
Eraserhead
di David Lynch
Premetto che, scrivendo queste righe, non riuscirò ad essere obiettivo. Nutro una profonda venerazione per David Lynch, un’artista capace di esplorare mondi onirici e surreali in ogni sua opera, che si tratti di cinema, pittura, musica o qualsiasi altra forma d’arte in cui si cimenta.
Se qualcuno mi chiedesse quale sia il mio film preferito (non di Lynch, ma in assoluto), risponderei senza esitazione "Mulholland Drive".
Nel 1972, quando inizia a girare "Eraserhead", David Lynch ha ventisei anni. E' un pittore e ha già girato una serie di cortometraggi visionari e molto sperimentali. Per realizzare il suo primo lungometraggio ci metterà quattro anni. Lavora solo di notte, in un set montato in un enorme magazzino, mentre di giorno lavora cercando di racimolare i soldi per finanziare il film. A interpretare il protagonista chiama un suo amico di vecchia data, oltre alla sua fidanzata e ad altri conoscenti, dando vita a un progetto quasi interamente “fatto in casa”.
La trama è complicata e poco lineare, caratteristica di quasi tutti i capolavori di David Lynch (compreso Twin Peaks).
Girato in uno sgranato bianco e nero e dai dialoghi quasi completamente assenti, il film racconta il viaggio allucinato di Henry Spencer (interpretato da Jack Nance), un uomo solitario e impacciato che vive in una città industriale e surreale, muovendosi tra rumori metallici e paesaggi desolanti. La sua vita prende una piega angosciante quando scopre che la sua ragazza, Mary, ha partorito un figlio deforme. Mary e Henry cercano di prendersi cura del neonato, ma la situazione precipita quando la donna abbandona entrambi, lasciando Henry da solo con il bambino, che piange incessantemente e sembra più una creatura aliena che umana. Mentre l’angoscia e la confusione di Henry crescono, il confine tra realtà e incubo diventa sempre più labile, portandolo a visioni oniriche e momenti di introspezione surreale in cui affronta paure profonde e incomprensibili.
"Eraserhead" è un incubo cinematografico, difficile da spiegare a parole, sopratutto la seconda parte del film. Come tutto il cinema di Lynch, è un'opera che va vissuta, dove il viaggio è più importante della destinazione. La narrazione passa in secondo piano per fare spazio a un'esperienza sensoriale e visiva, una vera e propria immersione nel subconscio. Le scene sono lente, ogni dettaglio è studiato per creare un senso di isolamento e soffocamento che cresce con il film. Il neonato deforme, che piange in continuazione ed è quasi impossibile da guardare, diventa il simbolo delle angosce del protagonista, un’immagine disturbante che mette a nudo le paure della paternità e della responsabilità.
Lynch non ha mai voluto rivelare in quale modo e con quale tecnica abbia realizzato questo effetto speciale. Il fatto che il regista non aveva budget per realizzare un mostriciattolo così realistico lascia pensare che sia qualcosa di organico. Probabilmente il feto di un animale o qualcosa del genere.
Inizialmente Eraserhead non venne neanche distribuito, ma con il tempo divenne un vero e proprio cult, proiettato nei cinema di mezzanotte per un pubblico di appassionati.
Io quando ho visto per la prima volta "Eraserhead" (stiamo parlando di parecchi anni fa) non avevo mai visto nulla del genere. Non è un film per tutti. E' un’esperienza che richiede pazienza, apertura e, forse, un pizzico di resistenza. Mi rendo conto che può non piacere e che molti possano trovarlo inaccessibile, perchè è un film dove la logica e la razionalità viene messa da parte. Ma chi è disposto ad abbandonare ogni certezza e lasciarsi andare, può trovarsi di fronte a un'esperienza... trascendentale.

Lynch/Oz
di Alexandre O. Philippe
Premessa. Dire che David Lynch è il mio regista preferito sarebbe sminuire la portata della mia ammirazione. La mia stima verso di lui va ben oltre la sua filmografia: è un’adorazione che si estende a tutte le sue espressioni artistiche, dal cinema alla pittura, dalla musica alla meditazione. Lynch è l’unico artista che vorrei incontrare, stringergli la mano, e con quel semplice gesto trasmettergli tutta la mia gratitudine per avermi mostrato la potenza dell’immaginazione. Fine premessa.
Sono andato al cinema a vedere Lynch/Oz, un documentario di Alexandre O. Philippe in cui il Mago di Oz, il film di Fleming del 1939, viene messo a confronto con l'intera filmografia di Lynch.
David Lynch ha dichiarato nelle sue interviste che il Mago di Oz è uno dei suoi film preferiti ed è innegabile, vedendo nei dettagli alcune delle sue opere, di quanto ne sia stato realmente influenzato (nel suo studio privato, quello dove realizza i suoi quadri, c'è appesa la foto di una immagine presa dal film).
Il documentario è diviso in sei parti (ognuno affidato a un regista diverso che fornisce la sua chiave di interpretazione personale) e mette a confronto sequenze dei film di Lynch con quelli del Mago di Oz. Il film più diretto ed esplicito è Cuore selvaggio ma ci sono riferimenti sparsi in Velluto blu, Mulholland Drive e in Twin Peaks (dall'ossessione per le scarpette rosse alle tende di velluto dietro a cui si cela l'irreale e l'uomo che non c'è).
In realtà nel documentario oltre alla cinematografia di Lynch vengo citati e mostrati altri film, forse troppi e il documentario, pur essendo interessante, alla fine risulta un pò troppo lungo. Resta comunque un analisi affascinante per chi come me ama e stima questo grande cineasta.