
Black Mirror (stagione 7)
Charlie Brooker
Black Mirror non solo è tornata, ma lo ha fatto nella sua forma migliore.
Dopo la deludente sesta stagione di un paio d’anni fa, la serie creata da Charlie Brooker torna su Netflix con sei nuovi episodi, dalla durata variabile (dai quaranta minuti all'ora e mezza), e soprattutto con un'identità ritrovata. La settima stagione abbandona le derive horror e soprannaturali degli ultimi tempi per riportare al centro la tecnologia, la società e i futuri possibili, sempre più vicini.
Il primo episodio, "Gente comune", è a mio avviso il più riuscito della stagione. La storia segue Amanda e Mike (Rashida Jones e Chris O'Dowd — sì, proprio il Roy di The IT Crowd), una coppia qualunque con il sogno di avere un figlio. Quando Amanda scopre di avere un tumore al cervello, la loro unica speranza è affidarsi a Rivermind, una compagnia in grado di rimuovere la parte malata e sostituirla con una porzione sintetica, la cui memoria è però collegata a un server remoto. L’operazione è gratuita, ma il canone mensile che la coppia è costretta a sottoscrivere si rivelerà invasivo, costoso e totalizzante. È una satira feroce contro la logica degli abbonamenti perpetui e l'illusione della gratuità. Un futuro opprimente, plausibile, angosciante nella sua verità.
"Bête Noire" è più leggero nel tono, ma non meno inquietante. Protagonista è una ricercatrice alimentare che lavora per un'azienda dolciaria e che si ritrova faccia a faccia con una sua ex compagna del liceo, appassionata di tecnologia, vittima di bullismo e oggi esperta di informatica quantistica. Ne nasce un thriller psicologico fatto di vendetta e manipolazione della memoria. È forse l’episodio più "fantascientifico" della stagione e anche uno dei più sorprendenti.
Con "Hotel Reverie", il tono cambia ancora. Una giovane attrice accetta di prendere parte a un remake immersivo di un film romantico anni ’40. La sua coscienza viene trasferita in una simulazione dove interagisce con repliche digitali dei personaggi dell'originale. Episodio elegante, malinconico, ma, a mio avviso, il meno incisivo.
"Plaything" è una piccola perla per gli appassionati di videogiochi. Peter Capaldi interpreta un critico videoludico che riceve una copia di Thronglets, un gioco simulativo con creature digitali in grado di evolversi e comunicare, in pratica un Tamagotchi portato all’estremo. Tra nostalgia anni ’90, acidi lisergici e riflessioni sull’intelligenza artificiale, l’episodio gioca (letteralmente) con l’etica del gioco e la responsabilità del giocatore.
"Eulogy" è l’episodio più emozionante. Paul Giamatti è Philip, un uomo sollecitato da una compagnia tech a contribuire a un memoriale digitale della sua ex compagna. Attraverso una tecnologia capace di rielaborare il lutto con un'intelligenza artificiale empatica, Philip affronta i suoi ricordi e scopre segreti nascosti. È un racconto struggente, dove la tecnologia non è più un mostro da temere, ma uno strumento per capire, per perdonare, per chiudere i conti con il passato.
Chiude la stagione "USS Callister: Into Infinity", primo vero sequel della serie, che riprende i personaggi dell’episodio cult della quarta stagione. L’equipaggio della USS Callister è ora un gruppo di pirati spaziali in fuga, in un universo virtuale che mescola avventura e satira sociale. È l’episodio più spettacolare, anche se meno profondo.
Non c’è più l’effetto sorpresa dei primi anni, ma Black Mirror dimostra di avere ancora molto da dire. Il ritorno all’origine, alla tecnologia come specchio oscuro dell’umanità, è evidente. Ci sono scelte discutibili, certo, e non tutti gli episodi sono allo stesso livello, ma il salto di qualità rispetto alla sesta stagione è notevole.
La serie torna a inquietare, ma con una malinconia nuova, fatta di silenzi, crepe e ferite emotive. Non è solo il futuro a spaventarci, ma le emozioni che abbiamo perso per strada. È meno futuristica, più umana. E proprio in questa fragilità ritrovata — penso a episodi come Eulogy — Black Mirror riscopre la sua anima.

Il buco - Capitolo 2
di Galder Gaztelu-Urrutia
A cinque anni dal film "Il Buco", film spagnolo comparso nel catalogo Netflix che ha riscosso parecchio successo tra gli appassionati del genere fanta-horror distopico, torna sulla stessa piattaforma un secondo capitolo, un prequel diretto nuovamente da Galder Gaztelu-Urrutia.
Ambientato un anno prima rispetto agli eventi del primo film, questo capitolo ci riporta nel mondo della spaventosa prigione verticale composta da 333 livelli, dove una piattaforma distribuisce quotidianamente il cibo, fermandosi per pochi minuti su ogni livello. I detenuti, collocati in coppia su ogni piano, vengono ricollocati casualmente ogni mese, e devono attenersi alla regola di prendere solo ciò che serve, lasciando agli altri la possibilità di sopravvivere. Contrariamente a quanto abbiamo visto nel primo film, nella fossa un gruppo di persone che si fanno chiamare gli "Unti" cercano di far rispettare le leggi imponendo con autorità e severe punizioni che il cibo venga distribuito equamente. In contrapposizione a loro ci sono "i barbari", ovvero ribelli che rifiutano qualsiasi imposizione e vogliono mangiare liberamente, alimentando lo scontro ideologico all’interno della fossa.
La protagonista questa volta è una donna, interpretata da Milena Smit, un artista e affermata scultrice che si è fatta rinchidere nella fossa per espiare una tragedia di cui si sente responsabile. Accanto a lei, almeno nelle prime battute, troviamo un matematico disturbato e ossessionato dal fuoco, interpretato da Hovik Keuchkerian.
L’idea di base è intrigante e funziona, richiamando l'atmosfera della trilogia di The Cube, con cui condivide diverse analogie. Tuttavia, rispetto al primo film, in questo prequel l'effetto novità si affievolisce. L’introduzione di una struttura politica e una sorta di ideologia socialista, spinta quasi al fanatismo religioso, aggiunge un nuovo tema nella narrazione, ma alla fine non riesce a sorprendere del tutto. Mancano spiegazioni chiare, e il finale, come nel primo capitolo, lascia spazio a troppe interpretazioni personali.
Particolarmente suggestiva è la scena dei bambini che giocano in un parco dall'architettura brutalista, simbolo di un futuro distopico dove le nuove generazioni potrebbero non godere più dei semplici privilegi come giocare all’aria aperta. Una metafora potente che chiude con un amaro riflesso sulla società e il destino che ci attende.
Film
Sono la bella creatura che vive in questa casa
di Oz Perkins
Il titolo di questo film, tradotto letteralmente dall'originale "I Am the Pretty Thing That Lives in the House", può trarre in inganno. Si potrebbe pensare a un comune horror di intrattenimento, facilmente assimilabile al vasto catalogo di genere su Netflix. Nulla di più sbagliato.
"Sono la bella creatura che vive in questa casa", la seconda pellicola diretta da Oz Perkins, è una ghost-story atipica e raffinata, in cui l’orrore non risiede nelle apparizioni spettrali o nei classici colpi di scena, ma nel lento svelarsi di un senso di inquietudine profonda.
La trama segue Lily (Ruth Wilson), una giovane infermiera incaricata di prendersi cura di una famosa scrittrice horror, Iris Blum (Paula Prentiss), una donna anziana malata di demenza. Mentre trascorre le sue giornate nella vecchia e isolata casa di campagna, Lily inizia a sentire strani rumori, vedere macchie di muffa propagarsi su una parete e percepire la presenza inquietante di una donna deceduta chiamata Polly (Lucy Boynton), protagonista di uno dei romanzi di Iris, il cui spirito sembra ancora dimorare nella casa.
Fin dal momento del suo arrivo Lily anticipa agli spettatori il suo tragico e inevitabile destino: ha ventotto anni ma non vivrà abbastanza per vedere il suo ventinovesimo compleanno.
A metà tra Henry James ed Edgar Allan Poe, il film di Perkins racconta di dolore e solitudine in un mondo sospeso tra la vita e la morte, dove il tempo sembra cristallizzarsi. Non è un film per tutti. Si tratta di un horror gotico, decisamente autoriale, che abbraccia la lentezza come cifra stilistica e richiede pazienza e attenzione da parte dello spettatore. Il ritmo contemplativo può sembrare quasi soporifero per alcuni, ma per chi è disposto ad immergersi nelle sue atmosfere rarefatte e nei silenzi pesanti, Sono la bella creatura che vive in questa casa lascia un’impronta profonda. È un’opera che scava nell’anima, regalando una bellezza sottile e inquietante, capace di risuonare a lungo nella mente e nel cuore di chi sa coglierne la delicatezza e il senso di angoscia che la attraversa.

A Classic Horror Story
di Roberto De Feo, Paolo Strippoli
A Classic Horror Story è un horror folk italiano del 2021 prodotto da Netflix e diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli. E' un titolo che ho visto spesso segnalato sui gruppi social dedicati al cinema dell'orrore e che mi incuriosiva parecchio.
Cinque persone condividono un camper utilizzando il car pooling per recarsi in calabria. Fabrizio, il proprietario del camper, è un appassionato di cinema dell'orrore e documenta il viaggio con il suo smartphone. Insieme a lui troviamo Elisa (Matilda Lutz), il medico Riccardo e una giovane coppia, Mark e Sofia. Durante la notte il veicolo finisce fuori strada andando a sbattere contro un albero. Quando i cinque riprendono i sensi invece della strada che stavano percorrendo si ritrovano isolati in una radura nei pressi di una casa nel bosco dall’aspetto decisamente sinistro. Mark è rimasto ferito ed è costretto a rimanere sul camper così gli altri iniziano a esplorare la zona e addentrandosi nel bosco trovano alcuni fantocci insanguinati con delle teste di maiale mozzate. Dopo essere entrati nella casa all'interno della quale ci sono dei raccapriccianti quadri e singolari oggetti di culto, al calar della notte, il gruppo scopre che degli inquietanti individui con il volto coperto da maschere di legno sono intenzionati a ucciderli.
Partiamo dalle cose buone. Come indica il titolo, A Classic Horror Story (almeno nella prima parte) è un film volutamente citazionista che omaggia il cinema di genere. Potrebbe risultare un calderone ma io nel ritrovare riferimenti a La Casa, Non aprite quella porta, Blair Witch Project, Shining, Quella casa nel bosco e per finire il recente Midsommar, più che uno scopiazzamento c'ho visto un vero e proprio atto d'amore a tutti quei film di paura, che da tempo o anche recentemente, sono entrati a far parte del nostro immaginario. L'elemento originale, che cala il film di De Feo e Strippoli nella nostra cultura, è l'aspetto folcloristico descritto nella leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che ammetto non conoscevo e che ho trovato parecchio affascinante. In breve questi tre fratelli, secondo un racconto popolare tramandato da generazioni in Calabria, sarebbero i fondatori di tutte le mafie. Nati a Toledo, in Spagna, nel 1412, i tre fratelli facevano parte di una società segreta di natura criminale conosciuta come la Garduña. Un giorno i tre uccidono un grande amico del re per vendicarsi dell'oltraggio subito dalla loro sorella minore, così vengono mandati in prigione per trent'anni nel castello di Santa Caterina sull’isola di Favignana in Sicilia. Durante la loro prigionia Osso, Mastrosso e Carcagnosso scrissero codici d’onore, leggi e riti di affiliazione per stabilire le regole di una nuova società. Finita la pena i tre si dividono. Osso si fermò in Sicilia e fondò Cosa Nostra, Mastrosso si trasferì in Calabria creando la ‘Ndragheta e Carcagnosso se ne andò in Campania dove diede vita alla Camorra. Ora, al di là della leggenda popolare che vuole dare alle associazioni mafiose un connotato mitico e simbolico, De Feo e Strippoli utilizzano questi tre cavalieri come una sorta di demoni a cui attraverso un sacrificio umano si compie un rito satanico in cambio di benenessere e prosperità. Funziona, almeno fino a un certo punto.
Altro elemento positivo del film è la scelta di utilizzare delle classiche canzoni italiane, tipo Il Cielo in una stanza di Gino Paoli e sopratutto La Casa di Sergio Endrigo qui impiegata in un maniera così geniale da trasfigurarla in una filastrocca inquietante che mi ha ricordato la cantilena di Profondo Rosso.
Veniamo ora agli aspetti negativi. A un certo punto, prendendo spunto dal già citato Quella Casa nel bosco, la storia vira in un altra direzione raccontandoci che [spoiler on] dietro a tutto ci sia la realizzazione di un film dell'orrore da vendere al dark web (carina l'idea della versione Netflix dedicata agli snuff-movie vista nel finale) [spoiler off]. E' una scelta che ho trovata poco convincente e in questo gioco di scatole cinesi ha fatto emergere qualche buco di sceneggiatura.
L'altro elemento negativo è la recitazione. L'attore che interpreta Fabrizio secondo me non è all'altezza del ruolo che gli è stato assegnato mentre le ragazze, sopratutto nella scena in cui di notte parlano tra di loro, sussurrano, farfugliano, si mangiano le parole. E' un difetto che trovo in numerosi film italiani e che secondo me ne abbassa di molto la qualità collocandolo al pari di una qualunque fiction della RAI. Ma un buon corso di dizione a questi attori italiani la vogliamo fare? Peccato perchè dal punto espressivo Matilda Lutz, sopratutto nel finale, risulta pure brava oltre che bella.
Alla fine, nonostante i suoi punti deboli, ho trovato A Classic Horror Story un buon film, imperfetto ma coraggioso. Sicuramente meglio di tanti film horror americani visti di recente.
A questo punto sono curioso di vedermi The Nest, il film d'esordio di De Feo.

Il Problema dei Tre Corpi
David Benioff, D. B. Weiss e Alexander Woo
Mi sono visto la serie fantascientifica "Il Problema dei Tre Corpi" prodotta da Netflix e firmata da David Benioff e D.B. Weiss (quelli di Game of Thrones). Convinto si trattasse della trasposizione del primo volume della trilogia dello scrittore cinese Cixin Liu, mi ero fermato al terzo episodio per leggermi di tutta fretta il suddetto romanzo. Terminato il libro e proseguendo con la visione degli altri episodi, ho scoperto che la serie di Netflix presenta al suo interno diverse trame anche degli altri due volumi. E va beh.
La storia in breve. Alla fine degli anni sessanta una astrofisica cinese intercetta e risponde a un messaggio di una civiltà aliena. Cinquant'anni più tardi, siamo ai giorni nostri, scopriamo che gli alieni hanno lasciato il loro pianeta - invivibile a causa di un complesso sistema solare - e che tra quattrocento anni giungeranno sulla Terra per invadere il nostro pianeta. Utilizzando la loro evoluta tecnologia, gli alieni, che nella serie vengono chiamati San-Ti, si sono già introdotti sulla Terra, hackerando i sistemi informatici e ostacolando la ricerca scientifica in modo tale che i terrestri, non progredendo, siano indifesi al loro arrivo. Mentre tutte le risorse e le menti scientifiche della Terra preparano una difesa per respingere l'invasione, alcuni terrestri, disillusi dall'umanità, si sono organizzati in una sorta di setta per favorire l'arrivo degli alieni.
A differenza del romanzo di Cixin Liu la serie è ambientata solo all'inizio in Cina sviluppandosi prevalentemente in Inghilterra e negli Stati Uniti. Comprendo questa scelta in quanto, oltre a voler globalizzare la storia, l'esigenza di Netflix, che ha investito parecchi soldi su questa serie, è quella di "vendere" il suo prodotto principalmente sul mercato occidentale. Volendo condivido pure la scelta di internazionalizzare il cast e sostituire il protagonista del libro con un gruppo eterogeneo di scienziati di diverse etnie - peraltro tutti amici tra di loro in modo da creare sottotrame sfruttando le loro interazioni personali. Il problema è che i personaggi risultano parecchio stereotipati e nessuno di loro alla fine mi è sembrato particolarmente riuscito. Il difetto più evidente, almeno secondo me, risiede nel fatto che in questi otto episodi si è messo un pò troppa carne al fuoco, alcuni concetti sono stati molto semplificati, e le vicende si susseguono in modo troppo sbrigativo chiudendosi in fretta e furia. In tutti i modi la serie ha un buon ritmo e tutto risulta abbastanza godibile grazie a una storia avvincente supportata da una produzione ad alto budget visivamente spettacolare. La scena dell'attacco alla "Giorno del Giudizio" per recuperare l'hard disk - resa alla perfezione così come è descritta nel libro - l'ho trovata davvero coinvolgente così come il momento in cui i San-Ti si rivelano all'umanità facendo apparire sugli schermi di tutto il mondo la minacciosa frase "siete insetti" si è rivelata addirittura ancora più efficace che del libro. La storia poi prosegue andando ad accingere ad alcune trame presenti negli altri due volumi della trilogia. Assistiamo dunque alla prima contromossa dei governi della Terra all'invasione aliena con la spedizione di una sonda a propulsione atomica con a bordo il cervello ibernato di uno degli scienziati del cosidetto team di Oxford. L'obiettivo sarebbe quello di intercettare il nemico per recuperare informazioni solo che non ho capito come un cervello umano, una volta finito nelle mani di una entità aliena, possa poi comunicare con la Terra a milioni di km di distanza. L'altra trama che viene lanciata proprio nell'ultimo episodio della serie è quello del progetto degli impenetrabili, ovvero scegliere tre individui che possano formulare e dirigere piani strategici interamente nella loro mente, senza condividerli con nessuno, così da poter sfuggire al controllo dell'"occhio" alieno. Non avendo ancora letto gli altri due libri della trilogia ovviamente ignoro il motivo per cui è stato scelto lo scienziato nero, quello più cinico, come uno degli impenetrabili. La serie si conclude qui, aperta ovviamente a una seconda stagione.
Una cosa è certo, al di là di tutti i difetti, la serie di Netflix ha avuto il merito di farmi conoscere un autore di fantascienza capace di coinvolgermi e appassionarmi con la sua storia.
Ora, tanto per non farmi mancare nulla, ho iniziato a vedere anche la serie cinese (reperibile su Rakuten sottotitolata) che al momento risulta più fedele al libro ma che mi pare sia anche parecchio più dilatata.
Serie TV

La caduta della casa degli Usher
Mike Flanagan
Mike Flanagan è uno degli autori più interessanti nel panorama dell'horror seriale.
Se nelle due stagioni di The Haunting, Flanagan ha preso ispirazione da alcuni classici della lettura gotica, ne la La caduta della casa degli Usher si cimenta addirittura con il maestro del genere, Edgar Allan Poe.
A dispetto del titolo, la serie non si basa solo sul celebre racconto di Poe (anche perchè il racconto che prende il titolo della serie è di poche pagine). Flanagan, che è anche lo sceneggiatore, prende spunto da tutta la produzione dello scrittore statunitense adattando e rivisitando in chiave contemporanea le sue opere in un unica storia colma di citazioni, riferimenti e connessioni che ovviamene possono essere apprezzate solo da chi conosce Poe.
La storia è quella del ricco imprenditore Roderick Usher, di sua sorella Madeline e della sua famiglia, una potente dinastia proprietaria di un azienda farmaceutica che ha fatto la sua fortuna grazie al Licodone, un antidolorifico assai discusso per i suoi gravi effetti collaterali. All'interno di una casa misteriosa e decadente Roderick Usher racconta ad Auguste Dupin, un avvocato che da anni sta cercando di farlo condannare per i suoi crimini, la disgrazia che si è abbattuta sulla sua famiglia, una sorta di maledizione che nell'arco di pochi giorni ha portato alla morte violenta e apparentemente accidentale dei suoi sei figli. In ogni episodio si assiste così alla tragica e cruenta morte di uno degli Usher ispirandosi a un celebre racconto di Edgar Allan Poe.
Fare l'elenco delle numerose citazioni presenti in questa serie avrebbe poco senso. Di certo a Flanagan, oltre la sempre curata regia, va riconosciuto la grande capacità di scrittura nel riadattare l’universo narrativo delle opere di Poe in chiave moderna. Buona la recitazione da parte del circolo di habitué di Flanagan (più o meno gli attori che sceglie nelle sue serie sono sempre gli stessi) a partire dalla camaleontica Carla Gugino fino a Mark Hammil (io sulle prime non l'avevo riconosciuto) che interpreta il mefistofelico avvocato degli Usher.
Ottima serie, sicuramente sopra la media della maggior parte delle serie horror di questi ultimi anni. Tuttavia, paragonandola alle precedenti serie di Flanagan, l'ho trovato un pò meno coinvolgente. L'unico episodio che mi ha suscitato un profondo turbamento è stato il secondo episodio, La maschera della morte rossa, ma è stato un caso isolato. Da lì in avanti, una volta capito il meccanismo, il ripetersi ciclico delle morti non mi ha restituito quella tensione emotiva e quel senso di mistero che avevo riscontrato in Hill House e Bly Manor.
Serie TV
Sto pensando di finirla qui
di Charlie Kaufman
Charlie Kaufman è il visionario sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Essere John Malkovich, e diversi altri film, tutti caratterizzati da un ermetica introspezione psicologica, un forte surrealismo, e dall'uso di simbolismi e metafore che spesso confondono la realtà con l'immaginazione.
In parole povere si potrebbe dire che i suoi film sono parecchio "strani" e non di facile lettura.
Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo dello scrittore canadese Iain Reid, Sto pensando di finirla qui è il terzo film in cui Charlie Kaufman, oltre che sceneggiatore, si cimenta alla regia.
La storia, almeno per come ci viene presentata, è molto semplice.
Lucy (Jessie Buckley) è una brillante ragazza che nonostante i dubbi sulla sua attuale relazione, accetta di incontrare i genitori di Jake (Jesse Plemons), suo fidanzato da poche settimane. Proprio quando inizia a nevicare, i due si mettono in macchina per raggiungere la fattoria della famiglia di Jake. Durante il viaggio, in un paesaggio livido e spettrale, Lucy continua a pensare che deve farla finita con Jack nonostante lo trovi interessante e culturalmente stimolante.
Arrivati a casa dei genitori di Jake (interpretati da Tony Colette e David Thewlis) la situazione si fa parecchio ambigua e paradossale con il tempo e la realtà che sembrano frammentarsi in maniera inquietante e claustrofobica. Quando il senso di disagio raggiunge il limite, Lucy ottiene finalmente di essere riaccompagnata a casa. Durante il viaggio di ritorno, nel corso di una tempesta di neve notturna, i due si fermano prima in una gelateria nel mezzo del nulla e infine nel vecchio liceo di Jake all'interno del quale c'è un vecchio bidello che pulisce malinconicamente le aule vuote. Uno dopo l'altro i due protagonisti entrano nell'istituto e tra scene paradossali, balli onirici e premiazioni surreali finiscono per diventare riflessi dai contorni sbiaditi generati dalla mente di un uomo stanco e deluso dalla vita.
Il film mi è piaciuto molto ma per comprenderlo appieno ammetto di averlo dovuto vedere due volte, anche solo per cogliere tutti quei piccoli dettagli ed elementi disseminati lungo la pellicola.
[Spoiler on] Se per gran parte del film Kaufman ti fa credere che ci troviamo nella testa di Lucy, perché sentiamo il suo flusso di coscienza, in realtà, o meglio, nella fantasia dell’autore, siamo nella mente di Jack, ovvero del triste e malinconico vecchio bidello che, disilluso per non essere riuscito a cogliere tutte le opportunità della vita e segnato dal rapporto conflittuale con i genitori, vive la sua vuota esistenza rimpiangendo un passato mai avvenuto. Lucy - il cui nome, i suoi studi, il suo lavoro così come il luogo in cui si è conosciuto con Jack, mutano in continuazione - è solo un prodotto della sua mente, è la rappresentazione della sua donna ideale, una donna che probabilmente non ha mai conosciuto. Solo il fatto che anche nella sua mente Lucy stia pensando di interrompere la relazione fa comprendere la sua bassa autostima. Ma “Sto pensando di finirla qui” non è solo legato alla fine di un rapporto ma anche e sopratutto legato alla morte, al suicidio. Nell'atto finale la situazione degenera e dopo un susseguirsi di scene allegoriche, Jack si mette a nudo, letteralmente, e prendendo consapevolezza di essere un "maiale divorato dai vermi" decide di lasciarsi morire per ipotermia all'interno del suo furgoncino ricoperto di neve [Spoiler off].
Sto pensando di finirla qui è un viaggio onirico e surreale nel profondo della coscienza del protagonista che si sdoppia creando dei fantasmi che rendono più accettabile la sua esistenza.
Forse estremamente verboso ma sicuramente un ottimo film per chi ama quel particolare genere di cinema che esplora le complessità e le difficoltà della psiche umana. Mi stupisco di come questo film sia stato prodotto da Netflix facendomi ricredere (e questa è la seconda volta) sulla proposta prettamente commerciale di questa piattaforma.

Il mondo dietro di te
di Sam Esmail
Thriller apocalittico prodotto e distribuito da Netflix tra i più visti in questo periodo sulla piattaforma streaming.
Tratto dall’omonimo romanzo di Rumaan Alam, Il mondo dietro di te, il film racconta la storia di due nuclei familiari alle prese con un attacco terroristico/infomatico globale dalle conseguenze devastanti. Da una parte c'è la famiglia Sanford - composta da Amanda (Julia Roberts) e Clay (Ethan Hawke) e dai figli adolescenti Archie e Rose - che decide di trascorrere un lungo weekend a Long Island, in una splendida villetta presa in affitto. Dall'altra ci sono i proprietari della lussuosa casa - G.H. (Mahershala Ali) e sua figlia Ruth (Myha'la) - che si presentano alla porta, dicendo di essere tornati perchè a New York c'è un misterioso blackout e chiedono di poter restare per trascorrere la notte. Tra le due famiglie nascono subite delle diffidenze con la tensione che aumenta quando la rete di comunicazione (internet compreso) cessa di funzionare e tutti i canali televisivi trasmettono un inquietante messaggio di emergenza nazionale. E' l'inizio di una serie di eventi che portano i due nuclei familiari di fronte a un (presunto) attacco informatico che fa sprofondare il paese nel caos.
Il film trasmette una bella tensione per gran parte della sua durata (la musica potente e dissonante fa la sua parte) attenuandosi solo nel finale - nella scena con protagonista la ragazzina che si lamenta per tutto il film di non poter vedere l'ultima puntata di Friends - dove l'ansia viene sostituita da un ironica malinconia. Il film di Netflix, oltre a ricordare alcune pellicole di Shyamalan, mi ha fatto venire in mente Bird Box - un altro film prodotto da Netflix con protagonista la Bullock - non tanto per il tema quanto per l'angoscia nel fuggire da un nemico invisibile, appena accennato. Il regista Sam Esmail, il creatore della serie tv Mr. Robot, insieme agli Obama (sì, proprio l'ex presidente degli Stati Uniti e consorte che pare abbiano collaborato alla sceneggiatura) più che spiegare gli eventi e quello che sta accadendo cercano di coinvolgere lo spettatore trasmettendogli l'angoscia dei protagonisti e focalizzandosi sull'ansia tecnologica, ovvero la paura di non essere in grado di cavarsela da soli senza internet e il gps, oppure senza le distrazione e l'evasione dello streaming. Monito più che evidente al fatto che l'umanita si sta atrofizzando il cervello per aver delegato alla tecnologia gran parte dei suoi compiti.
Molte le scene interessanti, dalla petroliera che si arena silenziosa sulla spiaggia affollata, alle Tesla senza controllo che ha suscitato le critiche di Elon Musk, fino all’enigmatica sequenza dei cervi.
Il mondo dietro di te è un film ambiguo ma anche molto diretto. E' un film apocalittico che tocca temi complottisti, fakenews e cospirazioni e che inevitabilmente lascia in sospeso tante domande. Una fra tutte: ma se il nemico da cui difendersi fosse l'america stessa? Di fronte a una verita scomoda da accettare forse è meglio nascondersi dietro una sit-com.
Film
The Haunting of Bly Manor
Mike Flanagan
The Haunting of Bly Manor è la seconda stagione della serie antologica "The Haunting", e può essere vista tranquillamente senza aver visto la prima stagione avendo trama, ambientazione e personaggi diversi. Ad accomunare le due stagioni ci sono gli attori e ovviamente il tema della "casa infestata".
The Haunting of Bly Manor è del 2020 ed è stata ideata da Mike Flanagan che però, a differenza di "Hill House" si presta alla regia solo nel primo episodio.
La storia è liberamente tratta dal famoso romanzo gotico Giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James e vede come protagonista una ragazza americana, Dani Clayton (Victoria Pedretti), trasferitasi da poco in Inghilterra per lasciarsi alle spalle un passato doloroso, che accetta di fare da educatrice e due bambini, Flora e Miles, rimasti orfani di entrambi i genitori. I due bambini dimorano nella magione di Bly, una grande casa in campagna, insieme alla governante Hannah Grose (T’Nia Miller), il cuoco Owen (Rahul Kohli) e la giardiniera Jamie (Amalia Eve). Fin da subito scopriamo che i due bambini nascondono qualcosa di inquietante e che la villa ospita i fantasmi del passato.
Rispetto a The Haunting of Hill House questa serie risulta sicuramente meno paurosa e "orrorifica". Si, è vero, c'è la Donna del Lago, il raccapriccante fantasma senza volto che di notte si aggira per le stanze del maniero (la cui origine ci viene raccontata nell'ottava puntata), ma il tratto distintivo di Bly Manor è il fatto di essere una serie più intima e romantica, potremmo definirla una storia d'amore (lo dice anche una delle protagoniste) in cui aleggia la falce della morte. Ottimi dialoghi, prova attoriale e profondità dei personaggi, anche se dal punto strettamente tecnico e qualitativo (regia, montaggio, fotografia) gli ho preferito Hill House. Il finale di Bly Manor invece mi ha innegabilmente coinvolto ed emozionato maggiormente. In tutti i modi si tratta di due ottime serie in cui Flanagan prendendo come spunto i grandi classici delle letteratura gotica dimostra la sua grande capacità di maneggiare l'orrore in tutta la sua affascinante potenza evocativa. E ora lo voglio vedere alle prese con Edgar Allan Poe!
Serie TV
The Haunting of Hill House
Mike Flanagan
The Haunting of Hill House è una serie horror scritta e diretta da Mike Flanagan, prodotta e distribuita da Netflix nel 2018, e liberamente tratta dal romanzo di Shirley Jackson, L’incubo di Hill House del 1959 (in Italia noto anche come La casa degli invasati).
Ho recuperato questa serie solo di recente dopo aver letto i buoni commenti che circolavano in rete.
La storia è incentrata sui coniugi Hugh e Olivia Crain e i suoi cinque figli, Steven, Shirley, Theodora, Luke e Nell. Nell’estate del 1992 la famiglia Crain si trasferisce a Hill House con l'intenzione di ristrutturare l'mmensa villa gotica per poi venderla e farne un investimento. La casa però fin da subito appare infestata da presenze inquietanti, con Olivia e i figli più ricettivi che subiscono delle esperienze paranormali. Durante una notte la situazione degenera, Olivia si suicida in circostanze misteriose e Hugh scappa dalla casa portandosi dietro i suoi figli terrorizzati.
Trent'anni dopo ritroviamo i figli, ormai cresciuti, che si portano dietro, ognuno a suo modo, il trauma subito e l'elaborazione di un lutto rimasto incompreso. Steven, il fratello più grande, ha scritto un libro di successo su quanto accaduto a Hill House, la rigida Shirley gestisce insieme al marito un'impresa di onoranze funebri, Theo è una psicologa pediatrica che ha delle capacità psicometriche, Luke è un tossicodipendente squattrinato che ha trovato nell’eroina la sua unica via d’uscita, e infine Nell è una ragazza fragile e depressa che soffre di paralisi nel sonno, ossessionata da un lugubre spettro con il collo rotto, che fin da bambina chiama la donna dal collo storto. Quando uno dei fratelli Crain si suicida, il resto della famiglia si riunisce per commemorare la perdita e affrontare finalmente la verità su quanto accaduto a Hill House.
I primi episodi sono dedicati all'esplorazione delle personalità dei Crain e del loro rapporto con la casa alternandosi tra presente e passato. I singoli eventi si ripetono cambiando solo il punto di vista del protagonista mentre ci vengono mostrati i tasselli di un puzzle ancora poco definito. La serie ci mette un pò a carburare ma dal quinto episodio, forse uno dei più belli insieme al successivo, abbiamo la svolta con un finale davvero sconvolgente. Il sesto episodio, quello in cui dopo tanti anni si riunisce la famiglia Crain, è caratterizzato da una serie di lunghi piani sequenza che lo rendono uno degli episodi tecnicamente più complessi da realizzare tanto che inizialmente ho pensato, sbagliando, ci fosse il supporto della cgi (qui il dietro le quinte dell'episodio 6). Forse solo l'ultimo episodio, quello che conclude la serie e che ci mostra cosa è accaduto dentro la stanza dalla porta rossa, l'ho trovato un pochino deludente per quel lieto fine troppo forzato. Non è abbastanza per rovinare una delle serie horror più interessanti ed eleganti degli ultimi anni, non perfetta perchè in alcuni punti secondo me si dilunga troppo, ma senz'altro coinvolgente e inquitante realizzata in maniera impeccabile.
The Haunting of Hill House si conclude ma c'è una seconda stagione chiamata The Haunting of Bly Manor, sempre realizzata da Mike Flanagan ma con altri interpetri e con un altra storia (una sorta di secondo capitolo di un'antologia dell'orrore) che ovviamente mi preparo a vedere.
Serie TV
Pelle
di Eduardo Casanova
Opera prima del regista spagnolo Eduardo Casanova, Pelle (distribuito da Netflix e uscito nel 2017) è un film disturbante confezionato a mo' di caramella.
La storia ruota intorno a una serie di personaggi con delle evidenti malformazioni fisiche o dei problemi di accettazione del loro corpo. Abbiamo una ragazza senza occhi costretta a prostituirsi in un bordello che indossa con i suoi clienti due diamanti al posto degli occhi, una nana al terzo mese di gravidanza stanca di indossare il costume da orsacchiotto rosa nel programma televisivo in cui lavora, una donna con un occhio e con la bocca deformata che ha una relazione con un uomo che ha una perversione sessuale per le malformazioni, un ragazzo affetto da somatoparafrenia che vuole amputarsi gli arti per diventare una sirena, e infine una ragazza nata con il buco del culo al posto della bocca che viene bullizzata dai suoi coetanei. E' quest'ultima, come prevedibile, il personaggio più disturbante.
Pelle è una sorta di Freaks degli anni duemila dove a differenza dei fenomeni da baraccone di Tod Browning relegati in un circo degli orrori, i personaggi di Casanova vorrebbero vivere delle vite normali, vivere come chiunque e avere una vita sociale, in un mondo in cui si celebra la bellezza e la superficialità sui social network, e dove i modelli culturali da seguire sono gli influencer e i social bloggers.
In questo quadro, in cui la fragilità, la diversità e la conseguente emarginazione dei protagonisti vengono messi a nudo, si contrappone una regia e una scenografia alla Wes Anderson, costituita da colori pastello che si alternano tra il rosa, il viola e il lilla, che non fa altro che marcare quell angosciante disagio e tragica ambiguità che caratterizza questo film.
Non mi è ben chiaro se questo spot estetico e feticista sia solo una provocazione fine a se stessa, rimane senz'altro un film insolito, stravagante e ben confezionato che spicca in mezzo ai film e ai contenuti generalisti proposti da Netflix.
Film
Midnight Mass
Mike Flanagan
Midnight Mass è una serie horror creata e diretta da Mike Flanagan uscita su Netflix un paio di anni fa. Ne avevo sentito parlare bene, quindi, approfittando di una momentanea tregua dell'afa estiva, mi sono visto i sette episodi che compongono la serie.
La trama di Midnight Mass ruota attorno a una desolata isola di pescatori popolata da poco più di 100 persone la cui economia locale, a causa di un disastro ecologico di qualche anno prima, ha subito un notevole rallentamento. La vita monotona e disincantata della comunità, viene stravolta dall'arrivo di un giovane sacedote di nome Paul Hill (interpretato da Hamish Linklater) chiamato a sostituire l’anziano monsignor Pruitt, partito in pellegrinaggio per la Terra Santa. Insieme a lui, torna sull'isola anche Riley (Zach Gilford) dopo quattro anni trascorsi in prigione a causa di un omicidio stradale commesso in stato di ebbrezza. L’arrivo del nuovo sacerdote segna l'inizio di una serie di inspiegabili eventi e guarigioni miracolose che porta l'intera comunità ad abbracciare un nuovo fervore religioso che si trasforma presto in fanatismo. Intanto nell'ombra una presenza oscura e misteriosa si aggira sull'isola.
La serie, sopratutto nei primi episodi, si distingue per il suo ritmo lento e contemplativo. I dialoghi sono numerosi, lunghi, ma anche intensi e ricchi di significato. Attraverso la lente del soprannaturale e dell'horror, la serie, oltre a portare alla luce l'oscurità che può emergere quando la fede si scontra con l'estremismo, affronta il tema della morte, invitando a una profonda contemplazione sulla fede, la redenzione e la natura umana. Nel finale si perde un pò ma tralasciando dei monologhi di troppo e un paio di cadute stilistiche (per esempio la "creatura" in chiesa con l'abito talare) nel complesso l'ho trovata abbastanza interessante.
Serie TV
Paradise
di Boris Kunz
Film distopico tedesco prodotto da Netflix.
In un futuro non troppo lontano, una megacorporazione chiamata AEON ha sviluppato una rivoluzionaria tecnologia che permette di trasferire gli anni di vita da una persona a un altra. A beneficiarne sono ovviamente i ricchi che, pagando, possono acquistare anni di giovinezza dai poveri e dai più deboli.
Protagonisti di Paradise sono Elena e Max, una giovane coppia che vive in un appartamento di lusso di loro proprietà. Max è impiegato alla AEON e i due hanno una vita quasi perfetta. Quando inaspettatamente la loro casa va in fiamme, Max scopre che la polizza assicurativa non solo non copre i danni, ma che, a causa di un precedente accordo, Elena è costretta a "versare" quarant'anni della propria vita per saldare il debito. Nel momento che la procedura viene applicata, Max decide di recuperare gli anni perduti della sua amata, rintracciando il donatore e spingendosi oltre ai propri limiti morali. La storia dei due si intreccia a quella di un movimento ribelle che lotta contro la AEON accusata di aver aumentato il divario tra le varie fasce della popolazione.
Tra il distopico e il thriller psicologico, Paradise - a metà tra In Time e un episodio di Black Mirror - ha una forte idea di base sociale e ideologica. Una metafora amara in cui una umanità decadente votata all'egoismo pur di raggiungere il mito del'eterna giovinezza è disposta a perdere ogni morale prevaricando sul più debole. Peccato che la storia si sviluppi in maniera prevedibile e che nella seconda parte, quando diventa un banale action movie, abbia dei vistosi cali di tensione. Carino ma dimenticabile.
Film
Black Mirror (stagione 6)
Charlie Brooker
Siamo alla sesta stagione di Black Mirror e come e successo per le precedenti - in pratica da quando è approdata su Netflix acquisendo notorietà - anche questa stagione l'ho trovata deludente. Il punto è che, a parte il primo e il terzo episodio, le storie non hanno nulla a che fare con Black Mirror, ovvero quella serie innovativa di qualche anno fa che ci mostrava l’angosciante e distopico futuro derivato dall’evoluzione tecnologica.
Dei cinque episodi forse si salvano Joan is awful, in cui una donna accettando le condizioni della piattaforma streaming Streamberry - chiaro riferimento alla stessa Netflix - si ritrova suo malgrado protagonista di una serie televisiva che ricalca la sua vita ma con le sembianze di Salma Hayek generata dall’AI, e Beyond the Sea che racconta di due astronauti che trasferiscono la loro coscienza su due robot che vivono sulla Terra con la famiglia di ognuno per sfuggire alla solitudine (mi chiedo perché non ci hanno messo direttamente i robot sull’astronave ma vabbè). Quando una delle due famiglie subisce un massacro in stile Charles Manson, l’astronauta propone all’astronauta che ha perso la famiglia di “indossare” il robot dell’altro ma facendo questo gesto altruista provoca delle terribili conseguenze. Per il resto Loch Henry è un thriller caruccio, Mazey Day è un semplice horror come tanti, e Demon 79 è simpatico e grottesco ma dimenticabile - che sia il pilot di Red Mirror? Fatto sta che in nessuno dei tre c’è un qualche minimo accenno alla tecnologia quindi mancando il comune denominatore potrebbero tranquillamente essere episodi di qualunque altra serie.
Charlie, è inutile spingerci oltre, esaurito le idee sarebbe meglio fare qualcos’altro, senza il supporto del nome che ti ha reso famoso.

Arcane
Serie animata prodotta da Netflix nel 2021 ispirata al videogioco online League of Legends.
Non conosco il videogioco - in realtà, a parte rari casi, non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi - ma questo non mi ha impedito ad appassionarmi a questa serie animata e ai suoi personaggi. Diciamo che l'aspetto visivo e la tecnica di animazione sono il valore aggiunto che fa sì che la serie possa essere apprezzata anche da un pubblico più ampio.
Arcane si svolge in un mondo fantasy con elementi steampunk. Abbiamo due città, Piltover e Zaun. La prima è una città votata alla scienza, all'innovazione e al commercio, mentre la seconda è una città degradata, povera e malfamata. In quest'ultima vivono due sorelle orfane, Vi, dai capelli rossi e Powder, dai capelli blu, che cercano di sopravvivere compiendo furti con la loro banda. Parallelamente a Zaun un giovane scienziato chiamato Jayce Talis, insieme al suo amico fidato Viktor, sta cercando di utilizzare una tecnologia proibita che fa uso di magia per poter rendere il mondo migliore. Le strade di questi personaggi, e di molti altri, si incontreranno tra intrighi, vendette, colpi di scena e l’eterna lotta per il potere.
La serie dal punto di vista narrativo è fluida, ha il giusto ritmo, una buona sceneggiatura e i personaggi appaiono credibili ed espressivi, non solo i protagonisti ma anche quelli secondari. Parlando invece dell'estetica credo che i tipi della Riot Games coaiuvati dallo studio di animazione francese Fortiche Production, abbiano raggiunto un risultato davvero incredibile. Visivamente è qualcosa di fenomenale, le ambientazioni e i fondali sono spettacolari e dettagliati. Un connubio perfetto tra animazione classica e CGI che conferisce alla serie un suo stile particolare a tratti pittorico. Difficile trovare un prodotto destinato alla televisione con una animazione del genere (non può essere paragonato a Spider-Man: Un nuovo Universo, ovviamente, ma, se lo rapportiamo al fatto che questo è un prodotto per il piccolo schermo, il metro di paragone è quello).
La prima stagione di Arcane è composta da nove episodi divisi in tre atti.
Aspettando la seconda stagione (dovrebbe essere in lavorazione) al momento per me è la migliore serie animata degli ultimi anni.

Sandman
Neil Gaiman
Aspettavo da anni questa serie. Il Sandman di Neil Gaiman è uno dei miei fumetti preferiti di sempre, probabilmente il fumetto della mia post adolescenza a cui sono più legato. Ancora oggi conservo gelosamente nella mia libreria, e in bella vista, i volumi che compongono la serie, anche in varie edizioni.
Fatta questa premessa, avevo una notevole aspettativa e il timore di andare a sbattere in una cocente delusione era dietro l'angolo.
Veloce introduzione per chi non conoscesse Sandman. Pubblicato negli Stati Uniti tra il 1989 e il 1996 per l'etichetta Vertigo della Dc Comics, Sandman è composto da 75 albi raccolti in una decina di volumi. Neil Gaiman, lo scrittore inglese a cui viene dato il compito di reinventare un vecchio personaggio della DC, da vita a Morpheus, il Signore dei Sogni, un personaggio affascinante e complesso che fa parte della famiglia degli Eterni, la personificazione antropomorfizzata delle forze che muovono l'universo. Sandman è un’opera complessa che mescola storia e mitologia, un punto di svolta nella storia del fumetto, vincitrice di numerosi premi e capace di catturare l’attenzione anche di coloro che abitualmente leggono solo romanzi letterari.
A distanza di trent'anni dalla sua prima sceneggiatura, Neil Gaiman torna a lavorare sulla sua opera, adattando la storia in una serie televisiva prodotta e distribuita da Netflix e composta da dieci episodi "regolari" più uno bonus. La prima stagione si concentra sulla storia narrata nei primi due volumi, Preludi e notturni e Casa di bambola, mentre l'episodio bonus rilasciato due settimane dopo è l'adattamento di due racconti brevi, Il sogno di mille gatti e Calliope.
Adattare un opera del genere, così sedimentata nell'immaginario di coloro che ci sono cresciuti, è davvero difficile. Partiamo dai personaggi e togliamoci subito il dente dolente.
Morfeo (Dream), intepretato da Tom Sturridge, è abbastanza fedele al personaggio (nei disegni è un incrocio tra Robert Smith, Peter Murphy e lo stesso Gaiman). Sturridge ha una faccia un pò paffutella ma ha una buona presenza scenica. Passando agli altri personaggi, mentre trovo appropriata la sostituzione di Lucien con una ragazza di colore (Vivienne Acheampong), va bene che Constantine sia diventata una donna, così come ho apprezzato la brava Gwendoline Christie che interpreta Lucifero (nei disegni era ispirato a David Bowie), nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà faccio davverò difficoltà ad accettare il blackwashing di Death . Nei fumetti la sorella di Dream è una ragazza "dark" dalla pelle diafana e dai capelli corvino che negli anni è diventata una vera e propria icona del movimento e della cultura "goth". Stravolgere visivamente questo personaggio affidandolo all'intepretazione dell’attrice nera Kirby Howell-Baptise mi pare una scelta compiuta solo in nome del politically-correct ad ogni costo tanto in voga negli ultimi anni. Non si tratta di razzismo, sarei rimasto infastidito anche se l'attrice fosse stata bionda e con gli occhi azzurri. Solo che stravolgere un personaggio così iconico in nome di questa insistente inclusione io l'ho trovato una forzatura idiota e parecchio ipocrita. Mi dispiace Gaiman, questa scelta non riesco proprio a mandarla giù.
Tralasciando la nota stonata e passando alla trasposizione del fumetto devo ammettere che complessivamente il risultato e la resa di questa prima stagione è ottima. La serie risulta parecchio fedele al fumetto, in particolarmodo nei dialoghi, e le parti alterate sono più che giustificate dal fatto che alcune situazioni richiedevano un aggiornamento e il prodotto necessariamente doveva essere fruibile a un pubblico che non ha mai letto l'opera di Gaiman. Sono dei cambiamenti che però non stravolgono o snaturano la fedeltà del fumetto ma lo rendono solo più attuale.
In questa prima stagione la prima metà è dedicata al ritorno di Sogno nel suo reame e al ritrovamento dei suoi amuleti, mentre nella seconda parte c'è la storia di Rose Walker e il vortice. In entrambi il Corinzio determina la trama orizzontale. Tra la prima e la seconda parte c'è il bellissimo episodio "The Sound of Her Wings" (che bello che anche i titoli corrispondono alle storie del fumetto) in cui un Morfeo disilluso trascorre una giornata con sua sorella Morte. Tra gli altri episodi metto in evidenza quello in cui Morfeo va all'Inferno per sfidare Lucifero e il disturbante "24 Hours".
In conclusione la serie è ottima ma per quanto fedele non raggiunge la bellezza del fumetto, trattandosi di un capolovoro inarrivabile. E per quanto mi riguarda è pure giusto che sia così.
Aspetto la seconda stagione.

Annihilation
di Alex Garland
Annihilation (Annientamento) del 2018 è il secondo film scritto e diretto da Alex Garland dopo l'ottimo Ex Machina.
Ispirato dall'omonimo romanzo scritto da Jeff VanderMeer, Annihilation è stato distribuito in Italia direttamente su Netflix.
La storia vede come protagonista Lana, una biologa ed ex-militare (interpretata da Natalie Portman) che si unisce a una spedizione scientifica composta da sole donne per scoprire cosa è successo al marito tornato in uno stato comatoso, nonché unico sopravvissuto, da una missione in una zona della Florida denominata Area X. La flora e la fauna di questa zona ha subito una radicale mutazione dopo essere stata colpita da un meteorite e ora questo micro mondo che imita la vita terrestre ma con delle regole tutte sue, si sta espandendo provocando le preoccupazioni del governo americano.
Annihilation è un ottimo film di fantascienza, ma è una fantascienza adulta, intellettuale, volendo potremmo definirla filosofica che presenta numerose allegorie e diverse interpretazioni. Alcune sequenze si avvicinano all'horror fantascientifico alla Alien riportandoci alla mente i disturbanti lavori di H.R. Giger. Il finale è volutamente ambiguo lasciandoti con più domande che risposte. D'altronde, se è assai diffficile che un film possa darci delle risposte sul mistero della vita, il solo porre questa domanda lo rende alquanto affascinante.
Film
Archive 81
Serie thriller/horror prodotta da Netflix tratta da un podcast di grande successo negli Stati Uniti.
Dan, un ragazzo di New York specializzato nel recuperare vecchi nastri magnetici, viene contattato da una misteriosa azienda che gli offre un bel po' di soldi per restaurare una serie di videocassette, l'unico obbligo è quello che dovrà svolgere il suo lavoro in una villa isolata nei boschi. I nastri contengono la ricerca di un’antropologa, Melody, che nei primi anni ’90 stava realizzando un documentario, tramite videocamera, sulla storia di un condominio, conosciuto come Visser, al centro di alcune inquietanti leggende urbane. L'incarico è economicamente allettante e il ragazzo accetta ma, poco dopo essersi trasferito nella villa e aver visionato le cassette iniziano ad accadere degli strani e inquietanti eventi.
La serie è composta da otto episodi, riuscendo fin da subito a catturare l'attenzione dello spettatore chiamato, insieme ai due protagonisti, a investigare e mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. E' una "storia nella storia" - ha molti riferimenti al ciclo di Chtulhu di Lovecraft, tracce di Rosemary Baby e al found footage alla The Ring - in cui assistiamo alla anomala "fusione" delle due vicende (quella di Dan nella villa e quella di Melody nel palazzo dell'East Village) nonostante queste siano collocate in periodi e luoghi diversi. Putroppo quando gran parte dei pezzi del puzzle vengono collocati al posto giusto e si ha un quadro completo, tutta la tensione svanisce e la serie, con il suo rassicurante spiegone, finisce per perdere mordente e non lasciare nulla.
Nonostate il finale aperto che ha lasciato il solito cliffhanger, la serie è stata cancellata e quindi non è prevista una seconda stagione.
Serie TV
Il buco
di Galder Gaztelu-Urrutia
L'horror e la fantascienza sono da sempre i miei generi preferiti e fortunatamente - in mezzo ai soliti film di supereroi ed effetti speciali che puntano più alla spettacolarità e all'intrattenimento - ogni tanto esce un film in grado di suscitare emozioni forti e inquietanti.
E' il caso del Buco, film dello spagnolo ed esordiente Galder Gaztelu-Urrutia che, dopo essere stato presentato in vari festival di genere accaparrandosi alcuni premi, approda su Netflix.
E' un film distopico, ansiogeno e claustrofobico che come tipologia potremmo accomunare a The Cube e sopratutto Snowpiercer in quanto in entrambi assistiamo a una sorta di esperimento sociale in cui i protagonisti sono rinchiusi in una struttura a livelli all'interno di uno spazio limitato.
Ci troviamo in una prigione a torre, strutturata verticalmente a livelli, centinaia di livelli. In ogni piano ci sono due prigionieri. Una volta al giorno una piattaforma scende di livello in livello attraverso un buco nel soffitto e nel pavimento di ogni cella portando il cibo ai prigionieri. Il cibo messo nella piattaforma sarebbe sufficiente per nutrire tutti i detenuti della torre ma quelli dei livelli superiori ne prendono di più, lasciandone ingiustamente di meno per quelli che sono sotto di loro. I disperati dei livelli inferiori sono così destinati a ricevere gli avanzi se non addirittura a morire di fame.
Nonostante ogni mese i detenuti vengano spostati di piano in maniera randomica - quindi i fortunati che si trovano ai piani superiori potrebbero ritrovarsi il mese successivo ai piani inferiori, e viceversa - non esiste collaborazione tra i prigionieri e l'avidità e l'egoismo domina tra di loro.
La metafora è tanto semplice quanto efficace e punta il dito contro la disuguaglianza sociale del sistema capitalista mostrandondoci tutta la brutalità dell’essere umano che non si pone limiti nel prevaricare l'altro per la propria sopravvivenza.
In alcune scene il regista ci va giù pesante non avendo paura di mostrare scene forti con l'intento di provocare il disgusto nello spettatore.
Il film funziona, gli attori sono bravi, ha una buona fotografia e ha la giusta tensione per tutta la sua durata. Peccato per il finale che risulta ambiguo e che lo colloca un gradino dietro a Snowpiercer (il film) che invece ha un finale più convincente