OYSTERBOX

  • Concerti
  • Film
  • Fumetti
  • Libri
  • Musica
  • Serie TV
  • Teatro
  • Tecnologia

oyster
Contatti
2017 ×
    • login
domenica, 18 maggio 2025
...

Madre!

di Darren Aronofsky

Tra la fine degli anni '90 e l’inizio dei duemila, Darren Aronofsky era uno dei miei registi preferiti. π – Il teorema del delirio e Requiem for a Dream, sono due film che, ciascuno a suo modo, mi hanno segnato nel profondo. Poi, con il passaggio da regista indipendente a nome consolidato nel sistema hollywoodiano, qualcosa si è incrinato. Fatta eccezione per Il cigno nero e, forse, per The Wrestler, la deriva mistico-biblica ed esistenziale di The Fountain e Noah mi ha fatto prendere le distanze dal suo cinema, trovandolo autoreferenziale e ridondante.
Madre!, uscito nel 2017 e presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, si colloca in questa fase della sua filmografia, riprendendo le stesse tematiche ma da un punto di vista diverso e decisamente più interessante. Accolto tra sonori fischi e sporadici applausi, il film ha diviso pubblico e critica, lasciando molti spettatori spaesati, se non apertamente irritati. Eppure, dietro la provocazione e l’allegoria esasperata, qualcosa continua a muoversi.

La storia si svolge in una grande casa isolata nel mezzo del nulla e ha per protagonisti uno scrittore di mezz'età in crisi creativa (Javier Bardem) e la sua giovane e devota moglie (Jennifer Lawrence), impegnata a ristrutturare l’abitazione danneggiata da un precedente incendio. La loro apparente tranquillità viene interrotta dall’arrivo improvviso di un misterioso sconosciuto (Ed Harris), seguito poco dopo dalla sua invadente moglie (Michelle Pfeiffer). Lo scrittore accoglie con entusiasmo i due ospiti, ma l’equilibrio comincia a vacillare quando arrivano anche i loro figli. Quel che inizia come un dramma domestico si trasforma progressivamente in un incubo claustrofobico, in cui il confine tra realtà e metafora si assottiglia fino a dissolversi.

Di seguito ci sono degli spoiler, quindi, per chi ancora non l'avesse visto, consiglio vivamente di non proseguire con la lettura.

Madre! si articola in due parti ben distinte. Nella prima, la storia risulta interessante, ambigua e carica di tensione con evidenti riferimenti al cinema di Polanski. La macchina da presa segue ossessivamente la Lawrence, incollandosi al suo volto, ai suoi movimenti, restituendo in modo quasi soffocante la sua angoscia crescente. Il suo sguardo è l’unico tramite attraverso cui assistiamo all’invasione lenta e inesorabile della casa, luogo simbolico che lei ha ricostruito con cura e dedizione, e che ora vede sfaldarsi sotto i suoi occhi. La casa pulsa, soffre, sanguina. E' una creatura viva, specchio delle sue ferite interiori. Il marito, al contrario, appare completamente ignaro (o peggio, indifferente) al disagio crescente della moglie. Accoglie gli ospiti con entusiasmo, attratto dalla loro ammirazione, come se cercasse di alimentare il suo ego. La tensione esplode con il fraticidio compiuto da uno dei figli della coppia molesta. Improvvisamente la casa viene invasa da una folla di estranei, accorsi per una veglia funebre che degenera rapidamente in un rito grottesco e caotico. Dopo essere riuscita, non senza difficoltà, a scacciarli, la protagonista ritrova una fragile intimità con il marito, che culmina in un amplesso quasi liberatorio. Ne segue un concepimento inatteso, che sembra riaccendere anche l’ispirazione dello scrittore, ora pronto a scrivere la sua nuova opera.
Nella seconda metà, il film da dramma surreale si trasforma in un vero e proprio incubo catastrofico. Sono trascorsi nove mesi — anche se il tempo pare essersi fermato — e lo scrittore ha terminato il suo poema, accolto con entusiasmo da una moltitudine di adoratori che assediano la casa. La protagonista è sul punto di partorire, ma continua a essere ignorata. Il suo ruolo rimane subordinato alle esigenze e all’egocentrismo del marito. La casa viene nuovamente invasa, stavolta da una folla fanatica e sempre più violenta, in una lunga sequenza apocalittica in cui esplosioni, saccheggi e brutalità trasformano l’abitazione in un campo di battaglia. Il parto avviene nel mezzo del caos, ma la gioia per la nascita è effimera. Il neonato (figura chiaramente messianica) viene sottratto alla madre e letteralmente divorato dalla folla adorante, in una delle scene più raccapriccianti e simboliche del film. Sconvolta dal dolore, la protagonista appicca un incendio, sacrificando sé stessa e tutto ciò che resta. Sopravvive solo lo scrittore, che estrae dal suo petto il residuo d’amore necessario per far ripartire il ciclo. E infatti, tutto ricomincia. Una nuova Madre, una nuova illusione d’armonia.

Madre! è un film ambizioso e stratificato, costruito su metafore e allegorie religiose piuttosto esplicite. Lei incarna Madre Natura, la Terra, la prima grande musa ispiratrice. Lui è il Creatore, un Dio egoista e distaccato nei confronti della stessa Terra che ha generato. La coppia di intrusi richiama Adamo ed Eva, i loro figli sono Caino e Abele. Il cristallo custodito nello studio rappresenta il frutto proibito, il lavandino che esplode durante la veglia è il Diluvio Universale, il figlio nato nel caos è un Messia sacrificato da un’umanità cieca e idolatra.
Il limite principale del film è proprio questa eccessiva trasparenza simbolica. Il significato non viene evocato, ma ribadito, quasi imposto. L’allegoria è talmente scoperta da risultare prevedibile. Il mistero — quella qualità che invita a tornare su un’opera per coglierne nuove sfumature — qui lascia spazio a una narrazione che cerca costantemente di farsi decifrare. Ed è un peccato, perché un’opera così visivamente potente e concettualmente ricca non avrebbe bisogno di spiegarsi. Il buon cinema d’autore non cerca conferme. Suggerisce, non istruisce. E in questa differenza, sottile ma sostanziale, risiede gran parte del suo fascino.
Il film ha sollevato non poche critiche sulla rappresentazione femminile. La protagonista è una figura passiva, una martire silenziosa e devota che assiste impotente allo scempio del proprio mondo. In questo senso, sembra l’antitesi della donna di Antichrist di Lars von Trier, che da strega diventa santa. In entrambi i casi, la donna è ridotta a simbolo, priva di voce e identità, vittima di una visione maschile che la sublima per poi consumarla.

Al di là dell'aspetto narrativo, dal punto di vista tecnico il film si distingue per una regia invasiva e totalizzante, quasi claustrofobica, e per una fotografia efficace, che dai toni caldi della prima parte si incupisce nel finale, accentuando il senso di disagio. L’assenza di colonna sonora lascia spazio a un sound design ossessivo, fatto di respiri, scricchiolii e battiti, che amplificano la tensione. Riguardo Jennifer Lawrence, lei è pure brava a interpretare la donna sottomessa ma proprio faccio fatica a vederla in questo ruolo. Problema mio.

Madre! è un film eccessivo, caotico, visivamente potente, deliberatamente divisivo. Lo si può leggere come parabola biblica, come critica ecologista, come riflessione sull’atto creativo o sull’egocentrismo dell’artista, o forse come tutte queste cose insieme. Di certo, è un film che non passa inosservato. Che lo si consideri un’allegoria potente o un esercizio di stile pretenzioso, non si può negare il suo impatto emotivo e visivo. Un film coraggioso, ambizioso e imperfetto.

Film
Drammatico
Grottesco
USA
2017
martedì, 1 aprile 2025
...

Qui, altrove

Matthieu Simard

Attirato dalla recensione del libro: "un romanzo dove il perturbante si incarna in un’atmosfera densa di enigmi e di mistero ...degna del miglior cinema di David Lynch", mi sono letto Qui, Altrove di Matthieu Simard, un romanzo breve pubblicato da Zona 42 nella sua nuova collana Caronte curata da Luigi Musolino, dedicata al lato più oscuro della narrativa fantastica.

Nel tentativo di fuggire da un passato doloroso, Marie e Simon decidono di trasferirsi in un paesino sperduto tra i boschi sperando di concepire un figlio e ritrovare la serenità perduta. Ma il paese non è il rifugio accogliente che speravano. Gli abitanti rimasti, segnati da un’esistenza ruvida e da segreti non detti, li accolgono con freddezza o con un’inquietante invadenza. Da quando la fabbrica locale ha chiuso e una misteriosa antenna è stata installata, il posto sembra aver assunto un’aura di sospensione irreale, come se qualcosa di indefinibile lo stesse corrodendo dall’interno.

Matthieu Simard, autore canadese, costruisce la tensione giocando tutto sulle atmosfere. La sua scrittura è scarna ma evocativa, capace di insinuare una sottile inquietudine nel lettore. Il romanzo si muove tra le voci di Marie e Simon, restituendoci un’immersione intima nei loro pensieri, nelle loro paure, nelle ferite ancora aperte che li accompagnano.  Il villaggio in cui si stabiliscono è descritto come un luogo enigmatico e ostile, immerso in un silenzio irreale. L’assenza di suoni – il violoncello di Marie che non viene mai suonato, il canto degli uccelli che sembra essersi estinto – amplifica il senso di isolamento e perdita.
La prima parte procede con un ritmo lento, quasi ipnotico, scandito da giorni che si ripetono uguali e da interazioni cariche di ambiguità. Poi, nella seconda metà, le crepe si aprono e scopriamo i motivi della fuga di Marie e Simon, il loro dolore prende forma, e il loro comportamento inizialmente criptico assume un senso più nitido.

Qui, Altrove è un romanzo sospeso, costruito su un dolore mai dichiarato del tutto, su spazi vuoti che parlano più delle parole. Ci sono momenti di rara poesia, malinconici e struggenti, e l’atmosfera è senza dubbio riuscita. Eppure, alla fine, non mi ha convinto fino in fondo. Forse mi aspettavo qualcosa di meno etereo, più incisivo. È come se il romanzo sfiorasse continuamente il mistero senza mai afferrarlo del tutto. Rimane un’esperienza affascinante, ma anche elusiva, come un sogno che al risveglio ti lascia addosso solo un vago senso di inquietudine.

Libri
Drammatico
Canada
2017
giovedì, 27 febbraio 2025
...

The Place

di Paolo Genovese

Dopo il successo di Perfetti Sconosciuti, il regista romano Paolo Genovese realizza nel 2017 un film insolito e per certi versi coraggioso. Adattamento della serie americana The Booth at the End, The Place è una sorta di thriller esistenziale, decisamente teatrale, basato prevalentemente su dialoghi e tensione psicologica.

Il film è ambientato tutto all’interno di un bar dove un enigmatico personaggio senza nome (Valerio Mastandrea), seduto sempre allo stesso tavolo, prende appunti su una vissuta agenda, mentre una sfilata di personaggi, si alternano, sedendosi di fronte a lui, con richieste che vanno dal disperato al delirante. Un poliziotto che cerca suo figlio (Marco Giallini), una suora che ha perso la fede (Alba Rohrwacher), un padre disperato che vuole salvare la vita del proprio bambino (Vinicio Marchioni), un meccanico che sogna una notte di sesso con una pinup da calendario (Rocco Papapaleo), una donna anziana che desidera che il marito guarisca (Giulia Lazzarini), un delinquente che vuole liberarsi del padre oppressivo (Silvio Muccino), un cieco che vorrebbe riacquistare la vista (Alessandro Borghi), una ragazza ossessionata dalla bellezza (Silvia D'Amico) e un altra che vuole riconquistare suo marito (Vittoria Puccini). Lui ascolta, prende appunti e poi propone una soluzione. Ma niente è gratis, ogni desiderio ha un prezzo e la moneta di scambio è un’azione – spesso immorale, talvolta orribile – che i personaggi dovranno compiere. Il punto non è tanto cosa vogliono, ma fino a che punto sono disposti a spingersi per ottenerlo. 
A osservare il tutto c’è la cameriera del bar (Sabrina Ferilli), incuriosita da quell’uomo che passa le giornate a parlare con chi gli siede di fronte, che a fine serata si siede al suo tavolo cercando di svelare il mistero dietro quel volto impassibile. Chi è davvero? Un emissario divino? Il diavolo in incognito? O semplicemente uno specchio della natura umana, capace solo di mostrare il peggio che si cela dentro ognuno di noi?

Il film punta tutto su un’impostazione teatrale, un cast corale, un unico spazio, pochi movimenti, tanti primi piani e dialoghi a raffica. Scelta affascinante, ma alla lunga un po’ ripetitiva. Il cinema di solito si muove, qui invece resta fermo, lasciando allo spettatore il compito di immaginare cosa accada fuori. Più che un film, sembra di leggere un romanzo.
Mastandrea è perfetto nel ruolo dell’enigmatico burattinaio, cupo, imperscrutabile, con un velo di malinconia che lo rende ancora più inquietante. Gli altri? Più che personaggi, sembrano archetipi con poco spessore. E poi alcuni proprio non li reggo, ma questo è un problema mio.
Genovese ha il merito di non essersi adagiato sul successo di Perfetti Sconosciuti, provando una strada più rischiosa e anticommerciale. Peccato che The Place non inciampi tanto sull’idea – che non è neanche originalissima – quanto sulla sua realizzazione. Tante domande, poche risposte, e nella seconda metà il film si sfilaccia con personaggi che spariscono, trame che si annodano senza sciogliersi, e un finale che non incide quanto dovrebbe.

Un’occasione mancata? Forse. Ma almeno è un tentativo di portare qualcosa di diverso nel cinema italiano.

Film
Drammatico
Noir
Italia
2017
martedì, 12 settembre 2023
...

Il sacrificio del cervo sacro

di Yorgos Lanthimos

Il regista greco Yorgos Lanthimos ha recentemente vinto il Leone d'Oro a Venezia con il film "Povere Creature". Parecchio incuriosito da questo film (dovrebbe uscire nelle sale italiane nel gennaio 2024), per non farmi trovare impreparato al suo "cinema" decido di guardarmi su Prime "Il Sacrificio del Cervo Sacro" del 2017 dopo aver visto alcuni anni fa il suo "Lobster".

Il film è un thriller psicologico molto particolare ed estremamente surreale, un film pieno di metafore e simbolismi il cui soggetto, scritto dallo stesso Lanthimos, è ispirato a una tragedia greca, L'Ifigenia in Aulide di Euripide.

La trama è incentrata su una famiglia borghese composta da Steven (Colin Farrel), un brillante chirurgo, sua moglie Anna (Nicole Kidman), una nota oftalmologa, e i loro due figli adolescenti, Kim e Bob. La loro vita sembra perfetta, agiata, e fredda come un tavolo di obitorio. Un giorno Steven decide di prendere sotto la sua ala protettiva Martin (Barry Keoghan), un ragazzo di sedici anni rimasto orfano di padre. Quando il ragazzo viene presentato a tutta la famiglia cominciano a verificarsi eventi sconvolgenti e Steven si trova costretto a compiere un terribile sacrificio per non perdere tutta la famiglia.

Nella prima parte del film è l’attesa a caratterizzare la pellicola. Non si capisce ciò che sta accadendo e quale sia il rapporto del ragazzo con il personaggio interpretato da Collin Farrel. L’atmosfera è gelida e distante, i dialoghi sono asettici, e la perfetta famigliola sembra in realtà celare un vuoto emotivo disturbante. Quando scopriamo le vere intenzioni di Martin e la “maledizione” che ha inflitto a Steven e alla sua famiglia, cadono le maschere e i protagonisti rivelano tutto il loro egoismo e la loro inaffettività nei confronti dell’altro. Anna: "sacrifichiamo uno dei due bambini che tanto siamo ancora giovani e ne rifacciamo un altro"

Il gelo di questa tragedia familiare dove gli affetti e i sentimenti sono repressi e disfunzionali (si pensi al rito sessuale privo di passione in cui Anna per eccitare il marito finge di essere sotto anestesia) viene descritto anche da un algida fotografia e sopratutto da una regia severa e rigorosa con delle rigide geometrie e delle inquadrature parecchio angolate. Le carellate lungo i corridoi dell'ospedale mi ha ricordato non poco lo Shining di Stanley Kubrick mentre la presenza di Nicole Kidman e il rapporto represso con il marito mi ha riportato alla mente il rapporto contrastato dei protagonisti di Eyes Wide Shut. Se in questo contesto aggiungiamo che parte della colonna sonora è affidata György Ligeti (le cui musiche Kubrick aveva usato in molti dei suoi film) mi pare evidente che Lanthimos con questo film abbia voluto omaggiare quello che da molti viene considerato come il più grande cineasta di tutti i tempi.

Nonostante un velato autocompiacimento, Lanthimos, con Il sacrificio del cervo sacro realizza un ottimo film che ci racconta l'amara parabola di una società borghese apatica e anestetizzata ai sentimenti, incapace di reagire e rassegnata al succedersi degli eventi.

Film
Thriller
Psicologico
2017
venerdì, 8 settembre 2023
...

Pelle

di Eduardo Casanova

Opera prima del regista spagnolo Eduardo Casanova, Pelle (distribuito da Netflix e uscito nel 2017) è un film disturbante confezionato a mo' di caramella.

La storia ruota intorno a una serie di personaggi con delle evidenti malformazioni fisiche o dei problemi di accettazione del loro corpo. Abbiamo una ragazza senza occhi costretta a prostituirsi in un bordello che indossa con i suoi clienti due diamanti al posto degli occhi, una nana al terzo mese di gravidanza stanca di indossare il costume da orsacchiotto rosa nel programma televisivo in cui lavora, una donna con un occhio e con la bocca deformata che ha una relazione con un uomo che ha una perversione sessuale per le malformazioni, un ragazzo affetto da somatoparafrenia che vuole amputarsi gli arti per diventare una sirena, e infine una ragazza nata con il buco del culo al posto della bocca che viene bullizzata dai suoi coetanei. E' quest'ultima, come prevedibile, il personaggio più disturbante.

Pelle è una sorta di Freaks degli anni duemila dove a differenza dei fenomeni da baraccone di Tod Browning relegati in un circo degli orrori, i personaggi di Casanova vorrebbero vivere delle vite normali, vivere come chiunque e avere una vita sociale, in un mondo in cui si celebra la bellezza e la superficialità sui social network, e dove i modelli culturali da seguire sono gli influencer e i social bloggers.
In questo quadro, in cui la fragilità, la diversità e la conseguente emarginazione dei protagonisti vengono messi a nudo, si contrappone una regia e una scenografia alla Wes Anderson, costituita da colori pastello che si alternano tra il rosa, il viola e il lilla, che non fa altro che marcare quell angosciante disagio e tragica ambiguità che caratterizza questo film.

Non mi è ben chiaro se questo spot estetico e feticista sia solo una provocazione fine a se stessa, rimane senz'altro un film insolito, stravagante e ben confezionato che spicca in mezzo ai film e ai contenuti generalisti proposti da Netflix.

Film
Netflix
Drammatico
Surreale
2017
giovedì, 27 aprile 2023
...

Scappa - Get Out

di Jordan Peele

Immagina di andare a conoscere i genitori della tua ragazza, già c'è un certo nervosismo, vero? Ecco, ora aggiungi che tu sei nero, loro sono bianchi e vivono in un’idilliaca casa di campagna in Alabama dove la tensione è densa come il silenzio imbarazzato tra i discorsi forzati a tavola. Chris, il nostro protagonista, si rende subito conto che c'è qualcosa che non torna, ma quello che scopre è molto più inquietante di qualsiasi imbarazzo sociale.

Scappa - Get Out è un thriller horror del 2017 scritto e diretto da Jordan Peele, attore comico nero, qui al suo esordio dietro la macchina da presa.

Get Out è un film che ha una affilata ironia e un geniale senso del grottesco. Nope realizza una pellicola con un evidente messaggio antirazzista e tematiche legate alla distinzione di classe sociale, mescolando Hitchcock, satira e brividi, ma con quel tocco che solo uno con un background comico può dare.
Ottima la prova di Daniel Kaluuya che interpreta il protagonista, buona la fotografia, il ritmo e la tensione narrativa. Non è quel capolavoro come molti hanno lasciato intendere (ha vinto l'Oscar alla migliore sceneggiatura originale e ha riscosso molto successo) ma nel complesso si lascia vedere.
Ammetto che, tra i nomi di punta del new horror degli ultimi anni – Aster, Eggers e Peele –  proprio quest’ultimo, il regista afroamericano, è quello che mi convince meno.

Film
Thriller
Horror
2017

© , the is my oyster