
Mimì - Il principe delle tenebre
di Brando De Sica
Ammetto che quando ho visto il nome del regista ho storto un po' il naso. Brando De Sica. Figlio di Christian, nipote di Vittorio, Carlo Verdone come zio. Il pregiudizio che in Italia, se non sei un figlio d'arte, il cinema lo guardi e basta, è scattato immediatamente. E invece Mimì – Il principe delle tenebre mi ha fregato. Non solo perché è un film coraggiosamente fuori tempo, diverso, ma anche perché ha toccato corde familiari della mia indole gotica.
La storia racconta di Mimì (Domenico Cuomo), un adolescente orfano, nato con i piedi deformi, che lavora in una pizzeria a Napoli. Bullizzato dal figlio di un boss camorrista, un giorno incontra Carmilla (Sara Ciocca), una giovane ragazza "dark" convinta di essere una discendente del conte Dracula. Lei rimane affascinata dal goffo Mimì – forse proprio per la sua deformità – e lui trova in Carmilla quel calore umano che gli è sempre mancato.
In una Napoli insolita e decadente, tra bande camorristiche appassionate di neomelodica e gruppi gotici che frequentano cimiteri, cripte, e feste alternative, Mimì – Il principe delle tenebre si presenta come un film strano e affascinante, capace di spaziare dall'horror al fantasy, dal noir alla dark comedy. La commistione di generi è dosata con intelligenza e la virata horror arriva al momento giusto. Brando De Sica, da quanto si dice in giro, è un appassionato di questo genere, e si vede. Le citazioni cinefile sono ovunque, ma non risultano mai esibite. Piuttosto, sono tracce, omaggi ben inseriti in una narrazione personale e visivamente curata. La regia è solida e la fotografia mi ha particolarmente colpito, con quei colori irreali – blu e rosso, caldi e freddi spesso contrapposti – che rimandano al cinema di Mario Bava. L'uso del colore è particolarmente significativo nella scena finale, dove Mimì e Camilla – ehm, Carmilla con la erre (cit) – vengono illuminati dal lampeggiante della polizia, in un contrasto emotivo che trascende la realtà.
L’epilogo, drammatico e ambiguo – è tutto vero o una fantasia del protagonista? – ha un tocco poetico e surreale. Al centro della storia, c'è una relazione d'amore tra due "diversi": una ragazza borderline, fragile e imprevedibile, e un ragazzo in cerca di identità, ingenuo, segnato nel corpo e nell'anima. Due anime rotte che cercano di salvarsi a vicenda.
I due attori protagonisti sono molto bravi. La giovane e minuta Sara Ciocca è sorprendente. Affascinante nella sua versione goth, fragile e vulnerabile nella sua cameretta da bambina. Domenico Cuomo è altrettanto bravo, capace di passare dalla timidezza di Mimì alla trasformazione violenta del "vampiro", con i suoi denti aguzzi e lo sguardo distorto. Il film, inoltre, è recitato bene. Finalmente in un film italiano i dialoghi, anche quando sono sussurrati, sono sempre chiari. Il dialetto napoletano non infastidisce, e quando è troppo stretto, intervengono i sottotitoli.
Guardandolo, mi è venuto spontaneo accostarlo a Lo chiamavano Jeeg Robot, ma con i vampiri al posto dei supereroi. E in alcune scene, come quella nelle catacombe, ho sentito forti echi del cinema di Guillermo del Toro.
Alla fine, Brando De Sica sembra più un orfano adottato da Tim Burton e dalla malinconia di Fellini che un regista cresciuto sulle spalle della becera commedia natalizia. Pare che per realizzare questo film non abbia sfruttato le sue conoscenze familiari, anzi, ci ha messo dieci anni e ha incontrato numerosi ostacoli. E si vede. È un film ostinato, personale, fuori rotta. Farsi strada nel cinema di genere in Italia non è facile. Ma io, sinceramente, tifo per lui. A volte i pregiudizi sono proprio deleteri.

Pandemonium
di Quarxx
Quarxx è un regista, pittore e artista multimediale francese con una spiccata inclinazione per il cinema fantastico e horror. Dopo l’esordio con Tous Les Dieux Du Ciel e una serie di cortometraggi, nel 2023 porta sullo schermo Pandemonium, un viaggio visionario negli Inferi. Entrambi i film, al momento, restano inediti in Italia.
Tutto comincia su una strada di montagna avvolta nella nebbia, dove un'auto e una moto si sono da poco scontrate violentemente. Nathan (Hugo Dillon), il conducente dell'auto, si risveglia sull’asfalto, illeso ma confuso. Poco distante si trova il motociclista, Daniel (Arben Bajraktaraj), il quale gli rivela che entrambi sono morti. inizialmente Nathan non gli crede, ma quando vede il proprio cadavere all'interno della macchina, è costretto ad accettare la tragica verità. Inaspettatamente, appare anche una bambina, vittima dell’incidente, e mentre per lei si spalanca la porta verso la luce, per Nathan e Daniel si apre l’ingresso all’Inferno.
Il viaggio infernale di Nathan diventa il filo conduttore di altre due storie che scavano nel senso di colpa e nella disperazione umana. La prima riguarda una bambina profondamente disturbata che uccide i suoi genitori e poi la sorellina, mentre nella seconda incontriamo una giovane suicida, vittima di bullismo, e sua madre, troppo assorbita dal lavoro per rendersi conto della sofferenza della figlia. La storia della bambina è grottesca e raccapricciante, mentre quella della madre e della figlia suicida è particolarmente straziante.
Quarxx si ispira dichiaratamente a "…E tu vivrai nel terrore! – L’aldilà" di Lucio Fulci, un film che lo ha segnato fin da bambino, e l’influenza è evidente. Pandemonium condivide con il cult italiano lo stesso senso di oppressione e di ineluttabilità. Ma ci sono anche richiami all’estetica sadica di Hellraiser di Barker soprattutto nella parte finale, dove Nathan si ritrova condannato a un’eternità di sofferenza, diventando il "giocattolo" del suo carnefice. Visivamente, il film è potente. L'Inferno immaginato da Quarxx ha una qualità pittorica, oscura e ipnotica. Ma la narrazione? Qui iniziano i problemi.
L’aspetto antologico rende il film frammentato, quasi disorientante. Le storie, per quanto affascinanti, sembrano poco coese e il tutto risulta discontinuo e un pò confusionario. Per esempio dove è andato a finire il motocilista? E la bambina che ha ucciso i genitori quando muore? E quella sottotrama sull'anticristo che appare sul finale, è un accenno a un possibile seguito o solo un’idea abbozzata?
Alla fine, Pandemonium lascia una sensazione strana. È come se Quarxx avesse tra le mani un concept perfetto per una serie televisiva antologica, con ogni episodio dedicato a una delle storie e un filo conduttore più solido. Così com'è, sembra un esperimento dal potenziale enorme, ma non del tutto realizzato. Eppure, nonostante la sua discontinuità, il film riesce a colpire. È destabilizzante, angosciante, visivamente ipnotico, e non lascia indifferenti. In fondo, non è forse questo lo scopo dell’horror?

Vampira umanista cerca suicida consenziente
di Ariane Louis-Seize
Colpito dal titolo wertmülleriano, mi sono recuperato Vampira umanista cerca suicida consenziente, una dark comedy canadese in lingua francese del 2023, diretta dall’esordiente Ariane Louis-Seize. Presentato all'80ª Mostra del Cinema di Venezia, il film è disponibile su IWonderfull, la piattaforma streaming attivabile su Prime Video.
Sasha (Sara Montpetit) è una giovane vampira con un problema decisamente insolito: è troppo empatica per uccidere. Cresciuta grazie alle sacche di sangue fornite dai genitori, si rifiuta di cacciare, scatenando la frustrazione della famiglia che la vede incapace di rendersi indipendente. Quando i genitori, ormai esasperati, le tagliano i rifornimenti, Sasha si trova davanti a un bivio, accettare la sua natura o rischiare di morire di fame. A offrirle una via d’uscita è Paul (Félix-Antoine Bénard), un adolescente solitario con tendenze suicide, disposto a sacrificarsi per lei. Ma prima che arrivi il momento fatidico, i due decidono di prendersi una notte tutta per loro, esaudendo i desideri di Paul in un viaggio notturno tra amicizia, scoperta e, forse, una nuova voglia di vivere.
Tra umorismo nero e tenerezza, Vampira umanista cerca suicida consenziente gioca con il mito del vampiro per raccontare un coming-of-age originale e profondo. Sasha è l’emblema di una generazione sospesa, una ragazza mantenuta dai genitori che cerca disperatamente di sopprimere la sua natura. Paul, dal canto suo, è altrettanto perso, un’anima alla deriva che ha smesso di credere nel futuro e che cerca di porre fine alla sua esistenza. La loro amicizia nasce in quella zona grigia tra morte e salvezza, due adolescenti che si sentono fuori posto nel loro mondo, due emarginati che trovano conforto nelle reciproche fragilità.
Il film si muove con leggerezza tra grottesco, surreale e malinconico, lasciando spazio a momenti di grande delicatezza. Bellissima la scena in cui Sasha e Paul, in silenzio, cantano Emotions di Brenda Lee, lasciando che la musica parli per loro. Ottime anche le interpretazioni dei due giovani protagonisti, con la Montpetit che sembra uscita da un vecchio film di Tim Burton.
Non è il nuovo Lasciami entrare ma possiede un equilibrio raro tra humour nero e dolcezza, riuscendo a rendere il macabro incredibilmente umano.
Film
Cobweb
di Samuel Bodin
Cobweb è un film horror del 2023, che segna l’esordio alla regia di Samuel Bodin.
La storia ha come protagonista Peter (Woody Norman), un bambino introverso che vive con i suoi genitori, Carol (Lizzy Caplan) e Mark (Antony Starr, il Patriot di The Boys), in una vecchia casa isolata. Le sue notti iniziano a essere turbate da strani rumori provenienti dalle pareti della sua stanza, ma, nonostante le sue segnalazioni, i genitori minimizzano o ignorano la situazione. Isolato e vittima di bullismo a scuola, Peter trova un sostegno inaspettato nella supplente Miss Devine, che intuisce il suo disagio dopo aver visto un inquietante disegno del bambino. Nel frattempo, le cose si fanno ancora più sinistre quando, di notte, una voce proveniente da dietro la parete – che si presenta come sua sorella – lo avverte che i suoi genitori nascondono oscuri segreti e potrebbero addirittura volerlo uccidere.
Cobweb è un horror che per buona parte del film è carico di tensione, gioca abilmente sull'ambiguità e presenta un paio di scene davvero inquietanti – è riuscito a spaventare perfino me, che sono ormai avvezzo a questo genere. Il film costruisce un'atmosfera efficace, facendo leva sulla percezione distorta della realtà attraverso gli occhi di Peter. I genitori, in particolare, vengono dipinti come figure minacciose e disturbanti, anche se è chiaro che questa visione potrebbe essere il frutto delle paure e delle proiezioni del bambino.
Putroppo, nel momento in cui la "creatura" aracnoide – realizzata con un CGI non proprio memorabile – viene liberata e la minaccia diventa tangibile, il film precipita in un guazzabuglio citazionista mescolando J-Horror di basso livello, jumpscare a ripetizione e un elenco di cliché degno di un manuale del genere. A questo punto tutta la tensione accumulata fin qui si dissolve, in una sequela di colpi di scena prevedibili e situazioni già viste centinaia di volte.
Un vero peccato, perché Cobweb aveva tutte le carte in regola per essere un horror intrigante e intressante, almeno per la prima ora.

Stopmotion
di Robert Morgan
L'inglese Robert Morgan è un animatore in stopmotion noto per i suoi cortometraggi oscuri e profondamente inquietanti. Alcuni dei suoi lavori più interessanti sono The Cat with Hands, Bobby Yeah e The Separation che denotano il suo gusto per il macabro, l'orrore e le atmosfere disturbanti e surreali.
Nel 2023 Morgan compie il grande passo è realizza il suo primo lungometraggio, Stopmotion, un horror psicologico che mescola live action e animazione. Il film è stato presentato alla 24ª edizione del ToHorror Fantastic Film Fest di Torino ed è, al momento, ancora inedito in Italia.
La storia ha come protagonista Ella (Aisling Franciosi), una giovane animatrice in stopmotion, che sta aiutando la madre, una vera leggenda in questo campo, a realizzare il suo ultimo film. Il rapporto tra le due è tutt’altro che idilliaco. La madre, affetta da una grave artrite alle mani, utilizza la figlia per muovere i pupazzi, rimproverandola severamente a ogni suo errore. Ella, frustrata e intrappolata, sogna di creare qualcosa di proprio, ma è paralizzata dalla mancanza di una visione chiara e dalla pressione materna. Quando la madre viene colpita da un ictus e successivamente muore, Ella si trasferisce in un appartamento isolato per completare il progetto incompiuto e trovare finalmente la propria voce artistica. La sua solitudine viene presto interrotta dall'arrivo di una misteriosa bambina, che critica il lavoro di Ella e le suggerisce di abbandonare il film della madre per dedicarsi a una nuova storia: quella di una ragazzina perduta nei boschi, perseguitata da un'entità malvagia conosciuta come Ash Man. Influenzata dalla bambina, Ella comincia a creare pupazzi fatti di carne cruda e carcasse di animali, sprofondando lentamente in un incubo psicologico dove le sue creazioni sembrano prendere vita, e lei stessa diventa vittima delle sue ossessioni e delle sue allucinazioni.
Il film di Robert Morgan esplora la dinamica dell'artista tormentato che scivola nella follia, spinto da un'ossessione inarrestabile per la propria arte. E' un tema caro al cinema horror, rivisitato questa volta attraverso il filtro del laborioso mondo dell'animazione in stop motion.
Le sequenze animate, realizzate con pupazzi fatti di materiali disturbanti e arricchite da un sound design appiccicoso e viscerale, sono il punto forte del film, suscitando un mix di fascino e disgusto. Tolte queste, il film si perde in una sceneggiatura che soffre di prevedibilità e si appoggia a cliché come l’artista instabile, il trauma ereditato e il confine sfocato tra realtà e fantasia. La figura della bambina misteriosa, che dovrebbe aggiungere ambiguità, risulta troppo prevedibile, e il crollo psicologico di Ella, che si ritrova persa, incapace di definire se stessa o la propria arte, quando i fili che la tenevano sotto il controllo della madre manipolatrice vengono tagliati, non viene esplorato con la profondità necessaria.
Pur visivamente audace, il film manca di coesione narrativa e fatica a bilanciare le sue immagini potenti con una storia che lasci il segno. E' un film che colpirà gli amanti dell'animazione e del gore, ma che probabilmente lascerà delusi coloro che cercano un racconto più incisivo e originale.

Past Lives
di Celine Song
Past Lives è il film di esordio di Celine Song, regista e sceneggiatrice sudcoreana trapiantata in Canada e oggi residente negli Stati Uniti.
Il film, prodotto dalla A24, è stato presentato nel 2023 in numerosi festival cinematografici ottenendo un grande riscontro di critica e di pubblico.
La storia vede protagonisti un uomo e una donna sudcoreani, due amici di infanzia, Nora Moon (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo), ed è divisa in tre atti, separati l’uno dall’altro da dodici anni.
Nella prima parte vediamo i due protagonisti bambini frequentare la stessa scuola. I due sono troppo giovani perchè la loro relazione si possa definire amore, ma il loro è un legame forte ed esclusivo. Quando i genitori di lei decidono di trasferisi in Canada, le loro strade si dividono. Il loro addio avviene quasi senza parole in una scena in cui i due ragazzini si separano a un bivio di una strada in salita.
Trascorrono dodici anni e Hae, giovane ingegnere, decide di cercare Nora su internet. Per una serie di coincidenze i due si ritrovano, anche se virtualmente. Nora è diventata una sceneggiatrice e si è trasferita a New York. Nora e Hae iniziano a farsi delle videochiamate avvicinandosi sentimentalmente ma quando Nora capisce che la distanza tra di loro è incolmabile e nessuno di loro, per motivi diversi, ha intenzione di trasferirsi nel paese dell'altro, preferisce interrompere i contatti.
Trascorrono altri dodici anni. Nora si è sposata con Arthur (John Magaro), un suo collega, e vive a Manhattan mentre Hae, lavora in una azienda di Seul e ha una relazione poco definita. Un giorno Hae decide di recarsi in vacanza a New York per incontrare finalmente l'amica di infanzia, il primo amore della sua vita.
Ispirata all'esperienza personale della regista coereana, "Past Lives" potrebbe sembrare semplicemente una storia d'amore, la storia di un amore mai consumato, ma in realtà è un film molto più profondo che tocca temi come il destino, il rimpianto e la riconciliazione, esplorando la complessità delle relazioni umane e il peso delle scelte che si compiono con una delicatezza e una sensibilità rara. Il film si distingue per un narrazione sottile e introspettiva e alterna momenti di dolcezza a riflessioni più amare, senza mai cadere nella trappola del melodramma e del romanticismo forzato. La sceneggiatura di Song è elegante e precisa, costruita su dialoghi autentici e momenti di silenzio che parlano più delle parole stesse. L'interpretazione dei protagonisti, compreso il marito di lei che ha un ruolo alquanto scomodo e delicato, è davvero notevole con pochi dialoghi ma profondi. E' una recitazione incentrata sugli sguardi, sui silenzi e sul non-verbale che esprime in modo vivido e profondo l'intensità della passione e delle scelte sentimentali. La regia di Celine Song è caratterizzata da una grande eleganza, con una scelta impeccabile delle inquadrature e un'accuratezza nei dettagli che sorprende, considerando che si tratta del suo esordio alla regia. Il film per certi versi mi ha ricordato Lost in Translation di Sofia Coppola e Eternal Sunshine in the Spotless Mind di Micheal Gondry (quest'ultimo appare per un momento alla televisione) per il tema delle esperienze perdute. Ottima la colonna sonora dei Grizzly Bear che accompagna e completa l’atmosfera della pellicola.
Un film delicato, struggente e malinconico che riesce a toccare ed emozionare in maniera autentica.

Foglie al vento
di Aki Kaurismäki
Sono fuori dalla mia comfort zone ma ogni tanto mi piace farmi persuadere e vedere qualcosa di diverso.
"Foglie al vento" è una malinconica storia d'amore di Aki Kaurismäki, apprezzato regista finlandese, che con questo film ha vinto il Premio della Giuria alla scorsa 76° edizione del Festival di Cannes.
In quella che sembra essere una grigia città dell'europa dell'est alla fine degli anni ottanta - ma in realtà la storia è ambientata nel presente dal momento che ci sono i bollettini della recente invasione russa dell'Ucraina - due anime solitarie vivono la loro vita precaria ai margini della società. Ansa (Alma Pöysti) è una donna sola che lavora in un supermercato dove viene presto licenziata per aver portato a casa un prodotto alimentare scaduto destinato al macero. Holappa (Jussi Vatanen) invece è un operaio metalmeccanico, altrettanto solo, mite e col vizio dell'alcol che viene pure lui licenziato dopo essere stato scoperto a bere durante il turno di lavoro. Una sera i due si incontrano in un locale di karaoke dove si scambiano un timido sguardo senza parlarsi. Un paio di giorni dopo Holappa incontra casualmente Ansa invitandola a vedere un film al cinema. All'uscita la donna gli lascia un pezzetto di carta con il suo numero di telefono ma l'uomo distrattamente se lo perde. I due si cercano, si trovano, e si perdono nuovamente, venendo trascinate come foglie al vento in una serie di casualità, imprevisti e malintesi che sembrano impedirgli di uscire dal loro triste isolamento esistenziale e raggiungere la felicità.
Foglie al vento è una storia d'amore che nasce dall'incontro di due solitudini. Un film semplice e poetico che si distingue per i pochi dialoghi, una trama minimale, e la forte malinconia dei due protagonisti. La forza espressiva dei loro sguardi vuoti ci racconta con estrema delicatezza un mondo respingente, grigio e degradato. Ci sono dei cenni di umorismo qua e là ma è la malinconia a farla da padrone. I lunghi silenzi vengono riempiti da una colonna sonora composta da canzoni che parlano di solitudine e di un disperato bisogno di amore. Tra queste c'è ne una - qui il link - suonata e cantata da due sorelle finlandesi, si fanno chiamare Maustetytöt. La canzone spicca perchè inserita nel contesto del film è di una tristezza così sconfortante da diventare quasi grottesca. Tante le citazioni come per esempio nel finale in cui viene celebrata la famosa camminata di Charlot in "Tempi Moderni".
Quando la semplicità diventa arte.

Vermines
di Sébastien Vanicek
Un film horror sui ragni? Non è il primo e non sarà l'ultimo. Dagli anni cinquanta in poi, questi simpatici animaletti dalle zampette pelose hanno accompagnato le nostre paure più profonde e ci hanno fatto saltare dalla sedia innumerevoli volte. Che siano mutanti giganti, creature preistoriche risvegliate o semplici aracnidi ingigantiti dalla scienza impazzita, i ragni sono da sempre protagonisti di incubi cinematografici.
Io non sono particolarmente impressionato dai ragni, anzi, se sono piccoli e innocui, li trovo persino carini. Tuttavia, conosco una persona che ne è letteralmente terrorizzata (e non è una donna).
Vermines (Infested è il titolo scelto per la distribuzione all'estero) è il film di esordio del regista francese Sébastien Vanicek.
La storia vede come protagonista Kaleb (Théo Christine), un ragazzo appassionato di animali esotici, che vive con la sorella in un appartamento di un enorme palazzo popolare della periferia di Parigi. Un giorno Kaleb si porta a casa un ragno acquistato nel negozio clandestino in cui si serve ignorando che l'aracnide fa parte di una specie estremamente pericolosa (la prima vittima del ragno è uno dei bracconieri che per primo stava tentando di catturarlo). Ovviamente il ragno scappa dalla scatola in cui era stato messo momentaneamente iniziando rapidamente a deporre uova (all'interno dei malcapitati inquilini) e a diffondere i suoi "piccoli" in tutto il palazzo. Quando la polizia trova la prima vittima, l'autorità parigina, per impedire la diffusione di questa razza di aracnidi particolarmente invasiva e mortale, decide di sigillare lo stabile condannando i poveri condomini a diventare cibo per ragni. Tra ragnatele che ricoprono l'intero edificio e ragni sempre più grandi, Kaleb, sua sorella e i suoi amici cercano disperatamente una via di fuga.
Mi aspettavo di vedere una trashata invece il film non mi è dispiaciuto. L'isolamento forzato e l'ambientazione all'interno di un palazzone della Banlieue mi ha ricordato il recente Lockdown Tower dove i personaggi sono degli emarginati di etnie e culture diverse abbandonati al loro destino da una società che li ha ghettizzati. E' solo il contesto però, perchè l'aggiunta dei letali aracnidi rende il film un movimentato survival horror di intrattenimento con i nostri protagonisti che per non soccombere sono costretti a correre a destra e manca attraverso lunghi corridoi poco illuminati coperti di ragnatele e invasi da centinaia di ragni. Mi sarebbe piaciuto vedere in dettaglio questi disgustosi aracnidi, magari spingere un pò di più sull'aspetto gore, ma il regista, avendo un budget ridotto e di conseguenza dei limiti sugli effetti speciali, ha pensato bene di coprire queste carenze con delle riprese da lontano, in movimento, oppure giocando con le ombre e l'oscurità.
Il film, oltre ad essere stato apprezzato dal solito Stephen King, ha attirato l'attenzione di Sam Raim che ha affidato a Sébastien Vanicek la regia di uno spin-off di La casa. Staremo a vedere.

Dogman
di Luc Besson
Luce Besson, il più hollywoodiano dei registi francesi, autore di un capolavoro come "Leon" e di tanti altri film più o meno riusciti, torna nel 2023 con Dogman, un action thriller psicologico di cui ha scritto anche la sceneggiatura.
Il protagonista del film è Douglas (Caleb Landry Jones), un uomo irrimediabilmente segnato da un infanzia dolorosa e terribile. Vittima di un padre violento, di un fratello esaltato e di una madre succube, Doug, da bambino, viene costretto a vivere rinchiuso nella gabbia dei cani - che il padre allevava per i combattimenti - fino al giorno in cui lo stesso padre, in un momento di ira, gli spara con il fucile lasciandolo semi paralizzato. Doug è però riuscito a stabilire un rapporto speciale con i cani, che lo capiscono ed eseguono ogni suo ordine, e grazie a loro, riesce a farsi salvare dalle autorità.
Costretto su una sedia a rotelle e segnato da profondi traumi fisici e psicologici, Doug, ormai adulto, si esibisce in un locale come drag queen trovando rifugio in un posto abbandonato insieme ai suoi cani, gli unici che gli hanno dimostrato affetto e comprensione, e che diventano i suoi complici per compiere furti in ville di lusso e vendicare i più deboli dai torti subìti.
L'anti eroe raccontato da Besson è un incrocio tra uno psicopatico Robin Hood in sedia a rotelle e un villain dei cinecomics dotato di poteri che gli permettono di comunicare con i cani, in un film pulp e fumettoso che ricorda, neanche poco, il Joker di Todd Phillips. Un uomo che per sopportare la sua sofferenza si aggrappa alla letteratura e al teatro - indossando di volta in volta la maschera di Edith Piaff, Marlene Dietrich e Marilyn Monroe - mentre decine e decine di cani lo proteggono occupandosi del suo sostentamento e dei suoi bisogni (mi chiedo chi faccia le pulizie). Film dotato di tecnica squisita e di una grande interpretazione dell'attore protagonista che però scade in alcune scene - vedi per esempio l'evasione di prigione oppure quella della gang dei portoricani che cadono in trappola e vengono abbattuti dai cani - il cui effetto esilerante alla "Mamma ho perso l'aereo" cozza un pochino con il dramma del nostro emarginato protagonista.
Film
Where the Devil Roams
di Adam's Family
Toby Poser e John Adams, insieme alle figlie Lulu e Zelda Adams, sono una famiglia assai particolare. Tutti insieme, ormai da qualche anno, autoproducono dei film dell'orrore indipendenti occupandosi da soli dell'intero processo creativo e realizzativo. In California hanno aperto una piccola casa di produzione cinematografica, la Wonder Wheel Production, e con ridotte disponibilità economiche ma uniti da una grande passione hanno realizzato diverse pellicole facendo tutto da soli: dalla sceneggiatura alla regia, dal montaggio alla recitazione. Ah, ovviamente scrivono pure la musica, ci mancherebbe. Hanno un gruppo musicale, anzi due, i Kid Kalifornia e gli H6LLB6ND6R, fanno un specie di punk rock di facile presa in cui John scrive, suona e produce mentre le donne si dilettano a cantare a turno o tutti insieme. Non so voi, ma a me la storia di questa singolare famiglia mi esalta parecchio.
La famiglia Adams (con una sola "d" mi raccomando) al momento ha realizzato sette lungometraggi ed è al lavoro su altri due. Mi pare che nessuno dei loro film sia stato distribuito in Italia. Pubblico e critica considera Hellbender del 2021 la loro prova migliore. Io ho recuperato in rete il loro film più recente, Where the Devil Roams del 2023, e di questo mi accingo a parlare.
Negli anni trenta, negli anni della depressione statunitense, Maggie (Toby Poser), il marito Seven (John Adams) e la figlia Eve (Zelda Adams) si esibiscono in un circo locale ottenenendo uno scarso successo. Eve, che durante lo spettacolo canta ma poi è praticamente muta, scopre che Mr. Tibbs, la stella del circo, fa uso della magia nera per eseguire la sua raccapricciante esibizione. La ragazza decide di rubare il suo segreto condannando la sua famiglia a un lento declino.
Il film è parecchio strano, insolito e originale. Uno splatter alla Rob Zombie, con tanto di arti mozzati e corpi in putrefazione, ma più onirico e celebrale. Meno accessibile rispetto a tanti altri film di genere, quasi come se l'aspetto commerciale venga messo in secondo piano, il film degli Adams ha i suoi tempi e, secondo me, alcune lacune nella sceneggiatura. La parte del viaggio in cui Maggie, quasi in ogni tappa, scatena la sua follia omicida mentre la figlia benda il padre, rimasto traumatizzato dalla guerra, per evitargli l'attacco di panico alla vista del sangue, francamente non l'ho capita. Sì, stanno cercando di sportarsi in un altra città per cercare fortuna, ma il tutto mi è sembrato parecchio forzato e girato solo per cambiare location e mostrare la violenza di Maggie. Quello che più sorprende, sapendo che il film è un autoproduzione e ha avuto un budget limitato, è l'aspetto tecnico e artistico. Where the Devil Roams ha una potenza visiva davvero sbalorditiva che omaggia il "Freaks" di Browning e in genere i film horror degli anni trenta con uno stile retrò ma allo stesso tempo attuale. Molto incisiva anche la musica - ma visto le inclinazioni degli Adams non mi sorprende - che fa da giusto contrasto alle immagini in un connubio ai confini del videoclip. La famiglia Adams ha delle potenzialità, senza ombra di dubbio, forse pagano il fatto di essere a briglie sciolte, ma questo a lungo andare potrebbe rivelarsi il loro tratto distintivo. Nonostante tutto vi stimo.
Film
Decision to leave
di Park Chan-wook
Premiato per la migliore regia al Festival di Cannes 2022, Decision to leave è un intricato noir sentimentale del talentuoso regista sudcoreano Park Chan-wook, l'autore di Mr. Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta e tanto altro.
La trama si concentra su Jang Hae-jun (magistralmente interpretato da Park Hae-il), un detective sposato che soffre di insonnia e che si ritrova a indagare sulla morte di un uomo precipitato da una montagna durante una scalata. La principale sospettata è la vedova Seo-Rae (Tang Wei), una misteriosa donna di origini cinesi che presenta sul corpo dei graffi e delle contusioni. Nel corso dell'indagine, fatto da interrogazioni caratterizzate da delle incomprensioni linguistiche/culturali e dai continui e prolungati appostamenti, Hae-jun sviluppa una sorta di attrazione ossessiva per Hae-jun che lo portano a mettere in dubbio il suo senso del dovere e a spezzare la sua integrità morale.
Il film omaggia il cinema di Hitchcock, richiamando in particolare La donna che visse due volte. L'ossessione del protagonista nei confronti della femme fatale sospettata dell'omicidio del marito (e successivamente di un secondo marito) viene descritta da Park Chan-wook in modo del tutto personale, mescolando generi e stili con grande maestria tecnica. Un montaggio quasi sperimentale e una regia impeccabile su una storia dotata di una buona dose di ironia e di una profonda intensità emotiva che racconta un amore struggente destinato alla tragedia.
Un film dallo stile unico e innovativo ma che forse necessita di una seconda visione. Probabilmente il fatto di averlo visto in seconda serata, quindi un pò assonnato, il montaggio serrato, e una trama un pò articolata, sopratutto nella seconda parte, mi ha fatto perdere qualche passaggio lasciandomi un pò di confusione. Lo vorrei rivedere perchè dal punto di vista stilistico è un vero gioiello.

Godzilla Minus One
di Takashi Yamazaki
"Godzilla Minus One", diretto da Takashi Yamazaki, è un film giapponese dedicato al celebre mostro Godzilla.
Distribuito malamente in Italia, il film, in attesa che approdi sulla piattaforma Netflix, è diventato rapidamente una delle pellicole più piratate dell'anno. E poi ci lamentiamo.
Prodotto dalla Toho, la rinomata casa di produzione giapponese che ha realizzato tutti i film di Godzilla, il film di Yamazaki è un chiaro omaggio al primo Godzilla del 1954. Nonostante un budget limitato rispetto ai corrispettivi film statunitensi, il film si è aggiudicato un Oscar per gli effetti speciali.
La storia è ambientata in Giappone duranta la fine della seconda guerra mondiale. Koichi Shikishima (Ryunosuke Kamiki), un ex pilota kamikaze, è tormentato dall'orrore della guerra e dal senso di colpa per non essere stato abbastanza coraggioso da sacrificare la sua vita. L'incontro con la mostruosa creatura chiamata Godzilla, avvenuto durante la sua ultima missione nell'isola di Oda, ritorna nei suoi incubi e quando torna a casa, in una città devastata dai bombardamenti, neanche la compagnia di una donna e di una piccola orfanella riesce a placare la sua angoscia. A seguito di una serie di test nucleari condotti dagli Stati Uniti nell'atollo di Bikini, Godzilla viene involontariamente potenziato. Diventato ancora più potente e gigantesco a causa delle radiazioni, la creatura si dirige verso Tokyo.
Non ho visto tutti i trenta e passa film su Godzilla, ma tra tutti i remake e le varie rivisitazioni di cui mi ricordo il film di Yamazaki è sicuramente quello che più ho apprezzato. Innanzitutto, Godzilla è un'icona giapponese, profondamente radicata alla loro cultura. Se un tempo gli effetti speciali di Hollywood avevano un senso, oggi, con il Giappone che ha acquisito sia le capacità tecniche che l'esperienza necessarie per realizzare un disaster movie con la stessa spettacolarità visiva dei colleghi americani, le varie produzioni di quest'ultimi legate al MonsterVerse, un universo cinematografico in stile Marvel incentrate sul lucertolone giapponese, mi pare produca solo film di intrattenimento caciarone senza alcun spessore.
Godzilla non è solo un mostro gigantesco che distrugge metropoli e infesta i mari, è una allegoria della bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki, che rappresenta le paure e le ansie di un intero popolo legate all'energia nucleare e alla distruzione che può portare. Ambientato in un Giappone post bellico, un paese traumatizzato e devastato dalla guerra, il film affronta il tema delle conseguenze psicologiche dei sopravissuti esprimendo una chiara ed evidente critica al proprio paese che in nome di uno spirito nazionalistico con la figura dei kamikaze ha portato al sacrificio del suo popolo. Non è un caso che alla fine il mostro non venga sconfitto dalle forze militari del governo bensì dalla società civile, rappresentata da Shikishima, che in cerca di riscatto affronta, in una delle scene meglio realizzate, il demone del proprio presente con la volontà di sopravvivere.
"Godzilla Minus One" celebra il film originale attraverso una serie di citazioni, senza nascondere omaggi a "Lo Squalo" di Spielberg, mettendo in mostra un repertorio di effetti speciali all’avanguardia che restituiscono la forza della distruzione e la sensazione di trovarsi in mezzo al disastro causato dalla furia di una creatura primordiale.
In conclusione, ritengo "Godzilla Minus One" una delle migliori opere dedicate al Re dei Mostri, un film che celebra i settant'anni del franchise, non solo rendendo giustizia all'iconico mostro giapponese, ma offrendo anche una riflessione potente e attuale sulle conseguenze della guerra.
Film
Perfect Days
di Wim Wenders
Perfect Days, premiato all’ultimo Festival di Cannes, è un film di produzione giapponese diretto dal regista tedesco Wim Wenders.
Molto singolare la storia dietro questo film. In occasione delle Olimpiadi in Giappone del 2020, degli architetti di fama internazionale sono stati incaricati di progettare più di una decina di bagni pubblici nei parchi di Tokyo. Si tratta di vere e proprie opere d'arte, alcune davvero innovative (come il bagno di vetro colorato trasparente che diventa opaco quando è occupato) realizzati con l'intento di mostrare al mondo, attraverso la riqualificazione dei bagni pubblici notoriamente luoghi sgradevoli, la tradizionale cultura giapponese dell'accoglienza (e della pulizia).
La fondazione giapponese che si è occupata di queste opere ha contattato Wim Wenders - che negli ultimi anni si è dedicato nella realizzazione di numerosi documentari, anche in Giappone - chiedendogli di girare una serie di brevi cortometraggi per la campagna di comunicazione. Colpito da queste particolari toilette, il regista tedesco decide di scriverci su una storia con protagonista un uomo di mezza età che ogni giorno si occupa della loro pulizia con cura e devozione.
La vita di Hirayama (interpretato da Koji Yakusho), addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo, è scandita da una routine semplice e precisa. Ogni giorno si sveglia, mette a posto il futon, si lava faccia e denti, annaffia con uno spruzzino le sue piantine, prende un caffè in lattina dal distributore automatico sotto casa, sale sul suo furgone, ascolta delle vecchie musicasette (Velvet Underground, Otis Redding, Patti Smith e musica giapponese anni settanta) e si reca a lavoro iniziando a pulire la prima delle diverse toilette del suo giro. Nonostante pulire i bagni pubblici possa essere considerato un lavoro poco graticante, Hirayama lo fa con impegno, dedizione e attenzione meticolosa. Il suo lavoro gli piace. In pausa pranzo si siede su una panchina, mangia un tramezzino, e con una vecchia fotocamera analogica fotografa gli scorci di luce fra gli alberi e la natura circostante. Hirayama è un uomo tranquillo e disponibile, sempre sorridente, un uomo solitario e di poche parole - quasi muto rispetto al suo insopportabile giovane collega - che non esita ad aiutare il prossimo e coloro che si trovano in difficoltà. Finito il suo turno va a lavarsi in uno dei bagni pubblici giapponesi (onsen), cena sempre alla stessa tavola calda, torna nella sua umile ed essenziale casa, legge un libro e infine si addormenta. Ogni giorno le sue giornate si ripetono nello stesso modo, serene, tranquille e apparentemente uguali, con dei piccoli avvenimenti (come giocare a Tris con qualcuno che non si conosce, accogliere la nipote adolescente fuggita di casa, e calpestare le ombre con un uomo che ha bisogno di essere consolato) che le rendono uniche e metteno in risalto il valore della semplicità e del vivere il momento.
Ho trovato questo film delizioso. Un film che con la sua semplicità mi ha colpito nel profondo e mi ha trasmesso un senso di serenità inaspettata. Il film non è privo di ombre, perchè Hirayama è un uomo che deve avere sofferto, ma il protagonista nel suo essere schivo e riservato ha trovato il suo equilibrio in se stesso e una perfetta armonia con l'ambiente circostante. E' un film nostalgico in cui la tecnologia viene rimpiazzata dall'analogico e la frenesia delle nostre vite viene sostituita con il gusto di vivere e apprezzare l'attimo della nostra esistenza. "Un'altra volta è un'altra volta, adesso è adesso" dice il nostro protagonista alla nipote che vorrebbe andare al mare.
Nonostante la lunghezza, i silenzi e le ripetitive scene di vita ordinaria, il film di Wim Wenders è riuscito a tenermi incollato allo schermo coinvolgendomi emotivamente.
La scena finale con il volto di Yakusho - grande interpretazione la sua - che esprime nello stesso momento gioia e dolore (mi ha ricordato Mia Goth in Pearl anche se stiamo parlando di film completamente differenti) raffigura in modo magistrale le esperienze della vita, oppure, e questa è un altra chiave di lettura, la triste ma serena consapevolezza di vivere in un mondo dentro il mondo, unico e isolato.
Un film che nella sua essenzialità è stato capace di toccare le corde giuste e trasmettermi profonde emozioni.

La zona d'Interesse
di Jonathan Glazer
Vincitore al Festival di Cannes del Grand Prix della Giuria, La zona d'Interesse è uno dei film più discussi tra quelli usciti nelle sale cinematografiche in questo periodo. A dirigerlo è l'inglese Jonathan Glazer, regista di Birth e Under the Skin che in passato ha realizzato videoclip dei Radiohead (Karma Police), Massive Attack e altri ancora.
Il film racconta la storia di Rudolf Höss (Christian Friedel), comandante del campo di concentramento di Auschwitz, che vive con sua moglie (Sandra Hüller) e i loro cinque figli in una villetta con giardino, orto e piscina. Una bellissima casa che si trova proprio dietro le mura in cui si svolge la tragedia dell'Olocausto.
Alla fine la trama è questa. Quella di una famiglia borghese tedesca degli anni quaranta che vive la sua routine perfetta fatta di gite in barca, cene e giardinaggio, con un costante e inquietante brusio di sottofondo che accompagna con disumana normalità la loro quotidianità.
Oltre a delle scene girate con una videocamera a infrarossi - o meglio che registra il calore - in cui vediamo una ragazza andare in giro di notte a lasciare del cibo ai prigionieri di Auschwitz, succede poco altro. Semmai sono i particolari a fare la differenza. Il vero elemento disturbante è l'orrore che non si vede, quello che sappiamo avvenire dietro il muro, ed è percepito solo con l'utilizzo del suono, il vero protagonista di questo film. La regia è statica, la fotografia è banale, anche i dialoghi sono piatti e ridotti al minimo. Nel rappresentare questo paradiso artificiale tutto è volutamente distaccato e messo in secondo piano lasciando che sia il sonoro a comunicare la tragedia in atto anche a scapito di una colonna sonora praticamente inesistente e presente solo in quell'interminabile nero all'inizio della pellicola e nel potente e devastante pezzo dei titoli di coda. A mio parere un oscar dovrebbero assegnarlo al sound designer.
La zona d'Interesse ha il pregio di parlare dell'Olocausto da un punto di vista diverso da quello che abbiamo visto in passato al cinema. Qui il disagio e il malessere viene rappresentato dalla apparente normalità, dal distacco e dalla confort zone del gerarca nazista e della sua famiglia, mentre l'orrore, quello percepito dai suoni strazianti che provengono fuori campo, quasi per pudore non viene mai mostrato. Nonostante ciò la sua presenza è palpabile e nondimeno angosciante.
Il film mi è piaciuto? Si. Lo andrei a rivedere? No.

Anatomia di una caduta
di Justine Triet
Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Anatomia di una caduta è un legal thriller abbastanza atipico diretto e sceneggiato dalla regista francese Justine Triet.
Una scrittrice famosa, Sandra Voyter (Sandra Hüller), il marito Samuel Maleski (Samuel Theis) anch'egli scrittore nonchè insegnante, e il figlio undicenne ipovedente Daniel, vivono in un chalet in montagna vicino a Grenoble. Una mattina Samuel viene ritrovato morto disteso a terra nella neve, in una pozza di sangue, dopo essere caduto dalla soffitta. A ritrovarlo è stato il figlio Daniel di ritorno da una passeggiata insieme al cane Snoop. La polizia accorre sul posto e dopo i primi rilievi sospetta che Samuel sia stato ucciso dalla moglie che lo ha fatto precipitare di sotto dopo averlo colpito con un corpo contundente. Malgrado la donna proclami la sua innocenza e sostenga insieme al suo avvocato che Daniel si sia suicidato, viene incriminata per omicidio. Segue un lungo processo in cui il giovane Daniel, oltre a venire a conoscenza dei dettagli intimi e controversi dei genitori, una coppia disfunzionale e conflittuale, si ritrova ad affrontare il peso della responsabilità della sua testimonianza.
Nonostante la durata (siamo intorno alle due ore e mezza) il film mantiene una palpabile tensione narrativa trasferendo allo spettatore una forte ambiguità dall'inizio alla fine. Ovviamente non sapremo mai se l'uomo si sia suicidato o sia stato ucciso. Nel film vengono forniti tutti gli indizi lasciando allo spettatore la libertà di scegliersi la verità che preferisce. Alla regista francese interessa di più analizzare il malessere del rapporto di una coppia in crisi, provata dall'incidente al figlio che gli ha quasi causato la perdita della vista, ma anche dalla rabbia repressa, dalle ambizioni e dalle frustrazioni, e dall'incapacità di comprendersi.
Buona la sceneggiatura così come i dialoghi. Molto brava anche l'attrice protagonista. Io personalmente non sono un amante dei film che parlano del logorio del rapporto di coppia, non lo sono mai stato figuriamoci adesso. Malgrado tutto, anche se stiamo parlando di un thriller di facciata, riconosco la qualità del film. Magari lo avrei reso un pochino più scorrevole, sopratutto la parte successiva alla scena iniziale tagliando alcune parti di troppo, tipo lo psichiatra durante il processo.
Una considerazione che c'entra poco. Sarà forse per l'ambientazione, ma a me questo film mi ha riportato alla memoria il delitto di Cogne.

Povere Creature!
di Yorgos Lanthimos
Film che non vedevo l'ora di vedere e che sta riscuotendo parecchio interesse da parte di critica e pubblico.
Vincitore del Leone d'Oro a Venezia e candidato a diversi oscar, Povere Creature! (Poor Things) è l'ultimo film dell'acclamato regista greco Yorgos Lanthimos.
Siamo a Londra alle fine di un ottocento ucronico. Godwin Baxter (Willem Dafoe), un eccentrico medico chirurgo dal volto deforme, compie un esperimento riportando in vita una giovane donna suicida impiantandogli il cervello del feto che portava in grembo e che era sopravissuto. Quando Godwin prende l'allievo Max McCandles (Ramy Youssef) come suo assistente personale per documentare i progressi della sua "creatura", Bella Baxter (Emma Stone) è una bambina nel corpo di una donna adulta che sta compiendo i suoi primi passi nel mondo. Si muove in modo sgraziato, ha un lessico e capacità cognitive limitate, ma cresce di giorno in giorno molto rapidamente.
La svolta, la scintilla che porta Bella ad avere consapevolezza di sè, è la scoperta del proprio corpo e della propria sessualità. Per contenere la sua libido, Godwin decide di darla in sposa a Max ma Bella, spinta dalla voglia di conoscere il mondo e fare nuove esperienze, fugge con l'avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), un donnaiolo senza scrupoli. I due si imbarcano in un lungo viaggio per l'Europa, durante il quale Bella, oltre ad esplorare con gioia e vitalità il sesso, diventa sempre più autonoma e indipendente. Ha una grande curiosità ed è alla ricerca costante di cose nuove che la gratifichino e l'arricchiscono. Durante una crociera nel Mediterraneo Bella incontra una bizzarra coppia che la introducono alla filosofia e alla cultura, mostrandogli anche la disparità sociale che affligge il mondo. Una volta a Parigi, Bella interrompe la relazione con l'asfissiante Duncan iniziando a lavorare in un bordello dove conosce una ragazza che la introduce al socialismo. Diventata ormai "adulta", una donna emancipata libera di vivere il mondo senza pregiudizi e concetti, Bella Baxter è ormai pronta per tornare a casa.
Povere creature! è una fiaba steampunk, una sorta di Frankenstein ribaltato in cui la protagonista compie un viaggio di crescita e libertà alla scoperta delle gioie e delle contraddizioni del mondo.
Visivamente e tecnicamente il film è un vero gioiello. Campi, controcampi, fish-eye, mascherini, grandangoli. Scenografie che sembrano dipinti, fotografia in bianco e nero alternata ai colori, costumi straordinari, musica dissonante. E' tutto così sublime, stravagante e dosato alla perfezione che cerchi il cavillo per renderlo attaccabile. Nonostante un certo sfoggio di autorialità in cui Lanthimos mischia il suo cinema con quello di Terry Gillian e Tim Burton citando l'espressionismo tedesco e il cinema surrealista di Luis Buñuel, Povere Creature! è un film essenzialmente pop che mischia i generi rendendosi fruibile al grande pubblico. Di certo nella sua stravaganza è il film più hollywoodiano di Lanthimos e per questo prevedo numerosi oscar. Uno di certo lo vincerà Emma Stone perchè oltre alla sua grande interpretazione il personaggio di Bella Baxter merita di entrare nella storia.
Riguardo il messaggio, anche questo film, quasi come a voler cavalcare un tema che va per la maggiore, sembra parlare di emancipazione femminile e lotta al patriarcato. In verità io trovo che la brama di libertà e il percorso di crescita compiuto da Bella Baxter sia più universale. L’evoluzione, la presa di coscienza e la volontà di apprendere per conoscere il mondo e se stessi, si può applicare a chiunque, al di là del genere di appartenenza.
Film straordinario, da rivedere.
Film
C'è ancora domani
di Paola Cortellesi
Incuriosito dal dirompente entusiasmo di critica e pubblico che ha suscitato C'è ancora domani, decido di vedermi il film di esordio di Paola Cortellesi, il film che in Italia ha superato blockbuster come Barbie e Oppenheimer.
Premetto che non sono un amante della attuale commedia all'italiana, e per attuale intendo quella degli ultimi quarant’anni, ovvero il periodo che va da Pozzetto a Zalone con in mezzo tutto il resto. Per me ci sono i Soliti Ignoti per arrivare ai primi Fantozzi e Amici Miei, poi il buio pesto, gli anni ottanta berlusconiani che, tranne rare eccezioni (Verdone, Troisi, Benigni), hanno contribuito a portare non solo la commedia ma tutto il cinema italiano a un lento declino qualitativo. L'attuale millennio neanche lo considero.
C'è ancora domani è una commedia che racconta un dramma, un pò quello che aveva fatto Benigni con La vita è bella. Un dramma che ha la leggerezza di una commedia e che per questo può essere apprezzato dal grande pubblico. Se poi il tema che ci viene raccontato è particolarmente sentito per i fatti di cronaca nera che hanno scosso il nostro paese poco prima dell’uscita del film, senza voler sminuire il buon lavoro della Cortellesi, ecco che si spiega il motivo del grande successo.
Siamo nella Roma del dopoguerra. Delia (Paola Cortellesi) è una donna di casa, madre di tre figli (una femmina e due maschi) e moglie di Ivano (Valerio Mastandrea). Pulisce casa, prepara da mangiare, accudisce lo scorbutico suocero e porta qualche soldo a casa facendo una serie di lavoretti. Le sue giornate trascorrono uguali una dopo l'altra tra dedizione alla famiglia e le continue violenze domestiche che subisce passivamente da parte di un marito autoritario e violento. Le sue uniche distrazioni sono le chiaccherate con l’amica fruttivendola e i fugaci incontri con l’ex amore di gioventù. Ha un rapporto speciale con la figlia più grande, Marcella (la brava Romana Maggiora Vergano) - la quale disprezza la madre per la passività con cui subisce gli abusi - ed è felice quando inizia a frequentare un ragazzo di buona famiglia sperando, almeno inizialmente, in un matrimonio che la possa sistemare. Un giorno Delia riceve una misteriosa lettera che le da speranza per un futuro migliore e il coraggio per una via di fuga da questa realtà opprimente.
C’è ancora domani è un film dichiaratamente femminista, dove protagonista è la donna, quella di allora ma sopratutto quella di oggi, vittima di abusi, sfruttamento e disparità in una società patriarcale e maschilista.
Fin dal primo fotogramma, in cui Paola Cortellesi, appena alzata dal letto, riceve uno schiaffone in pieno viso e poi via, come se niente fosse, a preparare il mangiare e a fare le faccende domestiche, indirizza la piega che il film manterrà per tutta la sua durata. Non è lo schiaffo preso da Monica Vitti o da quella "bottana industriale" della Mariangela Melato, è uno schiaffo che, nella sua comicità surreale, ci restituisce un forte disagio sia nei confronti di chi lo ha ricevuto sia di chi lo ha inflitto.
Il film è girato a Testaccio, quartiere storico popolare di Roma che conosco bene, in un bianco e nero che, seppur scolastico, gli dona una parvenza di autorialità evocando il tanto decantato neorealimo italiano. Indubbiamente la regia è buona così come la sceneggiatura che a parte qualche caduta (il rapporto con il soldato americano e la bomba) ha il merito di portare lo spettatore verso una direzione scontata per poi virare nel finale è fornire un forte messaggio storico/sociale. A parte gli inserti musicali, che oltre brani dell'epoca alterna titoli italiani di altri periodi, ho apprezzato molto la scena delle botte rappresentata come un balletto di un musical. Il sangue sparisce e i toni si alleggeriscono senza però perdere la drammaticità e la potenza del messaggio.
C'è ancora domani è un film girato, costruito e confezionato molto bene. E' un film che se fosse stato candidato come film straniero agli oscar avrebbe avuto più di una possibilità di vincerlo. Pensateci bene, ha tutti gli ingredienti che gli americani apprezzano del cinema italiano con in più il fatto di essere diretto da una donna e di avere un forte messaggio di emancipazione femminile.
Per quanto mi riguarda i capolavori sono altri ma rimane un film più che apprezzabile.
Film
Il ragazzo e l'airone
di Hayao Miyazaki
Ho visto al cinema Il ragazzo e l'airone, l'ultimo film del maestro dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki.
Sono un pò spiazzato, ma andiamo con ordine provando a mettere insieme (o in equilibrio) i pezzi. Il ragazzo e l'airone è probabilmente l'ultimo film di Miyazaki, nel senso che difficilmente, visto l'età del grande autore, avrà il tempo di realizzarne un altro. Ma mai dire mai. Il titolo in originale è "E voi come vivrete?", ed è ispirato, ma solo il titolo, all'omonimo romanzo scritto da Genzabuo Yoshino che il cineasta giapponese lesse in gioventù.
In una Tokyo martoriata dal conflitto della Seconda Guerra Mondiale, il giovane Mahito assiste impotente alla morte della madre rimasta prigioniera in un incendio nell'ospedale in cui lavorava. Un anno più tardi, il padre del ragazzo si sposa con la sorella della defunta moglie, Natsuko, e insieme a Mahito si trasferisce nella sua bellissima casa in campagna. In attesa di un bambino, Natsuko, insieme a sette simpatiche vecchiette, accoglie amorevolmente Mahito che però, ancora segnato dal trauma della morte della madre, risulta freddo e distante. Appena arrivato, Mahito inizia ad essere perseguitato da uno strano airone cenerino che da lì a poco si trasformerà in una inquietante creatura antropomorfa. Nei giorni successivi, l'airone, promettendogli di ricongiungerlo con la madre, lo conduce in una torre abbandonata poco distante dalla villa. Quando Natsuko scompare misteriosamente, Mahito decide di cercarla nella torre ritrovandosi catapultato in un mondo fantastico popolato da strane creature (giganteschi parrocchetti, pellicani affamati e graziose creaturine, i Warawara). Un universo magico e colorato in cui il nostro protagonista incontra Himi, una giovane maga che controlla il fuoco, la coraggiosa piratessa Kiriko e sopratutto il suo prozio, il mago artefice di questo mondo parrallelo.
Questa, a grandi linee, è la trama.
Dal punto di vista tecnico e di animazione Il ragazzo e l'airone è impeccabile, oltre ai fondali che sembrano dei veri e propri dipinti impressionisti, la sequenza iniziale in cui Mahito corre verso le fiamme dalla madre penso sia una delle più emozionanti animazioni che abbia mai visto.
Molto bella anche la colonna sonora minimale di Joe Hisaishi.
"Ask Me Why" è già entrata nella mia playlist emotiva.
Ora veniamo alla sceneggiatura. Il film come struttura ricorda La Città Incantata - il capolavoro di Miyazaki che sento più mio e a cui sono più affezionato - dove la piccola Chihiro finiva in un mondo magico per salvare i genitori trasformati in maiali. In questo caso Mahito vuole salvare Natsuko finita nel fantastico mondo della torre. Un mondo che sembra ricordare il paese delle meraviglie di Alice e da cui si accede attraversando un portale dantesco. Rispetto alla sauna degli spettri della Città Incantata il mondo all'interno della torre è però decisamente più complesso e criptico rendendolo meno empatico al pubblico. Il ragazzo e l'airone è il testamento di Miyazaki, un film pieno di simbolismi nascosti e riferimenti ai suoi film passati. E' un film quasi autobiografico in cui Mahito rappresenta il giovane Miyazaki mentre il mondo della torre è la raffigurazione del suo mondo creativo, la prigione del suo creatore (il suo io vecchio) che con le sue opere ha dato vita a un mondo squilibrato in procinto di crollare (lo studio Ghibli). Le tredici forme probabilmente sono i suoi film - sì, è vero, al momento ne ha fatti dodici, ma non mi sorprenderebbe vedere tra qualche anno un suo film postumo. Il vecchio e stanco mago/Miyazaki ora è in cerca di un erede, solo che non esiste il suo successore e chi verrà dopo di lui dovrà necessariamente prendere un altra strada ed essere solo se stesso.
Il ragazzo e l'airone è un viaggio onirico e surreale nell'intimità di un creatore di mondi che con la sua opera conclusiva si prepara a salutarci. Sicuramente è il suo film più difficile e per certi versi il meno empatico perchè si presta a numerose interpretazioni di non facile lettura. A me piace il fatto che abbia voluto fare un film più per se stesso che per il pubblico ma non lo considero il suo film migliore. Tanto per intenderci è un film che non consiglierei a chi non ha visto nulla del maestro giapponese così come non consiglierei Inland Empire a chi non ha mai visto nessun film di David Lynch.
Film
Infinity Pool
di Brandon Cronenberg
Terzo lungometraggio di Brandon Cronenberg uscito nel 2023.
James (Alexander Skarsgård) e sua moglie Em (Cleopatra Coleman) stanno trascorrendo una vacanza in un bellissimo resort sull'isola di La Tolqa (luogo inventato che si avvicina molto a quei paesi totalitari dove ci sono strutture di lusso per accogliere i turisti in un territorio dove dilaga la povertà e la criminalità). La coppia fa amicizia con Gabi (Mia Goth) e suo marito che li convincono ad avventurarsi all'esterno del resort per trascorrere una giornata fuori dalla struttura. Al ritorno, tutti ubriachi, James si mette alla guida della macchina ma accidentalmente investe e uccide un abitante del luogo. Dopo essersi fatto convincere dall'ambigua Gabi a non denunciare quanto accaduto, James, la mattina dopo, viene arrestato dalle autorità locali e portato in questura insieme alla moglie. A questo punto il film si sposta in territori decisamente fanta-horror. [spoiler on] Secondo la usanze locali ogni genere di crimine, anche fare uso di droga, viene punito con un'esecuzione. Tuttavia per i turisti facoltosi, in cambio di una ricca cauzione, è possibile richiedere una clonazione in modo che a essere ucciso sia il proprio doppelgänger. James ovviamente accetta assistendo alla brutale uccisione del suo clone per mano dal fratello minore della vittima. Tornato al resort, con la moglie sconvolta da quanto accaduto, James scopre che anche Gabi, suo marito e un gruppo di loro amici hanno subito lo stesso trattamento e ora si divertono a sfidare le autorità facendo uso di droga, sesso e violenza ben sapendo che l'esperienza della clonazione che gli garantisce l'impunità può essere ripetuta. Ovviamente la domanda che ci si pone è ovvia e il sorriso sardonico con cui James assiste alla sua prima esecuzione lo lascia intendere. [spoiler off]
Infinity Pool è un horror fatto di deliri psichedelici, orge, e sangue (anche sperma, e qui credo di aver visto la versione uncut) in cui il figlio del grande Cronenberg, nel raccontare di una classe borghese ricca e annoiata che può dare sfogo a ogni depravazione sapendo di essere impunita, cerca in tutti i modi l'eccesso scuotendo lo spettatore con scene forti e disturbanti. Interessante anche il tema della duplicazione del corpo che produce una sorta di decomposizione della psicologia individuale e che ci viene rappresentata dalle orribili maschere dai volti distorti, come fossero dei cloni venuti male. Molto buona la regia - anche se forse si eccede nelle sequenze allucinogene che fanno molto videoclip - così come il supporto sonoro e musicale di Tim Hecker. Mia Goth dopo Pearl si riconferma un attrice talentuosa che sa turbare rendendosi sensuale e allo stesso tempo parecchio inquietante, così come è ottima la prova di Alexander Skarsgård che per certi versi mi ha ricordato il Bill Pullman di Strade Perdute.
Film interessante per i temi trattati e la messa in scena in cui però traspare il desiderio del giovane regista di stupire ed eccedere.
Film
When Evil Lurks
di Demián Rugna
When Evil Lurks è un horror indipendente del 2023 di coproduzione argentino-americana scritto e diretto da Demián Rugna. In Italia non è ancora stato distribuito.
In un villaggio della campagna argentina ("nel buco del culo del mondo" come sottolinea uno dei protagonisti), due fratelli, Pedro e Jimi, trovano in una casa vicina un Posseduto, un Marcio, ovvero un uomo contaminato dal Male, il cui corpo è diventato un ammasso gonfio e putrido e aspetta solo che qualcuno ponga fine alle sue sofferenze. Le istituzioni sono al corrente della situazione, da più di un anno, ma se ne fregano non applicando la procedura di contenimento. Il maligno, una sorta di virus che possiede prima gli animali e poi le persone, è una specie di pendemia conclamata in un mondo dove la chiesa è morta e il male dilaga dovunque. Se si uccide un posseduto senza gli strumenti adatti e le dovute maniere si viene infettati dal male. Sono gli anziani che ripetono, quasi come se si trattasse di una leggenda folcloristica da tramandare ai nipoti, le regole da seguire. Non usare un arma da fuoco per uccidere un posseduto. Non usare energia elettrica. Non stare vicino ad animali. E sopratutto non avere paura perchè il Male si alimenta della tua angoscia. Ovviamente i due fratelli, con la complicità di un cinico proprietario terreno, cercano di sbarazzarsi del putrescente infettato, trascinandolo lontano dalla loro terra, ma nel fare questo provocano una reazione a catena favorendo la propagazione del male che andrà ad insidiarsi tra gli affetti più cari dei nostri protagonisti.
La possessione demoniaca, così come gli zombie, è uno dei temi più usati nei film dell'orrore. Il film di Demián Rugna ha però il pregio di trattarlo in maniera originale, lontano dai soliti schemi, fornendo una chiave coraggiosa e innovativa. Alcune sequenze sono davvero violenti e disturbanti (memorabile quella del cane nella casa della ex del protagonista) mentre la tensione è presente in buona parte del film calando solo un po' nel finale. Film crudele, ruvido e senza speranza in cui il male vince inesorabilmente.
Film
Birth/Rebirth
di Laura Moss
Horror psicologico tutto al femminile diretto dall'esordiente Laura Moss.
Protagoniste sono due donne, Celie Morales (Judy Reyes), una infermiera ginecologica madre single di una bambina di sei anni, e la dottoressa Rose Casper (Marin Ireland), una fredda e cinica patologa che lavora nell'obitorio e si occupa delle autopsie. Quando la piccola Lila, la figlia di Celie, muore improvvisamente per una violenta meningite, Rose decide di appropriarsi del suo cadavere effettuando su di lei un esperimento che la riporta in vita. Celie lo scopre e superato lo sgomento iniziale decide di collaborare con Rose raccogliendo materiale biologico da donne incinte per continuare a tenere in vita la figlia.
Birth/Rebirth è una sorta di Frankenstein al femminile che affronta il ruolo della maternità nella società contemporanea e che pone diversi interrogativi etici e morali. Alcune scene sono abbastanza forti, per certi versi molto cronemberghiane, ma la pellicola, nonostante la bravura delle due attrici protagoniste, non mi ha particolarmente coinvolto, solo infastidito.
Film
Il mondo dietro di te
di Sam Esmail
Thriller apocalittico prodotto e distribuito da Netflix tra i più visti in questo periodo sulla piattaforma streaming.
Tratto dall’omonimo romanzo di Rumaan Alam, Il mondo dietro di te, il film racconta la storia di due nuclei familiari alle prese con un attacco terroristico/infomatico globale dalle conseguenze devastanti. Da una parte c'è la famiglia Sanford - composta da Amanda (Julia Roberts) e Clay (Ethan Hawke) e dai figli adolescenti Archie e Rose - che decide di trascorrere un lungo weekend a Long Island, in una splendida villetta presa in affitto. Dall'altra ci sono i proprietari della lussuosa casa - G.H. (Mahershala Ali) e sua figlia Ruth (Myha'la) - che si presentano alla porta, dicendo di essere tornati perchè a New York c'è un misterioso blackout e chiedono di poter restare per trascorrere la notte. Tra le due famiglie nascono subite delle diffidenze con la tensione che aumenta quando la rete di comunicazione (internet compreso) cessa di funzionare e tutti i canali televisivi trasmettono un inquietante messaggio di emergenza nazionale. E' l'inizio di una serie di eventi che portano i due nuclei familiari di fronte a un (presunto) attacco informatico che fa sprofondare il paese nel caos.
Il film trasmette una bella tensione per gran parte della sua durata (la musica potente e dissonante fa la sua parte) attenuandosi solo nel finale - nella scena con protagonista la ragazzina che si lamenta per tutto il film di non poter vedere l'ultima puntata di Friends - dove l'ansia viene sostituita da un ironica malinconia. Il film di Netflix, oltre a ricordare alcune pellicole di Shyamalan, mi ha fatto venire in mente Bird Box - un altro film prodotto da Netflix con protagonista la Bullock - non tanto per il tema quanto per l'angoscia nel fuggire da un nemico invisibile, appena accennato. Il regista Sam Esmail, il creatore della serie tv Mr. Robot, insieme agli Obama (sì, proprio l'ex presidente degli Stati Uniti e consorte che pare abbiano collaborato alla sceneggiatura) più che spiegare gli eventi e quello che sta accadendo cercano di coinvolgere lo spettatore trasmettendogli l'angoscia dei protagonisti e focalizzandosi sull'ansia tecnologica, ovvero la paura di non essere in grado di cavarsela da soli senza internet e il gps, oppure senza le distrazione e l'evasione dello streaming. Monito più che evidente al fatto che l'umanita si sta atrofizzando il cervello per aver delegato alla tecnologia gran parte dei suoi compiti.
Molte le scene interessanti, dalla petroliera che si arena silenziosa sulla spiaggia affollata, alle Tesla senza controllo che ha suscitato le critiche di Elon Musk, fino all’enigmatica sequenza dei cervi.
Il mondo dietro di te è un film ambiguo ma anche molto diretto. E' un film apocalittico che tocca temi complottisti, fakenews e cospirazioni e che inevitabilmente lascia in sospeso tante domande. Una fra tutte: ma se il nemico da cui difendersi fosse l'america stessa? Di fronte a una verita scomoda da accettare forse è meglio nascondersi dietro una sit-com.
Film
Talk to Me
di Danny e Michael Philippou
Spinto dalla curiosità per i numerosi pareri positivi, appena "Talk To Me" è stato messo in streaming, sono riuscito a vedere quello che molti considerano l'horror del 2023.
Distribuito negli Stati Uniti con grande successo dalla A24, Talk To Me è il film di esordio dei fratelli australiani Danny e Michael Philippou, noti su Youtube per aver realizzato delle parodie con l'uso di effetti speciali amatoriali con lo pseudonimo di RackaRacka. Ho visto i loro video e mi hanno lasciato indifferente.
In breve la storia è questa. Un gruppo di ragazzi trova, non si sa come, la mano mummificata di una medium che se viene stretta pronunciando la frase "Parla con me" permette di stabilire un contatto con uno spirito dell'aldilà. Non solo, i ragazzi per puro divertimento, trasgressione e "sballo", si fanno possedere dalle diverse entità per non più di novanta secondi (altrimenti si rischia di rimanere "sotto"), venendo immortalati dagli amici che li riprendono con i cellulari e postano i video sui social. Tutto sembra divertente ed esilerante finquando Riley, il fratello più piccolo di uno degli adolescenti, viene posseduto da uno spiritello particolarmente incazzato che inizia a fargli sbattere la testa ripetutamente, procurandogli lesioni gravissime. In tutto questo Mia, una ragazza convinta di poter parlare con la madre, suicidatasi un paio di anni prima, diventa dipendente e ossessionata da questo "gioco" estremo che in breve tempo finisce con ledere la sua sanità mentale.
Partiamo dal presupposto che i film dell'orrore con protagonisti gli adolescenti, i teen-horror per intenderci, da qualche anno a questa parte non rientrano nei miei gusti personali. La chiave di lettura di Talk To Me è molto semplice, oserei dire forse fin troppo semplice. Da una parte la noia e l'infelicità di una generazione che spinge i ragazzi a intraprendere una sfida all'eccesso solo per ottenere consenso e popolarità, dall'altra quella della dipendenza tossica e della incomunicabilità di una generazione fragile e priva di valori.
Ottimo intento, per carità, ma tutto mi è sembrato trattato con estrema superficialità. Il film si lascia vedere senza particolare tensioni, buono ma senza picchi e approfondimenti psicologici. Ci sono alcune buone sequenze e intuizioni registiche ma siamo nella media con un finale abbastanza scontato. Sopravvalutato.

Demeter - Il risveglio di Dracula
di André Øvredal
The Last Voyage of Demeter (in italiano diventato Il risveglio di Dracula, evidente titolo acchiappa pubblico) è un film diretto da André Øvredal uscito nel 2023 che, prendendo spunto dal romanzo di Bram Stoker, racconta la storia della Demeter, la nave che trasportò Dracula dalla Romania a Londra.
La storia è arcinota, Dracula (qui rappresentato come un mostruoso pipistrello antropomorfo) viene segretamente imbarcato all'interno di una cassa nella Demeter, la goletta del capitano Eliot diretta a Londra. Durante il viaggio il vampiro esce di notte dando la caccia all’equipaggio che non avendo vie di fuga diventa carne da macello.
In pratica una sorta di Alien dove al posto dello xenomorfo abbiamo Dracula, la Nostromo è la Demeter, e la Ripley viene sostituita da un coraggioso medico di colore.
La fotografia e la ricostruzione dell'imbarcazione è l'unico aspetto degno di nota, per il resto un film prevedibile e di puro intrattimento orrorifico che nulla aggiunge alle innumerevoli trasposizioni cinematografiche del famoso vampiro di Stoker.
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