
Il buco - Capitolo 2
di Galder Gaztelu-Urrutia
A cinque anni dal film "Il Buco", film spagnolo comparso nel catalogo Netflix che ha riscosso parecchio successo tra gli appassionati del genere fanta-horror distopico, torna sulla stessa piattaforma un secondo capitolo, un prequel diretto nuovamente da Galder Gaztelu-Urrutia.
Ambientato un anno prima rispetto agli eventi del primo film, questo capitolo ci riporta nel mondo della spaventosa prigione verticale composta da 333 livelli, dove una piattaforma distribuisce quotidianamente il cibo, fermandosi per pochi minuti su ogni livello. I detenuti, collocati in coppia su ogni piano, vengono ricollocati casualmente ogni mese, e devono attenersi alla regola di prendere solo ciò che serve, lasciando agli altri la possibilità di sopravvivere. Contrariamente a quanto abbiamo visto nel primo film, nella fossa un gruppo di persone che si fanno chiamare gli "Unti" cercano di far rispettare le leggi imponendo con autorità e severe punizioni che il cibo venga distribuito equamente. In contrapposizione a loro ci sono "i barbari", ovvero ribelli che rifiutano qualsiasi imposizione e vogliono mangiare liberamente, alimentando lo scontro ideologico all’interno della fossa.
La protagonista questa volta è una donna, interpretata da Milena Smit, un artista e affermata scultrice che si è fatta rinchidere nella fossa per espiare una tragedia di cui si sente responsabile. Accanto a lei, almeno nelle prime battute, troviamo un matematico disturbato e ossessionato dal fuoco, interpretato da Hovik Keuchkerian.
L’idea di base è intrigante e funziona, richiamando l'atmosfera della trilogia di The Cube, con cui condivide diverse analogie. Tuttavia, rispetto al primo film, in questo prequel l'effetto novità si affievolisce. L’introduzione di una struttura politica e una sorta di ideologia socialista, spinta quasi al fanatismo religioso, aggiunge un nuovo tema nella narrazione, ma alla fine non riesce a sorprendere del tutto. Mancano spiegazioni chiare, e il finale, come nel primo capitolo, lascia spazio a troppe interpretazioni personali.
Particolarmente suggestiva è la scena dei bambini che giocano in un parco dall'architettura brutalista, simbolo di un futuro distopico dove le nuove generazioni potrebbero non godere più dei semplici privilegi come giocare all’aria aperta. Una metafora potente che chiude con un amaro riflesso sulla società e il destino che ci attende.
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