
Die Wilde Jagd
Uhrwald Orange
Da qualche giorno sto ascoltando a ripetizione questo disco.
Die Wilde Jagd è il progetto musicale del tedesco Sebastian Lee Philipp, polistrumentista noto inizialmente come metà del duo electropop Noblesse Oblige.
Uhrwald Orange è il secondo album, uscito nel 2018 per l'etichetta Bureau B.
Il titolo, che può essere tradotto come "Clockwood Orange", suggerisce un'immersione in un paesaggio notturno e misterioso, tematica che pervade l'intero lavoro.
L'album, prevalentemente strumentale, presenta lunghe tracce elettroniche che si collocano tra krautrock e kosmische musik, intrecciate a beat minimalisti e arricchite dall'uso di strumenti e influenze eterogenee. Le tracce, alcune delle quali superano i dieci minuti, si sviluppano gradualmente attraverso sequenze elettroniche ripetitive e loop psichedelici, evolvendosi in una tessitura sonora che combina atmosfera, estasi e malinconia.
Tra i miei pezzi preferiti ci sono la tenebrosa "Kreuzgang", la minimale "Fremde Welt" e la malinconica ballata "Ginsterblut", che insieme a "2000 Elefanten" è una delle due tracce cantate da Philipp.
Nei prossimi giorni è prevista l'uscita del nuovo album di Die Wilde Jagd in collaborazione con la Metropole Orkest. Il pezzo di lancio che ho ascoltato non mi ha convinto. Vediamo cosa ci riserverà il disco completo.
Musica
La carne
Emma Glass
Romanzo insolito, crudo e inquietante dell'esordiente Emma Glass.
In un centinaio di pagine o poco più, la protagonista, una ragazza vegeteriana chiamata Peach, descrive in prima persona le conseguenze di uno strupro da parte di un uomo fatto di salsicce. Il disgusto provato, il senso di impotenza, le ferite fisiche ed emotive che si porta dietro e l'incapacità nel chiedere aiuto alla famiglia e al suo ragazzo dal grande sorriso. Peach vuole nascondere la violenza subita, fare finta che non sia accaduta, ma l'uomo salsiccia la perseguita mandandogli lettere d'amore con parole di giornale ritagliate, si apposta davanti a scuola, al lampione sotto casa e la segue in piscina. L'uomo salsiccia si chiama Lincoln, è unto, sgradevole e ha l'odore di carne di maiale marcia. E' la personificazione del male che la insegue e cresce dentro di lei, nella sua pancia che continua a gonfiarsi.
Emma Glass, giovane autrice inglese che lavora come infermiera pediatrica a Londra, se ne esce al suo esordio con un romanzo decisamente particolare, una fiaba dell'orrore in cui i protagonisti sono dei frutti, delle salsicce, degli alberi e delle gelatine zuccherose.
La carne, il cui titolo originale è Peach, ovvero Pesca, ha la particolarità di essere scritto seguendo il flusso di coscenza, come se fosse un monologo interiore, brevi frasi, a volte di unica parola seguite da una fitta punteggiatura.
E' buio. Il sangue è nero. Crepa crepitio crepitante. Avvicino le mani alla faccia e tolgo l'unto. Si attacca alla lingua, striscia in bocca, slitta sui denti, sulle guance, gocciola in gola. Vomito.
Una prosa estremamente ritimica con richiami allo scrittore James Joyce che la Glass cita nella pagina dei ringraziamenti. Pur non essendo mai riuscito a leggermi il suo Ulisse, a me questo tipo di scrittura piace molto. Da adolescente, in modo del tutto involontario, mi approcciavo in questo modo quando provavo a scrivere su carta delle storie immaginarie. Nel caso di Emma Glass, questo stile di scrittura decisamente inusuale accentua l'elemento disturbante e angosciante, con i dialoghi interiori che esprimono in maniera vivida le sensazioni, il disgusto e il malessere appiccicaticcio di chi si sente in colpa e si vergogna per la violenza subita.
Un romanzo non per tutti con tanto di finale spiazzante. Una lettura cruenta, dolorosa, intensa e potente.

I terrestri
Murata Sayaka
Murata Sayaka è una scrittrice giapponese autrice del bestseller La ragazza del convenience store. Non l'ho ancora letto ma conto di farlo in un prossimo futuro.
Mi sono avvicinato a questo romanzo senza conoscere l'autrice e senza sapere cosa aspettarmi. Leggendo la sinossi del libro e guardando la copertina uno si aspetterebbe di leggere una storia con protagonista una sorta di Lamù o Sailor Moon. Niente di più sbagliato.
Natsuki è una ragazzina di undici anni convinta di essere una maga e di possedere dei poteri magici grazie a un portacipria e una bacchetta donati da un pupazzo di peluche chiamato Piyut proveniente dal pianeta Pohapipinpobopia. Natsuki vive con i suoi genitori e una sorella capricciosa ed egoista di un paio di anni più grande. La madre sembra nutrire affetto solo per la primogenita riversando su Natsuki tutte le sue frustrazioni e amarezze. Il padre è assente e la sua presenza si limita solo nell'infliggergli punizioni. Costantemente criticata e umiliata dai suoi genitori Natsuki sembra trovare un motivo di esistere solo nel suo mondo fantastico.
Ogni estate la famiglia si riunisce insieme a tutti i fratelli e cugini nella casa dei nonni paterni tra le montagne di Akishina per la festa degli Obon (la festa giapponese che commemora e ricorda i defunti). Questo è l'unico luogo in cui Natsuki si sente felice perchè ha l'occasione di condividere le sue fantasie con il cugino coetaneoYuu, un ragazzo che proviene da una famiglia disagiata convinto di essere un extraterrestre in attesa che qualcuno lo porti sul suo pianeta d'origine. Nei mesi successivi Natsuki subisce degli abusi sessuali da parte del suo insegnante - non venendo creduta dalla madre che l'accusa di voler attirare l’attenzione - e il suo corpo reagisce perdendo prima il gusto e poi l’udito da un orecchio. L'estate successiva Natsuki e Yuu si ritrovano e il loro legame profondo viene sugellato da un "matrimonio" segreto comprensivo di rapporto sessuale che, non appena scoperto, scatena l'ira degli adulti, segna una rottura tra le loro famiglie e porta alla loro separazione.
Nella seconda parte del romanzo ritroviamo Natsuki, ormai trentenne, sposata con Tomohiko, personaggio ancora più dissociato convinto che gli individui sono ingranaggi di una grande fabbrica che li obbliga a lavorare e generare figli.
Non vado oltre perchè il romanzo, sopratutto nel finale, prende una piega inaspettata e degenerativa alquanto inquietante.
Il romanzo di Murata Sayaka sembra in superficie una fiaba (che sfocia nell'orrore) con protagonista una moderna Cenerentola ma in realtà è una critica feroce nei confronti della società giapponese che emargina coloro che non sono allineati e non seguono le regole (istruzione, lavoro, matrimonio, figli) facendoli sembrare dei veri e propri alieni, al cospetto de "i terrestri". Stiamo parlando del malessere sociale che da tempo dilaga in Giappone, e che per certi versi si può riscontrare anche in occidente, di una generazione oppressa nel dimostrare di essere all'altezza del modello sociale che gli viene imposto e che li vuole tutti belli, felici e vincenti.
Natsuki, Yuu e Tomohiko, entrambi traumatizzati dalle loro famiglie, decidono di infrangere queste regole eliminando tutti i limiti imposti dalla società, e nel cercare la loro via di fuga e ribellione finiscono per perdere ogni tipo di inibizione e... umanità, d'altra parte sono alieni.
Un romanzo provocatorio che parla di disagio e diversità. Suggestivo, sconcertante e parecchio straniante.

Possum
di Matthew Holness
Possum è un horror psicologico del 2018 scritto e diretto da Matthew Holness, qui al suo esordio come regista e sceneggiatore. E' un film molto particolare, surreale, cupo e intimista che ha ricevuto numerosi nomination e premi nei vari festival di genere. In Italia non è mai uscito al cinema e attualmente è disponibile su Prime Video.
Protagonista è un uomo di mezza età chiamato Philip (Sean Harris), che torna nella fatiscente casa di infanzia, in cui è cresciuto con lo zio tutore Maurice (Alun Armstrong), dopo la tragica morte dei genitori. Philip è un uomo psicologicamente provato, silenzioso e inquietante che se ne va in giro nelle desolate e grigie campagne inglesi cercando di sbarazzarsi di un raccapricciante manichino - una testa attaccata a dei rami, quasi a formare le zampe di un ragno - che tiene chiuso dentro una borsa di pelle. Nonostante cerchi di liberarsi, Possum, il mostruoso pupazzo, in un modo o nell'altro torna sempre da lui. Inizialmente è Philip che disperatamente lo va a recuperare, quasi non potendone fare a meno, ma in seguito la marionetta aracniforme con la testa umana prende vita tornando dal suo proprietario in quello che sembrerebbe essere il delirio allucinato del protagonista.
Possum è una metafora che rappresenta il trauma subito da Philip quando era bambino, il senso di colpa per aver (forse) causato accidentalmente la morte dei suoi genitori, oppure il peso delle violenze subite da parte di un zio laido e sgradevole che ha abusato di lui approfittando della sua fragilità. Un peso che per quanto sia doloroso è talmente radicato in lui da non poterne fare a meno.
Possum non è adatto a coloro che cercano in un film horror i soliti jumpscare o l'effetto speciale, ha pochissimi dialoghi ed è in gran parte costituito da sequenze in cui il protagonista se ne va in giro a gettare e riprendersi il pupazzo. Ha una ottima fotografia e una colonna sonora dominante che sopperisce a una sceneggiatura minimale. E' un film decisamente lento, suggestivo e kafkiano - non solo per il ragno ma per il senso di angoscia vissuto del protagonista - che per l'atmosfera opprimente mi ha ricordato il David Lynch di Eraserhead e sopratutto lo Spider di David Cronenmber sia per le ambientazioni che le dinamiche del protagonista.
Probabilmente è dovuto al fatto di aver visto i due film a distanza di pochi giorni ma io ho trovato parecchie analogie pure con Beau ha paura. Certo, l'atmosfera e il ritmo sono diversi, ma in tutti e due il protagonista è un uomo emotivamente disturbato che combatte con il senso di colpa e vive in un mondo surreale e angosciante. Inoltre nel corto di Ari Aster, quello da cui è tratto il film, vediamo il protagonista scrivere ripetutamente su un cruciverba la parola "possum". Sara un caso?
Film
Hereditary
di Ari Aster
Hereditary - Le radici del male (mannaggia ai titoli italiani) è il primo lungometraggio di Ari Aster. Uscito nel 2018 e prodotto dalla A24 (tanto per cambiare) Hereditary è un film horror che gioca sulla tensione per poi sfociare nell'orrore puro.
Annie Graham (una bravissima Toni Collette) e la sua famiglia, dopo la morte dell'anziana madre, si ritrova a dover affrontare la sinistra eredità della sua stirpe. Annie è un artista che lavora nel campo del modellismo, soffre di sonnambulismo e nonostante il supporto del premuroso marito (Gabriel Byrne) ha dei difficili rapporti con i suoi due figli: l'inquietante e disturbata Charlie, e il giovane liceale Peter. Quando la famiglia subisce un terribile trauma, la situazione degenera portando alla luce la verità sulla maledizione che incombe sui Graham.
Fin dalla scena iniziale di Hereditary ci rendiamo conto della qualità e dell'ottima tecnica con cui è stato girato l'opera prima di Aster. Inizialmente assistiamo a quello che sembra essere un thriller psicologico. Non si sa se alcune situazioni siano frutto dell’immaginazione causata dall’instabilita psicologica di Annie oppure abbiano a che fare con delle vere e proprie presenze sovrannaturali. Il finale non lascia alcun dubbio anche se personalmente avrei preferito prendesse un altra direzione.
A livello di regia ci sono delle sequenze davvero ben riuscite. Una su tutte, il lungo primo piano di Peter in macchina dopo la tragedia della sorella che prosegue quando si trova sul letto e la famiglia apprende quanto accaduto. Ci sono poi delle scene in cui nel buio avvertiamo delle presenze e la tensione si fa davvero palpabile, per esempio quella in cui abbiamo un primissimo piano sempre di Peter (questa volta dall'alto verso il basso), e sull’angolo sinistro vediamo immobile (la sorella?) mentre nell’angolo opposto intravediamo nel buio il ghigno della madre. Davvero spaventoso.
Poi per carità, ci sono pure delle cose che non tornano e alcune che sembrate forzate, ma in linea di massima il film ti lascia un bel senso di angoscia e questo lo rende di conseguenza un buon horror.

Annihilation
di Alex Garland
Annihilation (Annientamento) del 2018 è il secondo film scritto e diretto da Alex Garland dopo l'ottimo Ex Machina.
Ispirato dall'omonimo romanzo scritto da Jeff VanderMeer, Annihilation è stato distribuito in Italia direttamente su Netflix.
La storia vede come protagonista Lana, una biologa ed ex-militare (interpretata da Natalie Portman) che si unisce a una spedizione scientifica composta da sole donne per scoprire cosa è successo al marito tornato in uno stato comatoso, nonché unico sopravvissuto, da una missione in una zona della Florida denominata Area X. La flora e la fauna di questa zona ha subito una radicale mutazione dopo essere stata colpita da un meteorite e ora questo micro mondo che imita la vita terrestre ma con delle regole tutte sue, si sta espandendo provocando le preoccupazioni del governo americano.
Annihilation è un ottimo film di fantascienza, ma è una fantascienza adulta, intellettuale, volendo potremmo definirla filosofica che presenta numerose allegorie e diverse interpretazioni. Alcune sequenze si avvicinano all'horror fantascientifico alla Alien riportandoci alla mente i disturbanti lavori di H.R. Giger. Il finale è volutamente ambiguo lasciandoti con più domande che risposte. D'altronde, se è assai diffficile che un film possa darci delle risposte sul mistero della vita, il solo porre questa domanda lo rende alquanto affascinante.
Film