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giovedì, 29 maggio 2025
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Mulholland Drive

di David Lynch

Se dovessi stilare una classifica dei miei film preferiti, Mulholland Drive occuperebbe senza esitazione il primo posto. Nutro un amore viscerale per David Lynch e una venerazione profonda per Mulholland Drive che considero un capolavoro.
Secondo una classifica della BBC che ha coinvolto 177 critici cinematografici di 36 paesi, Mulholland Drive è considerato il miglior film del ventunesimo secolo. Un film enigmatico, stratificato, che ha generato fiumi di interpretazioni, saggi, recensioni, e analisi di ogni tipo. Al di là delle parole, vedere un film di Lynch non è mai semplicemente "guardare un film". È un’esperienza. E Mulholland Drive è, forse, la sua manifestazione più sublime.

Mulholland Drive nasce nel 1999 come un progetto televisivo destinato alla ABC, concepito come pilota di una serie che avrebbe dovuto proseguire l'eredità di Twin Peaks. Nonostante l'entusiasmo iniziale, la ABC rifiutò il progetto, giudicandolo troppo oscuro, lento e confuso per il pubblico televisivo mainstream. Dopo il rifiuto, Lynch si trovò con un'opera incompleta, senza una destinazione e con nessun produttore americano disposto a finanziare il film. Fu grazie all'intervento del produttore francese Pierre Edelman e al sostegno finanziario di StudioCanal che il progetto trovò nuova vita. Lynch riscrisse e ampliò la sceneggiatura, aggiungendo nuove scene che trasformarono il pilota in un film completo. Le riprese aggiuntive si svolsero nell'ottobre del 2000, con un finanziamento di 7 milioni di dollari.
Il risultato fu un'opera che trascendeva le convenzioni narrative, mescolando realtà e sogno in un'esperienza cinematografica unica. Mulholland Drive venne presentato al Festival di Cannes nel 2001, dove Lynch vinse il premio per la miglior regia, consacrando il film come uno dei capolavori del cinema contemporaneo.

A grandi linee, la trama di Mulholland Drive è la seguente.
Una misteriosa donna (Laura Harring) scampata a un incidente d’auto lungo la celebre strada collinare di Los Angeles si rifugia, spaesata e priva di memoria, in un appartamento apparentemente disabitato. Poco dopo, nello stesso appartamento arriva Betty (Naomi Watts), un’aspirante attrice dal sorriso luminoso, appena atterrata a Hollywood con il sogno di sfondare nel cinema. Dall'incontro tra le due ragazze nasce un legame ambiguo e intenso, mentre insieme tentano di scoprire l’identità perduta di Rita (il nome adottato dalla sconosciuta) seguendo una serie di indizi che si fanno via via più oscuri.
Nel frattempo un regista hollywoodiano (Justin Theroux) viene minacciato da grotteschi e ambigui mafiosi affinche scelga l'attrice che dovrà interpretare il ruolo della protagonista del suo prossimo film. Un killer pasticcione, un uomo terrorizzato da un sogno ambientato dietro un ristorante, un cowboy enigmatico, e uno spettacolo teatrale dove tutto è finto ma sembra tremendamente reale, completano un mosaico narrativo dove i confini tra realtà e illusione si dissolvono.

Chi ama Lynch sa che non bisogna cercare un senso razionale nelle sue storie. Il suo cinema non chiede di essere capito, ma vissuto. È un’esperienza da attraversare lasciandosi trasportare dalle suggestioni, dai simboli, dai sogni che si mescolano alla realtà e all’inconscio. Eppure, tra Lost Highway, Mulholland Drive, e Inland Empire — quella che potremmo chiamare, seppur con qualche forzatura, la sua trilogia del sogno — è proprio Mulholland Drive a essere il più leggibile e comprensibile. E allora, proviamo a rimettere insieme i pezzi di questo intricato puzzle.

Da qui in avanti, inevitabilmente, partono gli spoiler.

Il film si divide, sostanzialmente, in due parti. La prima è il sogno. O forse una realtà alternativa, un mondo interiore, un rifugio dell’inconscio. In questa dimensione la protagonista, Naomi Watts, è Betty, un’aspirante attrice appena arrivata a Hollywood e ospite in un appartamento elegante, ingenua ma determinata, piena di talento. È bella, luminosa, e al suo primo provino incanta tutti con una performance sbalorditiva. Incontra Rita (Laura Harring), donna misteriosa colpita da amnesia, e tra le due nasce una complicità profonda, anche sentimentale. Tutto sembra andare per il verso giusto, finché Betty apre una scatola blu — oggetto simbolico e portale — e la realtà, o qualcosa che ci somiglia, irrompe.
Da quel momento in poi tutto si ribalta. Il sogno svanisce. Betty non è più Betty, ma Diane. E Rita è Camilla. Diane è un’attrice fallita, frustrata, spezzata. Vive nell’ombra di Camilla, che invece è affermata, desiderata, sicura di sé. La loro relazione è sbilanciata, tossica, e quando Diane scopre che Camilla sta per sposare un regista (Justin Theroux), sopraffatta dalla gelosia e dal senso d’abbandono, assolda un killer per eliminarla. Ma non regge il peso del suo stesso gesto. Mentalmente devastata, trova rifugio proprio nel sogno che abbiamo visto nella prima parte, per poi — incalzata dal senso di colpa e dalla disgregazione psichica — togliersi la vita.
Mulholland Drive è un gioco a incastri, una struttura a specchio dove sogno e realtà, conscio e inconscio, desiderio e trauma si confondono, si fondono, si rincorrono. Lynch non ci fornisce una spiegazione univoca, ma dissemina indizi, frammenti, immagini ricorrenti. Non ci guida, ci abbandona dolcemente nel labirinto.

Ma Mulholland Drive è anche – forse soprattutto – una feroce, allucinata critica al sistema hollywoodiano, a quella macchina patinata e crudele che promette sogni e spesso restituisce incubi. Hollywood è una trappola emotiva, un meccanismo che plasma e distrugge, che premia l’immagine e punisce la fragilità. Betty arriva con entusiasmo e talento, ma viene risucchiata in un mondo fatto di poteri invisibili, scelte imposte, manipolazioni subdole. Adam, il regista, è costretto a cedere alle pressioni di oscuri burattinai, incapace di difendere la propria libertà creativa. Tutto è recitazione. Tutto è illusione.
E poi c’è Naomi Watts, che in questo film firma una delle prove attoriali più intense e devastanti degli ultimi decenni. Il suo coinvolgimento emotivo va oltre la finzione. Prima di Mulholland Drive, Watts faticava a emergere. Anni di rifiuti, ruoli minori, provini falliti. Era arrivata a pensare di smettere, a sfiorare l’idea del suicidio. Lynch non sceglie solo un’attrice, sceglie una ferita aperta. Una donna che ha conosciuto il lato oscuro del sogno hollywoodiano. Betty e Diane non sono solo personaggi. Sono due volti della stessa ossessione. E Naomi Watts le interpreta con una verità così disarmante da lasciare il segno per sempre.

Tralasciando la trama, il senso, la narrazione — che poi è forse l’ultima cosa che interessava davvero a Lynch — Mulholland Drive è costellato di sequenze magistrali, capaci di far accapponare la pelle.

Partiamo da una delle prime scene, tra le più inquietanti dell’intero film, quella in cui un uomo racconta a un amico di aver sognato il locale in cui si trovano. Nel sogno, dietro al ristorante, si nasconde una figura orribile, la cui sola presenza gli provoca un terrore profondo. Quando i due escono per controllare, la creatura appare davvero. L’uomo crolla a terra, sopraffatto dallo shock. Apparentemente slegata dalla trama principale, questa scena è in realtà una potente metafora, un incubo che prende corpo, o forse un sogno dentro un altro sogno. Il mostro dietro il diner è l’incarnazione dell’orrore rimosso, la parte più oscura della psiche, il prezzo da pagare per inseguire un sogno o di chi ha commissionato un omicidio. Una sequenza di meno di cinque minuti, girata in pieno giorno, che culmina con quello che potremmo definire un vero e proprio jumpscare, ma di una raffinatezza inquietante: tensione pura, orrore viscerale, senza bisogno di ombre o buio. Magistrale.
Proseguiamo con la scena del cowboy, in un luogo isolato e illuminato a intermittenza — cifra stilistica inconfondibile di Lynch — in cui un personaggio dal volto impassibile pronuncia un dialogo criptico e inquietante, che sembra venire da un’altra dimensione. O con quella del caffè, in cui uno dei fratelli Castigliane (interpretato da Angelo Badalamenti, storico compositore lynchiano e autore della bellissima colonna sonora del film) siede al tavolo con i produttori e il regista del film. Beve l’espresso servito dal cameriere e, con glaciale disprezzo, lo sputa nel tovagliolo. Un gesto teatrale e volutamente disturbante, che comunica autorità, potere, e intimidazione.
Ma la scena più potente resta senza dubbio quella del Club Silencio. Le due protagoniste entrano in un teatro decadente. Sul palco, un personaggio luciferino rivela la finzione: "No hay banda… tutto è registrato". La musica, la voce, le emozioni: nulla è reale. Poi arriva la cantante Rebekah Del Rio, che canta Llorando con un’intensità straziante, prima di crollare a terra, mentre la sua voce continua a riempire il teatro. È il punto di rottura. La consapevolezza che tutto ciò che Betty ha vissuto è una costruzione mentale, un sogno artificiale per sfuggire a una realtà intollerabile. Ma è anche una riflessione meta-cinematografica sulla natura stessa del cinema: finzione capace di toccare il vero. Sublime.

Mulholland Drive, che Lynch descrisse come "una storia d’amore nella città dei sogni", è la quintessenza del suo cinema. Un profondo atto d’amore per la settima arte, ma anche un bilancio esistenziale del regista. Un film fatto di misteri, visioni oniriche, simboli nascosti, bruschi salti narrativi, venature grottesche e una tensione psicologica costante — il tutto orchestrato con un montaggio ipnotico e una tecnica impeccabile. Un capolavoro del cinema moderno.

Ho visto Mulholland Drive per la prima volta al cinema, quando uscì nel 2000. Ricordo perfettamente, all’uscita dal cinema, il senso di smarrimento, la sensazione di non aver capito nulla della storia, ma al tempo stesso di essere stato profondamente scosso, emotivamente travolto. È uno di quei rari film capaci di smuoverti dentro senza bisogno di spiegazioni. Pochi giorni dopo, sono tornato a vederlo di nuovo, sempre al cinema. Da allora, l’avrò rivisto almeno una decina di volte. E ogni volta è come se fosse la prima: cambia, si trasforma, rivela qualcosa di nuovo. Come un sogno che ti rimane addosso. Eterno e inafferrabile
Grazie maestro.

Film
Drammatico
Noir
Thriller
Mistero
David Lynch
USA
2001
Retrospettiva
domenica, 30 giugno 2024
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Il fantasma dell'Opéra

Gaston Leroux

Il fantasma dell'Opéra di Gaston Leroux è un classico della letteratura gotica.
Pubblicato recentemente dalla Abeditore - casa editrice che apprezzo per l'attenzione e la cura grafica che mette nelle sue pubblicazioni (pubblica solo libri "di chi è morto da almeno un secolo", così dicono nel loro profilo instagram) - ho acquistato e letto questa opera che conoscevo solo per i suoi vari adattamenti cinematografici.

Gaston Leroux nato a Parigi nel 1868 è noto principalmente per "Il fantasma dell'Opéra" pubblicato nel 1910. Proveniente da una famiglia borghese alla morte del padre ha dilapidato tutta la sua ricca eredità ai tavoli da gioco. E' stato giornalista e corrispondente estero prima di diventare uno scrittore di romanzi polizieschi e di avventura.

La storia è abbastanza conosciuta e ruota attorno alla figura enigmatica di Erik, il fantasma dal volto sfigurato che cela dietro una maschera e che si aggira nei sotterranei dell'Opéra. Erik è un personaggio complesso, a metà tra genio musicale e mostro, che si innamora perdutamente della giovane e talentuosa cantante Christine Daaé. La storia esplora il triangolo amoroso tra Erik, Christine e Raoul, il suo amato d'infanzia, attraverso una serie di eventi misteriosi e spesso tragici.

Il romanzo non mi ha catturato particolarmente e ammetto che ho fatto pure fatica a portarlo a termine. Il problema non è tanto per la prosa a tratti datata e un ritmo che può sembrare lento rispetto agli standard moderni, quanto per una storia priva di mordente e una  caratterizzazione dei personaggi parecchio stereotipata. In pratica il fantasma è una sorta di tragico stalker ante litteram che cerca l'amore di una damigella in perenne pericolo contesa dal classico e prevedibile principe azzurro in un triangolo amoroso servito e condito con un'abbondante dose di melodramma e lacrime. E' la classica storia della Bella e la Bestia che secondo me riprende neanche poco il Notre Dame de Paris di Victor Hugo, un altro grande classico che non ho mai avuto il coraggio di leggere (temo la sua mole).
Affascinante invece è l'ambientazione ovvero il teatro parigino che Leroux descrive in maniera minuziosa con i suoi sotterranei, botole, passaggi segreti, ingranaggi che aprono stanze nascoste, e specchi che si trasformano in foreste tropicali. Ecco, secondo me la forza di questo romanzo sta proprio nell'ambientazione e di come il 'fantasma' sia parte integrante della struttura stessa dell'Opéra, un luogo intricato e misterioso che gli permette di sfuggire dalla realtà esterna ma che alla fine lo intrappola nel suo stesso mondo di ombre e segreti.

Libri
Gotico
Mistero
Romantico
Francia
1910
sabato, 18 maggio 2024
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Blackwater I. La Piena

Michael McDowell

Lo ammetto. Ho preso questo libro affascinato dalla copertina. E' un libro in formato tascabile che ha una grafica in rilievo con dettagli metallici, dorati e luminosi. Ha uno stile retrò, come i vecchi libri ornati di una volta, ricco di disegni ed elementi grafici riconducibili alla storia. Questo è il primo dei cinque libri, tutti esteticamente simili, che insieme compongono la saga gotica di Blackwater.
Recentemente è uscito un cofanetto che li raccoglie tutti.
L'autore è Michael McDowell, scrittore e sceneggiatore americano noto per aver scritto la sceneggiatura di "Beetlejuice" di Tim Burton e parzialmente quella di "Nightmare before christmas". Autore di una trentina di libri, McDowell è morto nel 1999. Nonostante avesse richiesto che Blackwater fosse pubblicata in sei volumi, l'intera saga esce per la prima volta negli Stati Uniti nel 1983 in un unico volume riscuotendo uno scarsissimo successo.
Nella primavera del 2022 la saga di Blackwater è stata pubblicata in Francia in sei volumi,  rispettando quindi la volontà dell'autore, riscuotendo un successo senza precedenti. Le copertine sono in rilievo metallico realizzate dall'illustratore spagnolo Pedro Oyarbide che l'editore Neri Pozzi, giustamente, ha riproposto anche qui in Italia.

Ma di cosa parla Blackwater? E' una saga familiare ambientata nella piccola cittadina di Perdido, in Alabama, nel 1919, dai toni vagamente soprannaturali e misteriosi.
In questo primo volume, chiamato La Piena, la città è stata sommersa dall'acqua a causa di una innondazione dovuta allo straripamento della confluenza dei due fiumi. L'alluvione ha causato danni ovunque colpendo le famiglie più ricche della città, in particolar modo quella dei Caskey, la famiglia protagonista della storia. Quando le acque iniziano a ritirarsi, Oscar, il rampollo della famiglia Caskey che gestisce una delle segherie della cittadina, soccorre una misteriosa donna dai capelli rossi, Elinor Dammer, una donna che nessuno ha mai visto prima che dice di essere la nuova maestra della scuola e di aver trovato rifugio in una stanza d'albergo durante l'innondazione. Nonostante il suo passato misterioso Elinor in breve tempo riesce a catturare la fiducia dei Caskey e conquistare il cuore di Oscar. L'unica e non fidarsi di lei è la matriarca della famiglia, la volitiva e determinata Mary-Love, che vede nella fin troppo ambigua donna e del suo strano rapporto con l'acqua, un pericolo per l'intera comunità.

Il libro è scritto con una prosa semplice e lineare, un po alla Stephen King tanto per intenderci, e risulta scorrevole e coinvolgente. Al momento più che l'aspetto soprannaturale e horrorifico a farla da padrone sono le dinamiche familari e i rapporti tra i personaggi. Per certi versi, almeno come atmosfera, mi ha ricordato Twin Peaks, quindi tutti gli ingredienti per farmelo piacere ci sono.

Prossimamente proseguo con Blackwater II. La Diga.

Libri
Mistero
Horror
Blackwater
2023
giovedì, 9 maggio 2024
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La meccanica degli spiriti

A.J. West

La meccanica degli spiriti è il romanzo d'esordio di A.J. West, giornalista inglese, produttore televisivo, e volto noto in patria.

Il romanzo è ambientato a Belfast e a Londra, nei primi decenni del novecento, e racconta la storia di William Jackson Crawford e della medium Kathleen Goligher, due personaggi realmente esisititi descritti nel libro di memorie di Harry Houdini.

William Jackson Crawford è un ingegnere, un uomo di scienza concreto e razionale, che vive con sua moglie Elizabeth e i suoi tre figli, cercando di condurre una vita tranquilla e dignitosa con il suo modesto stipendio di insegnante. L'improvvisa morte dell'unico figlio maschio porta la moglie a cercare conforto nella medium Kathleen Goligher, una giovane donna in grado di comunicare con i defunti. Nonostante la riluttanza e suoi dubbi, William viene trascinato nel circolo dei Goligher ritrovandosi coinvolto in una serie di sedute spiritiche durante le quali assiste ad eventi e ascolta delle voci che non riesce a spiegare e che mettono in discussione la sua razionalità e il suo scetticismo. Ossessionato da queste manifestazioni, William, da uomo di scienza qual è, inizia a condurre esperimenti per dimostrare alla comunità scientificità l'esistenza del soprannaturale. In breve tempo, grazie ai suoi studi sui fenomeni paranormali, William acquisisce fama e notorietà, diventando conosciuto come l'ingegnere degli spiriti.

La meccanica degli spiriti è un romanzo gotico che riprende le atmosfere e le tematiche dei romanzi storici di genere. I protagonisti sono personaggi realmente esistiti, ma poco approfonditi in passato, sui quali A.J. West si è documentato tramite libri e reperti per creare la sua storia. Non è una biografia perchè il tutto è romanzato quindi leggendolo non si capisce bene dove finisce la realtà dei fatti e dove inizia la fantasia. Alla fine il libro non mi è dispiaciuto. Magari un pò lento nella prima parte ma con dei buoni colpi di scena assestati nel finale. Un romanzo carino, piacevole e di atmosfera, che sembra essere stato scritto per essere portato al cinema.

Libri
Mistero
Gotico
2023
martedì, 30 aprile 2024
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The Nest (Il nido)

di Roberto De Feo

A Classic Horror Story, il film diretto da De Feo insieme a Strippoli che ho visto di recente, non mi era dispiaciuto quindi ho recuperato il primo film di De Feo con la speranza di vedere qualcosa di interessante.

In una imponente tenuta di campagna, Elena (Francesca Cavallin), una donna severa e glaciale, cresce il figlio paraplegico Samuel (Justin Alexander Korovkin) nel più totale isolamento. Al giovane, poco più che adolescente, viene impedito di uscire all'esterno delle mure di cinta ed è costretto dalla asfissiante madre a seguire delle rigide regole e suonare Bach al pianoforte. Insieme a loro, troviamo la servitù, lo zio del ragazzino e un inquietante medico (Maurizio Lombardi) ai quali è imposto di non parlare del mondo al di fuori della villa e del loro passato. Quando Samuel inizia a sentirsi prigioniero in una gabbia dorata, l'arrivo di Denise (Ginevra Francesconi), una ragazzina poco più grande di lui figlia di un amico di famiglia, scatena in lui l'impellente desiderio di fuggire e scoprire il mondo esterno.

Il film di De Feo è un thriller psicologico, cupo e claustrofobico. La fotografia ha dei toni freddi ed è virata prevelantemente in verde contribuendo a rendere l'atmosfera del film opprimente e malsana. I riferimenti a The Others di Amenabare e The Village di Shyamalan sono evidenti così come l'omaggio a un certo genere di horror gotico e misterioso della letteratura dei primi del novecento. La regia tende a valorizzare le ricche scenografie della villa con lunghi piani sequenza ma il ritmo lento e compassato, degli scricchiolii nella trama, e l'interpretazione degli attori (si salva solo l'algida Cavallin) dilata la tensione fino a un finale abbastanza prevedibile.

Apprezzo sinceramente l'impegno di alcuni giovani registi emergenti nel riportare in Italia film di un genere di cui eravamo maestri indiscussi in passato. Tuttavia, accontanando l'elogio nel fare pellicole diverse dai soliti schemi, se questo film fosse stato prodotto all'estero avrei avuto serie difficoltà a dargli una sufficienza.

Nonostante la sceneggiatura a tratti lacunosa il film sembra aver riscosso un buon successo di pubblico e critica, tanto che si prospetta anche un remake in lingua inglese.

Film
Mistero
Horror
Drammatico
Italia
2019
venerdì, 21 aprile 2023
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Copenhagen Cowboy

Nicolas Wending Refn

Nicolas Winding Refn è un regista che si ama o si odia.
Io adoro molto la sua estetica visiva ma capisco le motivazioni di coloro che lo trovano pretenzioso e poco accessibile. Il suo stile estremamente stilizzato, con lunghe sequenze silenziose e una cura dell'immagine che spesso sacrifica la narrazione, per molti può risultare alienante, almeno per chi cerca un racconto più tradizionale o immediato. In effetti, Refn non è interessato a raccontare storie convenzionali, il suo cinema è più una sorta di esperienza sensoriale, una discesa nell'atmosfera e nel simbolismo. Coloro che non lo apprezzano lo accusano di mettere la forma sopra la sostanza, ma per me è proprio questa audacia visiva e narrativa che lo rende unico e affascinante.

Copenhagen Cowboy è la sua seconda serie televisiva dopo Too Old to Die Young. Si può vederla su Netflix.

Protagonista è una ragazza di nome Miu, una sorta di eroina in tuta monoespressiva che viene venduta e usata come amuleto perchè in grado di conferire fortuna a chi gli sta vicino.
Ambientata nel sottobosco criminale di Copenaghen, la serie può sembrare molto criptica e di difficile lettura (in particolar modo i primi episodi) discostandosi completamente dai canoni classici delle serie tv. I ritmi lenti e ipnotici non appartengono al mondo delle produzioni commerciali e, proprio per questo, affascinano chi riesce a sintonizzarsi sulla stessa frequenza. Non ci sono facili risposte, non ci sono dialoghi esplicativi, ma un mondo opprimente e alienante che si svela piano, come se fosse un sogno dal quale non ci si può svegliare. Memorabili le inquadrature a 360°. Bellissima la fotografia e la colonna sonora.

Alla fine della serie (6 episodi), Copenhagen Cowboy non offre una chiusura tradizionale. La sensazione è quella che potrebbe esserci una seconda stagione. Staremo a vedere.

Serie TV
Noir
Thriller
Mistero
2023
sabato, 22 gennaio 2022
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Archive 81

Serie thriller/horror prodotta da Netflix tratta da un podcast di grande successo negli Stati Uniti.
Dan, un ragazzo di New York specializzato nel recuperare vecchi nastri magnetici, viene contattato da una misteriosa azienda che gli offre un bel po' di soldi per restaurare una serie di videocassette, l'unico obbligo è quello che dovrà svolgere il suo lavoro in una villa isolata nei boschi. I nastri contengono la ricerca di un’antropologa, Melody, che nei primi anni ’90 stava realizzando un documentario, tramite videocamera, sulla storia di un condominio, conosciuto come Visser, al centro di alcune inquietanti leggende urbane. L'incarico è economicamente allettante e il ragazzo accetta ma, poco dopo essersi trasferito nella villa e aver visionato le cassette iniziano ad accadere degli strani e inquietanti eventi. 

La serie è composta da otto episodi, riuscendo fin da subito a catturare l'attenzione dello spettatore chiamato, insieme ai due protagonisti, a investigare e mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. E' una "storia nella storia" - ha molti riferimenti al ciclo di Chtulhu di Lovecraft, tracce di Rosemary Baby e al found footage alla The Ring - in cui assistiamo alla anomala "fusione" delle due vicende (quella di Dan nella villa e quella di Melody nel palazzo dell'East Village) nonostante queste siano collocate in periodi e luoghi diversi. Putroppo quando gran parte dei pezzi del puzzle vengono collocati al posto giusto e si ha un quadro completo, tutta la tensione svanisce e la serie, con il suo rassicurante spiegone, finisce per perdere mordente e non lasciare nulla.

Nonostate il finale aperto che ha lasciato il solito cliffhanger, la serie è stata cancellata e quindi non è prevista una seconda stagione.

Serie TV
Netflix
Horror
Mistero
2022

© , the is my oyster