
L'uomo invisibile
H. G. Wells
Da bambini, tra tutti i superpoteri immaginabili, l'invisibilità aveva un fascino particolare. L’idea di sparire agli occhi del mondo, di muoversi inosservati, di osservare senza essere visti e agire senza dover rendere conto a nessuno, era indubbiamente seducente.
Il primo a introdurre questa fantasia in chiave narrativa fu H. G. Wells, pioniere della fantascienza moderna, che trasformò il sogno infantile in un incubo adulto, esplorando le conseguenze psicologiche, etiche e sociali dell’invisibilità assoluta.
Pubblicato per la prima volta nel 1897, L’Uomo Invisibile racconta la storia di Griffin, uno scienziato che ha scoperto una formula che rende il corpo umano completamente trasparente. Dopo averla sperimentata su sé stesso, Griffin si ritrova prigioniero di una condizione irreversibile e, cosa ben più grave, scollegato da ogni senso morale. Inizia così un percorso da antieroe tragico, dove la scienza non porta illuminazione, ma isolamento, paranoia e violenza.
Nonostante sia stato scritto oltre cent’anni fa, L’Uomo Invisibile conserva una sorprendente attualità. Merito di una prosa lucida e scorrevole, ma soprattutto della capacità di H. G. Wells di concentrare il racconto non tanto sull’invenzione scientifica in sé, quanto sulle sue conseguenze umane e psicologiche. Griffin, il protagonista, incarna una moderna rilettura del mito di Prometeo: l’uomo che osa troppo, che sfida i propri limiti usando la scienza in modo irresponsabile, e che per questo viene punito — non dagli dèi, ma dalla propria stessa arroganza.
Non è l’invisibilità il vero mostro della storia, ma l’uomo che la abita. Griffin non è spinto dalla curiosità scientifica, ma da rancore, ambizione e un crescente disprezzo verso il genere umano. La sua trasformazione in “uomo invisibile” non è solo fisica, ma morale. Più il suo corpo sparisce, più la sua coscienza si dissolve. Privato di un volto, perde ogni traccia di empatia e umanità.
La sua condizione, apparentemente vantaggiosa, si rivela presto una condanna. Costretto a restare nudo nella fredda Inghilterra, sempre in fuga, incapace di vivere tra gli altri, Griffin sprofonda lentamente nella paranoia e nella follia. L’invisibilità diventa isolamento, fame, paura. L’uomo che voleva sfuggire alle regole della società finisce per esserne escluso in modo definitivo, condannato a un’esistenza disumana. Il potere assoluto si rivela, come spesso accade, una maledizione.
Nel corso degli anni, il romanzo ha ispirato numerose trasposizioni cinematografiche, a partire dal celebre film del 1933 diretto da James Whale, che ha dato al personaggio un’immagine iconica con bende e occhiali scuri. Più recentemente, la pellicola del 2020 di Leigh Whannell ha reinterpretato la storia in chiave contemporanea, trasformando l’invisibilità in metafora della violenza psicologica e del controllo.
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