Eddington
di Ari Aster
Ari Aster, autore di Hereditary, Midsommar e Beau ha paura, è ormai considerato uno dei registi più interessanti del cinema di genere contemporaneo. Fin dai primissimi anni della sua carriera aveva in mente di realizzare Eddington, con l’intento di raccontare l’America di oggi attraverso un western contemporaneo. Presentato in concorso al Festival di Cannes, il film ha suscitato reazioni fortemente contrastanti. Alcuni critici hanno elogiato l’audacia politica e la volontà di usare il genere per parlare del presente, altri lo hanno definito sbilanciato, confusionario e dispersivo.
Io l’ho visto al cinema e devo dire che ancora lo devo metabolizzare... proverò a farlo scrivendo questa recensione.
Il film è ambientato durante la pandemia di Covid-19, nell’estate del 2020, in una cittadina immaginaria del Nuovo Messico chiamata Eddington, poco più di duemila abitanti. Lo sceriffo locale, Joe Cross (Joaquin Phoenix), non sembra particolarmente incline a rispettare le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria (come l’obbligo di indossare la mascherina) e finisce per scontrarsi con il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal), uomo dagli interessi poco chiari legati alla costruzione di un gigantesco data center nei pressi della città, impegnato nella campagna per la propria rielezione. Tra i due non corre buon sangue nemmeno sul piano personale, per vecchie ruggini che riguardano la moglie dello sceriffo, Louise (Emma Stone), una donna segnata dalla depressione, che secondo la madre di quest'ultima, figura ossessiva e complottista, sarebbe stata violentata da Garcia quando erano ragazzi.
Più per rivalsa che per reale convinzione politica, Cross decide di candidarsi a sindaco contro di lui. Mentre Eddington si frantuma sotto il peso delle paure collettive, dell’isolamento, della disuguaglianza e delle proteste del movimento Black Lives Matter (seguite alla morte di George Floyd da parte della polizia), Joe Cross, ferito anche dall’abbandono della moglie, attratta da Vernon Jefferson Peak (Austin Butler), un carismatico guru a capo di una setta che accoglie vittime di abusi, inizia a covare un senso di rivalsa che presto esploderà in tutta la sua violenza.
Insomma, come si intuisce da questa sinossi (e manca tanto altro, ve lo assicuro) qui c’è davvero tanta carne al fuoco. Sono molti i protagonisti, le storie e le sottotrame che si intrecciano. Eddington non è un film complesso, come poteva esserlo Beau ha paura, ma sicuramente è molto stratificato. Aster ingloba più generi, passando dal western alla satira, dalla commedia grottesca al thriller politico-sociale, usandoli con grande abilità per costruire un affresco beffardo e minaccioso sull'America di oggi.
La pandemia di Covid-19 — primo film di un certo peso a trattare esplicitamente questo tema — è solo il punto di partenza per isolare la cittadina del Nuovo Messico in una bolla, un microcosmo dove il razzismo, le disuguaglianze, i complotti, i guru, le proteste e la disinformazione diventano specchio deformante del paese intero. È un mondo dove un senzatetto ubriaco, presunto portatore del virus, può sparire senza che nessuno si chieda che fine abbia fatto, e dove l’edificio più grande del paese è un’armeria. Un'America in miniatura, dove i social network e la manipolazione dell’informazione sono dominanti (non credo sia un caso che più di una volta compare Trump mentre il protagonista scorre le notizie sul suo cellulare). Un video su Instagram può cambiare la percezione pubblica di un evento, una fotografia può essere usata come prova per incastrare il nero di turno, e la verità diventa solo un’altra narrazione da manipolare.
Il film si divide sostanzialmente in due parti. Nella prima, Aster introduce i personaggi — quasi tutti moralmente discutibili — e imposta i temi centrali con una messa in scena dilatata, statica, fatta di dialoghi e tensioni sotterranee. È un’esposizione volutamente lenta, dove la provincia americana viene ritratta come una terra stanca, piena di frustrazioni e paranoia. Nella seconda parte, Eddington cambia tono e ritmo, la storia si trasforma in un thriller politico con tratti da western urbano, fino a culminare in un epilogo amaro e disperato. Aster spinge sull’azione e la tensione diventa tangibile, quasi fisica. Splendida, per esempio, la sequenza in cui lo sceriffo, ansimante e armato di tutto punto, si muove tra i colpi dei cecchini mentre la macchina da presa si muove intorno a lui cercando di capire dove si trovino.
Joaquin Phoenix offre un’interpretazione di grande intensità, mostrando insieme fragilità, rabbia e bisogno di riscatto. Pedro Pascal è altrettanto convincente nel ruolo del sindaco Garcia, ambiguo e viscido quanto basta. Emma Stone, invece, rimane più ai margini, diventando una pedina funzionale alle svolte narrative.
Eddington è un film ambizioso, a metà strada tra Tarantino e i fratelli Coen, che mescola satira sociale, noir e western moderno per dissacrare la società americana, prendendo in giro tanto i conservatori quanto i progressisti, i complottisti quanto i moralisti della giustizia sociale. È sicuramente un film che, per la mole di temi e sfumature, richiede più di una visione. Non credo di essere il solo ma Eddington mi ha ricordato Una battaglia dopo l’altra per la sua capacità di raccontare la crisi americana contemporanea attraverso il caos e l’ironia. Personalmente gli preferisco Anderson, ma va riconosciuto ad Aster il coraggio di essersi spinto oltre il suo territorio consueto, firmando un film d’autore ironico, feroce, e amaramente lucido. Un viaggio dentro l’America ferita e paranoica del presente, raccontata con l’occhio cinico e beffardo di chi non crede più a nessuna verità.
Film
Beau ha paura
di Ari Aster
Terzo film di Ari Aster dopo Hereditary e Midsommar.
Considero Ari Aster uno dei registi più interessanti degli ultimi anni e solo ora sono riuscito a vedermi il suo ultimo film (me lo sono perso quando uscì in primavera al cinema).
Ispirato a un corto del 2011 dello stesso regista (ecco il link), Beau ha paura è un film complesso che trasmette un senso di angoscia e disagio. E' un film dagli svariati livelli di lettura ed interpretazione che richiede una soglia di attenzione molto alta per un tempo decisamente lungo (la pellicola dura intorno alle tre ore). Questi aspetti portano Beau ha paura ad essere un film parecchio impegnativo, almeno al grande pubblico, e potrebbero spiegare il motivo per cui, a fronte del budget ricevuto, è risultato essere un enorme flop ai botteghini tanto da diventare la più grande perdita in termini economici per la A24.
Beau ha paura è una sorta di odissea nella psiche malata di un uomo di mezza età che lotta contro le sue paure e il senso di colpa instillato da una madre castrante e fagocitante. Un dramma psicologico, surreale, e onirico, decisamente grottesco e fortemente allegorico, che mi ha ricordato alcuni film di Charlie Kaufman (ma in versione più tragica) e per certi versi il The Wall di Alan Parker.
Protagonista è Beau (interpretato dal bravissimo Joaquin Phoenix), un uomo che sta facendo un percorso psicologico con il suo terapista e che vive in un appartamento fatiscente in un quartiere degradato e malfamato. Beau si prepara ad andare a trovare la madre, Mona Wasserman (Zoe Lister-Jones/Patti LuPone) con la quale ha un rapporto conflittuale ma il susseguirsi di una serie di imprevisti e incidenti non gli permettono di partire. E' l'inizio di un odissea in cui il nostro protagonista, trascinato in una girandola di assurdi avvenimenti e situazioni paradossali (un pò alla "Fuori Orario" di Martin Scorsese), precipita in un viaggio folle e delirante.
Di seguito spoilero perchè altrimenti mi diventa complicato l'analisi del film.
Probabilmente, per gran parte della durata del film, ci troviano all'interno dell'inconscio del protagonista. Il viaggio in cui si trova a fare Beau non è altro che il suo percorso psicologico. Beau è un uomo passivo, subisce ed è vittima degli eventi. Non riesce a prendere una decisione perchè fin da bambino, senza la figura paterna, è stato succube di una madre egocentrica e fagocitante che gli ha impedito la sua crescita.
Il film è stutturato come un opera epica ed è diviso in un prologo (il trauma della sua nascita), quattro atti e un epilogo (processo e morte). Ogni atto è associato a una casa o a un luogo.
Primo atto. Beau vive in un appartamento trascurato in un quartiere degradato e violento popolato da derelitti di ogni tipo, maniaci e cadaveri abbandonati in strada. Credo che siano la rappresentazione delle sue emozioni, quelle che non riesce a controllare e di cui ha più paura. L'appartamento invece potrebbe rappresentare la sua psiche frammentata, il suo rifugio interiore. Beau è in procinto di partire per andare a trovare la madre che non vede da tempo. E' parecchio agitato, come lascia intendere la seduta avuta con il suo psichiatra. Ha comprato una statuina rappresentante una madre con il figlio - la madre amorevole che avrebbe sempre voluto - come regalo da portargli. Il giorno della partenza, dopo aver passato la notte in bianco per il rumore dei vicini e per i numerosi messaggi lasciati sotto la porta in cui gli si chiede di abbassare il volume della musica (nonostante non provenga nessuna musica dal suo appartamento), proprio nel momento in cui sta uscendo per andare all'aereoporto, gli rubano la valigia e le chiavi di casa e Beau è così costretto a telefonare alla madre dicendogli che deve rinunciare al viaggio. Dopo una successione di situazioni al limite del grottesco che evidenziano la sua fragilità psicologica, il nostro protagonista viene a sapere che un lampadario ha dilaniato la testa di sua madre uccidendola. La tragedia, unita al senso di colpa per averla nuovamente delusa, gli provoca un crollo, con Beau che si ritrova a correre nudo per strada, dove, completamente indifeso, viene investito da una macchina. Non riuscendo a gestire il trauma la sua psiche ha bisogno di spegnersi, resettarsi.
Secondo atto. Ripreso conoscenza Beau si ritrova in una casa confortevole dove viene accudito da una coppia che lo accolgono come se fosse loro figlio. L’uomo è un dottore e lo cura con dei medicinali. La casa, bella e profumata, probabilmente rappresenta la terapia e gli psicofarmaci. La coppia ha una figlia, Toni che si rivela subito ostile. Beau vorrebbe recarsi al funerale della madre ma nonostante l'uomo si offra di accompagnarlo per una serie di motivi il viaggio viene sempre rimandato. Il clima apparentemente sereno e tranquillo (sedato) è incrinato dell'amico del figlio morto della coppia che questi hanno accolto, un veterano di guerra completamente fuori di testa (metaforicamente potrebbe rappresentare la sua parte di sè ribelle e autodistruttiva).
In questa parte abbiamo un flasback in cui la madre racconta a un giovanissimo Beau che suo padre è morto durante il suo concepimento. In pratica tutti gli uomini della sua famiglia sono vittima di una sorta di maledizione che provoca un infarto durante l'orgasmo (per questo Beau non ha mai avuto un rapporto sessuale in vita sua). In un altro flashback, ambientato in una nave da crociera, Beau conosce Elaine, una ragazzina indipendente ed emancipata. Quando questo desiderio di staccarsi dal grembo materno diventa dominante, Elaine gli viene strappata via, diventando una specie di evoluzione repressa.
In fuga dalla seconda casa, dopo che la figlia della coppia si è uccisa ingerendo un secchio di vernice e la madre incolpa Beau di essere responsabile, il nostro protagonista resetta nuovamente la sue mente e andando a sbattere contro un albero durante la fuga in un bosco perde conoscenza.
Terzo atto. Questa volta Beau non si ritrova in una casa, ovvero in una gabbia che lo opprime, ma in un villaggio all’aperto in mezzo a un bosco dove una compagnia teatrale lo accoglie invitandolo ad assistere a uno spettacolo. La messa in scena è la rappresentazione di ciò che sarebbe potuto accadere a Beau. È il mondo del possibile, in cui Beau spezza la catena che lo tiene alla madre e prendendo la sua strada, diventa indipendente e si fa una famiglia. Quando si risveglia da questo sogno ad occhi aperti viene avvicinato da un uomo che gli dice di essere suo padre. Beau si avvicina alla verità, al trauma subito, ma il folle reduce di guerra che sta sulle sue tracce e che forse rappresenta la sua follia (ma anche una sorta di guardiano che appare quando le emozioni sono troppo forti per essere affrontate) uccide tutti i presenti compreso il suo presunto padre. Durante la fuga avviene un altra perdita di conoscenza e Beau al suo risveglio esce dal bosco, raggiunge una strada e venendo raccolto da un automobilista può finalmente arrivare a casa della madre.
Quarto atto. Il funerale è finito. Beau ha ancora una volta deluso sua madre. Aggirandosi per la grande e bellissima casa della madre, una donna di successo che ostenta con quadri e fotografie tutti i successi della sua azienda farmaceutica (la MW), Beau ascolta la voce del prete che ha celebrato il funerale attraverso il video della registrazione avvicinandosi alla bara aperta in cui giace il corpo senza testa. Poco dopo arriva Elaine, ormai adulta, venuta a porgere gli omaggi alla donna per cui lavorava. Beau gli dice di non averla mai dimenticata ed Elaine lo porta in camera da letto, nel letto della madre, facendo l’amore con lui. Beau è terrorizzato da quello che gli può accadere ma al tempo stesso, senza l'opprimente madre, si sente libero di prendersi quel piacere che per tutta la sua vita gli è stato negato. Alla fine, quando raggiunge l'orgasmo, sopravvive, scoprendo che la temuta morte di carattere ereditario, l'amatema predetto dalla madre, era una balla. Il piacere dura però pochi istanti in quanto ad essere morta è Elaine, rimasta letteralmente pietrificata con gli occhi iniettati di sangue al raggiungimento dell'orgasmo. Sconvolto, Beau si nasconde venendo raggiunto dalla madre ancora in vita. La donna ha inscenato tutto (il corpo senza testa nella bara è quello della loro governante) e inizia ad umiliare suo figlio dicendogli di non averla amata abbastanza. Arrabbiato, Beau chiede alla madre la verità su suo padre. A questo punto Mona lo porta in soffitta, dove si nasconde il più grande trauma infantile del nostro protagonista, e qui (nella sequenza più grottesca di tutto il film) Beau scopre che suo padre non è altro che un orrendo fallo gigante. Il padre di Beau non è mai morto, è stato solo un uomo come tanti, una scopata, un pene che ha iaculato dentro sua madre, e poi più nulla. Il ricatto emotivo che ha castrato Beau per tutta la sua vita era una menzogna. Sconvolto e resosi conto di essere stato sempre controllato dalla madre (lo stesso psichiatra è al servizio di Mona), Beau stringe il collo della madre e la uccide.
Epilogo. Beau fugge su una barca a motore inoltrandosi in un mare avvolto da un cielo stellato, poi si addentra in una caverna (un ritorno all'utero materno con il mare a rappresentare il liquido amniotico - notare come l'acqua sia sempre ricorrente sopratutto nella prima parte) ritrovandosi in una sorta di anfiteatro/tribunale, dove un avvocato, con affianco la stessa Mona, accusa Beau di tutte le sue mancanze affettive nei confronti della madre, condannandolo a morte. La barca a motore esplode e Beau, non riuscendo ad accettare il giudizio di una madre ossessivamente amorevole e controllante, giudizio che negli anni è diventato il giudizio che ha nei suoi confronti, affoga e infine soccombe (o rinasce?).
Un macigno.
Beau ha paura è un film che ti piace o non ti piace, non ci sono mezze misure. Io faccio parte della prima categoria (altrimenti avrei speso meno parole) e lo considero il miglior film del 2023. Ovviamente non è esente da difetti, la parte ambientata nel bosco, per esempio, pur con belissime animazioni di Cristóbal León e Joaquín Cociña, l'ho trovata un pò ridondante. Nonostante tutto è un film coraggioso e ambizioso che a mio parere necessita di un ulteriore visione per essere apprezzato meglio. Film che verrà rivalutato negli anni a venire.
Midsommar
di Ari Aster
Midsommar è il secondo film scritto e diretto da Ari Aster dopo l'ottimo Hereditary. Uscito nei cinema nel 2019, Midsommar - Il villaggio dei dannati (altro sottotitolo italiano che poteva essere evitato) è un folk horror atipico, per certi versi quasi grottesco, dalle diverse chiave di lettura (tossicità del rapporto di coppia, emancipazione femminile, misoginia).
Dani (una bravissima Florence Pugh) è una giovane ragazza americana che ha una relazione di forte dipendenza con Christian (Jack Reynor), un ragazzo che ha molti dubbi sul loro rapporto ma non ha il coraggio di lasciarla. Quando la sorella bipolare di Dani si uccide, uccidendo anche i loro genitori, Christian si sente quasi obbligato a portare Dani con sè in Svezia, in un viaggio che avevo organizzato con i suoi amici in estate per visitare un villaggio tradizionale dove si celebra il solstizio d'estate, una speciale ricorrenza che si svolge ogni novanta anni per la durata di nove giorni. Raggiunto Hårga, nella provincia di Hälsingland, i ragazzi vengono accolti con gioia, sorrisi e funghi allucinogeni dalla gente della comunità. Inizialmente tutto sembra nuovo e stimolante ma pian piano emerge la vera essenza di queste persone, seguaci di un culto neopagano rivolto al femminile.
Midsommar è un horror molto particolare, innanzitutto, fatta eccezione per la prima parte, è un horror che non solo rinuncia al buio ma è quasi accecante nella sua luminosità. Più che sulla paura, il film fa leva sulla tensione, l'ansia e l'angoscia. L'ambientazione bucolica mi ha ricordato il The Village di Shyamalan mentre da più parti leggo che il film di Aster deve molto a The Wicker Man, un film inglese del 1973 che personalmente non conosco. In tutti i modi Midsommar è un film girato benissimo, con una fotografia spettacolare e delle brillanti trovate registiche (tra queste la sequenza in cui i ragazzi in macchina giungono ad Hårga con la strada che si capovolge come a evidenziare di aver varcato un altra dimensione dove le regole sono diverse da quelle che conosciamo).
Interessante i disegni rivelatori e i tanti particolari disseminati nel film (vedere il quadro con l'orso nella stanza di Dani all'inizio del film).
Nonostante sia un film emotivamente pesante e superi le due ore Midsommar è capace di lasciarti inchiodato allo schermo.
Film
Hereditary
di Ari Aster
Hereditary - Le radici del male (mannaggia ai titoli italiani) è il primo lungometraggio di Ari Aster. Uscito nel 2018 e prodotto dalla A24 (tanto per cambiare) Hereditary è un film horror che gioca sulla tensione per poi sfociare nell'orrore puro.
Annie Graham (una bravissima Toni Collette) e la sua famiglia, dopo la morte dell'anziana madre, si ritrova a dover affrontare la sinistra eredità della sua stirpe. Annie è un artista che lavora nel campo del modellismo, soffre di sonnambulismo e nonostante il supporto del premuroso marito (Gabriel Byrne) ha dei difficili rapporti con i suoi due figli: l'inquietante e disturbata Charlie, e il giovane liceale Peter. Quando la famiglia subisce un terribile trauma, la situazione degenera portando alla luce la verità sulla maledizione che incombe sui Graham.
Fin dalla scena iniziale di Hereditary ci rendiamo conto della qualità e dell'ottima tecnica con cui è stato girato l'opera prima di Aster. Inizialmente assistiamo a quello che sembra essere un thriller psicologico. Non si sa se alcune situazioni siano frutto dell’immaginazione causata dall’instabilita psicologica di Annie oppure abbiano a che fare con delle vere e proprie presenze sovrannaturali. Il finale non lascia alcun dubbio anche se personalmente avrei preferito prendesse un altra direzione.
A livello di regia ci sono delle sequenze davvero ben riuscite. Una su tutte, il lungo primo piano di Peter in macchina dopo la tragedia della sorella che prosegue quando si trova sul letto e la famiglia apprende quanto accaduto. Ci sono poi delle scene in cui nel buio avvertiamo delle presenze e la tensione si fa davvero palpabile, per esempio quella in cui abbiamo un primissimo piano sempre di Peter (questa volta dall'alto verso il basso), e sull’angolo sinistro vediamo immobile (la sorella?) mentre nell’angolo opposto intravediamo nel buio il ghigno della madre. Davvero spaventoso.
Poi per carità, ci sono pure delle cose che non tornano e alcune che sembrate forzate, ma in linea di massima il film ti lascia un bel senso di angoscia e questo lo rende di conseguenza un buon horror.
