
Mimì - Il principe delle tenebre
di Brando De Sica
Ammetto che quando ho visto il nome del regista ho storto un po' il naso. Brando De Sica. Figlio di Christian, nipote di Vittorio, Carlo Verdone come zio. Il pregiudizio che in Italia, se non sei un figlio d'arte, il cinema lo guardi e basta, è scattato immediatamente. E invece Mimì – Il principe delle tenebre mi ha fregato. Non solo perché è un film coraggiosamente fuori tempo, diverso, ma anche perché ha toccato corde familiari della mia indole gotica.
La storia racconta di Mimì (Domenico Cuomo), un adolescente orfano, nato con i piedi deformi, che lavora in una pizzeria a Napoli. Bullizzato dal figlio di un boss camorrista, un giorno incontra Carmilla (Sara Ciocca), una giovane ragazza "dark" convinta di essere una discendente del conte Dracula. Lei rimane affascinata dal goffo Mimì – forse proprio per la sua deformità – e lui trova in Carmilla quel calore umano che gli è sempre mancato.
In una Napoli insolita e decadente, tra bande camorristiche appassionate di neomelodica e gruppi gotici che frequentano cimiteri, cripte, e feste alternative, Mimì – Il principe delle tenebre si presenta come un film strano e affascinante, capace di spaziare dall'horror al fantasy, dal noir alla dark comedy. La commistione di generi è dosata con intelligenza e la virata horror arriva al momento giusto. Brando De Sica, da quanto si dice in giro, è un appassionato di questo genere, e si vede. Le citazioni cinefile sono ovunque, ma non risultano mai esibite. Piuttosto, sono tracce, omaggi ben inseriti in una narrazione personale e visivamente curata. La regia è solida e la fotografia mi ha particolarmente colpito, con quei colori irreali – blu e rosso, caldi e freddi spesso contrapposti – che rimandano al cinema di Mario Bava. L'uso del colore è particolarmente significativo nella scena finale, dove Mimì e Camilla – ehm, Carmilla con la erre (cit) – vengono illuminati dal lampeggiante della polizia, in un contrasto emotivo che trascende la realtà.
L’epilogo, drammatico e ambiguo – è tutto vero o una fantasia del protagonista? – ha un tocco poetico e surreale. Al centro della storia, c'è una relazione d'amore tra due "diversi": una ragazza borderline, fragile e imprevedibile, e un ragazzo in cerca di identità, ingenuo, segnato nel corpo e nell'anima. Due anime rotte che cercano di salvarsi a vicenda.
I due attori protagonisti sono molto bravi. La giovane e minuta Sara Ciocca è sorprendente. Affascinante nella sua versione goth, fragile e vulnerabile nella sua cameretta da bambina. Domenico Cuomo è altrettanto bravo, capace di passare dalla timidezza di Mimì alla trasformazione violenta del "vampiro", con i suoi denti aguzzi e lo sguardo distorto. Il film, inoltre, è recitato bene. Finalmente in un film italiano i dialoghi, anche quando sono sussurrati, sono sempre chiari. Il dialetto napoletano non infastidisce, e quando è troppo stretto, intervengono i sottotitoli.
Guardandolo, mi è venuto spontaneo accostarlo a Lo chiamavano Jeeg Robot, ma con i vampiri al posto dei supereroi. E in alcune scene, come quella nelle catacombe, ho sentito forti echi del cinema di Guillermo del Toro.
Alla fine, Brando De Sica sembra più un orfano adottato da Tim Burton e dalla malinconia di Fellini che un regista cresciuto sulle spalle della becera commedia natalizia. Pare che per realizzare questo film non abbia sfruttato le sue conoscenze familiari, anzi, ci ha messo dieci anni e ha incontrato numerosi ostacoli. E si vede. È un film ostinato, personale, fuori rotta. Farsi strada nel cinema di genere in Italia non è facile. Ma io, sinceramente, tifo per lui. A volte i pregiudizi sono proprio deleteri.

Vampyr
di Carl Theodor Dreyer
Nel 1932, agli albori del cinema sonoro, Carl Theodor Dreyer, regista danese noto per La passione di Giovanna d’Arco, realizzò Vampyr, un horror sperimentale e visionario liberamente ispirato ai racconti dello scrittore irlandese Joseph Sheridan Le Fanu. Accostato a Nosferatu di Murnau e Dracula di Browning in un’ideale trilogia sulla figura del vampiro, il film di Dreyer segue però una strada tutta sua. Se il capolavoro di Murnau incarnava il terrore espressionista e Dracula rappresentava un prodotto hollywoodiano più convenzionale, Vampyr si avvicina al surrealismo di Buñuel, con un’atmosfera sospesa tra sogno e incubo.
Allan Gray, giovane studioso dell’occulto, arriva nel villaggio di Courtempierre, avvolto in un’atmosfera spettrale. Ospite di una locanda, inizia a percepire presenze inquietanti e a vivere eventi inspiegabili. Una notte, un uomo entra nella sua stanza e gli lascia un libro sui vampiri con l’indicazione di aprirlo solo dopo la sua morte. Poco dopo, l’uomo viene ucciso e Gray scopre che sua figlia, Léone, è sotto l’influenza di Marguerite Chopin, un'anziana vampira che servendosi di un medico sinistro tiene in pugno la comunità, alimentandosi della linfa vitale delle sue vittime.
Alla sua uscita, Vampyr fu un insuccesso commerciale, accolto con freddezza dal pubblico europeo. Probabilmente ciò fu dovuto a diversi fattori. Il film, realizzato subito dopo i successi di Dracula e Frankenstein della Universal, è un ibrido tra cinema muto e sonoro, dove i dialoghi sono ridotti al minimo e la narrazione si affida in gran parte a didascalie esplicative. Inoltre, il cast è composto per lo più da attori non professionisti, con il protagonista interpretato dal barone Nicolas de Gunzburg sotto lo pseudonimo di Julian West che è lo stesso produttore del film. Ma il vero elemento di rottura è la rappresentazione stessa del vampiro, completamente diversa da quella che il pubblico si stava abituando a vedere. Qui il vampiro è una anziana donna, apparentemente normale, che si affida a un inquietante e malvagio dottore baffuto, che si rivela essere il vero villain della storia.
La forza di Vampyr non risiede tanto nella trama o nella caratterizzazione del vampiro, quanto nella sua estetica e nel linguaggio visivo innovativo. Pur girato in esterni e alla luce del sole, il film crea un’atmosfera onirica e rarefatta, fatta di luci soffuse e ombre inquietanti che trasportano lo spettatore in un incubo ad occhi aperti. La realtà si dissolve nel sogno e viceversa, rendendo il racconto volutamente ambiguo. Il ritmo è ipnotico, denso di invenzioni stilistiche e scene surreali riprese da angolazioni inusuali, come la visione del contadino con la falce, emblema della morte, o la sequenza in cui le ombre danzano sui muri oppure si staccano dai corpi. Ma la scena più celebre, all’epoca innovativa, è quella della sepoltura di Allan Gray girata in soggettiva, che ci mostra il protagonista intrappolato nella bara, mentre osserva il mondo esterno attraverso un piccolo vetro, condotto verso la tomba.
Vampyr è un horror costruito sulla suggestione, più che sull’azione. L’orrore non è esplicito, ma insinuato tra le ombre e i silenzi. Non è un film di vampiri tradizionale, ma un’esperienza immersiva che esplora il confine tra il visibile e l’invisibile, il reale e il sogno, lasciando che l'orrore emerga dall’indefinito. Un classico del cinema fantastico
Film
Vampira umanista cerca suicida consenziente
di Ariane Louis-Seize
Colpito dal titolo wertmülleriano, mi sono recuperato Vampira umanista cerca suicida consenziente, una dark comedy canadese in lingua francese del 2023, diretta dall’esordiente Ariane Louis-Seize. Presentato all'80ª Mostra del Cinema di Venezia, il film è disponibile su IWonderfull, la piattaforma streaming attivabile su Prime Video.
Sasha (Sara Montpetit) è una giovane vampira con un problema decisamente insolito: è troppo empatica per uccidere. Cresciuta grazie alle sacche di sangue fornite dai genitori, si rifiuta di cacciare, scatenando la frustrazione della famiglia che la vede incapace di rendersi indipendente. Quando i genitori, ormai esasperati, le tagliano i rifornimenti, Sasha si trova davanti a un bivio, accettare la sua natura o rischiare di morire di fame. A offrirle una via d’uscita è Paul (Félix-Antoine Bénard), un adolescente solitario con tendenze suicide, disposto a sacrificarsi per lei. Ma prima che arrivi il momento fatidico, i due decidono di prendersi una notte tutta per loro, esaudendo i desideri di Paul in un viaggio notturno tra amicizia, scoperta e, forse, una nuova voglia di vivere.
Tra umorismo nero e tenerezza, Vampira umanista cerca suicida consenziente gioca con il mito del vampiro per raccontare un coming-of-age originale e profondo. Sasha è l’emblema di una generazione sospesa, una ragazza mantenuta dai genitori che cerca disperatamente di sopprimere la sua natura. Paul, dal canto suo, è altrettanto perso, un’anima alla deriva che ha smesso di credere nel futuro e che cerca di porre fine alla sua esistenza. La loro amicizia nasce in quella zona grigia tra morte e salvezza, due adolescenti che si sentono fuori posto nel loro mondo, due emarginati che trovano conforto nelle reciproche fragilità.
Il film si muove con leggerezza tra grottesco, surreale e malinconico, lasciando spazio a momenti di grande delicatezza. Bellissima la scena in cui Sasha e Paul, in silenzio, cantano Emotions di Brenda Lee, lasciando che la musica parli per loro. Ottime anche le interpretazioni dei due giovani protagonisti, con la Montpetit che sembra uscita da un vecchio film di Tim Burton.
Non è il nuovo Lasciami entrare ma possiede un equilibrio raro tra humour nero e dolcezza, riuscendo a rendere il macabro incredibilmente umano.
Film
Dracula
di Tod Browning
È curioso pensare che il mio primo incontro con il Dracula di Bela Lugosi non sia avvenuto attraverso il cinema, bensì grazie alla musica dei Bauhaus. Bela Lugosi’s Dead, lungo brano ipnotico dall’atmosfera funerea, considerato un vero e proprio manifesto della musica goth, è stato il pezzo che mi ha fatto conoscere l’attore che più di ogni altro ha legato il suo nome al personaggio del conte Dracula. Solo in seguito, quando negli anni novanta l’unico modo per recuperare un vecchio film era rivolgersi a una videoteca specializzata, avrei scoperto il film di Tod Browning, il classico della Universal che ha consacrato Lugosi come il Principe delle Tenebre definitivo.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di non divagare troppo, perché di cose da raccontare ce ne sono parecchie.
Fondata nel 1912 dall’immigrato di origini bavaresi Carl Laemmle, la Universal Pictures ha scritto pagine fondamentali nella storia del cinema horror. Tutto iniziò quando negli anni '30, con l'avvento del sonoro, il figlio del fondatore, Carl Laemmle Jr, il giorno del suo ventunesimo compleanno, ricevette in regalo la guida della casa di produzione cinematografica (altro che auto o orologio d’oro). Nonostante le difficoltà economiche della Grande Depressione e le restrizioni imposte dal Codice Hays, un insieme di norme che regolavano la moralità nei film, il giovane e visionario produttore della Universal, intuì che il pubblico aveva fame di evasione e decise di puntare sull’horror, adattando per il grande schermo storie della letteratura gotica.
Traendo ispirazione dalla fortunata rappresentazione teatrale di Broadway del romanzo di Bram Stoker — i cui diritti furono acquisiti dall'ambizioso produttore teatrale Horace Liveright — Laemmle Jr. portò sul grande schermo il vampiro più famoso della letteratura, affidando la regia del film a Tod Browning, un veterano del cinema muto con un debole per il macabro.
Il film Dracula, prima versione cinematografica autorizzata dagli aggueriti familiari di Bram Stoker — che in precedenza avevano provato a distruggere il Nosferatu di Murnau — inizialmente prevedeva la presenza di Lon Chaney nel ruolo del vampiro, ma l'improvvisa morte dell'attore portò la produzione a virare su Bela Lugosi, l’attore ungherese che aveva già interpretato il vampiro a teatro con grande successo e che avrebbe legato per sempre la sua immagine al conte Dracula.
La trama vede l'agente immobiliare Renfield (Dwight Frye) giungere da Londra sui monti Carpazi per vendere al conte Dracula una dimora londinese. Ma il nobile transilvano è in realtà un vampiro, e lo trasforma nel suo servo. Giunto in Inghilterra, Dracula, in veste di nobile affascinante dall'anima nera vampirizza Lucy (Frances Dade), puntando anche l'attenzione sull'amica Mina (Helen Chandler), fidanzata di Jonathan Harker (David Manners), collega dell'impazzito Renfield. Solo l'intervento del professor Van Helsing (Edward Van Sloan), scienziato vampirologo, mette fine alla minaccia del vampiro, che nascosto nell'antica abbazia di Carfax viene trafitto al cuore con un paletto, seppur tutto questo avvenga fuori scena.
Il film si divide nettamente in due parti, esattamente come il romanzo. La prima, la più affascinante e tenebrosa, è ambientata nel castello di Dracula ed è caratterizzata dalle meravigliose scenografie gotiche di Charles D. Hall, in cui Lugosi, con il suo accento mitteleuropeo e il suo sguardo penetrante (accentuato da un faretto sempre puntato sugli occhi nei primi piani) pronuncia la celebre battuta "Io non bevo mai... vino" destinata a entrare nella storia del cinema. La seconda parte, invece, si fa più teatrale e… beh, piuttosto statica. Il ritmo rallenta, l’azione è ridotta al minimo e le scene più spaventose vengono lasciati all’immaginazione dello spettatore, per evitare problemi con la censura. Rispetto al romanzo, la sceneggiatura elimina completamente il tema del contagio e della trasformazione in vampiri — le vittime qui muoiono e basta — così come gli spostamenti dei cacciatori di Dracula quando fugge in Transilvania. Al posto di Jonathan Harker, qui presenza poco influente, è Renfield a recarsi al castello del conte, con Dwight Frye che regala un’interpretazione intensa e inquietante.
Se il ritmo del film, soprattutto nella seconda parte, risente dell’impostazione teatrale, l’interpretazione di Lugosi è magnetica, iconica, definitiva. Il suo Dracula diventa immediatamente il modello per tutti i vampiri successivi, almeno fino all’arrivo di Christopher Lee, che trent’anni dopo avrebbe rinfrescato il personaggio con un’interpretazione decisamente più fisica e sensuale.
Nonostante il budget ridotto per via della crisi economica, Dracula fu un successo clamoroso e diede il via alla grande stagione dell’horror Universal, spalancando le porte ai vari Frankenstein, La Mummia e L’Uomo Lupo. Paradossalmente, il film arrivò in Italia solo nel 1986, quando fu trasmesso in televisione per la prima volta. Meglio tardi che mai.
Oggi, il Dracula di Browning — privo di colonna sonora nella versione originale — è considerato un classico assoluto, tanto da essere conservato nella Biblioteca del Congresso come opera di importanza culturale e storica. Non è l’adattamento più fedele al romanzo di Stoker, ma è senza dubbio quello che ha scolpito nell’immaginario collettivo la figura del conte Dracula. Un film che ha dato il via all’epoca d’oro dei mostri Universal e che, nonostante il passare del tempo, continua a esercitare il suo fascino oscuro.

Valerie - Fantasie di una tredicenne
di Jaromil Jires
Se c’è un premio per il peggior titolo italiano mai affibbiato a un film, Fantasie di una tredicenne lo vincerebbe a mani basse. Il capolavoro di Jaromil Jireš, Valerie e la settimana delle meraviglie (Valerie a týden divu), è tutto fuorché il pornazzo da seconda serata che il titolo farebbe pensare. È un'opera visionaria e surreale, una favola nera in cui l’adolescenza si mescola con il terrore gotico, il vampirismo, il misticismo e un erotismo strisciante e perturbante, sempre sospeso tra il sacro e il profano.
Tratto dal romanzo di Vítezslav Nezval, poeta surrealista praghese, il film è una sorta di Alice nel paese delle meraviglie che racconta le avventure fantastiche di una tredicenne, che vive una settimana di eventi visionari, in un vortice di simbolismi, incubi e pulsioni sessuali. La protagonista, Valerie, interpretata dalla giovanissima Jaroslava Schallerová, è un’orfana che vive con la nonna in un piccolo villaggio ottocentesco. Tutto ha inizio con il suo primo ciclo mestruale, simbolicamente annunciato da una goccia di sangue su un fiore bianco. Da quel momento, la realtà si trasforma in un incubo, popolato da figure inquietanti e seducenti: un prete lussurioso e corrotto, un vampiro dal volto cadaverico che sembra volerla possedere, una nonna austera che, dopo un patto oscuro, si trasforma in una donna giovane e sensuale, e Orlík, un ragazzo misterioso che potrebbe essere il suo salvatore, il suo fratello, il suo amante – o forse tutte queste cose insieme.
Non c’è una trama vera e propria, non c’è consequenzialità negli eventi. Personaggi che muoiono e tornano in vita senza troppe spiegazioni, atmosfere rarefatte che sembrano oscillare tra sogno e realtà. Il tutto immerso in un'estetica fiabesca, con giochi di luce, veli bianchi e scenografie decadenti, accompagnate da una colonna sonora eterea e mistica.



Valerie e la settimana delle meraviglie – da adesso in poi lo chiamo con il suo nome internazionale – non è soltanto un trip visionario, una fiaba gotica che sembra uscita da un incubo dei fratelli Grimm. Prendendo ispirazione dal surrealismo di Luis Buñuel e Alejandro Jodorowsky, è anche una feroce critica alla società, dove il vampirismo si intreccia con il potere repressivo della Chiesa, vista come istituzione parassitaria, e con il desiderio dei vecchi di nutrirsi della giovinezza altrui.
Sorprendentemente, il film riuscì a sfuggire alla censura cecoslovacca, nonostante il rigido controllo del regime comunista sulla produzione artistica. Altrove, però, subì pesanti tagli, soprattutto per le sue tematiche sessuali e alcune scene di nudo della protagonista minorenne. Oggi è possibile recuperarlo integralmente su YouTube al seguente link, ma a una qualità decisamente scarsa.
Se cercate una storia lineare e comprensibile, Valerie e la settimana delle meraviglie non è il film adatto a voi. Chi invece adora lasciarsi trasportare dalle atmosfere oniriche e surreali – gli amanti del cinema di Lynch per esempio – scoprirà un’esperienza visiva che incanta e inquieta allo stesso tempo. Un piccolo capolavoro dimenticato, da riscoprire e vivere con con gli occhi di chi ancora sa stupirsi.

Vampiri amanti
di Roy Ward Baker
Negli anni Settanta, la Hammer – leggendaria casa di produzione inglese specializzata in horror gotici – iniziava a mostrare i primi segni di cedimento. Il barocco decadente che aveva ridefinito l'immaginario del genere stava lasciando il passo a un cinema dell'orrore più esplicito, violento e trasgressivo. La Hammer, però, non aveva nessuna intenzione di arrendersi, e con astuzia, offrì al pubblico esattamente ciò che chiedeva. Vampiri amanti (The Vampire Lovers) è un horror spiccatamente erotico che segna un punto di svolta nella produzione della casa britannica. Per la prima volta abbiamo vampiri dichiaratamente lesbici, in un'operazione audace per l'epoca, che alza il tiro su nudi, seduzione e ambiguità sessuale, senza rinunciare all'eleganza formale e al fascino delle ambientazioni gotiche.
Vampire amanti è il primo capitolo della trilogia hammeriana ispirata a Carmilla – il famoso racconto di Sheridan Le Fanu – a cui seguiranno Mircalla, l’amante immortale e Le figlie di Dracula, entrambi realizzati l’anno successivo. Il film segue la figura enigmatica e seducente di Mircalla Karnstein (Ingrid Pitt), una vampira che si insinua nella vita di giovani fanciulle con sguardi ammalianti e un'insaziabile sete d'amore e sangue. La sua prima vittima è Laura, figlia del generale Spielsdorf (Peter Cushing), che soccombe lentamente al fascino oscuro della creatura. Ma la morte di Laura non è che l'inizio. Sotto una nuova identità, Mircalla riappare come Carmilla e punta il suo sguardo sulla dolce e ingenua Emma (Madeline Smith), trascinandola in un vortice di fascinazione e terrore.
Vampiri amanti è un film che, pur essendo commerciale, cerca di svecchiare il gotico vampiresco in un modo quasi autoriale, imprimendo nel genere una maggiore morbosità. Scene di nudo, generosi décolleté e allusioni esplicite alla sessualità lesbo senza però rinunciare ai classici elementi dell’horror hammeriano con cripte, castelli e decapitazioni rituali.
Ottimo cast, dove gli uomini, compreso Cushing, restano in secondo piano per lasciare spazio ad aggraziate fanciulle ambigue e seducenti, tra cui spicca Ingrid Pitt che interpreta una Carmilla magnetica e letale, e la verginale e decisamente più attraente – almeno per i miei gusti – Madeline Smith.
Cult imprescindibile dell’horror vampiresco, il film unisce eleganza e trasgressione, mantenendo ancora oggi il suo fascino ambiguo e decadente.
Film
Nosferatu
di Robert Eggers
Approcciandomi a questo film con così tante aspettative, più cresceva l’attesa, più prendeva forma la possibilità di una delusione. Robert Eggers è uno dei registi contemporanei che più apprezzo, e la sua rilettura del Nosferatu di Murnau, una delle opere più importanti della storia del cinema, mi è sembrata fin da subito una sfida affascinante ma assai pericolosa. Ma d’altronde, chi meglio di lui poteva raccogliere un’eredità così impegnativa? L'estetica gotica e crepuscolare di Eggers, la sua passione per il folklore, la mitologia e il cinema espressionista, sembravano adattarsi perfettamente a omaggiare il capolavoro di Murnau, già ripreso da Herzog nel 1979 con Klaus Kinski nel ruolo del vampiro.
La storia è conosciuta. Non avendo i diritti per una trasposizione cinematografica del Dracula di Bram Stoker, Murnau cambiò i nomi e le location rispetto al romanzo originale. La vedova di Stoker però lo sgamò e ottene la distruzione di tutte le copie del film. Fortunatamente una copia si salvò e la pellicola del 1922 è potuta arrivare fino ai giorni nostri.
La trama del film di Eggers, dunque, segue quella del Dracula originale, offrendo poche sorprese a chi già conosce la storia. Forse, proprio questa prevedibilità rappresenta l'unico punto debole del film. Se c’è un elemento che distingue questa versione dalla narrazione dell’opera originale, risiede nella meticolosa ricostruzione storica del folklore legato al vampiro e, soprattutto, nell’attenzione rivolta al rapporto tra la protagonista femminile e la creatura della notte. È proprio questa dinamica, carica di tensione erotica e profondità emotiva, a rappresentare il cuore pulsante del racconto.
Nella Germania del 1833, Thomas Hutter (Nicholas Hoult), giovane agente immobiliare, viene mandato in un luogo sperduto della Romania. Il suo compito è quello di far firmare al Conte Orlok (Bill Skarsgard), un nobile della Transilvania che vive in un castello isolato, il contratto di acquisto di una vetusta dimora signorile che ha comprato nella città di Wisborg. In realtà il Conte Orlok è un antico vampiro ossessionato da Ellen (Lily Rose Depp), la giovane moglie di Hutter, che inconsapevole delle sue doti parananormali, lo ha risvegliato dal suo sonno eterno attirando su di sé l’oscura attenzione del vampiro. Determinato a raggiungerla, Orlok abbandona il castello, e a bordo di un nave arriva a Wisborg portando con sé una scia di morte e disperazione.
La versione di Eggers è fedele, ma al tempo stesso profondamente personale. Dal punto di vista estetico, è un'opera impeccabile, caratterizzata da una meticolosa attenzione alle inquadrature, alla fotografia e a ogni minimo dettaglio. I colori, volutamente desaturati, conferiscono al film un aspetto che richiama i toni virati tipici dei film muti degli anni Venti, evocando un fascino d’altri tempi. La scena dell'arrivo di Thomas nel villaggio rumeno è resa con un’atmosfera sospesa e spettrale, il suo ingresso al castello con il Conte Orlok che lo accoglie trasuda di orrore e marciume. Azzeccata l'idea di non mostrare subito il volto del vampiro, così come ho apprezzato anche il modo in cui Eggers ha reinterpretato il personaggio, discostandosi dalle versioni precedenti e traendo ispirazione dall’iconografia di Vlad II di Valacchia: un vampiro con dei baffoni e il corpo logorato dal peso dei secoli.
Conoscendo a fondo la storia di Dracula e le innumerevoli rivisitazioni che ne sono state fatte, il fascino di questo film risiede nell'estetica decadente e nell'angosciante atmosfera opprimente che Eggers ha saputo infondere in ogni scena. Realizzando un'opera che sognava fin dall'infanzia, il regista propone un vampiro che, attingendo alle radici del folklore, incarna la malattia, la morte e il sesso in una forma crudele, brutale e spietata, restituendo a questa figura mitica la sua carica più malevola e disturbante.
Convincenti le interpretazioni dei protagonisti con il grande Willem Dafoe nei panni del professor Von Franz e una diafana e languida Lily-Rose Depp, brava a esprimere la zona d'ombra e il tormento interiore causato dell'attrazione morbosa, oscura e irresistibile per un vampiro che incarna la morte, la malattia e il male assoluto.
Il male nasce dentro di noi o viene dall’aldilà?
Alla fine mie aspettative sono state pienamente soddisfatte. Un film che richiede senza dubbio una seconda visione per coglierne appieno tutte le sfumature.
ll fotogramma finale è arte.

Abigail
di Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett
Abigail, film diretto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, è un film horror liberamente ispirato a La figlia di Dracula di Lambert Hillyer del 1936.
La trama è abbastanza semplice. Un gruppo di criminali professionisti viene assoldata per rapire la figlia di un uomo facoltoso e trattenerla per una notte, al fine di ottenere un ingente riscatto. In attesa del denaro, il gruppo di malviventi si trasferiscono, insieme alla bambina (interpretata dalla 14enne Alisha Weir), in una villa isolata solo per scoprire che sono loro ad essere intrappolati e che la giovane innocente ballerina di danza classica che hanno rapito in realtà è un vampiro assetato di sangue.
Non è uno spoiler. Chi è andato o andrà a vedere il film sa già che Abigail è un vampiro. La storia, con tanto di colpo di scena, è già tutta contenuta nel trailer. E' evidente che chi si avvicina a questo film non ha molte aspettattive se non quelle di vedere come una ballerina vampiro fa a pezzi un gruppo di sfortunati criminali intrappolati in una casa. Nulla di più. Con questa consapevolezza Abigail risulta divertente, splatteroso e con atmosfere che richiamano i b-movie di genere degli anni ottanta. Un horror grottesco dotato di un umorismo macabro perfetto per passare una piacevole serata di intrattenimento.
Film
L'Ombra del vampiro
di E. Elias Merhige
L'ombra del vampiro (Shadow of the vampire) è un film del 2000 diretto da E. Elias Merhige. Il film è un tributo alla memoria di Friedrich Wilhelm Murnau e racconta, in chiave fantastica e romanzata, il dietro le quinte del film Nosferatu del 1922.
Partendo dalla leggenda che Max Schreck fosse in realtà un vero vampiro ingaggiato da Murnau per interpretare il conte Orlok - ovviamente Schreck era un attore di teatro che recitò in diversi film dell'epoca - Merhige imbastisce una suggestiva reinterpretazione della creazione cinematografica del capolavoro del cinema horror.
In Germania, nel 1921, il regista Friedrich Wilhelm Murnau (John Malkovich) sta girando "Nosferatu il vampiro", l'adattamento non autorizzato del romanzo "Dracula" di Bram Stroker. Determinato a rendere il suo film il più autentico possibile, Murnau decide di ingaggiare un vero vampiro di nome Max Schreck (interpretato da Willem Dafoe), il cui strano comportamento viene giustificato alla troupe con il fatto che l'attore ha l'abitudine di entrare nel personaggio applicando il metodo Stanislavskij. Quando la troupe cinematografica si trasferisce in Cecoslovacchia per girare gli esterni, i comportamenti di Schreck si fanno sempre più inquietanti e spaventosi con Murnau che cerca di tenere tutto sotto controllo pronto ad accettare terribili compromessi pur di vedere realizzata la sua opera.
Film horror meta-cinematografico che esasperando le leggenda dietro l'attore che interpreta il conte Orlok fornisce una visione personale sulla figura di Murnau raffigurato come un uomo dispotico e ossessionato dalla propria arte.
Pellicola interessante che da un lato strizza l'occhio al cinefilo più incallito (ottime le ricostruzioni delle inquadrature originali di Nosferatu), e dall'altro cerca di intrattenere con ironia, un buon ritmo ma senza troppi scossoni, perdendo un po' di smalto nel finale che risulta inevitabilmente prevedibile.
Grande intepretazione di Willem Dafoe (uno dei miei attori preferiti di sempre).

Nosferatu
di F. W. Murnau
Aspettando Eggers mi sono voluto rivedere il Nosferatu di Murneau.
Capolavoro dell’espressionismo tedesco, liberamente ispirato al romanzo "Dracula" di Bram Stroker, il film viene proiettato per la prima volta a Berlino nel 1922, e presenta uno dei primi vampiri della storia del cinema.
Negli ultimi decenni il film è stato più volte restaurato, con l’aggiunta di qualche sequenza in più e una nuova colonna sonora - il film è muto e i dialoghi avvengono con le didascalie. Attualmente su YouTube si può apprezzare sia la versione in bianco e nero che quella virata in diversi toni di colore. Io mi sono visto quest'ultima che è quella orginale dell'epoca.
Figura chiave nella realizzazione del film è stato Albin Grau, eclettico artista affascinato dall'occulto e dal soprannaturale, che aveva aperto una piccola casa di produzione cinematografica tedesca, la Prana-Film, con l'intenzione di realizzare un film su Dracula, il romanzo di Stroker scritto venticinque anni prima. Nonostante non avesse ottenuto i diritti, Grau insieme al regista Friedrich Wilhelm Murnau - che aveva già realizzato una manciata di film ed era anche lui ammaliato dalla figura del vampiro - decise comunque di realizzare un film sul romanzo di Stroker, cambiando i nomi dei personaggi, le ambientazioni e alcune parti della trama. Così, il conte Dracula divenne il conte Orlok, Jonathan Harker divenne Thomas Hutter e invece della Transilvania e Londra la storia venne ambientata nei Carpazi e a Wisborg, città portuale tedesca immaginaria. Inoltre venne eliminato il personaggio del cacciatore di vampiri Van Helsing mentre la presenza di Nosferatu venne associata a una epidemia di peste propagata dai topi che accompagnano il vampiro al suo arrivo in città. Tutto inutile. A seguito dell'enorme successo del film alla sua uscita, nel 1925 la vedova di Stoker intentò un processo per plagio e violazione dei diritti, vinse la causa e con il risarcimento mandò in banca rotta la neonata casa di produzione ottenendo la distruzione di tutte le copie del film. Fortunatamente una o più copie finirono nelle mani di collezionisti e archivi cinematografici evitando in questo modo la scomparsa di questo capolavoro del cinema surrealista tedesco. La vedova di Stoker avrebbe poi venduto i diritti del romanzo per uno spettacolo teatrale negli Stati Uniti riadattato poi nel film Dracula del 1931 con Bela Lugosi nel ruolo del vampiro. Ma questa è un altra storia.
Nel film di Murnau il ruolo del Conte Orlok venne affidato a Max Schreck, un attore teatrale dell'epoca, che a causa del suo comportamento sul set e il fatto che il suo nome tradotto sia "Massimo Terrore" ha alimentato la leggenda che si trattasse di un vero e proprio vampiro - nel 2000 è stato girato un film chiamato L'ombra del Vampiro che parla proprio di questa bislacca diceria. Un altra credenza narra che Max Schreck non prese mai parte al film e che a interpretare il conte Orlok fosse Murnau stesso. Tralasciando questi curiosi aneddoti la performance dell'attore rimane straordinaria e indimenticabile. La sua presenza sullo schermo è tanto inquietante quanto magnetica. La sua figura ricorda quella di un pipistrello, calvo con i denti da roditore, le orecchie lunghe e le unghie arcuate, mentre i suoi movimenti rigidi e sospetti, incarnanano alla perfezione il terrore e il fascino del personaggio, contribuendo in modo significativo all'impatto emotivo del film. Nosferatu è animalesco, repulsivo, e disperato. E' un vampiro che si allontana nettamente dalla figura "romantica" e affascinante del conte Dracula. Condannato a una mortalità sempre uguale a se stessa, Nosferatu esprime l'angosciante disperazione della sua infinita solitudine.

Una delle caratteristiche più distintive del film di Murneau è la sua atmosfera cupa e inquietante, creata attraverso un uso innovativo dell'illuminazione, delle ombre e della fotografia. Utilizzando la scenografia realizzata da Grau (quest'ultimo autore anche dei costumi, degli storyboard e del materiale promozionale - è sua l'illustrazione qui sopra) Murnau enfatizza l'aspetto gotico della storia, creando un'ambientazione surreale e spettrale. Rispetto ad altri film espressionisti dell'epoca, uno fra tutti Il gabinetto del dottor Caligari, Murneau non deforma la realtà ma evoca la paura e il terrore attraverso il paesaggio, la natura e il mondo animale (un lupo che spaventa i cavalli, un insetto catturato da una pianta carnivora) oppure utilizzando la tecnica dello stop motion per dare al vampiro dei movimenti innaturali (l'arrivo della carrozza guidata dallo stesso Orlok oppure la scena in cui il vampiro carica le bare sul carro) che oggi possono sembrare espedienti ridicoli ma che all'epoca risultavano assai inquietanti.
La sequenza in cui l'ombra del vampiro si distorce sulle pareti (o sulle persone) e le sue mani sembrano prolungarsi è forse una delle scene più rappresentative del film di Murnau. Senza ombra di dubbio (scusate il voluto gioco di parole) il Nosferatu di Murnau rimane uno dei più grandi capolavori della settima arte che, nonostante gli evidenti segni del tempo, continua da oltre un secolo a ispirare registi e appassionati di cinema horror.

Demeter - Il risveglio di Dracula
di André Øvredal
The Last Voyage of Demeter (in italiano diventato Il risveglio di Dracula, evidente titolo acchiappa pubblico) è un film diretto da André Øvredal uscito nel 2023 che, prendendo spunto dal romanzo di Bram Stoker, racconta la storia della Demeter, la nave che trasportò Dracula dalla Romania a Londra.
La storia è arcinota, Dracula (qui rappresentato come un mostruoso pipistrello antropomorfo) viene segretamente imbarcato all'interno di una cassa nella Demeter, la goletta del capitano Eliot diretta a Londra. Durante il viaggio il vampiro esce di notte dando la caccia all’equipaggio che non avendo vie di fuga diventa carne da macello.
In pratica una sorta di Alien dove al posto dello xenomorfo abbiamo Dracula, la Nostromo è la Demeter, e la Ripley viene sostituita da un coraggioso medico di colore.
La fotografia e la ricostruzione dell'imbarcazione è l'unico aspetto degno di nota, per il resto un film prevedibile e di puro intrattimento orrorifico che nulla aggiunge alle innumerevoli trasposizioni cinematografiche del famoso vampiro di Stoker.
Film