
Titane
di Julia Ducournau
Quando il cinema francese decide di osare, sa essere disturbante come pochi. E per disturbante intendo qualcosa che ti si insinua sotto la pelle, lacera e lascia il segno. Titane, diretto da Julia Ducournau e vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2021, è un film estremo, provocatore e spiazzante.
Alexia (Agathe Rousselle) porta nel cranio una placca di titanio, souvenir di un incidente d’auto avuto da bambina. Forse è per questo che, da adulta, sembra più macchina che umana. Lavora come ballerina di lap dance alle fiere automobilistiche, strusciandosi su auto fiammanti, ipersessualizzata e inaccessibile. Un sogno proibito per chi la osserva, ma non per le automobili, verso cui prova un’attrazione così viscerale da arrivare ad avere un rapporto sessuale con una Cadillac (probabilmente con la leva del cambio, ma meglio non farsi troppe domande). Il rapporto con gli esseri umani invece è un pò più problematico e chiunque osi avvicinarsi troppo, uomo o donna che sia, finisce con un fermaglio da capelli piantato nel cranio. La situazione precipita quando la nostra protagonista compie una strage in una festa privata e si ritrova braccata dalla polizia. In cerca di una via di fuga, Alexia decide di compiere la metamorfosi più estrema, si sfigura il volto e assume l’identità di Adrien, il figlio scomparso di un comandante dei pompieri (Vincent Lindon), un uomo che si aggrappa disperatamente all’illusione di aver ritrovato il figlio perduto. Nel frattempo, piccolo dettaglio da non trascurare, Alexia scopre di essere incinta. Dell'auto.
Titane è un body horror senza freni, disturbante, ed estremo. Il suono delle ossa che si spezzano, il metallo che stride sulla pelle, lo strazio del corpo che si lacera diventa così irritante e fastidioso, che a tratti bisogna distogliere lo sguardo dallo schermo. Le influenze di Crash di Cronenberg e di Tetsuo di Tsukamoto sono evidenti, ma Ducournau ci mette del suo, mescolando il disgusto con un’ironia sottile e irriverente. Basta vedere la scena dell’omicidio compiuto con uno sgabello sulle note di Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli, o il momento surreale in cui Alexia canta la Macarena durante una respirazione bocca a bocca. È un horror del corpo, ma anche dell’identità. In un mondo ossessionato dalle etichette, Alexia diventa un’entità fluida, senza un nome, senza un genere, senza più un’origine chiara. Un corpo in costante trasformazione, né uomo né donna, né carne né metallo.
Dall’altro lato, Vincent, il comandante dei pompieri, è il contrappeso umano, ma non meno devastato. La sua mascolinità ipertrofica è solo un guscio fragile, alimentato da steroidi e disperazione. Il suo bisogno d’amore è così cieco da non voler vedere la realtà, abbracciando l’inganno con una dolcezza straziante. Il loro rapporto è un paradosso che funziona. Un gioco di specchi tra corpi spezzati che cercano di ripararsi a vicenda, senza mai riuscirci davvero.
Probabilmente Titane verrà ricordato come "il film in cui una ragazza resta incinta dopo aver fatto sesso con un’automobile", senza ombra di dubbio, ma è anche una storia d’amore. Malata, deviata, dolorosa e impossibile, ma pur sempre amore. Il bisogno disperato di essere accettati, di essere visti, di essere amati nonostante tutto. Anche se stai secernendo olio motore dalla vagina.
Un film che lascia il segno, come una cicatrice sul metallo.

La fiera delle illusioni - Nightmare Alley
di Guillermo Del Toro
Guillermo del Toro ha sempre avuto un talento innato per il fantastico, per quelle fiabe oscure popolate di mostri, creature inquietanti e illusioni seducenti. Ma cosa succede quando abbandona il sovrannaturale per addentrarsi nei meandri più torbidi dell’animo umano? La Fiera delle Illusioni è un noir in abito d’epoca, un racconto di ascesa e caduta che brilla nelle immagini ma inciampa nella sua stessa prevedibilità.
Alla fine degli anni ’30, Stan Carlisle (Bradley Cooper) arriva in un circo di fenomeni da baraccone e truffatori, lasciandosi alle spalle un passato che ha letteralmente dato alle fiamme. Qui impara i trucchi del mestiere dai mentalisti Pete e Zeena (David Strathairn e Toni Collette), che lo avvertono di non oltrepassare il limite tra spettacolo e inganno. Ma Stan, affascinato dal potere di manipolare gli altri, se ne infischia. Dopo aver affinato il proprio numero con l’amata Molly (Rooney Mara), che nel circo aveva il ruolo di "donna elettrizzata", il protagonista si lancia nel mondo dell’alta società, dove attira clienti facoltosi e l’attenzione della glaciale psichiatra Lilith Ritter (Cate Blanchett). L'affascinante donna gli fornisce informazioni preziose per truffare ricchi disperati, ma la loro alleanza è una danza pericolosa. Stan si convince di essere il più astuto di tutti, ma il suo destino è scritto fin dal principio, e la sua disfatta diventa inevitabile.
Nightmare Alley, distribuito in Italia con il titolo La Fiera Delle Illusioni, è l'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 1946 scritto da William Lindsay Gresham, già portato sul grande schermo nel 1947. Si tratta di un noir-thriller che punta tutto sull’aspetto estetico e l'atmosfera. La prima parte del film si svolge nel circo, microcosmo di miseria e inganni, un teatro di disperati che vivono ai margini e dove i reietti sono trasformati in spettacolo. Qui il regista sembra a proprio agio, costruendo con la consueta cura ogni dettaglio di un mondo sporco, polveroso e affascinante. Peccato che la narrazione sia davvero troppo dilatata, sospesa in un prologo che sembra non voler mai decollare. È solo nella seconda metà, quando Stan si lascia alle spalle il circo per il luccichio della grande città, che il film si ravviva prenendo forma. L'ingresso di Cate Blanchett, femme fatale perfetta, algida e manipolatrice, dona una svolta noir, incantando e avvolgendo il protagonista in una ragnatela da cui non potrà più uscire. Ma se il passaggio dall’inganno circense alla grande truffa sociale è intrigante, la storia si muove su binari fin troppo scontati. Ogni scelta sbagliata di Stan è anticipata, ogni avvertimento è reso esplicito, ogni caduta è quasi urlata allo spettatore. Il risultato è una narrazione che, pur impeccabile nella messa in scena e nelle interpretazioni, perde mordente proprio per la sua eccessiva prevedibilità.
Visivamente elegante e interpretato con intensità, La Fiera delle Illusioni è un noir che si nutre delle sue ombre, ma non riesce a sfuggire ai suoi limiti narrativi. Dietro la facciata impeccabile si nasconde un film più ambizioso che realmente incisivo, appesantito da una durata eccessiva e da una trama che non sorprende mai davvero.
Film
Loro
Roberto Cotroneo
Ho appena finito di leggermi "Loro", romanzo di Roberto Cotroneo pubblicato da Neri Pozza. Si tratta di una "ghost story" con derive psicologiche ambientato in una villa nei dintorni di Roma.
Il romanzo è stutturato come un memoriale scritto dalla protagonista. Nell’estate del 2018 Margherita, una giovane donna che ha da poco abbandonato gli studi di medicina, accetta un lavoro come istitutrice presso una famiglia aristocratica, gli Ordelaffi, in una villa immersa in un parco lussureggiante. La villa è stata progettata da un celebre architetto ed è composta da pareti di vetro che permette a coloro che stanno all'interno di guardare all'esterno ma anche di essere osservati da fuori. Il compito di Margherita è quello di occuparsi delle gemelle Lucrezia e Lavinia, due bambine di sei anni identiche, educate e vivaci. La prima ama suonare il pianoforte, la seconda invece adora l’equitazione. La padrona di casa, Alessandra Brandi, la accoglie in questa casa da sogno, spiegandogli che le gemelle hanno un carattere complesso, sono molto indipendenti e comunicano tra di loro attraverso dei codici tendendo a escludere gli altri. Margherita non si lascia intimorire e animata da entusiasmo, inizia a integrarsi facendo conoscenza con il resto del personale tra cui Gaetano, un burbero giardiniere dal passato misterioso, Giulia, un assistente tutto fare, e Angelina, l’anziana governante. Il padre delle bambine, Umberto, un affascinante uomo d'affari, si trova spesso fuori per lavoro ma nei fine settimana viene a stare con la famiglia. Inizialmente tutto sembra andare bene, ma quando Margherita, durante una passeggiata nel bosco, si ritrova nei pressi di un tempietto dedicato a Ecate, l'apparizione dei precedenti proprietari della villa, morti in circostanze violente, la fa precipitare nell'angoscia e nella disperazione. Improvvisamente tutti nella villa sembrano nascondere inquietanti segreti, in particolar modo le gemelle, che sembrano avere legami misteriosi con queste presenze terrificanti e portano Margherita a dubitare della sua stessa sanità mentale, spingendola sempre più a fondo in un incubo da cui sembra impossibile uscire.
In un crescendo di suspense, il romanzo conduce il lettore verso un finale inaspettato, lasciando Margherita e il lettore a interrogarsi su ciò che è veramente accaduto in quella misteriosa villa.
"Loro" è un chiaro omaggio alla tradizione gotica e alla grande letteratura del passato. Una storia di fantasmi che richiama alla mente il "Giro di vite" di Henry James, sia per l'ambientazione che per la narrazione in prima persona attraverso un diario postumo. Questa scelta narrativa consente a Cotroneo di giocare con la percezione della realtà, creando un costante senso di ambiguità che tiene il lettore in bilico tra il reale e l'irreale. La bravura dello scrittore è quella di mischiare le carte e portarci a credere a una verità che viene poi capovolta nel finale. Come nel film "The Others" di Alejandro Amenábar, anche in questo romanzo niente è come sembra e quello che si vuole vedere serve solo a nascondere una verità troppo dolorosa da accettare. Un libro scorrevole, armonico, scritto molto bene, forse un po' prevedibile per chi è abituato al genere ma che consiglio a chi ama le atmosfere gotiche e i romanzi che esplorano i meandri più oscuri della psiche umana.
Libri
Pupille
Luigi Musolino
Luigi Musolino è un giovane scrittore piemontese noto soprattutto per le sue opere nel genere horror e weird. Pupille è un racconto di un centinaio di pagine, o poco meno, che viene pubblicato da Zona 42, piccola casa editrice legata alla fantascienza e "altre meraviglie", uscito in un volumetto tascabile nel 2021.
Pupille è una favola nera ambientata a Idrasca, un paese immaginario del piemonte in cui l'autore è solito ambientare le sue storie.
Il Signore della Polvere, una creatura ancestrale più antica dell’uomo, vive nel seminterrato di una scuola elementare. Stanco della sua solitudine e invidioso della spensieratezza dei bambini, un giorno li attira uno ad uno nello scantinato, per leggergli un libro che racconta tutte le brutture del mondo e aprire i loro occhi sulle tenebre del futuro. Da quel momento in poi i bambini iniziano a comportarsi in maniera strana e inquietante, mettendo in apprensione i loro genitori, e sconvolgendo la routine della placida comunità.
“Sono piena di occhi, mamma. Sono pieno di pupille dentro, papà”
Pupille racconta l'angoscia dei genitori nel momento in cui i loro bambini, preso coscienza di un futuro privo di speranza in cui l'umanità è destinata al collasso, chiedono con smarrimento: “perché ci avete generato?”
Scritto con uno stile a metà tra fiaba e racconto horror, Pupille è un libro disturbante in cui la metafora degli occhi che mostrano la "verità" - accettata dai bambini ma respinta dai genitori - viene rappresentata in maniera efficace e con un forte impatto emotivo. Il racconto è scritto davvero bene e si legge tutto di un fiato. L'ho apprezzato cosi tanto che appena terminato ho subito ordinato il libro antologico "Un buio diverso" dello stesso autore.

A Classic Horror Story
di Roberto De Feo, Paolo Strippoli
A Classic Horror Story è un horror folk italiano del 2021 prodotto da Netflix e diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli. E' un titolo che ho visto spesso segnalato sui gruppi social dedicati al cinema dell'orrore e che mi incuriosiva parecchio.
Cinque persone condividono un camper utilizzando il car pooling per recarsi in calabria. Fabrizio, il proprietario del camper, è un appassionato di cinema dell'orrore e documenta il viaggio con il suo smartphone. Insieme a lui troviamo Elisa (Matilda Lutz), il medico Riccardo e una giovane coppia, Mark e Sofia. Durante la notte il veicolo finisce fuori strada andando a sbattere contro un albero. Quando i cinque riprendono i sensi invece della strada che stavano percorrendo si ritrovano isolati in una radura nei pressi di una casa nel bosco dall’aspetto decisamente sinistro. Mark è rimasto ferito ed è costretto a rimanere sul camper così gli altri iniziano a esplorare la zona e addentrandosi nel bosco trovano alcuni fantocci insanguinati con delle teste di maiale mozzate. Dopo essere entrati nella casa all'interno della quale ci sono dei raccapriccianti quadri e singolari oggetti di culto, al calar della notte, il gruppo scopre che degli inquietanti individui con il volto coperto da maschere di legno sono intenzionati a ucciderli.
Partiamo dalle cose buone. Come indica il titolo, A Classic Horror Story (almeno nella prima parte) è un film volutamente citazionista che omaggia il cinema di genere. Potrebbe risultare un calderone ma io nel ritrovare riferimenti a La Casa, Non aprite quella porta, Blair Witch Project, Shining, Quella casa nel bosco e per finire il recente Midsommar, più che uno scopiazzamento c'ho visto un vero e proprio atto d'amore a tutti quei film di paura, che da tempo o anche recentemente, sono entrati a far parte del nostro immaginario. L'elemento originale, che cala il film di De Feo e Strippoli nella nostra cultura, è l'aspetto folcloristico descritto nella leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che ammetto non conoscevo e che ho trovato parecchio affascinante. In breve questi tre fratelli, secondo un racconto popolare tramandato da generazioni in Calabria, sarebbero i fondatori di tutte le mafie. Nati a Toledo, in Spagna, nel 1412, i tre fratelli facevano parte di una società segreta di natura criminale conosciuta come la Garduña. Un giorno i tre uccidono un grande amico del re per vendicarsi dell'oltraggio subito dalla loro sorella minore, così vengono mandati in prigione per trent'anni nel castello di Santa Caterina sull’isola di Favignana in Sicilia. Durante la loro prigionia Osso, Mastrosso e Carcagnosso scrissero codici d’onore, leggi e riti di affiliazione per stabilire le regole di una nuova società. Finita la pena i tre si dividono. Osso si fermò in Sicilia e fondò Cosa Nostra, Mastrosso si trasferì in Calabria creando la ‘Ndragheta e Carcagnosso se ne andò in Campania dove diede vita alla Camorra. Ora, al di là della leggenda popolare che vuole dare alle associazioni mafiose un connotato mitico e simbolico, De Feo e Strippoli utilizzano questi tre cavalieri come una sorta di demoni a cui attraverso un sacrificio umano si compie un rito satanico in cambio di benenessere e prosperità. Funziona, almeno fino a un certo punto.
Altro elemento positivo del film è la scelta di utilizzare delle classiche canzoni italiane, tipo Il Cielo in una stanza di Gino Paoli e sopratutto La Casa di Sergio Endrigo qui impiegata in un maniera così geniale da trasfigurarla in una filastrocca inquietante che mi ha ricordato la cantilena di Profondo Rosso.
Veniamo ora agli aspetti negativi. A un certo punto, prendendo spunto dal già citato Quella Casa nel bosco, la storia vira in un altra direzione raccontandoci che [spoiler on] dietro a tutto ci sia la realizzazione di un film dell'orrore da vendere al dark web (carina l'idea della versione Netflix dedicata agli snuff-movie vista nel finale) [spoiler off]. E' una scelta che ho trovata poco convincente e in questo gioco di scatole cinesi ha fatto emergere qualche buco di sceneggiatura.
L'altro elemento negativo è la recitazione. L'attore che interpreta Fabrizio secondo me non è all'altezza del ruolo che gli è stato assegnato mentre le ragazze, sopratutto nella scena in cui di notte parlano tra di loro, sussurrano, farfugliano, si mangiano le parole. E' un difetto che trovo in numerosi film italiani e che secondo me ne abbassa di molto la qualità collocandolo al pari di una qualunque fiction della RAI. Ma un buon corso di dizione a questi attori italiani la vogliamo fare? Peccato perchè dal punto espressivo Matilda Lutz, sopratutto nel finale, risulta pure brava oltre che bella.
Alla fine, nonostante i suoi punti deboli, ho trovato A Classic Horror Story un buon film, imperfetto ma coraggioso. Sicuramente meglio di tanti film horror americani visti di recente.
A questo punto sono curioso di vedermi The Nest, il film d'esordio di De Feo.

Dune: Part One
di Denis Villeneuve
In attesa di vedere la seconda parte del Dune di Villeneuve, ho rivisto il primo capitolo della saga.
Dune è la trasposizione cinematografica dell'omonimo libro scritto da Frank Herbert nel 1965, quello che viene considerato una delle pietre miliari della fantascienza letteraria. Nella metà degli anni settanta il regista cileno Alejandro Jodorowsky tentò di portare sul grande schermo la saga di Herbert ma non venne sostenuto dai produttori spaventati per l'elevato budget. Rimangono storyboard, bozzetti e altri materiali visti e descritti nel documentario Jodorowsky's Dune. Ne parlo dettagliatemente più avanti.
Una decina di anni più tardi il produttore Dino De Laurentis affidò a David Lynch il compito di dirigere l’adattamento del romanzo. Questa volta il film venne prodotto ma per tutta una serie di motivi, ad oggi facilmente individuabili, venne fuori un film sconclusionato, compresso, dal montaggio rimaneggiato e con ridondanti spiegoni che lo stesso cineasta americano, in tempi recenti, ha definito la più grande e colossale tristezza della sua vita.
Siamo dunque giunti ai giorni nostri. Denis Villeneuve, regista tra i più influenti della sua generazione, accetta la sfida e nel 2021, partendo dal primo romanzo, porta sul grande schermo la monumentale epopea fantascientifica di Herbert, dividendolo in due parti.
Purtroppo non ho ancora letto il romanzo - ma avendolo in libreria conto di farlo a breve - quindi al momento non posso fare nessun tipo di comparazione.
In un lontano futuro la galassia è governata da un impero di tipo feudale. Il duca Leto Atreides (Oscar Isaac) della famiglia degli Atreides viene inviato dall'imperatore a governare il pianeta desertico di Arrakis dopo che questo è stato per anni nelle mani del tirannico barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård) della famiglia degli Harkonnen. Arrakis, conosciuto come Dune, è un pianeta cruciale per la galassia in quanto tra la sabbia del suo deserto si trova una spezia - che la tribù locale dei Fremen usa come sostanza psicotropa - che se viene opportunatamente trattata permette di compiere i viaggi interstellari necessari per l’espansione dell’impero galattico. Su Arrakis giungono il figlio del duca, il giovane Paul (Thimothée Chalamet) e sua madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson). Quest'ultima fa parte dell'ordine delle Bene Gesserit, una sorta di ordine mistico-religioso che ha acquisito l’arte del controllo mentale e che attaverso la manipolazione delle linee genetiche cerca di generare il Kwisatz Haderach, il messia dotato di poteri divini che porterà a un nuovo futuro l’intera umanità. Mentre Paul ha delle frequenti visioni sul suo futuro e in particolare su una giovane dei Fremen, i timori del duca Leto di essere finito in una trappola si materializzano quando le truppe degli Harkonnen attaccano la fortezza riottenendo con la forza il controllo di Arrakis. Paul e Jessica riescono a fuggire nel deserto dove, dopo essere riusciti a sopravvivere dall'attacco di un gigantesco verme della sabbia, vengono trovati dai Fremen. Qui Paul, che molti indicano come l’eletto, incontra Chani (Zendaya), la donna dei suoi sogni.
Il film, dal punto di vista visivo, è spettacolare. Una fotografia che lascia a bocca aperta, con delle architetture espressioniste e dei costumi stupendi. Ogni inquadratura sarebbe da incorniciare. Le sequenze ambientate nel deserto sono magistrali e anche gli effetti speciali sono funzionali e perfettamente integrati nel film. Ovviamente stiamo parlando di un blockbuster che ha una grande produzione, un cast di primo piano e un ottima colonna sonora, ma l’estetica del regista - che già avevo apprezzato in Blade Runner 2049 - con le sue inquadrature, fotografia, scelte cromatiche e montaggio, si vede ed è ben presente. Essendo la prima parte di un film che nasce per essere composto da due film il finale è troncato quindi questo capitolo diventa solo una grande introduzione per quello che spero possa essere, vedendolo nella sua interezza, uno dei più grandi film di fantascienza degli ultimi anni.

Midnight Mass
Mike Flanagan
Midnight Mass è una serie horror creata e diretta da Mike Flanagan uscita su Netflix un paio di anni fa. Ne avevo sentito parlare bene, quindi, approfittando di una momentanea tregua dell'afa estiva, mi sono visto i sette episodi che compongono la serie.
La trama di Midnight Mass ruota attorno a una desolata isola di pescatori popolata da poco più di 100 persone la cui economia locale, a causa di un disastro ecologico di qualche anno prima, ha subito un notevole rallentamento. La vita monotona e disincantata della comunità, viene stravolta dall'arrivo di un giovane sacedote di nome Paul Hill (interpretato da Hamish Linklater) chiamato a sostituire l’anziano monsignor Pruitt, partito in pellegrinaggio per la Terra Santa. Insieme a lui, torna sull'isola anche Riley (Zach Gilford) dopo quattro anni trascorsi in prigione a causa di un omicidio stradale commesso in stato di ebbrezza. L’arrivo del nuovo sacerdote segna l'inizio di una serie di inspiegabili eventi e guarigioni miracolose che porta l'intera comunità ad abbracciare un nuovo fervore religioso che si trasforma presto in fanatismo. Intanto nell'ombra una presenza oscura e misteriosa si aggira sull'isola.
La serie, sopratutto nei primi episodi, si distingue per il suo ritmo lento e contemplativo. I dialoghi sono numerosi, lunghi, ma anche intensi e ricchi di significato. Attraverso la lente del soprannaturale e dell'horror, la serie, oltre a portare alla luce l'oscurità che può emergere quando la fede si scontra con l'estremismo, affronta il tema della morte, invitando a una profonda contemplazione sulla fede, la redenzione e la natura umana. Nel finale si perde un pò ma tralasciando dei monologhi di troppo e un paio di cadute stilistiche (per esempio la "creatura" in chiesa con l'abito talare) nel complesso l'ho trovata abbastanza interessante.
Serie TV
Lamb
di Valdimar Jóhannsson
Film d'esordio del regista islandese Valdimar Jóhannsson presentato in anteprima alla 74ª edizione del Festival di Cannes, Lamb è prodotto dalla A24 - la casa di produzione cinematografica che negli ultimi anni si è distinta per la qualità dei film di genere horror. Lamb però non è un film horror, o meglio se lo è, lo è in maniera molto atipica.
La storia è ambientata nella brulla e isolata campagna islandese dove vive una coppia, Maria (Noomi Rapace) e Ingvar, che ha una fattoria e alleva delle pecore. Dietro la tranquillità della loro vita, scandita dalla ripetitività dei gesti quotidiani, si nasconde la tragedia della morte della loro figlia. Un giorno una pecora da alla luce un agnello con il corpo umano di una bambina. Maria si convince che sia un dono e insieme al compagno decide di accudirla e amarla come se fosse la loro figlia.
Il film è dilatato, con pochi dialoghi, fatto di silenzi e di una costante tensione. L'inquietudine è data dalla angosciante normalità con cui i due protagonisti si comportano con questa strana creatura che il regista, volutamente, non mostra subito. La disperata ricerca di una apparente normalità lascia allo spettatore un certo disagio.
Film particolare ma che non mi ha convinto del tutto.

Black Phone
di Scott Derrickson
Thriller/horror del 2021 tratto da un racconto di Joe Hill (figlio di Stephen King) diretto da Scott Derrickson (Sinister, Doctor Strange).
Alla fine degli anni settanta, un sobborgo di Denver è scosso dalla sparizione di alcuni bambini compiuti dal rapinatore seriale conosciuto come "The Grabber", il Rapace. Un giovane dodicenne, vittima di bullismo a scuola, è l'ultima vittima del serial killer (interpretato da Ehan Hawke che qui indossa una grottesca maschera e non si vede mai in faccia) che dopo averlo avvicinato lo narcotizza e lo rinchiude in un buio scantinato. Al suo interno si trova un vecchio telefono nero appeso al muro che suona misteriosamente. Dall'altro capo della cornetta rispondono le voci delle altre vittime che cercano di aiutarlo a fuggire ed evitare che venga ucciso come è successo a loro. Nel frattempo la sorella del ragazzo, dotata di poteri di chiaroveggenza, aiuta la polizia a trovare suo fratello
Molto cupo, bella la fotografia ma sceneggiatura e storia molto debole. Film che si dimentica facilmente.

Arcane
Serie animata prodotta da Netflix nel 2021 ispirata al videogioco online League of Legends.
Non conosco il videogioco - in realtà, a parte rari casi, non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi - ma questo non mi ha impedito ad appassionarmi a questa serie animata e ai suoi personaggi. Diciamo che l'aspetto visivo e la tecnica di animazione sono il valore aggiunto che fa sì che la serie possa essere apprezzata anche da un pubblico più ampio.
Arcane si svolge in un mondo fantasy con elementi steampunk. Abbiamo due città, Piltover e Zaun. La prima è una città votata alla scienza, all'innovazione e al commercio, mentre la seconda è una città degradata, povera e malfamata. In quest'ultima vivono due sorelle orfane, Vi, dai capelli rossi e Powder, dai capelli blu, che cercano di sopravvivere compiendo furti con la loro banda. Parallelamente a Zaun un giovane scienziato chiamato Jayce Talis, insieme al suo amico fidato Viktor, sta cercando di utilizzare una tecnologia proibita che fa uso di magia per poter rendere il mondo migliore. Le strade di questi personaggi, e di molti altri, si incontreranno tra intrighi, vendette, colpi di scena e l’eterna lotta per il potere.
La serie dal punto di vista narrativo è fluida, ha il giusto ritmo, una buona sceneggiatura e i personaggi appaiono credibili ed espressivi, non solo i protagonisti ma anche quelli secondari. Parlando invece dell'estetica credo che i tipi della Riot Games coaiuvati dallo studio di animazione francese Fortiche Production, abbiano raggiunto un risultato davvero incredibile. Visivamente è qualcosa di fenomenale, le ambientazioni e i fondali sono spettacolari e dettagliati. Un connubio perfetto tra animazione classica e CGI che conferisce alla serie un suo stile particolare a tratti pittorico. Difficile trovare un prodotto destinato alla televisione con una animazione del genere (non può essere paragonato a Spider-Man: Un nuovo Universo, ovviamente, ma, se lo rapportiamo al fatto che questo è un prodotto per il piccolo schermo, il metro di paragone è quello).
La prima stagione di Arcane è composta da nove episodi divisi in tre atti.
Aspettando la seconda stagione (dovrebbe essere in lavorazione) al momento per me è la migliore serie animata degli ultimi anni.