
Mimì - Il principe delle tenebre
di Brando De Sica
Ammetto che quando ho visto il nome del regista ho storto un po' il naso. Brando De Sica. Figlio di Christian, nipote di Vittorio, Carlo Verdone come zio. Il pregiudizio che in Italia, se non sei un figlio d'arte, il cinema lo guardi e basta, è scattato immediatamente. E invece Mimì – Il principe delle tenebre mi ha fregato. Non solo perché è un film coraggiosamente fuori tempo, diverso, ma anche perché ha toccato corde familiari della mia indole gotica.
La storia racconta di Mimì (Domenico Cuomo), un adolescente orfano, nato con i piedi deformi, che lavora in una pizzeria a Napoli. Bullizzato dal figlio di un boss camorrista, un giorno incontra Carmilla (Sara Ciocca), una giovane ragazza "dark" convinta di essere una discendente del conte Dracula. Lei rimane affascinata dal goffo Mimì – forse proprio per la sua deformità – e lui trova in Carmilla quel calore umano che gli è sempre mancato.
In una Napoli insolita e decadente, tra bande camorristiche appassionate di neomelodica e gruppi gotici che frequentano cimiteri, cripte, e feste alternative, Mimì – Il principe delle tenebre si presenta come un film strano e affascinante, capace di spaziare dall'horror al fantasy, dal noir alla dark comedy. La commistione di generi è dosata con intelligenza e la virata horror arriva al momento giusto. Brando De Sica, da quanto si dice in giro, è un appassionato di questo genere, e si vede. Le citazioni cinefile sono ovunque, ma non risultano mai esibite. Piuttosto, sono tracce, omaggi ben inseriti in una narrazione personale e visivamente curata. La regia è solida e la fotografia mi ha particolarmente colpito, con quei colori irreali – blu e rosso, caldi e freddi spesso contrapposti – che rimandano al cinema di Mario Bava. L'uso del colore è particolarmente significativo nella scena finale, dove Mimì e Camilla – ehm, Carmilla con la erre (cit) – vengono illuminati dal lampeggiante della polizia, in un contrasto emotivo che trascende la realtà.
L’epilogo, drammatico e ambiguo – è tutto vero o una fantasia del protagonista? – ha un tocco poetico e surreale. Al centro della storia, c'è una relazione d'amore tra due "diversi": una ragazza borderline, fragile e imprevedibile, e un ragazzo in cerca di identità, ingenuo, segnato nel corpo e nell'anima. Due anime rotte che cercano di salvarsi a vicenda.
I due attori protagonisti sono molto bravi. La giovane e minuta Sara Ciocca è sorprendente. Affascinante nella sua versione goth, fragile e vulnerabile nella sua cameretta da bambina. Domenico Cuomo è altrettanto bravo, capace di passare dalla timidezza di Mimì alla trasformazione violenta del "vampiro", con i suoi denti aguzzi e lo sguardo distorto. Il film, inoltre, è recitato bene. Finalmente in un film italiano i dialoghi, anche quando sono sussurrati, sono sempre chiari. Il dialetto napoletano non infastidisce, e quando è troppo stretto, intervengono i sottotitoli.
Guardandolo, mi è venuto spontaneo accostarlo a Lo chiamavano Jeeg Robot, ma con i vampiri al posto dei supereroi. E in alcune scene, come quella nelle catacombe, ho sentito forti echi del cinema di Guillermo del Toro.
Alla fine, Brando De Sica sembra più un orfano adottato da Tim Burton e dalla malinconia di Fellini che un regista cresciuto sulle spalle della becera commedia natalizia. Pare che per realizzare questo film non abbia sfruttato le sue conoscenze familiari, anzi, ci ha messo dieci anni e ha incontrato numerosi ostacoli. E si vede. È un film ostinato, personale, fuori rotta. Farsi strada nel cinema di genere in Italia non è facile. Ma io, sinceramente, tifo per lui. A volte i pregiudizi sono proprio deleteri.

La mummia
di Karl Freund
All’inizio degli anni trenta, il successo di Dracula e Frankenstein spinse la Universal a investire con decisione nel genere horror. Affascinato dal mistero dell’antico Egitto e dalle scoperte nella tomba di Tutankhamon, il produttore Carl Laemmle Jr. volle un film che unisse archeologia e terrore. Non trovando un’opera letteraria da adattare – com’era stato per i precedenti mostri – affidò allo sceneggiatore John Balderston lo sviluppo di un soggetto originale, partendo da un breve racconto ispirato alla figura di Cagliostro, reinterpretato come un antico stregone capace di vivere per millenni. Nacque così La mummia, affidato alla regia di Karl Freund, celebre direttore della fotografia che aveva già messo mano (più di quanto ufficialmente ammesso) a Dracula.
Per il ruolo del protagonista, la scelta cadde naturalmente su Boris Karloff, ancora fresco di successo – e di bulloni nel collo – dopo il ruolo del mostro di Frankenstein.
La trama vede una spedizione archeologica risvegliare accidentalmente la mummia di Imhotep, sacerdote dell’antico Egitto condannato a un’eternità di non-morte per aver cercato di riportare in vita la sua amata principessa. Riapparso dieci anni dopo sotto le spoglie dell’enigmatico Ardath Bey, Imhotep cerca di ritrovare l’anima della sua amata, ora reincarnata nella giovane Helen. Ma per completare il rituale, sarà necessario un nuovo sacrificio. Tra antichi papiri, ipnosi e atmosfere cariche di fatalismo, prende forma una storia di amore ossessivo, reincarnazione e destino.
Una storia più fantastica che orrorifica, molto meno provocatoria delle precedenti produzioni della Universal. Sicuramente la meno riuscita. La regia di Karl Freund è elegante ma statica, e tolta l’ottima sequenza iniziale, l’orrore evapora in favore di un melodramma esoterico poco coinvolgente. Boris Karloff regge il film con la sola forza del volto – scolpito nel tempo e nel trucco leggendario di Jack Pierce – ma il personaggio resta intrappolato in una sceneggiatura che non decolla.
Il ritmo è lento, i dialoghi rigidi, e il finale troppo frettoloso per lasciare il segno. La mummia resta una tappa obbligata per gli amanti del genere, ma più come reliquia da vedere e poi lasciare riposare nella sua cripta.

Un film Minecraft
di Jared Hess
Fino all'ultimo sono stato tentato di lasciar perdere. Ma visto che da un paio d’anni mi diverto a scrivere le mie impressioni sui film che vedo, mi sembrava una forma di snobismo ignorare un titolo che, seppur fuori dalle mie corde, ho visto al cinema per accontentare mio figlio, che ci teneva tanto.
Il film in questione è l’adattamento del celebre videogioco Minecraft. Non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi, e di Minecraft so solo che è quel gioco dove si costruiscono mondi partendo da semplici mattoncini virtuali.
La trama, se così si può chiamare, è la seguente. Due fratelli, un ex campione di videogiochi (Jason Momoa), e una agente immobiliare trovano un misterioso artefatto luminoso – un cubo che viene chiamato sfera, non so perchè – che consente di aprire un portale per accedere al mondo di Minecraft. I quattro si ritrovano in una dimensione fatta a blocchetti dove vengono immediatamente attaccati dagli zombie e salvati da Steve (Jack Black). Da lì parte un’avventura tra fughe, battaglie e gag, tutte rigorosamente al di sotto dei dodici anni, per impedire alla cattivissima regina Malgosha di impadronirsi della Sfera-Cubo e dominare Minecraft. Naturalmente.
Il film è davvero brutto. Ma non perchè sia un film commerciale fatto per bambini e adolescenti. Anche quelli della Pixar o della DreamWorks lo sono, ma riescono comunque a emozionare tutte le età. No, il problema è che questo film è semplicemente fatto male. Brutto con convinzione. Con una storia scialba fatta di cliché pescati a casaccio, personaggi piatti, recitazioni esagerate, e una pioggia di gag infantili lanciate come coriandoli, sperando che qualcuna faccia ridere. Spoiler: non succede.
Anche dal punto di vista tecnico, la resa grafica e gli effetti speciali sono sempre quelli, fatti con lo stampino. Magari non conoscendo bene il gioco mi sono perso qualche riferimento geniale, ma la sensazione generale è quella di aver assistito a un film stupido scritto apposta per i teenager di TikTok.
Mio figlio di sette anni si è divertito. E tanto. Rideva, si agitava, mi guardava felice. Ed è per lui che l’ho visto. Quindi, a conti fatti, il prezzo del biglietto è stato ben speso.
Ma se dovessero farne un sequel… questa volta, ci va sua madre.
Film
Pandemonium
di Quarxx
Quarxx è un regista, pittore e artista multimediale francese con una spiccata inclinazione per il cinema fantastico e horror. Dopo l’esordio con Tous Les Dieux Du Ciel e una serie di cortometraggi, nel 2023 porta sullo schermo Pandemonium, un viaggio visionario negli Inferi. Entrambi i film, al momento, restano inediti in Italia.
Tutto comincia su una strada di montagna avvolta nella nebbia, dove un'auto e una moto si sono da poco scontrate violentemente. Nathan (Hugo Dillon), il conducente dell'auto, si risveglia sull’asfalto, illeso ma confuso. Poco distante si trova il motociclista, Daniel (Arben Bajraktaraj), il quale gli rivela che entrambi sono morti. inizialmente Nathan non gli crede, ma quando vede il proprio cadavere all'interno della macchina, è costretto ad accettare la tragica verità. Inaspettatamente, appare anche una bambina, vittima dell’incidente, e mentre per lei si spalanca la porta verso la luce, per Nathan e Daniel si apre l’ingresso all’Inferno.
Il viaggio infernale di Nathan diventa il filo conduttore di altre due storie che scavano nel senso di colpa e nella disperazione umana. La prima riguarda una bambina profondamente disturbata che uccide i suoi genitori e poi la sorellina, mentre nella seconda incontriamo una giovane suicida, vittima di bullismo, e sua madre, troppo assorbita dal lavoro per rendersi conto della sofferenza della figlia. La storia della bambina è grottesca e raccapricciante, mentre quella della madre e della figlia suicida è particolarmente straziante.
Quarxx si ispira dichiaratamente a "…E tu vivrai nel terrore! – L’aldilà" di Lucio Fulci, un film che lo ha segnato fin da bambino, e l’influenza è evidente. Pandemonium condivide con il cult italiano lo stesso senso di oppressione e di ineluttabilità. Ma ci sono anche richiami all’estetica sadica di Hellraiser di Barker soprattutto nella parte finale, dove Nathan si ritrova condannato a un’eternità di sofferenza, diventando il "giocattolo" del suo carnefice. Visivamente, il film è potente. L'Inferno immaginato da Quarxx ha una qualità pittorica, oscura e ipnotica. Ma la narrazione? Qui iniziano i problemi.
L’aspetto antologico rende il film frammentato, quasi disorientante. Le storie, per quanto affascinanti, sembrano poco coese e il tutto risulta discontinuo e un pò confusionario. Per esempio dove è andato a finire il motocilista? E la bambina che ha ucciso i genitori quando muore? E quella sottotrama sull'anticristo che appare sul finale, è un accenno a un possibile seguito o solo un’idea abbozzata?
Alla fine, Pandemonium lascia una sensazione strana. È come se Quarxx avesse tra le mani un concept perfetto per una serie televisiva antologica, con ogni episodio dedicato a una delle storie e un filo conduttore più solido. Così com'è, sembra un esperimento dal potenziale enorme, ma non del tutto realizzato. Eppure, nonostante la sua discontinuità, il film riesce a colpire. È destabilizzante, angosciante, visivamente ipnotico, e non lascia indifferenti. In fondo, non è forse questo lo scopo dell’horror?

Valerie - Fantasie di una tredicenne
di Jaromil Jires
Se c’è un premio per il peggior titolo italiano mai affibbiato a un film, Fantasie di una tredicenne lo vincerebbe a mani basse. Il capolavoro di Jaromil Jireš, Valerie e la settimana delle meraviglie (Valerie a týden divu), è tutto fuorché il pornazzo da seconda serata che il titolo farebbe pensare. È un'opera visionaria e surreale, una favola nera in cui l’adolescenza si mescola con il terrore gotico, il vampirismo, il misticismo e un erotismo strisciante e perturbante, sempre sospeso tra il sacro e il profano.
Tratto dal romanzo di Vítezslav Nezval, poeta surrealista praghese, il film è una sorta di Alice nel paese delle meraviglie che racconta le avventure fantastiche di una tredicenne, che vive una settimana di eventi visionari, in un vortice di simbolismi, incubi e pulsioni sessuali. La protagonista, Valerie, interpretata dalla giovanissima Jaroslava Schallerová, è un’orfana che vive con la nonna in un piccolo villaggio ottocentesco. Tutto ha inizio con il suo primo ciclo mestruale, simbolicamente annunciato da una goccia di sangue su un fiore bianco. Da quel momento, la realtà si trasforma in un incubo, popolato da figure inquietanti e seducenti: un prete lussurioso e corrotto, un vampiro dal volto cadaverico che sembra volerla possedere, una nonna austera che, dopo un patto oscuro, si trasforma in una donna giovane e sensuale, e Orlík, un ragazzo misterioso che potrebbe essere il suo salvatore, il suo fratello, il suo amante – o forse tutte queste cose insieme.
Non c’è una trama vera e propria, non c’è consequenzialità negli eventi. Personaggi che muoiono e tornano in vita senza troppe spiegazioni, atmosfere rarefatte che sembrano oscillare tra sogno e realtà. Il tutto immerso in un'estetica fiabesca, con giochi di luce, veli bianchi e scenografie decadenti, accompagnate da una colonna sonora eterea e mistica.



Valerie e la settimana delle meraviglie – da adesso in poi lo chiamo con il suo nome internazionale – non è soltanto un trip visionario, una fiaba gotica che sembra uscita da un incubo dei fratelli Grimm. Prendendo ispirazione dal surrealismo di Luis Buñuel e Alejandro Jodorowsky, è anche una feroce critica alla società, dove il vampirismo si intreccia con il potere repressivo della Chiesa, vista come istituzione parassitaria, e con il desiderio dei vecchi di nutrirsi della giovinezza altrui.
Sorprendentemente, il film riuscì a sfuggire alla censura cecoslovacca, nonostante il rigido controllo del regime comunista sulla produzione artistica. Altrove, però, subì pesanti tagli, soprattutto per le sue tematiche sessuali e alcune scene di nudo della protagonista minorenne. Oggi è possibile recuperarlo integralmente su YouTube al seguente link, ma a una qualità decisamente scarsa.
Se cercate una storia lineare e comprensibile, Valerie e la settimana delle meraviglie non è il film adatto a voi. Chi invece adora lasciarsi trasportare dalle atmosfere oniriche e surreali – gli amanti del cinema di Lynch per esempio – scoprirà un’esperienza visiva che incanta e inquieta allo stesso tempo. Un piccolo capolavoro dimenticato, da riscoprire e vivere con con gli occhi di chi ancora sa stupirsi.

Un chien andalou
di Luis Buñuel e Salvador Dalì
Un chien andalou (Un cane andaluso) è un cortometraggio di una quindicina di minuti realizzato nel 1929 da Luis Buñuel con la complicità creativa di Salvador Dalí.
Considerato il primo film surrealista della storia del cinema, la pellicola fece scalpore all’epoca per le sue scene audaci, oniriche e profondamente provocatorie.
Oggi Un chien andalou è celebrato come uno dei manifesti del cinema d’avanguardia, un’opera fondamentale del cinema muto che ha infranto le convenzioni narrative tradizionali. La celebre scena dell’occhio tagliato da un rasoio, attorno alla quale sono stati versati fiumi di inchiostro, è ormai un’icona culturale. Sebbene si tratti di un fotomontaggio – l’occhio tagliato appartiene in realtà a un vitello morto – l’immagine riesce a suscitare ancora oggi repulsione e stupore. E una sequenza che rappresenta alla perfezione lo spirito del surrealismo come atto di rottura, che "squarcia" letteralmente l’occhio dello spettatore, costringendolo a vedere oltre la superficie della realtà e a immergersi in un universo più profondo, quello dell’inconscio.
Il cortometraggio, privo di una trama lineare, si dipana attraverso una successione di immagini che sfidano la logica e la razionalità. Buñuel e Dalí utilizzano simboli potenti, spesso inquietanti, per evocare temi universali come il desiderio, la morte, la violenza e la sessualità. La scena in cui il protagonista, che brama la donna, trascina con delle catene due preti morti (uno dei quali interpretato dallo stesso Dalí nei primi fotogrammi), insieme a due pianoforti con sopra le carcasse di animali, è particolarmente significativa. E' una scena in cui emerge la volontà di abbattere simbolicamente le istituzioni oppressive, come la religione e la cultura borghese, per accedere a un mondo più autentico, fatto di desideri primordiali e libertà assoluta. L’uso del montaggio e dei contrasti visivi contribuisce a creare un’atmosfera disturbante, capace di trascinare lo spettatore in un viaggio onirico e surreale.
Un chien andalou non è un’opera da guardare con occhi "normali". È un’esperienza che deve essere vista lasciandosi trasportare dal flusso delle immagini, proprio come in un sogno. La sua eredità ha influenzato numerosi registi e artisti, da Alfred Hitchcock, con il suo uso del simbolismo in "Io ti salverò" e "Vertigo", a David Lynch, che ne ha assorbito l’estetica surreale in "Eraserhead" e "Mulholland Drive". Anche registi visionari come Federico Fellini, Terry Gilliam e Lars von Trier hanno attinto dal linguaggio audace e disturbante di Buñuel, mantenendo vivo il suo spirito rivoluzionario.
Film
Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la Lune)
di Georges Méliès
Le Voyage dans la Lune del 1902 è un cortometraggio realizzato da Georges Méliès che viene considerato uno dei primi film realizzati della storia del cinema. Con una durata di circa quindici minuti, questo cortometraggio muto e in bianco e nero (anche se esistono versioni colorate) è sicuramente il primo film di fantascienza, e, per il periodo storico, rappresenta un capolavoro di innovazione tecnica e immaginazione narrativa.
La trama, ispirata dai romanzi di Jules Verne e H.G. Wells, segue un gruppo di astronomi che costruiscono un razzo e intraprendono un viaggio avventuroso verso la luna. Una volta arrivati sulla superfice lunare il gruppo viene catturato dagli abitanti del pianeta, rappresentati come degli indigeni, ma riescono a scappare e a ritornare sulla terra. Una delle scene più iconiche del cinema mondiale è l'atterraggio del razzo, che si schianta nell'occhio antropomorfo della luna, un’immagine che è diventata un vero e proprio simbolo della settima arte.
George Méliès, illusionista e prestigiatore parigino, rimase così affascinato dall'invenzione della cinepresa dei fratelli Lumière nel 1892, che rispetto ai primi corti dell'epoca - la ripresa dell'arrivo di un treno alla stazione, un bambino che gioca con una lente di ingrandimento, e in genere spezzoni di vita quotidiana - fu il primo a utilizzare questa invenzione in modo del tutto innovativo e creativo.
Le Voyage dans la Lune non è il primo dei suoi corti, ne ha realizzati più di un centinaio - tra questi Le manoir du diable del 1896 che viene considerato il primo film dell'orrore della storia del cinema - ma sicuramente è il film più significativo di Georges Méliès in quanto contiene tutti quei trucchi cinematografici che per l'epoca erano rivoluzionari. E' il cinema delle attrazioni in cui Méliès usa per la prima volta sovrapposizioni, dissolvenze e tecniche di stop-motion per creare effetti visivi con l'intento di sorprendere il pubblico dell'epoca. Il design scenografico è altrettanto impressionante, con fondali dipinti a mano e costumi elaborati che contribuiscono a un'atmosfera fantastica e onirica.
Il film non si limita a essere un esercizio di stile tecnico ma ha una sua struttura narrativa ben definita. Una storia che, nella sua semplicità e un forte legame con la performance teatrale umoristica, apre la strada allo sviluppo del cinema come mezzo di narrazione visiva.
Prima opera cinematografica a conoscere un successo mondiale, questo piccolo capolavoro oggi apprezzato da cinefili e amatori del genere, ha il merito di essere il capostipite di un genere che proprio con questo film ha mosso i suoi primi passi.
Per chi fosse interessato consiglio la visione del film Hugo Cabret di Martin Scorsese che in parte racconta la creazione e il montaggio del film, descrivendo la genialità e l'innovazione di Georges Méliès.

King Kong (1933)
di Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack
King Kong, il primo film del 1933, è uno dei grandi classici del cinema fantastico.
Togliendo Dracula e Frankenstein, usciti un paio di anni prima ma provenienti dalla letteratura, possiamo dire che King Kong è il primo film di "mostri" del cinema, una vera e propria icona del fantastico e della cultura popolare che nel corso degli anni ha generato numerosi sequel, remake e omaggi di ogni tipo.
La trama la conoscono tutti. Carl Denham, un regista senza troppi scrupoli organizza una spedizione in una misteriosa isola per girare un film di avventura interpretato da una giovane attrice, la bionda Ann Darrow (Fay Wray). Giunti sull'Isola la troupe cinematografica scopre una tribù di indigeni che sta compiendo un rituale in onore di Kong, un gigantesco gorilla subito ribattezzato King Kong. Ann viene rapita dagli indigeni e data in sacrificio al mostruoso gorilla, ma questo, invece di ucciderla, la difende dagli altri animali preistorici che popolano l'isola. Mentre il capitano della nave e i suoi uomini riescono a recuperare la ragazza, Denham, attirato Kong allo scoperto, riesce a catturalo. Qualche settimana più tardi, a New York, nel corso di un grande evento organizzato da Dehnam in un teatro di Broadway, viene presentato al pubblico King Kong, "l’ottava meraviglia del mondo". Innervosito dai flash dei fotografi il gigantesco gorilla rompe le catene e fugge, seminando il panico per la città. Trovata Ann, la rapisce nuovamente e si rifugia con lei sopra la cima dell’Empire State Building, dove finisce per essere abbattuto da una pattuglia di aerei.
Il film fin da subito riscuote al cinema un grande successo di pubblico, impressionato, oltre che nel vedere un mostro realizzato con dagli innovativi effetti speciali per l'epoca, anche per alcune scene decisamente forti. Sequenze in cui il gorilla uccide persone calpestandole o gettandole dalla finestra, oppure scene particolarmente spinte (sempre per l'epoca) in cui King Kong, dopo aver rapito Ann, la spoglia dei vestiti per poi annusarla. Quando negli Stati Uniti entrò in vigore il cosiddetto Production Code, le scene considerate più forti vennero tagliate e il film venne ridistribuito censurato. Fortunatamente negli anni recenti il film è stato rieditato in tutta la sua interezza anche se manca la leggendaria scena in cui i protagonisti cadono in una fossa e vengono divorati da ragni giganti, una sequenza che non è mai stata ritrovata.
Parlavamo degli effetti speciali. King Kong e i mostri che popolano l'isola del teschio furono realizzati con dei modellini e girati in stop-motion, mentre gli attori venivano collocati sulla scena con la tecnica della retroproiezione e del blue screen. Un giovane che si ritrova oggi a vedere per la prima volta questo film potrebbe sorridere, ma bisogna sempre ricordare che stiamo parlando di una pellicola che ha quasi un secolo di vita e che gli effetti speciali erano i migliori che l’epoca potesse offrire. Sono effetti speciali che hanno fatto la storia del cinema e che si devono a Willis O’Brien, uno dei pionieri del cinema d'animazione che in precedenza aveva realizzato Il Mondo Perduto (The Lost World) del 1925, il primo film che mostra i dinosauri "dal vivo".
Per comprendere meglio un film come King Kong bisogna collocarlo nel contesto storico in cui venne rilasciato. In quel periodo gli Stati Uniti stavano vivendo una grave crisi finanziaria dopo il crollo di Wall Street nel 1929. L'immagine iconica della gigantesca scimmia che scala l'Empire State Building, in quel momento il più alto grattacielo del mondo, appare quindi come un attacco al simbolo economico americano. Alla fine l'attacco viene sventato, la creatura primordiale viene sottomessa dalla civiltà moderna, ma, come dice uno dei protagonisti nell'ultima battuta del film, a uccidere la bestia non è stata la flotta aerea bensì l'amore per una donna. La scena in cui il gigantesco gorilla viene abbattuto dopo aver combattuto contro i biplani e aver posato dolcemente la fanciulla sul cornicione perché non si faccia male è da antologia. Una tragica rivisitazione della favola della Bella e la Bestia che colloca questo film tra i cult movie del cinema fantastico.
Un paio di mesi fa, in occasione dei novanta anni dalla nascita del celebre film, la Rai ha realizzato una interessante puntata di Wonderland dedicata al "Re Kong".

La caduta della casa degli Usher
Mike Flanagan
Mike Flanagan è uno degli autori più interessanti nel panorama dell'horror seriale.
Se nelle due stagioni di The Haunting, Flanagan ha preso ispirazione da alcuni classici della lettura gotica, ne la La caduta della casa degli Usher si cimenta addirittura con il maestro del genere, Edgar Allan Poe.
A dispetto del titolo, la serie non si basa solo sul celebre racconto di Poe (anche perchè il racconto che prende il titolo della serie è di poche pagine). Flanagan, che è anche lo sceneggiatore, prende spunto da tutta la produzione dello scrittore statunitense adattando e rivisitando in chiave contemporanea le sue opere in un unica storia colma di citazioni, riferimenti e connessioni che ovviamene possono essere apprezzate solo da chi conosce Poe.
La storia è quella del ricco imprenditore Roderick Usher, di sua sorella Madeline e della sua famiglia, una potente dinastia proprietaria di un azienda farmaceutica che ha fatto la sua fortuna grazie al Licodone, un antidolorifico assai discusso per i suoi gravi effetti collaterali. All'interno di una casa misteriosa e decadente Roderick Usher racconta ad Auguste Dupin, un avvocato che da anni sta cercando di farlo condannare per i suoi crimini, la disgrazia che si è abbattuta sulla sua famiglia, una sorta di maledizione che nell'arco di pochi giorni ha portato alla morte violenta e apparentemente accidentale dei suoi sei figli. In ogni episodio si assiste così alla tragica e cruenta morte di uno degli Usher ispirandosi a un celebre racconto di Edgar Allan Poe.
Fare l'elenco delle numerose citazioni presenti in questa serie avrebbe poco senso. Di certo a Flanagan, oltre la sempre curata regia, va riconosciuto la grande capacità di scrittura nel riadattare l’universo narrativo delle opere di Poe in chiave moderna. Buona la recitazione da parte del circolo di habitué di Flanagan (più o meno gli attori che sceglie nelle sue serie sono sempre gli stessi) a partire dalla camaleontica Carla Gugino fino a Mark Hammil (io sulle prime non l'avevo riconosciuto) che interpreta il mefistofelico avvocato degli Usher.
Ottima serie, sicuramente sopra la media della maggior parte delle serie horror di questi ultimi anni. Tuttavia, paragonandola alle precedenti serie di Flanagan, l'ho trovato un pò meno coinvolgente. L'unico episodio che mi ha suscitato un profondo turbamento è stato il secondo episodio, La maschera della morte rossa, ma è stato un caso isolato. Da lì in avanti, una volta capito il meccanismo, il ripetersi ciclico delle morti non mi ha restituito quella tensione emotiva e quel senso di mistero che avevo riscontrato in Hill House e Bly Manor.
Serie TV
Povere Creature!
di Yorgos Lanthimos
Film che non vedevo l'ora di vedere e che sta riscuotendo parecchio interesse da parte di critica e pubblico.
Vincitore del Leone d'Oro a Venezia e candidato a diversi oscar, Povere Creature! (Poor Things) è l'ultimo film dell'acclamato regista greco Yorgos Lanthimos.
Siamo a Londra alle fine di un ottocento ucronico. Godwin Baxter (Willem Dafoe), un eccentrico medico chirurgo dal volto deforme, compie un esperimento riportando in vita una giovane donna suicida impiantandogli il cervello del feto che portava in grembo e che era sopravissuto. Quando Godwin prende l'allievo Max McCandles (Ramy Youssef) come suo assistente personale per documentare i progressi della sua "creatura", Bella Baxter (Emma Stone) è una bambina nel corpo di una donna adulta che sta compiendo i suoi primi passi nel mondo. Si muove in modo sgraziato, ha un lessico e capacità cognitive limitate, ma cresce di giorno in giorno molto rapidamente.
La svolta, la scintilla che porta Bella ad avere consapevolezza di sè, è la scoperta del proprio corpo e della propria sessualità. Per contenere la sua libido, Godwin decide di darla in sposa a Max ma Bella, spinta dalla voglia di conoscere il mondo e fare nuove esperienze, fugge con l'avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), un donnaiolo senza scrupoli. I due si imbarcano in un lungo viaggio per l'Europa, durante il quale Bella, oltre ad esplorare con gioia e vitalità il sesso, diventa sempre più autonoma e indipendente. Ha una grande curiosità ed è alla ricerca costante di cose nuove che la gratifichino e l'arricchiscono. Durante una crociera nel Mediterraneo Bella incontra una bizzarra coppia che la introducono alla filosofia e alla cultura, mostrandogli anche la disparità sociale che affligge il mondo. Una volta a Parigi, Bella interrompe la relazione con l'asfissiante Duncan iniziando a lavorare in un bordello dove conosce una ragazza che la introduce al socialismo. Diventata ormai "adulta", una donna emancipata libera di vivere il mondo senza pregiudizi e concetti, Bella Baxter è ormai pronta per tornare a casa.
Povere creature! è una fiaba steampunk, una sorta di Frankenstein ribaltato in cui la protagonista compie un viaggio di crescita e libertà alla scoperta delle gioie e delle contraddizioni del mondo.
Visivamente e tecnicamente il film è un vero gioiello. Campi, controcampi, fish-eye, mascherini, grandangoli. Scenografie che sembrano dipinti, fotografia in bianco e nero alternata ai colori, costumi straordinari, musica dissonante. E' tutto così sublime, stravagante e dosato alla perfezione che cerchi il cavillo per renderlo attaccabile. Nonostante un certo sfoggio di autorialità in cui Lanthimos mischia il suo cinema con quello di Terry Gillian e Tim Burton citando l'espressionismo tedesco e il cinema surrealista di Luis Buñuel, Povere Creature! è un film essenzialmente pop che mischia i generi rendendosi fruibile al grande pubblico. Di certo nella sua stravaganza è il film più hollywoodiano di Lanthimos e per questo prevedo numerosi oscar. Uno di certo lo vincerà Emma Stone perchè oltre alla sua grande interpretazione il personaggio di Bella Baxter merita di entrare nella storia.
Riguardo il messaggio, anche questo film, quasi come a voler cavalcare un tema che va per la maggiore, sembra parlare di emancipazione femminile e lotta al patriarcato. In verità io trovo che la brama di libertà e il percorso di crescita compiuto da Bella Baxter sia più universale. L’evoluzione, la presa di coscienza e la volontà di apprendere per conoscere il mondo e se stessi, si può applicare a chiunque, al di là del genere di appartenenza.
Film straordinario, da rivedere.
Film
Il ragazzo e l'airone
di Hayao Miyazaki
Ho visto al cinema Il ragazzo e l'airone, l'ultimo film del maestro dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki.
Sono un pò spiazzato, ma andiamo con ordine provando a mettere insieme (o in equilibrio) i pezzi. Il ragazzo e l'airone è probabilmente l'ultimo film di Miyazaki, nel senso che difficilmente, visto l'età del grande autore, avrà il tempo di realizzarne un altro. Ma mai dire mai. Il titolo in originale è "E voi come vivrete?", ed è ispirato, ma solo il titolo, all'omonimo romanzo scritto da Genzabuo Yoshino che il cineasta giapponese lesse in gioventù.
In una Tokyo martoriata dal conflitto della Seconda Guerra Mondiale, il giovane Mahito assiste impotente alla morte della madre rimasta prigioniera in un incendio nell'ospedale in cui lavorava. Un anno più tardi, il padre del ragazzo si sposa con la sorella della defunta moglie, Natsuko, e insieme a Mahito si trasferisce nella sua bellissima casa in campagna. In attesa di un bambino, Natsuko, insieme a sette simpatiche vecchiette, accoglie amorevolmente Mahito che però, ancora segnato dal trauma della morte della madre, risulta freddo e distante. Appena arrivato, Mahito inizia ad essere perseguitato da uno strano airone cenerino che da lì a poco si trasformerà in una inquietante creatura antropomorfa. Nei giorni successivi, l'airone, promettendogli di ricongiungerlo con la madre, lo conduce in una torre abbandonata poco distante dalla villa. Quando Natsuko scompare misteriosamente, Mahito decide di cercarla nella torre ritrovandosi catapultato in un mondo fantastico popolato da strane creature (giganteschi parrocchetti, pellicani affamati e graziose creaturine, i Warawara). Un universo magico e colorato in cui il nostro protagonista incontra Himi, una giovane maga che controlla il fuoco, la coraggiosa piratessa Kiriko e sopratutto il suo prozio, il mago artefice di questo mondo parrallelo.
Questa, a grandi linee, è la trama.
Dal punto di vista tecnico e di animazione Il ragazzo e l'airone è impeccabile, oltre ai fondali che sembrano dei veri e propri dipinti impressionisti, la sequenza iniziale in cui Mahito corre verso le fiamme dalla madre penso sia una delle più emozionanti animazioni che abbia mai visto.
Molto bella anche la colonna sonora minimale di Joe Hisaishi.
"Ask Me Why" è già entrata nella mia playlist emotiva.
Ora veniamo alla sceneggiatura. Il film come struttura ricorda La Città Incantata - il capolavoro di Miyazaki che sento più mio e a cui sono più affezionato - dove la piccola Chihiro finiva in un mondo magico per salvare i genitori trasformati in maiali. In questo caso Mahito vuole salvare Natsuko finita nel fantastico mondo della torre. Un mondo che sembra ricordare il paese delle meraviglie di Alice e da cui si accede attraversando un portale dantesco. Rispetto alla sauna degli spettri della Città Incantata il mondo all'interno della torre è però decisamente più complesso e criptico rendendolo meno empatico al pubblico. Il ragazzo e l'airone è il testamento di Miyazaki, un film pieno di simbolismi nascosti e riferimenti ai suoi film passati. E' un film quasi autobiografico in cui Mahito rappresenta il giovane Miyazaki mentre il mondo della torre è la raffigurazione del suo mondo creativo, la prigione del suo creatore (il suo io vecchio) che con le sue opere ha dato vita a un mondo squilibrato in procinto di crollare (lo studio Ghibli). Le tredici forme probabilmente sono i suoi film - sì, è vero, al momento ne ha fatti dodici, ma non mi sorprenderebbe vedere tra qualche anno un suo film postumo. Il vecchio e stanco mago/Miyazaki ora è in cerca di un erede, solo che non esiste il suo successore e chi verrà dopo di lui dovrà necessariamente prendere un altra strada ed essere solo se stesso.
Il ragazzo e l'airone è un viaggio onirico e surreale nell'intimità di un creatore di mondi che con la sua opera conclusiva si prepara a salutarci. Sicuramente è il suo film più difficile e per certi versi il meno empatico perchè si presta a numerose interpretazioni di non facile lettura. A me piace il fatto che abbia voluto fare un film più per se stesso che per il pubblico ma non lo considero il suo film migliore. Tanto per intenderci è un film che non consiglierei a chi non ha visto nulla del maestro giapponese così come non consiglierei Inland Empire a chi non ha mai visto nessun film di David Lynch.
Film
Il mago di Oz
di Victor Fleming
Un classico del cinema che ho fatto vedere a mio figlio di sei anni (io l'avevo visto per la prima volta tre o quattro decenni fa).
Tratto dal romanzo Il meraviglioso mago di Oz del 1900 - primo di quattordici libri della saga dedicata a Oz dello scrittore statunitense L. Frank Baum - Il mago di Oz è diretto da Victor Fleming ed esce nelle sale statunitensi nel 1939 (in Italia uscirà una decina di anni più tardi).
Protagonista è Dorothy (Judy Garland), una giovane di sedici anni che abita con gli zii in una fattoria del Kansas, che a seguito di un violento tornado finisce in un mondo colorato e magico. Gli abitanti del villaggio, i Mastichini, la acclamano come eroina. La sua casa è atterrata sopra la strega dell'est, uccidendola e liberando i piccoli abitanti dalla sua tirannia. La sorella della vittima, la strega dell'ovest, vuole però vendicarsi e impossessarsi delle scarpette rosse che Dorothy ha ricevuto come ricompensa. Terrorizzata dalla megera e desiderosa di tornare a casa, la ragazza chiede consiglio alla strega buona, che le suggerisce di rivolgersi al potente Mago di Oz. Inizia così il suo viaggio verso la città di Smeraldo durante il quale incontra e fa amicizia con uno spaventapasseri, alla ricerca di un cervello, un uomo di latta, alla ricerca di un cuore, e un leone codardo, alla ricerca del coraggio.
Vincitrice di due oscar tra cui miglior canzone per Over the rainbow, Il Mago di Oz è un classico senza tempo, un fantasy/musical con una produzione, una scenografia ed effetti speciali decisamente avanti per l'epoca (il film ha più di ottant'anni).
Geniale l'idea che la realtà sia girata in bianco e nero virato in seppia mentre il mondo di OZ è in un tecnicolor con colori saturi e realistici.
Non amo i musical (a parte rari casi) quindi personalmente le parti cantate le avrei saltate volentieri.
Il Mago di Oz è entrato a far parte della cultura pop e con il tempo è diventato fonte di ispirazione per numerosi registi a venire (vedi il post seguente). Tuttavia fin dall'inizio il film è stato al centro di numerosi casi spiacevoli che le fecero guadagnare il titolo di film maledetto (repentini cambi di sceneggiatori e attori) e critiche sui metodi poco ortossi della produzione (Judy Garland, allora minorenne, fu costretta ad assumere delle anfetamine per dimagrire, e gli attori a sopportare trucchi e costumi che in alcuni casi hanno provocato gravi rischi alla loro incolumità). Tutto questo, negli anni a seguire, non ha fatto altro che alimentare a numerose leggende metropolitane come quella di un nano che si sarebbe impiccato sul set durante le riprese.
Ho scoperto che qualche folle si è divertito a sincronizzare l'intero film con The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd per evidenziare come sembrano fatti apposta per essere riprodotti insieme. Simpatico ma parecchio forzato.
Film
Arcane
Serie animata prodotta da Netflix nel 2021 ispirata al videogioco online League of Legends.
Non conosco il videogioco - in realtà, a parte rari casi, non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi - ma questo non mi ha impedito ad appassionarmi a questa serie animata e ai suoi personaggi. Diciamo che l'aspetto visivo e la tecnica di animazione sono il valore aggiunto che fa sì che la serie possa essere apprezzata anche da un pubblico più ampio.
Arcane si svolge in un mondo fantasy con elementi steampunk. Abbiamo due città, Piltover e Zaun. La prima è una città votata alla scienza, all'innovazione e al commercio, mentre la seconda è una città degradata, povera e malfamata. In quest'ultima vivono due sorelle orfane, Vi, dai capelli rossi e Powder, dai capelli blu, che cercano di sopravvivere compiendo furti con la loro banda. Parallelamente a Zaun un giovane scienziato chiamato Jayce Talis, insieme al suo amico fidato Viktor, sta cercando di utilizzare una tecnologia proibita che fa uso di magia per poter rendere il mondo migliore. Le strade di questi personaggi, e di molti altri, si incontreranno tra intrighi, vendette, colpi di scena e l’eterna lotta per il potere.
La serie dal punto di vista narrativo è fluida, ha il giusto ritmo, una buona sceneggiatura e i personaggi appaiono credibili ed espressivi, non solo i protagonisti ma anche quelli secondari. Parlando invece dell'estetica credo che i tipi della Riot Games coaiuvati dallo studio di animazione francese Fortiche Production, abbiano raggiunto un risultato davvero incredibile. Visivamente è qualcosa di fenomenale, le ambientazioni e i fondali sono spettacolari e dettagliati. Un connubio perfetto tra animazione classica e CGI che conferisce alla serie un suo stile particolare a tratti pittorico. Difficile trovare un prodotto destinato alla televisione con una animazione del genere (non può essere paragonato a Spider-Man: Un nuovo Universo, ovviamente, ma, se lo rapportiamo al fatto che questo è un prodotto per il piccolo schermo, il metro di paragone è quello).
La prima stagione di Arcane è composta da nove episodi divisi in tre atti.
Aspettando la seconda stagione (dovrebbe essere in lavorazione) al momento per me è la migliore serie animata degli ultimi anni.

Sandman
Neil Gaiman
Aspettavo da anni questa serie. Il Sandman di Neil Gaiman è uno dei miei fumetti preferiti di sempre, probabilmente il fumetto della mia post adolescenza a cui sono più legato. Ancora oggi conservo gelosamente nella mia libreria, e in bella vista, i volumi che compongono la serie, anche in varie edizioni.
Fatta questa premessa, avevo una notevole aspettativa e il timore di andare a sbattere in una cocente delusione era dietro l'angolo.
Veloce introduzione per chi non conoscesse Sandman. Pubblicato negli Stati Uniti tra il 1989 e il 1996 per l'etichetta Vertigo della Dc Comics, Sandman è composto da 75 albi raccolti in una decina di volumi. Neil Gaiman, lo scrittore inglese a cui viene dato il compito di reinventare un vecchio personaggio della DC, da vita a Morpheus, il Signore dei Sogni, un personaggio affascinante e complesso che fa parte della famiglia degli Eterni, la personificazione antropomorfizzata delle forze che muovono l'universo. Sandman è un’opera complessa che mescola storia e mitologia, un punto di svolta nella storia del fumetto, vincitrice di numerosi premi e capace di catturare l’attenzione anche di coloro che abitualmente leggono solo romanzi letterari.
A distanza di trent'anni dalla sua prima sceneggiatura, Neil Gaiman torna a lavorare sulla sua opera, adattando la storia in una serie televisiva prodotta e distribuita da Netflix e composta da dieci episodi "regolari" più uno bonus. La prima stagione si concentra sulla storia narrata nei primi due volumi, Preludi e notturni e Casa di bambola, mentre l'episodio bonus rilasciato due settimane dopo è l'adattamento di due racconti brevi, Il sogno di mille gatti e Calliope.
Adattare un opera del genere, così sedimentata nell'immaginario di coloro che ci sono cresciuti, è davvero difficile. Partiamo dai personaggi e togliamoci subito il dente dolente.
Morfeo (Dream), intepretato da Tom Sturridge, è abbastanza fedele al personaggio (nei disegni è un incrocio tra Robert Smith, Peter Murphy e lo stesso Gaiman). Sturridge ha una faccia un pò paffutella ma ha una buona presenza scenica. Passando agli altri personaggi, mentre trovo appropriata la sostituzione di Lucien con una ragazza di colore (Vivienne Acheampong), va bene che Constantine sia diventata una donna, così come ho apprezzato la brava Gwendoline Christie che interpreta Lucifero (nei disegni era ispirato a David Bowie), nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà faccio davverò difficoltà ad accettare il blackwashing di Death . Nei fumetti la sorella di Dream è una ragazza "dark" dalla pelle diafana e dai capelli corvino che negli anni è diventata una vera e propria icona del movimento e della cultura "goth". Stravolgere visivamente questo personaggio affidandolo all'intepretazione dell’attrice nera Kirby Howell-Baptise mi pare una scelta compiuta solo in nome del politically-correct ad ogni costo tanto in voga negli ultimi anni. Non si tratta di razzismo, sarei rimasto infastidito anche se l'attrice fosse stata bionda e con gli occhi azzurri. Solo che stravolgere un personaggio così iconico in nome di questa insistente inclusione io l'ho trovato una forzatura idiota e parecchio ipocrita. Mi dispiace Gaiman, questa scelta non riesco proprio a mandarla giù.
Tralasciando la nota stonata e passando alla trasposizione del fumetto devo ammettere che complessivamente il risultato e la resa di questa prima stagione è ottima. La serie risulta parecchio fedele al fumetto, in particolarmodo nei dialoghi, e le parti alterate sono più che giustificate dal fatto che alcune situazioni richiedevano un aggiornamento e il prodotto necessariamente doveva essere fruibile a un pubblico che non ha mai letto l'opera di Gaiman. Sono dei cambiamenti che però non stravolgono o snaturano la fedeltà del fumetto ma lo rendono solo più attuale.
In questa prima stagione la prima metà è dedicata al ritorno di Sogno nel suo reame e al ritrovamento dei suoi amuleti, mentre nella seconda parte c'è la storia di Rose Walker e il vortice. In entrambi il Corinzio determina la trama orizzontale. Tra la prima e la seconda parte c'è il bellissimo episodio "The Sound of Her Wings" (che bello che anche i titoli corrispondono alle storie del fumetto) in cui un Morfeo disilluso trascorre una giornata con sua sorella Morte. Tra gli altri episodi metto in evidenza quello in cui Morfeo va all'Inferno per sfidare Lucifero e il disturbante "24 Hours".
In conclusione la serie è ottima ma per quanto fedele non raggiunge la bellezza del fumetto, trattandosi di un capolovoro inarrivabile. E per quanto mi riguarda è pure giusto che sia così.
Aspetto la seconda stagione.