
Madre!
di Darren Aronofsky
Tra la fine degli anni '90 e l’inizio dei duemila, Darren Aronofsky era uno dei miei registi preferiti. π – Il teorema del delirio e Requiem for a Dream, sono due film che, ciascuno a suo modo, mi hanno segnato nel profondo. Poi, con il passaggio da regista indipendente a nome consolidato nel sistema hollywoodiano, qualcosa si è incrinato. Fatta eccezione per Il cigno nero e, forse, per The Wrestler, la deriva mistico-biblica ed esistenziale di The Fountain e Noah mi ha fatto prendere le distanze dal suo cinema, trovandolo autoreferenziale e ridondante.
Madre!, uscito nel 2017 e presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, si colloca in questa fase della sua filmografia, riprendendo le stesse tematiche ma da un punto di vista diverso e decisamente più interessante. Accolto tra sonori fischi e sporadici applausi, il film ha diviso pubblico e critica, lasciando molti spettatori spaesati, se non apertamente irritati. Eppure, dietro la provocazione e l’allegoria esasperata, qualcosa continua a muoversi.
La storia si svolge in una grande casa isolata nel mezzo del nulla e ha per protagonisti uno scrittore di mezz'età in crisi creativa (Javier Bardem) e la sua giovane e devota moglie (Jennifer Lawrence), impegnata a ristrutturare l’abitazione danneggiata da un precedente incendio. La loro apparente tranquillità viene interrotta dall’arrivo improvviso di un misterioso sconosciuto (Ed Harris), seguito poco dopo dalla sua invadente moglie (Michelle Pfeiffer). Lo scrittore accoglie con entusiasmo i due ospiti, ma l’equilibrio comincia a vacillare quando arrivano anche i loro figli. Quel che inizia come un dramma domestico si trasforma progressivamente in un incubo claustrofobico, in cui il confine tra realtà e metafora si assottiglia fino a dissolversi.
Di seguito ci sono degli spoiler, quindi, per chi ancora non l'avesse visto, consiglio vivamente di non proseguire con la lettura.
Madre! si articola in due parti ben distinte. Nella prima, la storia risulta interessante, ambigua e carica di tensione con evidenti riferimenti al cinema di Polanski. La macchina da presa segue ossessivamente la Lawrence, incollandosi al suo volto, ai suoi movimenti, restituendo in modo quasi soffocante la sua angoscia crescente. Il suo sguardo è l’unico tramite attraverso cui assistiamo all’invasione lenta e inesorabile della casa, luogo simbolico che lei ha ricostruito con cura e dedizione, e che ora vede sfaldarsi sotto i suoi occhi. La casa pulsa, soffre, sanguina. E' una creatura viva, specchio delle sue ferite interiori. Il marito, al contrario, appare completamente ignaro (o peggio, indifferente) al disagio crescente della moglie. Accoglie gli ospiti con entusiasmo, attratto dalla loro ammirazione, come se cercasse di alimentare il suo ego. La tensione esplode con il fraticidio compiuto da uno dei figli della coppia molesta. Improvvisamente la casa viene invasa da una folla di estranei, accorsi per una veglia funebre che degenera rapidamente in un rito grottesco e caotico. Dopo essere riuscita, non senza difficoltà, a scacciarli, la protagonista ritrova una fragile intimità con il marito, che culmina in un amplesso quasi liberatorio. Ne segue un concepimento inatteso, che sembra riaccendere anche l’ispirazione dello scrittore, ora pronto a scrivere la sua nuova opera.
Nella seconda metà, il film da dramma surreale si trasforma in un vero e proprio incubo catastrofico. Sono trascorsi nove mesi — anche se il tempo pare essersi fermato — e lo scrittore ha terminato il suo poema, accolto con entusiasmo da una moltitudine di adoratori che assediano la casa. La protagonista è sul punto di partorire, ma continua a essere ignorata. Il suo ruolo rimane subordinato alle esigenze e all’egocentrismo del marito. La casa viene nuovamente invasa, stavolta da una folla fanatica e sempre più violenta, in una lunga sequenza apocalittica in cui esplosioni, saccheggi e brutalità trasformano l’abitazione in un campo di battaglia. Il parto avviene nel mezzo del caos, ma la gioia per la nascita è effimera. Il neonato (figura chiaramente messianica) viene sottratto alla madre e letteralmente divorato dalla folla adorante, in una delle scene più raccapriccianti e simboliche del film. Sconvolta dal dolore, la protagonista appicca un incendio, sacrificando sé stessa e tutto ciò che resta. Sopravvive solo lo scrittore, che estrae dal suo petto il residuo d’amore necessario per far ripartire il ciclo. E infatti, tutto ricomincia. Una nuova Madre, una nuova illusione d’armonia.
Madre! è un film ambizioso e stratificato, costruito su metafore e allegorie religiose piuttosto esplicite. Lei incarna Madre Natura, la Terra, la prima grande musa ispiratrice. Lui è il Creatore, un Dio egoista e distaccato nei confronti della stessa Terra che ha generato. La coppia di intrusi richiama Adamo ed Eva, i loro figli sono Caino e Abele. Il cristallo custodito nello studio rappresenta il frutto proibito, il lavandino che esplode durante la veglia è il Diluvio Universale, il figlio nato nel caos è un Messia sacrificato da un’umanità cieca e idolatra.
Il limite principale del film è proprio questa eccessiva trasparenza simbolica. Il significato non viene evocato, ma ribadito, quasi imposto. L’allegoria è talmente scoperta da risultare prevedibile. Il mistero — quella qualità che invita a tornare su un’opera per coglierne nuove sfumature — qui lascia spazio a una narrazione che cerca costantemente di farsi decifrare. Ed è un peccato, perché un’opera così visivamente potente e concettualmente ricca non avrebbe bisogno di spiegarsi. Il buon cinema d’autore non cerca conferme. Suggerisce, non istruisce. E in questa differenza, sottile ma sostanziale, risiede gran parte del suo fascino.
Il film ha sollevato non poche critiche sulla rappresentazione femminile. La protagonista è una figura passiva, una martire silenziosa e devota che assiste impotente allo scempio del proprio mondo. In questo senso, sembra l’antitesi della donna di Antichrist di Lars von Trier, che da strega diventa santa. In entrambi i casi, la donna è ridotta a simbolo, priva di voce e identità, vittima di una visione maschile che la sublima per poi consumarla.
Al di là dell'aspetto narrativo, dal punto di vista tecnico il film si distingue per una regia invasiva e totalizzante, quasi claustrofobica, e per una fotografia efficace, che dai toni caldi della prima parte si incupisce nel finale, accentuando il senso di disagio. L’assenza di colonna sonora lascia spazio a un sound design ossessivo, fatto di respiri, scricchiolii e battiti, che amplificano la tensione. Riguardo Jennifer Lawrence, lei è pure brava a interpretare la donna sottomessa ma proprio faccio fatica a vederla in questo ruolo. Problema mio.
Madre! è un film eccessivo, caotico, visivamente potente, deliberatamente divisivo. Lo si può leggere come parabola biblica, come critica ecologista, come riflessione sull’atto creativo o sull’egocentrismo dell’artista, o forse come tutte queste cose insieme. Di certo, è un film che non passa inosservato. Che lo si consideri un’allegoria potente o un esercizio di stile pretenzioso, non si può negare il suo impatto emotivo e visivo. Un film coraggioso, ambizioso e imperfetto.
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