire dal loro triste isolamento esistenziale e raggiungere la felicità.
Foglie al vento è una storia d'amore che nasce dall'incontro di due solitudini. Un film semplice e poetico che si distingue per i pochi dialoghi, una trama minimale, e la forte malinconia dei due protagonisti. La forza espressiva dei loro sguardi vuoti ci racconta con estrema delicatezza un mondo respingente, grigio e degradato. Ci sono dei cenni di umorismo qua e là ma è la malinconia a farla da padrone. I lunghi silenzi vengono riempiti da una colonna sonora composta da canzoni che parlano di solitudine e di un disperato bisogno di amore. Tra queste c'è ne una - qui il link - suonata e cantata da due sorelle finlandesi, si fanno chiamare Maustetytöt. La canzone spicca perchè inserita nel contesto del film è di una tristezza così sconfortante da diventare quasi grottesca. Tante le citazioni come per esempio nel finale in cui viene celebrata la famosa camminata di Charlot in "Tempi Moderni".
Quando la semplicità diventa arte.

Vermines
di Sébastien Vanicek
Un film horror sui ragni? Non è il primo e non sarà l'ultimo. Dagli anni cinquanta in poi, questi simpatici animaletti dalle zampette pelose hanno accompagnato le nostre paure più profonde e ci hanno fatto saltare dalla sedia innumerevoli volte. Che siano mutanti giganti, creature preistoriche risvegliate o semplici aracnidi ingigantiti dalla scienza impazzita, i ragni sono da sempre protagonisti di incubi cinematografici.
Io non sono particolarmente impressionato dai ragni, anzi, se sono piccoli e innocui, li trovo persino carini. Tuttavia, conosco una persona che ne è letteralmente terrorizzata (e non è una donna).
Vermines (Infested è il titolo scelto per la distribuzione all'estero) è il film di esordio del regista francese Sébastien Vanicek.
La storia vede come protagonista Kaleb (Théo Christine), un ragazzo appassionato di animali esotici, che vive con la sorella in un appartamento di un enorme palazzo popolare della periferia di Parigi. Un giorno Kaleb si porta a casa un ragno acquistato nel negozio clandestino in cui si serve ignorando che l'aracnide fa parte di una specie estremamente pericolosa (la prima vittima del ragno è uno dei bracconieri che per primo stava tentando di catturarlo). Ovviamente il ragno scappa dalla scatola in cui era stato messo momentaneamente iniziando rapidamente a deporre uova (all'interno dei malcapitati inquilini) e a diffondere i suoi "piccoli" in tutto il palazzo. Quando la polizia trova la prima vittima, l'autorità parigina, per impedire la diffusione di questa razza di aracnidi particolarmente invasiva e mortale, decide di sigillare lo stabile condannando i poveri condomini a diventare cibo per ragni. Tra ragnatele che ricoprono l'intero edificio e ragni sempre più grandi, Kaleb, sua sorella e i suoi amici cercano disperatamente una via di fuga.
Mi aspettavo di vedere una trashata invece il film non mi è dispiaciuto. L'isolamento forzato e l'ambientazione all'interno di un palazzone della Banlieue mi ha ricordato il recente Lockdown Tower dove i personaggi sono degli emarginati di etnie e culture diverse abbandonati al loro destino da una società che li ha ghettizzati. E' solo il contesto però, perchè l'aggiunta dei letali aracnidi rende il film un movimentato survival horror di intrattenimento con i nostri protagonisti che per non soccombere sono costretti a correre a destra e manca attraverso lunghi corridoi poco illuminati coperti di ragnatele e invasi da centinaia di ragni. Mi sarebbe piaciuto vedere in dettaglio questi disgustosi aracnidi, magari spingere un pò di più sull'aspetto gore, ma il regista, avendo un budget ridotto e di conseguenza dei limiti sugli effetti speciali, ha pensato bene di coprire queste carenze con delle riprese da lontano, in movimento, oppure giocando con le ombre e l'oscurità.
Il film, oltre ad essere stato apprezzato dal solito Stephen King, ha attirato l'attenzione di Sam Raim che ha affidato a Sébastien Vanicek la regia di uno spin-off di La casa. Staremo a vedere.

Noesis
Clock DVA
Arrivo tardi per segnalare questo disco uscito nel 2023 che segna il ritorno di un gruppo storico della scena industrial britannica.
Adi Newton è la mente dietro i Clock Dva che insieme ai Cabaret Voltaire e i Throbbing Gristle ha partecipato nei primissimi anni ottanta a quella sferzante ondata sperimentale che combinava il post-punk con la musica industriale emergente.
Dopo un paio di album e una serie di cambiamenti nella formazione, Newton ricostituisce i Clock DVA alla fine degli anni '80 facendo uscire "Buried Dreams", un album che segna una svolta verso un suono più accessibile, contradistinto da una elettronica dai suoni cupi e ambient che tocca temi cyberpunk e tecnologie emergenti.
A distanza di trent'anni, Adi Newton insieme a Maurizio 'TeZ' Martinucci, artista che usa le nuove tecnologie come strumenti di esplorazione audiovisive, pubblica Noesis, album che si distingue dall'accurato packaging e che nella versione CD contiene quattro tracce in più. Il disco riprende il discorso lasciato in sospeso proiettandolo in un futuro in cui l'intelligenza artificiale rischia di disumanizzare la produzione musicale.
Il disco alterna brani dark ambient dalle ritmiche techno industriali con la voce "narrante" di Newton che affronta il lato oscuro delle nuove tecnologie. Un viaggio cinematico futuribile e visionario di grande spessore. Bentornato.

Dogman
di Luc Besson
Luce Besson, il più hollywoodiano dei registi francesi, autore di un capolavoro come "Leon" e di tanti altri film più o meno riusciti, torna nel 2023 con Dogman, un action thriller psicologico di cui ha scritto anche la sceneggiatura.
Il protagonista del film è Douglas (Caleb Landry Jones), un uomo irrimediabilmente segnato da un infanzia dolorosa e terribile. Vittima di un padre violento, di un fratello esaltato e di una madre succube, Doug, da bambino, viene costretto a vivere rinchiuso nella gabbia dei cani - che il padre allevava per i combattimenti - fino al giorno in cui lo stesso padre, in un momento di ira, gli spara con il fucile lasciandolo semi paralizzato. Doug è però riuscito a stabilire un rapporto speciale con i cani, che lo capiscono ed eseguono ogni suo ordine, e grazie a loro, riesce a farsi salvare dalle autorità.
Costretto su una sedia a rotelle e segnato da profondi traumi fisici e psicologici, Doug, ormai adulto, si esibisce in un locale come drag queen trovando rifugio in un posto abbandonato insieme ai suoi cani, gli unici che gli hanno dimostrato affetto e comprensione, e che diventano i suoi complici per compiere furti in ville di lusso e vendicare i più deboli dai torti subìti.
L'anti eroe raccontato da Besson è un incrocio tra uno psicopatico Robin Hood in sedia a rotelle e un villain dei cinecomics dotato di poteri che gli permettono di comunicare con i cani, in un film pulp e fumettoso che ricorda, neanche poco, il Joker di Todd Phillips. Un uomo che per sopportare la sua sofferenza si aggrappa alla letteratura e al teatro - indossando di volta in volta la maschera di Edith Piaff, Marlene Dietrich e Marilyn Monroe - mentre decine e decine di cani lo proteggono occupandosi del suo sostentamento e dei suoi bisogni (mi chiedo chi faccia le pulizie). Film dotato di tecnica squisita e di una grande interpretazione dell'attore protagonista che però scade in alcune scene - vedi per esempio l'evasione di prigione oppure quella della gang dei portoricani che cadono in trappola e vengono abbattuti dai cani - il cui effetto esilerante alla "Mamma ho perso l'aereo" cozza un pochino con il dramma del nostro emarginato protagonista.
Film
Where the Devil Roams
di Adam's Family
Toby Poser e John Adams, insieme alle figlie Lulu e Zelda Adams, sono una famiglia assai particolare. Tutti insieme, ormai da qualche anno, autoproducono dei film dell'orrore indipendenti occupandosi da soli dell'intero processo creativo e realizzativo. In California hanno aperto una piccola casa di produzione cinematografica, la Wonder Wheel Production, e con ridotte disponibilità economiche ma uniti da una grande passione hanno realizzato diverse pellicole facendo tutto da soli: dalla sceneggiatura alla regia, dal montaggio alla recitazione. Ah, ovviamente scrivono pure la musica, ci mancherebbe. Hanno un gruppo musicale, anzi due, i Kid Kalifornia e gli H6LLB6ND6R, fanno un specie di punk rock di facile presa in cui John scrive, suona e produce mentre le donne si dilettano a cantare a turno o tutti insieme. Non so voi, ma a me la storia di questa singolare famiglia mi esalta parecchio.
La famiglia Adams (con una sola "d" mi raccomando) al momento ha realizzato sette lungometraggi ed è al lavoro su altri due. Mi pare che nessuno dei loro film sia stato distribuito in Italia. Pubblico e critica considera Hellbender del 2021 la loro prova migliore. Io ho recuperato in rete il loro film più recente, Where the Devil Roams del 2023, e di questo mi accingo a parlare.
Negli anni trenta, negli anni della depressione statunitense, Maggie (Toby Poser), il marito Seven (John Adams) e la figlia Eve (Zelda Adams) si esibiscono in un circo locale ottenenendo uno scarso successo. Eve, che durante lo spettacolo canta ma poi è praticamente muta, scopre che Mr. Tibbs, la stella del circo, fa uso della magia nera per eseguire la sua raccapricciante esibizione. La ragazza decide di rubare il suo segreto condannando la sua famiglia a un lento declino.
Il film è parecchio strano, insolito e originale. Uno splatter alla Rob Zombie, con tanto di arti mozzati e corpi in putrefazione, ma più onirico e celebrale. Meno accessibile rispetto a tanti altri film di genere, quasi come se l'aspetto commerciale venga messo in secondo piano, il film degli Adams ha i suoi tempi e, secondo me, alcune lacune nella sceneggiatura. La parte del viaggio in cui Maggie, quasi in ogni tappa, scatena la sua follia omicida mentre la figlia benda il padre, rimasto traumatizzato dalla guerra, per evitargli l'attacco di panico alla vista del sangue, francamente non l'ho capita. Sì, stanno cercando di sportarsi in un altra città per cercare fortuna, ma il tutto mi è sembrato parecchio forzato e girato solo per cambiare location e mostrare la violenza di Maggie. Quello che più sorprende, sapendo che il film è un autoproduzione e ha avuto un budget limitato, è l'aspetto tecnico e artistico. Where the Devil Roams ha una potenza visiva davvero sbalorditiva che omaggia il "Freaks" di Browning e in genere i film horror degli anni trenta con uno stile retrò ma allo stesso tempo attuale. Molto incisiva anche la musica - ma visto le inclinazioni degli Adams non mi sorprende - che fa da giusto contrasto alle immagini in un connubio ai confini del videoclip. La famiglia Adams ha delle potenzialità, senza ombra di dubbio, forse pagano il fatto di essere a briglie sciolte, ma questo a lungo andare potrebbe rivelarsi il loro tratto distintivo. Nonostante tutto vi stimo.
Film
Decision to leave
di Park Chan-wook
Premiato per la migliore regia al Festival di Cannes 2022, Decision to leave è un intricato noir sentimentale del talentuoso regista sudcoreano Park Chan-wook, l'autore di Mr. Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta e tanto altro.
La trama si concentra su Jang Hae-jun (magistralmente interpretato da Park Hae-il), un detective sposato che soffre di insonnia e che si ritrova a indagare sulla morte di un uomo precipitato da una montagna durante una scalata. La principale sospettata è la vedova Seo-Rae (Tang Wei), una misteriosa donna di origini cinesi che presenta sul corpo dei graffi e delle contusioni. Nel corso dell'indagine, fatto da interrogazioni caratterizzate da delle incomprensioni linguistiche/culturali e dai continui e prolungati appostamenti, Hae-jun sviluppa una sorta di attrazione ossessiva per Hae-jun che lo portano a mettere in dubbio il suo senso del dovere e a spezzare la sua integrità morale.
Il film omaggia il cinema di Hitchcock, richiamando in particolare La donna che visse due volte. L'ossessione del protagonista nei confronti della femme fatale sospettata dell'omicidio del marito (e successivamente di un secondo marito) viene descritta da Park Chan-wook in modo del tutto personale, mescolando generi e stili con grande maestria tecnica. Un montaggio quasi sperimentale e una regia impeccabile su una storia dotata di una buona dose di ironia e di una profonda intensità emotiva che racconta un amore struggente destinato alla tragedia.
Un film dallo stile unico e innovativo ma che forse necessita di una seconda visione. Probabilmente il fatto di averlo visto in seconda serata, quindi un pò assonnato, il montaggio serrato, e una trama un pò articolata, sopratutto nella seconda parte, mi ha fatto perdere qualche passaggio lasciandomi un pò di confusione. Lo vorrei rivedere perchè dal punto di vista stilistico è un vero gioiello.

Blackwater I. La Piena
Michael McDowell
Lo ammetto. Ho preso questo libro affascinato dalla copertina. E' un libro in formato tascabile che ha una grafica in rilievo con dettagli metallici, dorati e luminosi. Ha uno stile retrò, come i vecchi libri ornati di una volta, ricco di disegni ed elementi grafici riconducibili alla storia. Questo è il primo dei cinque libri, tutti esteticamente simili, che insieme compongono la saga gotica di Blackwater.
Recentemente è uscito un cofanetto che li raccoglie tutti.
L'autore è Michael McDowell, scrittore e sceneggiatore americano noto per aver scritto la sceneggiatura di "Beetlejuice" di Tim Burton e parzialmente quella di "Nightmare before christmas". Autore di una trentina di libri, McDowell è morto nel 1999. Nonostante avesse richiesto che Blackwater fosse pubblicata in sei volumi, l'intera saga esce per la prima volta negli Stati Uniti nel 1983 in un unico volume riscuotendo uno scarsissimo successo.
Nella primavera del 2022 la saga di Blackwater è stata pubblicata in Francia in sei volumi, rispettando quindi la volontà dell'autore, riscuotendo un successo senza precedenti. Le copertine sono in rilievo metallico realizzate dall'illustratore spagnolo Pedro Oyarbide che l'editore Neri Pozzi, giustamente, ha riproposto anche qui in Italia.
Ma di cosa parla Blackwater? E' una saga familiare ambientata nella piccola cittadina di Perdido, in Alabama, nel 1919, dai toni vagamente soprannaturali e misteriosi.
In questo primo volume, chiamato La Piena, la città è stata sommersa dall'acqua a causa di una innondazione dovuta allo straripamento della confluenza dei due fiumi. L'alluvione ha causato danni ovunque colpendo le famiglie più ricche della città, in particolar modo quella dei Caskey, la famiglia protagonista della storia. Quando le acque iniziano a ritirarsi, Oscar, il rampollo della famiglia Caskey che gestisce una delle segherie della cittadina, soccorre una misteriosa donna dai capelli rossi, Elinor Dammer, una donna che nessuno ha mai visto prima che dice di essere la nuova maestra della scuola e di aver trovato rifugio in una stanza d'albergo durante l'innondazione. Nonostante il suo passato misterioso Elinor in breve tempo riesce a catturare la fiducia dei Caskey e conquistare il cuore di Oscar. L'unica e non fidarsi di lei è la matriarca della famiglia, la volitiva e determinata Mary-Love, che vede nella fin troppo ambigua donna e del suo strano rapporto con l'acqua, un pericolo per l'intera comunità.
Il libro è scritto con una prosa semplice e lineare, un po alla Stephen King tanto per intenderci, e risulta scorrevole e coinvolgente. Al momento più che l'aspetto soprannaturale e horrorifico a farla da padrone sono le dinamiche familari e i rapporti tra i personaggi. Per certi versi, almeno come atmosfera, mi ha ricordato Twin Peaks, quindi tutti gli ingredienti per farmelo piacere ci sono.
Prossimamente proseguo con Blackwater II. La Diga.
Libri
Godzilla Minus One
di Takashi Yamazaki
"Godzilla Minus One", diretto da Takashi Yamazaki, è un film giapponese dedicato al celebre mostro Godzilla.
Distribuito malamente in Italia, il film, in attesa che approdi sulla piattaforma Netflix, è diventato rapidamente una delle pellicole più piratate dell'anno. E poi ci lamentiamo.
Prodotto dalla Toho, la rinomata casa di produzione giapponese che ha realizzato tutti i film di Godzilla, il film di Yamazaki è un chiaro omaggio al primo Godzilla del 1954. Nonostante un budget limitato rispetto ai corrispettivi film statunitensi, il film si è aggiudicato un Oscar per gli effetti speciali.
La storia è ambientata in Giappone duranta la fine della seconda guerra mondiale. Koichi Shikishima (Ryunosuke Kamiki), un ex pilota kamikaze, è tormentato dall'orrore della guerra e dal senso di colpa per non essere stato abbastanza coraggioso da sacrificare la sua vita. L'incontro con la mostruosa creatura chiamata Godzilla, avvenuto durante la sua ultima missione nell'isola di Oda, ritorna nei suoi incubi e quando torna a casa, in una città devastata dai bombardamenti, neanche la compagnia di una donna e di una piccola orfanella riesce a placare la sua angoscia. A seguito di una serie di test nucleari condotti dagli Stati Uniti nell'atollo di Bikini, Godzilla viene involontariamente potenziato. Diventato ancora più potente e gigantesco a causa delle radiazioni, la creatura si dirige verso Tokyo.
Non ho visto tutti i trenta e passa film su Godzilla, ma tra tutti i remake e le varie rivisitazioni di cui mi ricordo il film di Yamazaki è sicuramente quello che più ho apprezzato. Innanzitutto, Godzilla è un'icona giapponese, profondamente radicata alla loro cultura. Se un tempo gli effetti speciali di Hollywood avevano un senso, oggi, con il Giappone che ha acquisito sia le capacità tecniche che l'esperienza necessarie per realizzare un disaster movie con la stessa spettacolarità visiva dei colleghi americani, le varie produzioni di quest'ultimi legate al MonsterVerse, un universo cinematografico in stile Marvel incentrate sul lucertolone giapponese, mi pare produca solo film di intrattenimento caciarone senza alcun spessore.
Godzilla non è solo un mostro gigantesco che distrugge metropoli e infesta i mari, è una allegoria della bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki, che rappresenta le paure e le ansie di un intero popolo legate all'energia nucleare e alla distruzione che può portare. Ambientato in un Giappone post bellico, un paese traumatizzato e devastato dalla guerra, il film affronta il tema delle conseguenze psicologiche dei sopravissuti esprimendo una chiara ed evidente critica al proprio paese che in nome di uno spirito nazionalistico con la figura dei kamikaze ha portato al sacrificio del suo popolo. Non è un caso che alla fine il mostro non venga sconfitto dalle forze militari del governo bensì dalla società civile, rappresentata da Shikishima, che in cerca di riscatto affronta, in una delle scene meglio realizzate, il demone del proprio presente con la volontà di sopravvivere.
"Godzilla Minus One" celebra il film originale attraverso una serie di citazioni, senza nascondere omaggi a "Lo Squalo" di Spielberg, mettendo in mostra un repertorio di effetti speciali all’avanguardia che restituiscono la forza della distruzione e la sensazione di trovarsi in mezzo al disastro causato dalla furia di una creatura primordiale.
In conclusione, ritengo "Godzilla Minus One" una delle migliori opere dedicate al Re dei Mostri, un film che celebra i settant'anni del franchise, non solo rendendo giustizia all'iconico mostro giapponese, ma offrendo anche una riflessione potente e attuale sulle conseguenze della guerra.
Film
Carmilla
Joseph Sheridan Le Fanu
Un vero gioiello questo volume pubblicato dalla Rebelle nel 2023 che ripropone in una elegante edizione Carmilla, il celebre racconto di Sheridan Le Fanu, splendidamente illustrato da Isabella Mazzanti.
Pubblicato per la prima volta nel 1872, "Carmillla" è una affascinante storia di vampiri che precede di circa venticinque anni il "Dracula" di Bram Stroker.
Di questo breve romanzo conservo una vecchia edizione tascabile della Sellerio ma dopo aver sfogliato il libro della Rebelle non ho potuto fare a meno di accoglierlo nella mia libreria e di rileggermi questo classico della letteratura gotica.
La trama è raccontata dal punto di vista di Laura, una giovane donna che vive in un castello isolato in Stiria con suo padre. La loro tranquilla vita viene sconvolta quando una carrozza ha un incidente vicino al loro castello, e una giovane donna di nome Carmilla viene temporaneamente affidata alle loro cure.
Laura e Carmilla sviluppano rapidamente una stretta amicizia e ammirazione reciproca, ma qualcosa non va. Laura inizia a soffrire di sogni disturbanti e debolezza fisica oltre a notare comportamenti strani e inquietanti nella sua amica. Man mano che la storia si sviluppa, Laura scopre che Carmilla è in realtà una vampira che ha vissuto per secoli nutrendosi di giovani donne.
Uno degli aspetti più sorprendenti di "Carmilla" è il modo in cui Le Fanu affronta il tema della sessualità. La relazione tra Laura e Carmilla è carica di sottintesi erotici, un elemento audace per l'epoca vittoriana in cui il libro è stato scritto. Questa componente aggiunge una profondità psicologica alla storia creando una costante atmosfera di tensione e desiderio.
Carmilla è una figura enigmatica e complessa che seduce e ammalia. La sua ambiguità morale e il suo comportamento manipolativo la rendono uno dei vampiri più intriganti e affascinanti della letteratura, e la sua figura ha ispirato numerosi adattamenti cinematografici e televisivi, oltre a opere letterarie successive.



Questa nuova edizione del racconto di Le Fanu è impreziosita dalle numerose illustrazioni di Isabella Mazzanti il cui stile si adatta perfettamente alla atmosfere inquietanti e decadenti del romanzo. Le tavole, disegnate a matita e carboncino, sono prevalemente in bianco e nero, con degli inserti rossi che evidenziano alcuni dettagli (dei fiori, degli uccelli, orpelli nel vestiario) e ovviamente il sangue che ci viene presentato in maniera originale come un intreccio di filamenti.
Un edizione che non può mancare nella libreria di ogni appassionato del genere.
Libri
La meccanica degli spiriti
A.J. West
La meccanica degli spiriti è il romanzo d'esordio di A.J. West, giornalista inglese, produttore televisivo, e volto noto in patria.
Il romanzo è ambientato a Belfast e a Londra, nei primi decenni del novecento, e racconta la storia di William Jackson Crawford e della medium Kathleen Goligher, due personaggi realmente esisititi descritti nel libro di memorie di Harry Houdini.
William Jackson Crawford è un ingegnere, un uomo di scienza concreto e razionale, che vive con sua moglie Elizabeth e i suoi tre figli, cercando di condurre una vita tranquilla e dignitosa con il suo modesto stipendio di insegnante. L'improvvisa morte dell'unico figlio maschio porta la moglie a cercare conforto nella medium Kathleen Goligher, una giovane donna in grado di comunicare con i defunti. Nonostante la riluttanza e suoi dubbi, William viene trascinato nel circolo dei Goligher ritrovandosi coinvolto in una serie di sedute spiritiche durante le quali assiste ad eventi e ascolta delle voci che non riesce a spiegare e che mettono in discussione la sua razionalità e il suo scetticismo. Ossessionato da queste manifestazioni, William, da uomo di scienza qual è, inizia a condurre esperimenti per dimostrare alla comunità scientificità l'esistenza del soprannaturale. In breve tempo, grazie ai suoi studi sui fenomeni paranormali, William acquisisce fama e notorietà, diventando conosciuto come l'ingegnere degli spiriti.
La meccanica degli spiriti è un romanzo gotico che riprende le atmosfere e le tematiche dei romanzi storici di genere. I protagonisti sono personaggi realmente esistiti, ma poco approfonditi in passato, sui quali A.J. West si è documentato tramite libri e reperti per creare la sua storia. Non è una biografia perchè il tutto è romanzato quindi leggendolo non si capisce bene dove finisce la realtà dei fatti e dove inizia la fantasia. Alla fine il libro non mi è dispiaciuto. Magari un pò lento nella prima parte ma con dei buoni colpi di scena assestati nel finale. Un romanzo carino, piacevole e di atmosfera, che sembra essere stato scritto per essere portato al cinema.
Libri
Perfect Days
di Wim Wenders
Perfect Days, premiato all’ultimo Festival di Cannes, è un film di produzione giapponese diretto dal regista tedesco Wim Wenders.
Molto singolare la storia dietro questo film. In occasione delle Olimpiadi in Giappone del 2020, degli architetti di fama internazionale sono stati incaricati di progettare più di una decina di bagni pubblici nei parchi di Tokyo. Si tratta di vere e proprie opere d'arte, alcune davvero innovative (come il bagno di vetro colorato trasparente che diventa opaco quando è occupato) realizzati con l'intento di mostrare al mondo, attraverso la riqualificazione dei bagni pubblici notoriamente luoghi sgradevoli, la tradizionale cultura giapponese dell'accoglienza (e della pulizia).
La fondazione giapponese che si è occupata di queste opere ha contattato Wim Wenders - che negli ultimi anni si è dedicato nella realizzazione di numerosi documentari, anche in Giappone - chiedendogli di girare una serie di brevi cortometraggi per la campagna di comunicazione. Colpito da queste particolari toilette, il regista tedesco decide di scriverci su una storia con protagonista un uomo di mezza età che ogni giorno si occupa della loro pulizia con cura e devozione.
La vita di Hirayama (interpretato da Koji Yakusho), addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo, è scandita da una routine semplice e precisa. Ogni giorno si sveglia, mette a posto il futon, si lava faccia e denti, annaffia con uno spruzzino le sue piantine, prende un caffè in lattina dal distributore automatico sotto casa, sale sul suo furgone, ascolta delle vecchie musicasette (Velvet Underground, Otis Redding, Patti Smith e musica giapponese anni settanta) e si reca a lavoro iniziando a pulire la prima delle diverse toilette del suo giro. Nonostante pulire i bagni pubblici possa essere considerato un lavoro poco graticante, Hirayama lo fa con impegno, dedizione e attenzione meticolosa. Il suo lavoro gli piace. In pausa pranzo si siede su una panchina, mangia un tramezzino, e con una vecchia fotocamera analogica fotografa gli scorci di luce fra gli alberi e la natura circostante. Hirayama è un uomo tranquillo e disponibile, sempre sorridente, un uomo solitario e di poche parole - quasi muto rispetto al suo insopportabile giovane collega - che non esita ad aiutare il prossimo e coloro che si trovano in difficoltà. Finito il suo turno va a lavarsi in uno dei bagni pubblici giapponesi (onsen), cena sempre alla stessa tavola calda, torna nella sua umile ed essenziale casa, legge un libro e infine si addormenta. Ogni giorno le sue giornate si ripetono nello stesso modo, serene, tranquille e apparentemente uguali, con dei piccoli avvenimenti (come giocare a Tris con qualcuno che non si conosce, accogliere la nipote adolescente fuggita di casa, e calpestare le ombre con un uomo che ha bisogno di essere consolato) che le rendono uniche e metteno in risalto il valore della semplicità e del vivere il momento.
Ho trovato questo film delizioso. Un film che con la sua semplicità mi ha colpito nel profondo e mi ha trasmesso un senso di serenità inaspettata. Il film non è privo di ombre, perchè Hirayama è un uomo che deve avere sofferto, ma il protagonista nel suo essere schivo e riservato ha trovato il suo equilibrio in se stesso e una perfetta armonia con l'ambiente circostante. E' un film nostalgico in cui la tecnologia viene rimpiazzata dall'analogico e la frenesia delle nostre vite viene sostituita con il gusto di vivere e apprezzare l'attimo della nostra esistenza. "Un'altra volta è un'altra volta, adesso è adesso" dice il nostro protagonista alla nipote che vorrebbe andare al mare.
Nonostante la lunghezza, i silenzi e le ripetitive scene di vita ordinaria, il film di Wim Wenders è riuscito a tenermi incollato allo schermo coinvolgendomi emotivamente.
La scena finale con il volto di Yakusho - grande interpretazione la sua - che esprime nello stesso momento gioia e dolore (mi ha ricordato Mia Goth in Pearl anche se stiamo parlando di film completamente differenti) raffigura in modo magistrale le esperienze della vita, oppure, e questa è un altra chiave di lettura, la triste ma serena consapevolezza di vivere in un mondo dentro il mondo, unico e isolato.
Un film che nella sua essenzialità è stato capace di toccare le corde giuste e trasmettermi profonde emozioni.

Parquet
Sparkles & Mud
Consigliatomi dalla nona amica, ascolto con interesse questo album molto particolare.
Sono nove tracce, tutte strumentali, in cui si utilizza basso, batteria, chitarre elettriche e poco altro, per creare dei lunghi e ripetivi pattern sonori simile all'elettronica e alla techno che danno vita a dei pezzi fortemente ritmati in cui emergono di tanto in tanto elementi noise e post-punk.
I tizi sono dei francesi e mi pare che questo sia il loro album di esordio. Non male.
Musica
La zona d'Interesse
di Jonathan Glazer
Vincitore al Festival di Cannes del Grand Prix della Giuria, La zona d'Interesse è uno dei film più discussi tra quelli usciti nelle sale cinematografiche in questo periodo. A dirigerlo è l'inglese Jonathan Glazer, regista di Birth e Under the Skin che in passato ha realizzato videoclip dei Radiohead (Karma Police), Massive Attack e altri ancora.
Il film racconta la storia di Rudolf Höss (Christian Friedel), comandante del campo di concentramento di Auschwitz, che vive con sua moglie (Sandra Hüller) e i loro cinque figli in una villetta con giardino, orto e piscina. Una bellissima casa che si trova proprio dietro le mura in cui si svolge la tragedia dell'Olocausto.
Alla fine la trama è questa. Quella di una famiglia borghese tedesca degli anni quaranta che vive la sua routine perfetta fatta di gite in barca, cene e giardinaggio, con un costante e inquietante brusio di sottofondo che accompagna con disumana normalità la loro quotidianità.
Oltre a delle scene girate con una videocamera a infrarossi - o meglio che registra il calore - in cui vediamo una ragazza andare in giro di notte a lasciare del cibo ai prigionieri di Auschwitz, succede poco altro. Semmai sono i particolari a fare la differenza. Il vero elemento disturbante è l'orrore che non si vede, quello che sappiamo avvenire dietro il muro, ed è percepito solo con l'utilizzo del suono, il vero protagonista di questo film. La regia è statica, la fotografia è banale, anche i dialoghi sono piatti e ridotti al minimo. Nel rappresentare questo paradiso artificiale tutto è volutamente distaccato e messo in secondo piano lasciando che sia il sonoro a comunicare la tragedia in atto anche a scapito di una colonna sonora praticamente inesistente e presente solo in quell'interminabile nero all'inizio della pellicola e nel potente e devastante pezzo dei titoli di coda. A mio parere un oscar dovrebbero assegnarlo al sound designer.
La zona d'Interesse ha il pregio di parlare dell'Olocausto da un punto di vista diverso da quello che abbiamo visto in passato al cinema. Qui il disagio e il malessere viene rappresentato dalla apparente normalità, dal distacco e dalla confort zone del gerarca nazista e della sua famiglia, mentre l'orrore, quello percepito dai suoni strazianti che provengono fuori campo, quasi per pudore non viene mai mostrato. Nonostante ciò la sua presenza è palpabile e nondimeno angosciante.
Il film mi è piaciuto? Si. Lo andrei a rivedere? No.

Anatomia di una caduta
di Justine Triet
Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Anatomia di una caduta è un legal thriller abbastanza atipico diretto e sceneggiato dalla regista francese Justine Triet.
Una scrittrice famosa, Sandra Voyter (Sandra Hüller), il marito Samuel Maleski (Samuel Theis) anch'egli scrittore nonchè insegnante, e il figlio undicenne ipovedente Daniel, vivono in un chalet in montagna vicino a Grenoble. Una mattina Samuel viene ritrovato morto disteso a terra nella neve, in una pozza di sangue, dopo essere caduto dalla soffitta. A ritrovarlo è stato il figlio Daniel di ritorno da una passeggiata insieme al cane Snoop. La polizia accorre sul posto e dopo i primi rilievi sospetta che Samuel sia stato ucciso dalla moglie che lo ha fatto precipitare di sotto dopo averlo colpito con un corpo contundente. Malgrado la donna proclami la sua innocenza e sostenga insieme al suo avvocato che Daniel si sia suicidato, viene incriminata per omicidio. Segue un lungo processo in cui il giovane Daniel, oltre a venire a conoscenza dei dettagli intimi e controversi dei genitori, una coppia disfunzionale e conflittuale, si ritrova ad affrontare il peso della responsabilità della sua testimonianza.
Nonostante la durata (siamo intorno alle due ore e mezza) il film mantiene una palpabile tensione narrativa trasferendo allo spettatore una forte ambiguità dall'inizio alla fine. Ovviamente non sapremo mai se l'uomo si sia suicidato o sia stato ucciso. Nel film vengono forniti tutti gli indizi lasciando allo spettatore la libertà di scegliersi la verità che preferisce. Alla regista francese interessa di più analizzare il malessere del rapporto di una coppia in crisi, provata dall'incidente al figlio che gli ha quasi causato la perdita della vista, ma anche dalla rabbia repressa, dalle ambizioni e dalle frustrazioni, e dall'incapacità di comprendersi.
Buona la sceneggiatura così come i dialoghi. Molto brava anche l'attrice protagonista. Io personalmente non sono un amante dei film che parlano del logorio del rapporto di coppia, non lo sono mai stato figuriamoci adesso. Malgrado tutto, anche se stiamo parlando di un thriller di facciata, riconosco la qualità del film. Magari lo avrei reso un pochino più scorrevole, sopratutto la parte successiva alla scena iniziale tagliando alcune parti di troppo, tipo lo psichiatra durante il processo.
Una considerazione che c'entra poco. Sarà forse per l'ambientazione, ma a me questo film mi ha riportato alla memoria il delitto di Cogne.

La caduta della casa degli Usher
Mike Flanagan
Mike Flanagan è uno degli autori più interessanti nel panorama dell'horror seriale.
Se nelle due stagioni di The Haunting, Flanagan ha preso ispirazione da alcuni classici della lettura gotica, ne la La caduta della casa degli Usher si cimenta addirittura con il maestro del genere, Edgar Allan Poe.
A dispetto del titolo, la serie non si basa solo sul celebre racconto di Poe (anche perchè il racconto che prende il titolo della serie è di poche pagine). Flanagan, che è anche lo sceneggiatore, prende spunto da tutta la produzione dello scrittore statunitense adattando e rivisitando in chiave contemporanea le sue opere in un unica storia colma di citazioni, riferimenti e connessioni che ovviamene possono essere apprezzate solo da chi conosce Poe.
La storia è quella del ricco imprenditore Roderick Usher, di sua sorella Madeline e della sua famiglia, una potente dinastia proprietaria di un azienda farmaceutica che ha fatto la sua fortuna grazie al Licodone, un antidolorifico assai discusso per i suoi gravi effetti collaterali. All'interno di una casa misteriosa e decadente Roderick Usher racconta ad Auguste Dupin, un avvocato che da anni sta cercando di farlo condannare per i suoi crimini, la disgrazia che si è abbattuta sulla sua famiglia, una sorta di maledizione che nell'arco di pochi giorni ha portato alla morte violenta e apparentemente accidentale dei suoi sei figli. In ogni episodio si assiste così alla tragica e cruenta morte di uno degli Usher ispirandosi a un celebre racconto di Edgar Allan Poe.
Fare l'elenco delle numerose citazioni presenti in questa serie avrebbe poco senso. Di certo a Flanagan, oltre la sempre curata regia, va riconosciuto la grande capacità di scrittura nel riadattare l’universo narrativo delle opere di Poe in chiave moderna. Buona la recitazione da parte del circolo di habitué di Flanagan (più o meno gli attori che sceglie nelle sue serie sono sempre gli stessi) a partire dalla camaleontica Carla Gugino fino a Mark Hammil (io sulle prime non l'avevo riconosciuto) che interpreta il mefistofelico avvocato degli Usher.
Ottima serie, sicuramente sopra la media della maggior parte delle serie horror di questi ultimi anni. Tuttavia, paragonandola alle precedenti serie di Flanagan, l'ho trovato un pò meno coinvolgente. L'unico episodio che mi ha suscitato un profondo turbamento è stato il secondo episodio, La maschera della morte rossa, ma è stato un caso isolato. Da lì in avanti, una volta capito il meccanismo, il ripetersi ciclico delle morti non mi ha restituito quella tensione emotiva e quel senso di mistero che avevo riscontrato in Hill House e Bly Manor.
Serie TV
Povere Creature!
di Yorgos Lanthimos
Film che non vedevo l'ora di vedere e che sta riscuotendo parecchio interesse da parte di critica e pubblico.
Vincitore del Leone d'Oro a Venezia e candidato a diversi oscar, Povere Creature! (Poor Things) è l'ultimo film dell'acclamato regista greco Yorgos Lanthimos.
Siamo a Londra alle fine di un ottocento ucronico. Godwin Baxter (Willem Dafoe), un eccentrico medico chirurgo dal volto deforme, compie un esperimento riportando in vita una giovane donna suicida impiantandogli il cervello del feto che portava in grembo e che era sopravissuto. Quando Godwin prende l'allievo Max McCandles (Ramy Youssef) come suo assistente personale per documentare i progressi della sua "creatura", Bella Baxter (Emma Stone) è una bambina nel corpo di una donna adulta che sta compiendo i suoi primi passi nel mondo. Si muove in modo sgraziato, ha un lessico e capacità cognitive limitate, ma cresce di giorno in giorno molto rapidamente.
La svolta, la scintilla che porta Bella ad avere consapevolezza di sè, è la scoperta del proprio corpo e della propria sessualità. Per contenere la sua libido, Godwin decide di darla in sposa a Max ma Bella, spinta dalla voglia di conoscere il mondo e fare nuove esperienze, fugge con l'avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), un donnaiolo senza scrupoli. I due si imbarcano in un lungo viaggio per l'Europa, durante il quale Bella, oltre ad esplorare con gioia e vitalità il sesso, diventa sempre più autonoma e indipendente. Ha una grande curiosità ed è alla ricerca costante di cose nuove che la gratifichino e l'arricchiscono. Durante una crociera nel Mediterraneo Bella incontra una bizzarra coppia che la introducono alla filosofia e alla cultura, mostrandogli anche la disparità sociale che affligge il mondo. Una volta a Parigi, Bella interrompe la relazione con l'asfissiante Duncan iniziando a lavorare in un bordello dove conosce una ragazza che la introduce al socialismo. Diventata ormai "adulta", una donna emancipata libera di vivere il mondo senza pregiudizi e concetti, Bella Baxter è ormai pronta per tornare a casa.
Povere creature! è una fiaba steampunk, una sorta di Frankenstein ribaltato in cui la protagonista compie un viaggio di crescita e libertà alla scoperta delle gioie e delle contraddizioni del mondo.
Visivamente e tecnicamente il film è un vero gioiello. Campi, controcampi, fish-eye, mascherini, grandangoli. Scenografie che sembrano dipinti, fotografia in bianco e nero alternata ai colori, costumi straordinari, musica dissonante. E' tutto così sublime, stravagante e dosato alla perfezione che cerchi il cavillo per renderlo attaccabile. Nonostante un certo sfoggio di autorialità in cui Lanthimos mischia il suo cinema con quello di Terry Gillian e Tim Burton citando l'espressionismo tedesco e il cinema surrealista di Luis Buñuel, Povere Creature! è un film essenzialmente pop che mischia i generi rendendosi fruibile al grande pubblico. Di certo nella sua stravaganza è il film più hollywoodiano di Lanthimos e per questo prevedo numerosi oscar. Uno di certo lo vincerà Emma Stone perchè oltre alla sua grande interpretazione il personaggio di Bella Baxter merita di entrare nella storia.
Riguardo il messaggio, anche questo film, quasi come a voler cavalcare un tema che va per la maggiore, sembra parlare di emancipazione femminile e lotta al patriarcato. In verità io trovo che la brama di libertà e il percorso di crescita compiuto da Bella Baxter sia più universale. L’evoluzione, la presa di coscienza e la volontà di apprendere per conoscere il mondo e se stessi, si può applicare a chiunque, al di là del genere di appartenenza.
Film straordinario, da rivedere.
Film