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sabato, 10 maggio 2025
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L'Eternauta

Bruno Stagnaro

Fin da quando hanno cominciato a circolare le prime voci su un adattamento televisivo de L'Eternauta, ho provato un misto di curiosità e scetticismo. Per me – e per molti altri – si tratta di un’opera intoccabile, un capolavoro del fumetto del ventesimo secolo, non solo per il suo valore narrativo ma soprattutto per il suo peso simbolico e politico. L’idea che potesse essere trasformata in una serie Netflix, magari omologata alle solite estetiche post-apocalittiche, mi lasciava più di una perplessità.
Ho conosciuto L’Eternauta quando ero poco più di un bambino, sfogliandolo sui vecchi albi di Lancio Story che trovavo in casa. All’epoca non ne comprendevo pienamente la portata – ero ancora rapito dai supereroi colorati della Marvel, quelli pubblicati dall’Editoriale Corno – ma quelle tavole mi lasciavano addosso un senso di inquietudine e meraviglia. Solo anni dopo, in età adulta, l’ho riscoperto in volume, leggendolo per intero e rendendomi conto – anche alla luce della storia personale del suo autore e del contesto politico dell’Argentina – di quanto fosse un’opera profonda e stratificata.
Pubblicata a puntate tra il 1957 e il 1959 sulla rivista Hora Cero, L’Eternauta nasce dalla penna di Héctor Germán Oesterheld e dalle matite di Francisco Solano López. È un fumetto di fantascienza post-apocalittica, forse il capostipite dell’Historieta argentina, quella corrente fumettistica che tra gli anni cinquanta e ottanta ha prodotto opere memorabili. In quel racconto cupo e visionario, Oesterheld intercetta le tensioni politiche dell’epoca e, con inquietante preveggenza, utilizza una misteriosa invasione aliena come metafora del sorgere di un regime autoritario che annienta ogni forma di dissenso.
Diversi anni dopo la pubblicazione de L'Eternauta, l’Argentina cadde davvero sotto una feroce dittatura militare. Migliaia di oppositori furono arrestati, torturati, fatti sparire. Tra le vittime, lo stesso Oesterheld – ormai attivista politico – e le sue quattro figlie, tutte sequestrate e uccise da squadre armate.
Conoscendo questa storia, diventa impossibile leggere L’Eternauta come un semplice fumetto di genere. È un’opera che grida resistenza e che denuncia l’oppressione. Ecco allora che torno alla mia perplessità iniziale. Ha senso riproporre oggi una storia scritta più di sessant’anni fa così radicata nel suo tempo e nel suo luogo? Guardando il mondo di oggi, con i suoi nuovi autoritarismi, le guerre alle porte dell’Europa, la striscia di Gaza e il risorgere di vecchi fantasmi, la risposta sembrerebbe ovvia. Ma quanto i produttori saranno davvero capaci di interpretare questa chiave, e quanto invece si limiteranno a offrire l’ennesima distopia da catalogo?

La serie è composta da sei episodi ed è ambientata a Buonos Aires ai giorni nostri. E' una produzione argentina a tutti gli effetti, prodotta, sceneggiata e diretta da Bruno Stagnaro. Il protagonista, Juan Salvo (interpretato da Ricardo Darín), si trova a casa con un gruppo di amici quando un improvviso black-out precede una misteriosa nevicata che inizia a cadere sulla città. Ben presto si capisce che non è neve, ma una sostanza tossica capace di uccidere all’istante chiunque venga esposto. In un primo momento Juan e i suoi amici cercano di unire le forze per salvarsi e proteggersi, poi, dopo aver costruito delle rudimentali tute per potersi muovere all’esterno, nel cercare di comprendere l’origine di questa letale minaccia, scoprono che la nevicata è solo l’inizio di un’invasione aliena pianificata e stratificata.

La serie mantiene un ritmo lento e riflessivo, decisamente lontano dai canoni dell’action che siamo abituati a vedere. Ma questo, almeno per quanto mi riguarda, non mi disturba. L’atmosfera sospesa e di attesa, rispecchia bene la tensione del fumetto originale. L’elemento più interessante resta forse proprio la scelta di raccontare l’apocalisse da un punto di vista umano e intimista. Il protagonista è un uomo qualunque, un eroe per caso, in bilico fra i suoi affetti, misteriose visioni, e la necessità di sopravvivere in un mondo diventato improvvisamente ostile. La recitazione è buona, la fotografia efficace, soprattutto nei momenti in cui Buenos Aires diventa un deserto bianco, silenzioso e mortale. Anche le creature e gli effetti speciali – pur senza strafare – risultano convincenti.
Il problema principale della serie è che sembra prevedibile. Lo scenario post-apocalittico è solido, ma fatica a sorprendere. In sessant’anni abbiamo visto decine di libri, film e serie simili, e oggi la storia appare poco originale. Ci sono pochi sussulti, pochi momenti davvero memorabili. E soprattutto, manca quasi del tutto il sottotesto politico. Dove il fumetto era un grido di allarme e denuncia, qui la metafora si fa opaca, quasi assente. Rimane un messaggio di resistenza collettiva, sì, ma generico, annacquato. Non c’è il peso della storia, non c’è quel senso di urgenza che rendeva L’Eternauta così potente.
Alla fine, ci troviamo davanti a una serie ben confezionata, con buoni attori e una regia solida, ma che rischia di confondersi con tante altre produzioni simili. Una seconda stagione è già stata annunciata, e forse ci sarà spazio per approfondire meglio alcune tematiche solo accennate.

Nel frattempo, se questa serie servirà almeno a spingere qualche spettatore curioso a riscoprire il fumetto originale – recentemente ripubblicato da Panini in una bellissima edizione orizzontale – allora avrà comunque fatto qualcosa di importante.

Serie TV
Fantascienza
postapocalittico
Argentina
Netflix
2025
mercoledì, 26 febbraio 2025
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28 giorni dopo

di Danny Boyle

Rivedendo 28 giorni dopo, è impossibile non pensare alla pandemia che ha sconvolto il mondo pochi anni fa. Certo, il Covid-19 non ha trasformato le persone in furie omicide assetate di sangue, ma l’idea di un virus che si diffonde rapidamente, lasciando città deserte e un senso opprimente di isolamento, è diventata spaventosamente familiare.

Danny Boyle, talentuso regista inglese che con Trainspotting ha ridefinito il dramma generazionale, nel 2002 rivoluziona il cinema horror con 28 giorni dopo, un'apocalisse zombie (anche se, tecnicamente, non sono nemmeno zombie), che, ancora oggi, resta un punto di riferimento imprescindibile per gli amanti del cinema di genere. 

Tutto ha inizio con un gruppo di animalisti che, nel tentativo di liberare alcuni scimpanzé da un laboratorio segreto, finiscono per scatenare l’inferno. Le cavie sono infatti infette da un virus altamente contagioso che trasforma chiunque venga esposto al loro sangue in una creatura furiosa e omicida. 28 giorni dopo, Jim (Cillian Murphy) si risveglia dal coma in un ospedale, ritrovandosi in una Londra deserta e abbandonata. La città è infestata da infetti, non morti viventi, ma esseri umani travolti da un’aggressività incontrollabile, trasformati in bestie assetate di violenza. Jim trova rifugio con la determinata Selena (Naomie Harris), il bonario Frank (Brendan Gleeson) e sua figlia Hannah (Megan Burns), con cui parte alla ricerca di una presunta salvezza in una base militare. Ma il vero orrore non si cela solo negli infetti, ma nella natura umana, che spinta al limite, può rivelarsi persino più spaventosa.

Scritto da Alex Garland – ed è sempre bene ricordare il contributo del futuro regista di Ex Machina e di altre perle della fantascienza contemporanea – 28 giorni dopo prende spunto dal romanzo Il giorno dei Trifidi di John Wyndham. Girato con un budget ridotto e una camera digitale sporca e traballante, Boyle costruisce un racconto dal taglio quasi documentaristico, sottolineando la fragilità della nostra civiltà, capace di sgretolarsi nel giro di poche settimane. Iconica la sequenza iniziale in cui Jim vaga per una Londra deserta – girata all’alba, quando la città era ancora addormentata – sulle note di East Hastings dei Godspeed You! Black Emperor. Perfetto Cillian Murphy nei panni del protagonista, inizialmente smarrito e vulnerabile, poi sempre più trasformato dalla brutalità del nuovo mondo.
Uno degli aspetti più rivoluzionari di 28 giorni dopo è la concezione stessa della minaccia. Niente zombie lenti e barcollanti: qui gli infetti sono veloci, feroci, implacabili. Non c’è scampo, non c’è tempo per riflettere. Bisogna correre o morire. Una scelta che ha ridefinito il cinema horror e influenzato profondamente il genere negli anni successivi. Ma il cuore del film non è solo un virus nato da esperimenti sugli animali, simbolo dell’arroganza umana nel voler dominare la natura senza comprenderne le conseguenze. La vera paura sta nel modo in cui, davanti al collasso della società, riemergono divisioni di classe, militarismo e patriarcato tossico. Il rifugio militare, che dovrebbe rappresentare la salvezza, diventa invece un incubo ancora più terrificante degli infetti.

Curiosità. Nel DVD (e facilmente reperibili su YouTube) si possono trovare alcuni finali alternativi. In uno, Jim muore per le ferite da arma da fuoco, in un altro l'epidemia è solo un incubo di Jim che si trova in coma, mentre in quello mai girato, ma storyboardato, Frank infettato non viene ucciso ma viene sottoposto a una trasfusione di sangue per essere salvato. 
Nel 2007 è stato realizzato il sequel 28 settimane dopo, diretto da Juan Carlos Fresnadillo. A giugno 2025 è invece atteso 28 anni dopo, che riporterà insieme Danny Boyle e Alex Garland dopo oltre vent’anni, pronti a raccontare ancora una volta l'incubo dei sopravvissuti in un mondo devastato.

Film
Horror
postapocalittico
Zombi
UK
2002
Retrospettiva
sabato, 13 luglio 2024
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La strada

Cormac McCarthy

La Strada di Cormac McCarthy è considerato uno dei capolavori letterari degli anni duemila. Proprio in questi giorni il New York Times ha pubblicato una classifica con i migliori cento libri del XXI secolo e il romanzo di McCarthy, al di là del valore che gli si vuole dare a questa lunga lista, si trova al tredicesimo posto. Pubblicato nel 2006, La Strada è il primo libro che leggo di quest'autore americano. Da questo romanzo è stato tratto un film omonimo (che ancora non ho visto ma che vorrei vedere prossimamente) e una recente graphic novel illustrata da Manu Larcenet.

Ci troviamo in un mondo post-apocalittico, grigio e in rovina. Un imprecisato cataclisma ha ridotto il nostro mondo in un luogo spoglio e ostile, un luogo freddo ricoperto di cenere dove ogni giorno i sopravissuti lottano per la sopravvivenza cercando di reprimere la fame e la disperazione. In questo scenario desolante troviamo i nostri due protagonisti, un padre e suo figlio, entrambi senza nome, che viaggiano in questa distesa bruciata, spingendo un carrello, con quel poco che è rimasto, lungo una strada americana. I due cercano di spostarsi verso sud nella speranza di trovare un clima più caldo, fermandosi di volta in volta tra le macerie delle case per cercare qualcosa da mangiare, facendo attenzione a non cadere vittime dei predoni e delle bande di disperati che si nutrono di carne umana.

Il libro trasmette una opprimente sensazione di angoscia e disperazione ed è basato fondamentalmente sul rapporo tra il padre e il figlio, un rapporto tenero e straziante la cui comunicazione è ridotta al minimo, ma ogni parola, persino il silenzio, è carica di significato. Il padre è un guerriero stanco che cerca disperatamente di proteggere il suo bambino, mentre il figlio, con la sua innocenza e speranza, diventa una sorta di luce in mezzo a tanta oscurità.

La grande forza di questo romanzo è la scrittura di McCarthy, la sua è una prosa cruda, scarna, e spesso priva di punteggiatura tradizionale. E' un libro essenziale, dove i giorni si ripetono l'uno dopo l'altro, sempre uguali nel loro triste grigiore e dove, in apparenza, non succede quasi nulla. E' una storia di sopravvivenza, quella fisica ma sopratutto morale. Probabilmente il finale si risolve in maniera troppo forzata e poco credibile, io nel mio pessimismo cosmico lo avrei fatto finire in un altro modo, ma capisco che per incontrare il favore dei lettori il fuoco della speranza deve ardere e il viaggio continuare.

Libri
postapocalittico
USA
2006

© , the is my oyster