
The Place
di Paolo Genovese
Dopo il successo di Perfetti Sconosciuti, il regista romano Paolo Genovese realizza nel 2017 un film insolito e per certi versi coraggioso. Adattamento della serie americana The Booth at the End, The Place è una sorta di thriller esistenziale, decisamente teatrale, basato prevalentemente su dialoghi e tensione psicologica.
Il film è ambientato tutto all’interno di un bar dove un enigmatico personaggio senza nome (Valerio Mastandrea), seduto sempre allo stesso tavolo, prende appunti su una vissuta agenda, mentre una sfilata di personaggi, si alternano, sedendosi di fronte a lui, con richieste che vanno dal disperato al delirante. Un poliziotto che cerca suo figlio (Marco Giallini), una suora che ha perso la fede (Alba Rohrwacher), un padre disperato che vuole salvare la vita del proprio bambino (Vinicio Marchioni), un meccanico che sogna una notte di sesso con una pinup da calendario (Rocco Papapaleo), una donna anziana che desidera che il marito guarisca (Giulia Lazzarini), un delinquente che vuole liberarsi del padre oppressivo (Silvio Muccino), un cieco che vorrebbe riacquistare la vista (Alessandro Borghi), una ragazza ossessionata dalla bellezza (Silvia D'Amico) e un altra che vuole riconquistare suo marito (Vittoria Puccini). Lui ascolta, prende appunti e poi propone una soluzione. Ma niente è gratis, ogni desiderio ha un prezzo e la moneta di scambio è un’azione – spesso immorale, talvolta orribile – che i personaggi dovranno compiere. Il punto non è tanto cosa vogliono, ma fino a che punto sono disposti a spingersi per ottenerlo.
A osservare il tutto c’è la cameriera del bar (Sabrina Ferilli), incuriosita da quell’uomo che passa le giornate a parlare con chi gli siede di fronte, che a fine serata si siede al suo tavolo cercando di svelare il mistero dietro quel volto impassibile. Chi è davvero? Un emissario divino? Il diavolo in incognito? O semplicemente uno specchio della natura umana, capace solo di mostrare il peggio che si cela dentro ognuno di noi?
Il film punta tutto su un’impostazione teatrale, un cast corale, un unico spazio, pochi movimenti, tanti primi piani e dialoghi a raffica. Scelta affascinante, ma alla lunga un po’ ripetitiva. Il cinema di solito si muove, qui invece resta fermo, lasciando allo spettatore il compito di immaginare cosa accada fuori. Più che un film, sembra di leggere un romanzo.
Mastandrea è perfetto nel ruolo dell’enigmatico burattinaio, cupo, imperscrutabile, con un velo di malinconia che lo rende ancora più inquietante. Gli altri? Più che personaggi, sembrano archetipi con poco spessore. E poi alcuni proprio non li reggo, ma questo è un problema mio.
Genovese ha il merito di non essersi adagiato sul successo di Perfetti Sconosciuti, provando una strada più rischiosa e anticommerciale. Peccato che The Place non inciampi tanto sull’idea – che non è neanche originalissima – quanto sulla sua realizzazione. Tante domande, poche risposte, e nella seconda metà il film si sfilaccia con personaggi che spariscono, trame che si annodano senza sciogliersi, e un finale che non incide quanto dovrebbe.
Un’occasione mancata? Forse. Ma almeno è un tentativo di portare qualcosa di diverso nel cinema italiano.
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