
Nosferatu
di Robert Eggers
Approcciandomi a questo film con così tante aspettative, più cresceva l’attesa, più prendeva forma la possibilità di una delusione. Robert Eggers è uno dei registi contemporanei che più apprezzo, e la sua rilettura del Nosferatu di Murnau, una delle opere più importanti della storia del cinema, mi è sembrata fin da subito una sfida affascinante ma assai pericolosa. Ma d’altronde, chi meglio di lui poteva raccogliere un’eredità così impegnativa? L'estetica gotica e crepuscolare di Eggers, la sua passione per il folklore, la mitologia e il cinema espressionista, sembravano adattarsi perfettamente a omaggiare il capolavoro di Murnau, già ripreso da Herzog nel 1979 con Klaus Kinski nel ruolo del vampiro.
La storia è conosciuta. Non avendo i diritti per una trasposizione cinematografica del Dracula di Bram Stoker, Murnau cambiò i nomi e le location rispetto al romanzo originale. La vedova di Stoker però lo sgamò e ottene la distruzione di tutte le copie del film. Fortunatamente una copia si salvò e la pellicola del 1922 è potuta arrivare fino ai giorni nostri.
La trama del film di Eggers, dunque, segue quella del Dracula originale, offrendo poche sorprese a chi già conosce la storia. Forse, proprio questa prevedibilità rappresenta l'unico punto debole del film. Se c’è un elemento che distingue questa versione dalla narrazione dell’opera originale, risiede nella meticolosa ricostruzione storica del folklore legato al vampiro e, soprattutto, nell’attenzione rivolta al rapporto tra la protagonista femminile e la creatura della notte. È proprio questa dinamica, carica di tensione erotica e profondità emotiva, a rappresentare il cuore pulsante del racconto.
Nella Germania del 1833, Thomas Hutter (Nicholas Hoult), giovane agente immobiliare, viene mandato in un luogo sperduto della Romania. Il suo compito è quello di far firmare al Conte Orlok (Bill Skarsgard), un nobile della Transilvania che vive in un castello isolato, il contratto di acquisto di una vetusta dimora signorile che ha comprato nella città di Wisborg. In realtà il Conte Orlok è un antico vampiro ossessionato da Ellen (Lily Rose Depp), la giovane moglie di Hutter, che inconsapevole delle sue doti parananormali, lo ha risvegliato dal suo sonno eterno attirando su di sé l’oscura attenzione del vampiro. Determinato a raggiungerla, Orlok abbandona il castello, e a bordo di un nave arriva a Wisborg portando con sé una scia di morte e disperazione.
La versione di Eggers è fedele, ma al tempo stesso profondamente personale. Dal punto di vista estetico, è un'opera impeccabile, caratterizzata da una meticolosa attenzione alle inquadrature, alla fotografia e a ogni minimo dettaglio. I colori, volutamente desaturati, conferiscono al film un aspetto che richiama i toni virati tipici dei film muti degli anni Venti, evocando un fascino d’altri tempi. La scena dell'arrivo di Thomas nel villaggio rumeno è resa con un’atmosfera sospesa e spettrale, il suo ingresso al castello con il Conte Orlok che lo accoglie trasuda di orrore e marciume. Azzeccata l'idea di non mostrare subito il volto del vampiro, così come ho apprezzato anche il modo in cui Eggers ha reinterpretato il personaggio, discostandosi dalle versioni precedenti e traendo ispirazione dall’iconografia di Vlad II di Valacchia: un vampiro con dei baffoni e il corpo logorato dal peso dei secoli.
Conoscendo a fondo la storia di Dracula e le innumerevoli rivisitazioni che ne sono state fatte, il fascino di questo film risiede nell'estetica decadente e nell'angosciante atmosfera opprimente che Eggers ha saputo infondere in ogni scena. Realizzando un'opera che sognava fin dall'infanzia, il regista propone un vampiro che, attingendo alle radici del folklore, incarna la malattia, la morte e il sesso in una forma crudele, brutale e spietata, restituendo a questa figura mitica la sua carica più malevola e disturbante.
Convincenti le interpretazioni dei protagonisti con il grande Willem Dafoe nei panni del professor Von Franz e una diafana e languida Lily-Rose Depp, brava a esprimere la zona d'ombra e il tormento interiore causato dell'attrazione morbosa, oscura e irresistibile per un vampiro che incarna la morte, la malattia e il male assoluto.
Il male nasce dentro di noi o viene dall’aldilà?
Alla fine mie aspettative sono state pienamente soddisfatte. Un film che richiede senza dubbio una seconda visione per coglierne appieno tutte le sfumature.
ll fotogramma finale è arte.

The Northman
di Robert Eggers
The Northman del 2022 è il terzo film diretto da Robert Eggers, autore della sceneggiatura insieme allo scrittore islandese Sjón (co-sceneggiatore del film Lamb e autore dei testi di numerose canzoni di Björk).
Se i primi due lungometraggi erano stati dei film indipendenti a tutti gli effetti, con The Northman il regista americano si trova per la prima volta alle prese con una grande produzione.
The Northman è ispirato all'Amleto della mitologia normanna, un antico racconto di Saxo Grammaticus, al quale William Shakespeare si ispirò per realizzare il più famoso Amleto.
Siamo in Norvegia del X secolo. Il principe Amleth (Alexander Skarsgård) da bambino assiste alla morte di suo padre, il re Aurvandill (Ethan Hawke), ucciso in un agguato dal fratello Fjölnir (Claes Bang) per impossessarsi del regno e prendere in sposa la regina Gudrún (Nicole Kidman), la madre di Amleth. Riuscito a fuggire, Amleth viene trovato da una banda di vichinghi che lo crescono come un guerriero. Durante una razzia a un villaggio, Amleth incontra una veggente (Björk) che gli ricorda il suo destino e il suo giuramento: vendicarsi dalla morte del padre uccidendo lo zio. Spacciandosi per uno schiavo, Amleth arriva in Islanda - dove Fjölnir era stato esiliato - incontrando nel suo viaggio una schiava slava di nome Olga (Anya Taylor-Joy), che si unisce a lui per mettere in atto il suo piano e vendicarsi di suo padre.
Divisa in atti, la storia è abbastanza semplice, è un racconto epico di sangue e vendetta. Quello che balza all'occhio è la ricostruzione storica e i dettagli quasi maniacali per la scenografia e i costumi che conferiscono al film un realismo violento, brutale e sanguinoso. Gli autori sono bravi e oltre a quelli citati torna anche Willem Dafoe nella parte del giullare di corte protagonista di una sequenza in cui compie una sorta di rituale "bestiale". Nonostante la produzione gli abbia imposto dei tagli - il film dura più di due ore - la traccia autoriale del regista è ancora presente. Il piano sequenza di quando il protagonista insieme agli altri vikinghi assediano il malcapitato villaggio è davvero da urlo mentre le scene più oniriche - quella in cui appare Björk ma sopratutto quella in cui Amleth recupera la spada leggendaria con cui intende compiere la sua vendetta - sono molto suggestive. Sono delle scene che potremmo definire fantasy ma integrate perfettamente nel contesto realistico del film.
The Northman si è rivelato un flop ai botteghini incassando meno di quanto è costato. Io, pur non apprezzando particolarmente il genere, ritengo che sia uno dei migliori film epici degli ultimi anni.
Bravo Robert Eggers, ora aspetto con trepidazione il suo Nosferatu.

The Witch
di Robert Eggers
The Witch del 2016 è l'esordio alla regia di Robert Eggers.
Premiato al Sundance Film Festival per la miglior regia, The Witch viene considerato dai critici e dagli appassionati del genere il miglior horror degli anni dieci.
La storia è ambienta intorno al 1600 nel New England e narra di una famiglia puritana, ossessionata da Dio e dalla religione che, dopo essere stata cacciata dalla comunità in cui viveva, decide di trasferirsi vicino a un bosco e costruirsi una fattoria. La famiglia, composta da una coppia e i loro cinque figli, alleva le capre e coltiva il terreno ma nonostante il duro lavoro riesce a stento a sopravvivere. Un giorno Thomasin, la figlia maggiore, mentre gioca a fare il gioco del cucù con il fratellino più piccolo, si copre un momento gli occhi e quando li riapre il bimbo misteriosamente sparisce. È l'inizio della tragedia in cui la famiglia lentamente perde la fede e la speranza trovando l'uno nell'altro il peccato e il male.
The Witch è un horror insolito, molto particolare, sicuramente non rivolto a un pubblico che si aspetta jumpscare o scene che provocano uno spavento improvviso. Il film ha i suoi tempi, può sembrare lento perché gioca molto sui silenzi e la sospensione. È un film pervaso da una crescente tensione che nel finale sfocia in una opprimente angoscia.
Gli attori sono tutti molto bravi e perfetti nel loro ruolo.Tra tutti spicca la bellissima Anya Taylor-Joy, che interpreta Thomasin, la quale esprime con naturalezza quell'ingenua sensualità di una ragazzina che sta diventando donna favorendo disagio, invidia e una tensione repressiva negli altri componenti della famiglia.
Il punto di forza di questo film è però la regia, le scenografie e la fotografia. I colori sono tetri, desaturati (solo il sangue ha un rosso vivido) mentre l'illuminazione e la composizione di alcune inquadrature mi hanno ricordato i quadri del Caravaggio o dei pittori fiamminghi. Innegabilmente è un film davvero bello da vedere, di una regia che trasmette un senso di disagio e una continua tensione emotiva
È un film molto simbolico che si presta a diverse interpretazioni.
Da rivedere, più e più volte anche perchè Eggers lavora molto sulle immagini. Davvero un ottimo film.
Robert Eggers è entrato a far parte dei miei registi preferiti tanto che ho recuperato su YouTube anche i suoi primi cortometraggi: Hansel and Gretel del 2007, rivisitazione della classica fiaba dei fratelli Grimm come se fosse girato negli anni venti del secolo scorso, The Tell-Tale Heart del 2008, uno dei migliori adattamenti di un racconto di Edgar Allan Poe, e infine Brothers del 2015 che potremmo definire il cortometraggio preparatorio a The Witch.

The Lighthouse
di Robert Eggers
The Lighthouse del 2019 è il secondo film di Robert Eggers dopo The Witch (che non ho visto e che intendo recuperare quanto prima).
Un horror, un thriller, un dramma sulla follia? È difficile trovargli una collocazione. Quel che è certo, almeno per quanto mi riguarda, è che siamo di fronte a un capolavoro.
Fine dell’ottocento. Thomas Wake (un grande Willem Dafoe) e il nuovo assistente, Ephraim Winslow (un altrettanto bravo Robert Pattinson) giungono in un remoto isolotto del New England per occuparsi della manutenzione di un faro. I due dovranno rimanere isolati per quattro settimane in attesa del traghetto che li riporterà a casa. Ephraim si ritrova a sottostare agli ordini del vecchio e irascibile Thomas che lo costringe alla maggior parte dei lavori manuali, mentre Thomas finisce per occuparsi solo del faro, proibendo a Ephraim di salirci sopra. La tensione, la solitudine e la stanchezza aumenta fin quando, arrivati alla fine della quarta settimana, una fortissima tempesta si abbatte sull’isolotto impedendo alla nave di venirli a prendere. Ormai senza più provviste, i due trovano una scorta di alcolici e finiscono per ubriacarsi di continuo generando ostilità, euforia e delirio. Quando l’isolamento diventa insostenibile, il tempo si dilata perdendo di significato, e la realtà diventa indistinguibile dalle allucinazioni, i due protagonisti finiscono per precipitare nella follia.
Ci sarebbe da dire tantissime cose su questo film. La storia è piena di metafore, simbolismi e riferimenti alla mitologia e alle leggende marine. Ho ritrovato l’abisso di Lovecraft, la follia dello Shining di Kubrick/King, il terrore degli Uccelli di Hitchcock. È un film estremamente psicologico dove il senso di colpa e il tema della sessualità è molto presente, l’elemento fallico del faro, la sirena ammaliatrice, le masturbazioni allucinogene di Ephraim.
La luce del faro potrebbe rappresentare la purezza della verità che porta alla pazzia. Il desiderio di Prometeo di rubare il fuoco degli dei e le conseguenze del suo gesto.
Stilisticamente il film è di una potenza visiva sconcertante, ogni inquadratura sarebbe da incorniciare. Girato in bianco e nero, in formato 4:3 in 35mm - e questa scelta contribuisce a fornire al film un’atmosfera claustrofica - fin dalle prime scene troviamo una forte matrice espressionista che omaggia in maniera esplicita i film degli anni trenta di Murnau e Fritz Lang. La colonna sonora affidata a Mark Korven è ossessiva e angosciante.
The Lighthouse è senza ombra di dubbio uno dei migliori film degli ultimi anni. Per me è un capolavoro ed è una vergogna che questo film non sia mai stato proiettato nelle sale per essere distribuito direttamente su Netflix.