
Pazzia
JiokE
Pazzia, graphic novel d’esordio di Giovanni dell’Oro, in arte Jioke, contiene una decina di racconti brevi tutti riconducibili al genere horror. I protagonisti però non sono mostri o creature demoniache, nulla di tutto questo, l'orrore si manifesta nella follia e nella crudeltà dell'essere umano che compie efferrati atti di violenza riversando sui più deboli, anche e sopratutto sui bambini, la propria pazzia e frustrazione senza un apparente motivo. L'orrore sta proprio nella cruda realtà di queste scheggie impazzite, la cui follia, se non è provocata da qualche fungo allucinogeno, si trova nella debolezza e nell'oscuro abisso dell'animo umano.
E' una graphic novel profondamente disturbante che pagina dopo pagina ti trasmette un angoscia in un crescendo che trova il suo acuto in "30 giorni in paradiso", il racconto più lungo che conclude il volume.
Sicuramente non è una lettura facile da affrontare. In queste brevi storie non c'è alcun appiglio, nessuna consolazione. Il fatto che spesso le vittime siano bambini, uccisi da ragazzi poco più grandi di loro, dalla stessa 'morte' (un possibile omaggio alla Death di Gaiman?) oppure dai propri genitori (la cruda realtà che spesso si legge nelle pagine della cronaca nera), rende chiaro quanto questa lettura sia disturbante ed emotivamente pesante.
Per quanto riguarda l'aspetto visivo, i disegni di JiokE sono davvero intriganti e di grande impatto. È uno stile che sento molto vicino al mio e che, per certi versi, si avvicina ai disegni che facevo in passato. I personaggi sono rappresentati come manichini, con uno stile 'infantile' dalle spiccate influenze nipponiche, dove le figure e le forme sono riempite da un fitto ed elaborato tratteggio.
Pubblicato nel 2020 da Edizioni BD, "Pazzia" di JiokE è un piccolo gioiello privo di luce, nero come la disperazione. Tenere lontano dalla portata dei bambini.
Fumetti
Gretel e Hansel
di Oz Perkins
Gretel e Hansel è un film del 2020 diretto da Oz Perkins (regista di February - L'innocenza del male e Sono la bella creatura che vive in questa casa). Come suggerisce il titolo si tratta di un adattamento in chiave horror della favola dei fratelli Grimm.
Ambientato in un imprecisato medioevo, la storia vede come protagonista la giovane adolescente Gretel (interpretata da Sophia Lillis) che, insieme al suo fratellino Hansel (Samuel Leakey), si ritrovano da soli nella foresta dopo essere stati cacciati di casa dalla madre, una povera vedova depressa e mentalmente instabile. Mentre vagano, affamati e spaventati, i due fratelli trovano nel bosco una misteriosa casa abitata da una donna anziana (Alice Krige). La donna accoglie i due ragazzi facendoli accomodare in una tavola imbandita di ogni prelibatezza. Hansel crede di aver trovato un rifugio sicuro ma Gretel sospetta che ci sia qualcosa di sinistro dietro la generosità della donna. Esplorando la casa, la ragazza scopre indizi inquietanti che la portano a pensare che l'anziana donna potrebbe essere una strega con intenzioni malvagie.
Il fatto che l'ordine dei nomi dei due fratelli siano invertiti rispetto alla fiaba originale non è un caso. Nel film di Perkins, la protagonista è Gretel, una giovane donna che intraprende un percorso di iniziazione al termine del quale, rompendo il legame con il fratello minore, la figura maschile, e sostituendosi alla malvagia strega, acquisce la consapevolezza della propria indipendenza e del suo potere come donna libera. Per il resto la storia ricalca abbastanza fedelmente la favola dei fratelli Grimm aggiugendo delle note fantasy che a mio parere potevano essere tranquillamente evitate.
Il punto di forza di questo film è senza dubbio la parte visiva. La fotografia e la scenografia, con un uso magistrale di luci e ombre e giochi di contrasto tra colori cupi e brillanti, contribuiscono a creare un ambiente inquietante e affascinante, sia all'interno della spigolosa casa della strega che nelle scene girate tra gli alberi sinistri del bosco. Perkins sceglie il formato 4:3 per questa fiaba gotica generando un piccolo quadro in movimento per ogni inquadratura. Un estetica visiva che ricorda molto il "The Witch" di Eggers ma che dal punto di vista narrativo contiene alcune debolezze che lo allontanano qualitativamente dal capolavoro folk-horror appena citato.
Rimane un ottimo film dal punto di vista stilistico e la più riuscita trasposizione cinematografica della favola dei fratelli Grimm (una delle mie favole preferite insieme alla Regina delle Nevi).
Interessante quanto azzardata la colonna sonora elettronica.

Sto pensando di finirla qui
di Charlie Kaufman
Charlie Kaufman è il visionario sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Essere John Malkovich, e diversi altri film, tutti caratterizzati da un ermetica introspezione psicologica, un forte surrealismo, e dall'uso di simbolismi e metafore che spesso confondono la realtà con l'immaginazione.
In parole povere si potrebbe dire che i suoi film sono parecchio "strani" e non di facile lettura.
Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo dello scrittore canadese Iain Reid, Sto pensando di finirla qui è il terzo film in cui Charlie Kaufman, oltre che sceneggiatore, si cimenta alla regia.
La storia, almeno per come ci viene presentata, è molto semplice.
Lucy (Jessie Buckley) è una brillante ragazza che nonostante i dubbi sulla sua attuale relazione, accetta di incontrare i genitori di Jake (Jesse Plemons), suo fidanzato da poche settimane. Proprio quando inizia a nevicare, i due si mettono in macchina per raggiungere la fattoria della famiglia di Jake. Durante il viaggio, in un paesaggio livido e spettrale, Lucy continua a pensare che deve farla finita con Jack nonostante lo trovi interessante e culturalmente stimolante.
Arrivati a casa dei genitori di Jake (interpretati da Tony Colette e David Thewlis) la situazione si fa parecchio ambigua e paradossale con il tempo e la realtà che sembrano frammentarsi in maniera inquietante e claustrofobica. Quando il senso di disagio raggiunge il limite, Lucy ottiene finalmente di essere riaccompagnata a casa. Durante il viaggio di ritorno, nel corso di una tempesta di neve notturna, i due si fermano prima in una gelateria nel mezzo del nulla e infine nel vecchio liceo di Jake all'interno del quale c'è un vecchio bidello che pulisce malinconicamente le aule vuote. Uno dopo l'altro i due protagonisti entrano nell'istituto e tra scene paradossali, balli onirici e premiazioni surreali finiscono per diventare riflessi dai contorni sbiaditi generati dalla mente di un uomo stanco e deluso dalla vita.
Il film mi è piaciuto molto ma per comprenderlo appieno ammetto di averlo dovuto vedere due volte, anche solo per cogliere tutti quei piccoli dettagli ed elementi disseminati lungo la pellicola.
[Spoiler on] Se per gran parte del film Kaufman ti fa credere che ci troviamo nella testa di Lucy, perché sentiamo il suo flusso di coscienza, in realtà, o meglio, nella fantasia dell’autore, siamo nella mente di Jack, ovvero del triste e malinconico vecchio bidello che, disilluso per non essere riuscito a cogliere tutte le opportunità della vita e segnato dal rapporto conflittuale con i genitori, vive la sua vuota esistenza rimpiangendo un passato mai avvenuto. Lucy - il cui nome, i suoi studi, il suo lavoro così come il luogo in cui si è conosciuto con Jack, mutano in continuazione - è solo un prodotto della sua mente, è la rappresentazione della sua donna ideale, una donna che probabilmente non ha mai conosciuto. Solo il fatto che anche nella sua mente Lucy stia pensando di interrompere la relazione fa comprendere la sua bassa autostima. Ma “Sto pensando di finirla qui” non è solo legato alla fine di un rapporto ma anche e sopratutto legato alla morte, al suicidio. Nell'atto finale la situazione degenera e dopo un susseguirsi di scene allegoriche, Jack si mette a nudo, letteralmente, e prendendo consapevolezza di essere un "maiale divorato dai vermi" decide di lasciarsi morire per ipotermia all'interno del suo furgoncino ricoperto di neve [Spoiler off].
Sto pensando di finirla qui è un viaggio onirico e surreale nel profondo della coscienza del protagonista che si sdoppia creando dei fantasmi che rendono più accettabile la sua esistenza.
Forse estremamente verboso ma sicuramente un ottimo film per chi ama quel particolare genere di cinema che esplora le complessità e le difficoltà della psiche umana. Mi stupisco di come questo film sia stato prodotto da Netflix facendomi ricredere (e questa è la seconda volta) sulla proposta prettamente commerciale di questa piattaforma.

The Haunting of Bly Manor
Mike Flanagan
The Haunting of Bly Manor è la seconda stagione della serie antologica "The Haunting", e può essere vista tranquillamente senza aver visto la prima stagione avendo trama, ambientazione e personaggi diversi. Ad accomunare le due stagioni ci sono gli attori e ovviamente il tema della "casa infestata".
The Haunting of Bly Manor è del 2020 ed è stata ideata da Mike Flanagan che però, a differenza di "Hill House" si presta alla regia solo nel primo episodio.
La storia è liberamente tratta dal famoso romanzo gotico Giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James e vede come protagonista una ragazza americana, Dani Clayton (Victoria Pedretti), trasferitasi da poco in Inghilterra per lasciarsi alle spalle un passato doloroso, che accetta di fare da educatrice e due bambini, Flora e Miles, rimasti orfani di entrambi i genitori. I due bambini dimorano nella magione di Bly, una grande casa in campagna, insieme alla governante Hannah Grose (T’Nia Miller), il cuoco Owen (Rahul Kohli) e la giardiniera Jamie (Amalia Eve). Fin da subito scopriamo che i due bambini nascondono qualcosa di inquietante e che la villa ospita i fantasmi del passato.
Rispetto a The Haunting of Hill House questa serie risulta sicuramente meno paurosa e "orrorifica". Si, è vero, c'è la Donna del Lago, il raccapriccante fantasma senza volto che di notte si aggira per le stanze del maniero (la cui origine ci viene raccontata nell'ottava puntata), ma il tratto distintivo di Bly Manor è il fatto di essere una serie più intima e romantica, potremmo definirla una storia d'amore (lo dice anche una delle protagoniste) in cui aleggia la falce della morte. Ottimi dialoghi, prova attoriale e profondità dei personaggi, anche se dal punto strettamente tecnico e qualitativo (regia, montaggio, fotografia) gli ho preferito Hill House. Il finale di Bly Manor invece mi ha innegabilmente coinvolto ed emozionato maggiormente. In tutti i modi si tratta di due ottime serie in cui Flanagan prendendo come spunto i grandi classici delle letteratura gotica dimostra la sua grande capacità di maneggiare l'orrore in tutta la sua affascinante potenza evocativa. E ora lo voglio vedere alle prese con Edgar Allan Poe!
Serie TV
Devs
Alex Garland
Serie di otto episodi scritta e diretta da Alex Garland (regista di Ex Machina, Annientamento/Annihilation) uscita nel 2020 ma ancora inedita in Italia.
Il genere potremmo definirlo una fantascienza filosofica che parla di tecnologia e libero arbitrio.
Una riflessione sul ruolo della tecnologia, sui limiti della scienza e sulla condizione umana.
La serie è ambientata in un prossimo futuro a San Francisco. Fuori città, in un parco immerso nel verde risiede una grande azienda tecnologica chiamata Amaya che ha al suo interno un dipartimento segreto chiamato Devs che si occupa di fisica quantistica e che ha [spoiler] sviluppato un computer con un altissima capacità di calcolo capace di vedere il passato e prevedere il futuro [/spoiler]. Un giorno, un programmatore che era riuscito a entrare nel dipartimento scompare misteriosamente e la sua compagna iniza a indagare scoprendo che la sua scomparsa ha a che fare proprio con Devs e con il capo della azienda, Forest, un uomo tormentato dalla perdita della figlia, convinto sostenitore del determinismo, la teoria secondo la quale nel mondo nulla avviene per caso e che tutto accade secondo rapporti di causa ed effetto.
Questa serie conferma di come Alex Garland sia lo sceneggiatore/regista di fantascienza più interessante del momento. Un opera complessa, lenta e celebrale che fa riflettere.