OYSTERBOX

  • Concerti
  • Film
  • Fumetti
  • Libri
  • Musica
  • Serie TV
  • Teatro
  • Tecnologia

oyster
Contatti
1971 ×
    • login
martedì, 22 luglio 2025
...

La morte corre incontro a Jessica

di John Hancock

La morte corre incontro a Jessica, diretto da John Hancock nel 1971, è un film semisconosciuto che con il tempo è stato rivalutato come una delle pellicole più interessanti del cinema horror americano degli anni settanta. Nato in un’epoca di sperimentazioni e contaminazioni, mescola suggestioni gotiche, disagio mentale e inquietudini post-hippie, costruendo un’atmosfera sospesa e disturbante.

Dopo un periodo trascorso in un istituto psichiatrico, Jessica (Zohra Lampert) si trasferisce con il marito Duncan (Barton Heyman) e l’amico Woody (Kevin O’Connor) in una vecchia casa colonica del Connecticut, sperando di ritrovare equilibrio e serenità. All’arrivo trovano Emily (Mariclare Costello), una giovane misteriosa senza fissa dimora che dice di aver trovato riparo in quella casa da qualche tempo. Invitata a restare, la sua presenza innesca una serie di eventi inquietanti: Jessica comincia a sentire voci, a vedere una figura spettrale e a temere una ricaduta nella follia. Mentre il clima si fa più opprimente, la linea tra realtà e paranoia si assottiglia, lasciando emergere dubbi, tensioni e presagi oscuri.

Il film si muove sul confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra il disagio e la follia, lasciando lo spettatore in una zona grigia, ambigua, dove nulla è spiegato fino in fondo. Jessica sospetta che Emily sia una vampira, ma il film evita di prendere posizione e resta sospeso tra paranoia e soprannaturale. Può spiazzare, certo, ma è proprio questo spaesamento a creare un senso di inquietudine duraturo.
Visivamente, è un’opera affascinante. La fotografia è splendida, i paesaggi hanno un che di spettrale, la casa isolata in riva al lago sembra uscita da un incubo. Anche la colonna sonora contribuisce con suoni acidi e dissonanti, generati da synth analogici, a costruire un’atmosfera tesa e ipnotica.
Quello che funziona meno non è tanto il ritmo dilatato — che in un film così ci può anche stare — quanto certe situazioni ripetitive e dei dialoghi davvero troppo banali. Se ci si aspetta un horror classico, con trama lineare e colpi di scena, si rischia la delusione. Ma se lo si accoglie per ciò che è — un viaggio disturbato nella mente di una donna fragile — allora riesce a colpire nel segno.
Consiglio di vederlo in lingua originale.

Film
Horror
Psicologico
USA
1971
venerdì, 11 luglio 2025
...

Giornata nera per l'ariete

di Luigi Bazzoni

Nei primi anni settanta, sulla scia del Dario Argento di quegli anni e del giallo all’italiana, Luigi Bazzoni, regista poco conosciuto al publico ma dotato di un’impronta stilistica unica, quasi autoriale, firma Giornata nera per l’ariete, un film che mescola l’eleganza visiva a un'atmosfera morbosa e carica di suspense.

Andrea Bild (Franco Nero) è un giornalista alcolizzato e tormentato, coinvolto suo malgrado in una serie di inquietanti omicidi che scuotono un gruppo di colleghi di una scuola internazionale. Mentre cerca di fare luce su questi crimini, sempre più persone legate al suo passato e al suo presente vengono aggredite o uccise, e Andrea si trova a lottare contro i suoi demoni personali e contro il sospetto che lo circonda. Tra rapporti ambigui e verità nascoste, l’indagine si trasforma in un percorso oscuro e destabilizzante che lo conduce davanti all'assassino, in procinto di compiere il suo quinto delitto.

Giornata nera per l’ariete non brilla certo per la solidità della trama. La vicenda è piuttosto prevedibile, a tratti confusa, e qua e là presenta evidenti buchi di sceneggiatura. Tuttavia, il film riesce comunque a distinguersi grazie a una regia sorprendentemente raffinata. Luigi Bazzoni mostra una cura estetica rara per il genere, facendo largo uso di grandangoli distorcenti, composizioni geometriche e movimenti di macchina eleganti. Superlativa la fotografia di Vittorio Storaro, che regala inquadrature capaci di imprimere al film un’identità visiva forte e riconoscibile. Anche la colonna sonora firmata da Ennio Morricone – discreta ma insinuante – accompagna con efficacia l’evolversi della tensione, mentre le location suburbane romane (alcune parecchio familiari) restituiscono la sensazione di un paesaggio urbano sospeso tra modernità alienante e memoria decadente. Il cast è variegato e funziona nel complesso bene. Franco Nero regge il film nonostante la sua monoespressività, affiancato da Silvia Monti, Agostina Belli, Ira von Fürstenberg, Pamela Tiffin, Edmund Purdom e Rossella Falk, ognuno con un ruolo che contribuisce a costruire quella rete di relazioni ambigue che alimenta il mistero. Il ritmo non è forsennato – anzi, a tratti risulta lento – ma l’atmosfera è sempre densa, carica di sospetto e angoscia.
Giornata nera per l’ariete è un giallo atipico, più interessato alla forma che all’intreccio, e proprio per questo capace di affascinare chi cerca nel cinema di genere una certa eleganza stilistica. Un film imperfetto, ma visivamente parecchio interessante, che trasuda anni settanta in ogni fotogramma e che saprà farsi apprezzare dagli estimatori più curiosi del giallo all’italiana.

Film
Thriller
Giallo
Italia
1971
lunedì, 23 giugno 2025
...

Vampyros Lesbos

di Jesús Franco

Vampyros Lesbos è un film erotico a tema vampiresco, uno di quei film conosciuti solo dai cinefili più incalliti e da chi si nutre di cinema di genere. Io non l’avevo mai visto, anche perché in Italia non è mai uscito, ma oggi, con un po’ di pazienza, si riesce a recuperare quasi tutto. La copia che ho trovato è in spagnolo con sottotitoli in italiano, leggermente sfasati, ma poco importa, perché la trama e i dialoghi in questo film non sono essenziali.
Vampyros Lesbos è uno dei film più noti di Jesús Franco, regista spagnolo prolifico e anarchico, un outsider che ha lavorato sempre ai margini, tra produzioni a basso costo e un’estetica fatta di erotismo, delirio e fascinazioni morbose. Per anni considerato un autore di film da serie B, è stato in parte riscoperto grazie all’interesse per il cinema trash degli anni settanta e alla stima di registi come Quentin Tarantino, che lo ha citato più volte tra le sue ispirazioni.
Girato tra Istanbul, Berlino e Alicante, Vampyros Lesbos è una rilettura psichedelica, femminile ed erotica del Dracula di Bram Stoker. A incarnare il fascino ipnotico del vampiro è Soledad Miranda, attrice con cui Franco aveva già collaborato in passato. Questo fu uno dei suoi ultimi ruoli, prima di morire in un incidente d’auto pochi mesi dopo, a soli ventisette anni.

Linda (Ewa Strömberg) è una giovane donna che lavora per uno studio legale a Istanbul. Da qualche tempo è tormentata da un sogno ricorrente in cui compare una donna misteriosa, bruna, e sensuale. Lo racconta al suo psicanalista, che liquida tutto come semplici fantasie. Quando Linda accompagna il suo compagno in un night club, riconosce sul palco, in un numero erotico e surreale, proprio la donna dei suoi sogni. Poco dopo, incaricata di occuparsi di un’eredità, Linda viene mandata su un’isola sperduta per incontrare una certa Contessa Nadine Carody (Soledad Miranda), discendente della stirpe di Dracula. Per Linda inizia un lento viaggio nell’abisso, tra eros e incubo, fino a un finale enigmatico che lascia il sospetto che nulla si sia davvero concluso. 

Se si mette da parte la trama, i dialoghi e più di qualche incongruenza narrativa, Vampyros Lesbos riesce pure a catturarti. Il film di Franco più che un vero horror è un viaggio psichedelico e onirico che vive di suggestioni, erotismo e visioni. Il sangue c’è, ma è così acceso da sembrare porporina, quasi a voler dichiarare sin da subito la natura artificiale e teatrale del film. Franco punta tutto sull’atmosfera, sulle scene erotiche e prolungate tra le due protagoniste, sulle scenografie lisergiche e su una colonna sonora magnetica a metà tra il jazz, la lounge e la psichedelia pura. Un film di vampiri senza buio, abbagliante e solare, dove al posto del Dracula gotico e notturno troviamo una contessa lesbica che prende il sole seminuda su una sdraio e si esibisce in locali underground con abiti succinti. Le location turche, con le loro architetture stranianti e le luci irreali, amplificano la sensazione di trovarsi in uno spazio altro, sospeso tra sogno, incubo e allucinazione. Tutto contribuisce a creare un mondo fuori asse, dove ogni gesto sembra rallentato, ipnotico, carico di un erotismo morboso e rituale.
Visto oggi, il film può spiazzare per il ritmo dilatato, per un montaggio a tratti sgangherato, e per l’uso ossessivo dello zoom, ma se ci si lascia trasportare dalle immagini e dalla musica, e non si hanno troppe aspettative in fatto di tensione narrativa o capacità degli attori, Vampyros Lesbos riesce ancora a esercitare un suo fascino.

Film
Horror
Erotico
Vampiri
Spagna
1971
martedì, 10 giugno 2025
...

La casa che grondava sangue

di Peter Duffell

La casa che grondava sangue è un horror antologico del 1971 diretto da Peter Duffell e prodotto dalla Amicus, casa di produzione britannica che, tra gli anni sessanta e settanta, fu una delle principali rivali della Hammer nel panorama del cinema horror e fantastico. Nota per il formato ad episodi – i cosiddetti portmanteau – la Amicus si distingueva per un approccio più sobrio e psicologico rispetto alla rivale storica, preferendo atmosfere più raffinate al sangue e agli eccessi visivi.

Il film è composto da quattro episodi, ognuno legato alla misteriosa casa che dà il titolo all’opera, e introdotto da una cornice narrativa in cui un ispettore di Scotland Yard, indagando sulla scomparsa di un attore, si reca nella villa affittata dall’uomo, venendo a sapere dall’agente immobiliare, alcuni fatti racappriccianti avvenuti precedentemente tra le mura di quella casa.
Nel primo episodio, uno scrittore (Denholm Elliott) si ritira nella villa per lavorare al suo nuovo romanzo, ma inizia a essere tormentato dalla figura del personaggio da lui stesso creato, un assassino psicopatico uscito forse dalle pagine per diventare reale.
Il secondo episodio, ha come protagonista un uomo solitario (Peter Cushing) che ha preso in affitto la casa per starsene da solo e dedicarsi alla lettura. Un giorno, passeggiando per il paese, visita un inquietante museo delle cere, restando affascinato dalla statua di una donna misteriosa, ignaro della pericolosa ossessione che lo attende.
Nel terzo episodio, un vedovo (Christopher Lee) si trasferisce nella casa con la figlia, una bambina dallo sguardo enigmatico e dalle inclinazioni inquietanti, che inizia a mostrare comportamenti sempre più disturbanti.
Chiude l’antologia la storia di un attore (Jon Pertwee) impegnato nelle riprese di un film horror, che entra troppo a fondo nel proprio ruolo di vampiro dopo aver acquistato un vecchio mantello di scena dalle origini sinistre.

Le quattro storie, scritte da Robert Bloch – autore leggendario di noir, thriller e horror (suo il romanzo che ha ispirato Psycho) – hanno oggi un gusto decisamente retrò, e non nascondono qualche inevitabile segno del tempo. Nonostante il titolo altisonante, di sangue non se ne vede nemmeno una goccia, ma in compenso la presenza di Christopher Lee e Peter Cushing basta da sola a nobilitare l'intero film.
Il mio episodio preferito è quello con Lee, alle prese con la bambina malefica, mentre l'ultimo, invece, quello con una splendida Ingrid Pitt che sembra divertirsi a parodiare se stessa e Vampiri Amanti, è quello più ironico e divertente.

Un film più che dignitoso, perfetto per i cultori del genere e per chi ha voglia di riscoprire un elegante horror all’inglese carico di fascino vintage.

Film
Horror
Horror
UK
1971
giovedì, 22 maggio 2025
...

L'abominevole dr. Phibes

di Robert Fuest

L'abominevole Dr. Phibes è un horror inglese del 1971 diretto da Robert Fuest, diventato con gli anni un piccolo cult. È un film strano, visivamente esagerato, che mescola il gusto per l'orrore gotico con un'ironia molto teatrale. In un certo senso, ha anticipato quella che oggi chiamiamo commedia horror, con il suo mix di omicidi assurdi, scenografie barocche e una vena di umorismo nero che rende tutto più surreale che spaventoso.

La storia de L'Abominevole Dr. Phibes è, prima di tutto, una storia di vendetta.
Dopo la morte improvvisa della moglie Victoria durante un intervento chirurgico, il dottor Anton Phibes (Vincent Price), scienziato, musicista e teologo, rimane coinvolto in un misterioso incidente d'auto e viene creduto anch'egli deceduto. Ma Phibes è sopravvissuto, seppur sfigurato, e ha passato gli anni successivi nascosto nell'ombra, progettando nei minimi dettagli la sua vendetta contro i medici che ritiene responsabili della tragedia. Aiutato dalla sua enigmatica assistente Vulnavia, inizia a uccidere, uno a uno, i membri dell'équipe medica in modi tanto creativi quanto raccapriccianti, seguendo un rituale ispirato alle dieci piaghe d'Egitto. Nel frattempo, l'ispettore Trout di Scotland Yard, supportato dal dottor Vesalius (Joseph Cotten), il chirurgo che operò la donna, cerca disperatamente di decifrare il mistero e fermare la scia di sangue.

Quello che colpisce di più oggi, più ancora della trama, è lo stile del film. L'Abominevole Dr. Phibes è un piccolo gioiello, una pellicola dallo stile gotico e dall'estetica eccessiva e squisitamente kitsch, che mescola elementi art déco, colori psichedelici e design anni settanta - anche se la storia è ambientata negli anni venti.
Il film sembra quasi un'opera teatrale, con l'organo gigante, l'orchestra di automi, i costumi elaborati e le sue invenzioni stravaganti usate da Phibes per compiere i suoi delitti. Per certi versi può ricordare Il Fantasma dell'Opera, con quella sua teatralità romantica e oscura.
Vincent Price è perfetto. Non dice una parola per tutto il film — lo si sente solo attraverso un congegno che collega le sue corde vocali a un grammofono — ma riesce comunque a comunicare tutto con lo sguardo e la mimica. È inquietante, elegante, tragico e grottesco al tempo stesso. La sua presenza da sola regge tutto il film.
L'idea di usare le piaghe d'Egitto come filo conduttore per gli omicidi è originale e aggiunge un tocco in più. Pipistrelli, ratti, cavallette, rane meccaniche… ogni morte diventa un piccolo spettacolo. Ed è impossibile non pensare a film come Seven o Saw, che anni dopo riprenderanno il concetto degli omicidi ingegnosi "a tema", anche se Phibes, va detto, alleggerisce spesso la tensione con una buona dose di humor inglese (vedi i siparietti con Scotland Yard).
Più che un horror nel senso stretto del termine, L'Abominevole Dr. Phibes è un film a sé, difficile da incasellare. Elegante, strano, una commedia horror dal black humor che ancora oggi conserva tutto il suo fascino, grazie allo stile visivo, al carisma del protagonista e a quell'atmosfera sospesa tra l'incubo e la farsa.

Film
Horror
UK
1971
martedì, 29 aprile 2025
...

Una lucertola con la pelle di donna

di Lucio Fulci

Fin dalle prime scene, guardando Una lucertola con la pelle di donna, ti rendi conto di essere precipitato in un vortice psichedelico in cui il sogno e la realtà si confondono in un delirio psicanalitico. Il secondo giallo scritto e diretto da Lucio Fulci è un thriller psicologico che prende la Londra borghese dei primi anni settanta, e la infila in un frullatore di pellicce, visioni erotiche, e desideri repressi.

La storia ha per protagonista Carol Hammond (Florinda Bolkan), figlia di un influente politico inglese, la quale racconta al suo psichiatra di un ricorrente sogno erotico e violento in cui uccide la sua vicina di casa, Julia Durer (Anita Strindberg), una donna affascinante e alquanto disinibita che conduce una vita dissoluta. Quando Julia viene ritrovata brutalmente assassinata proprio secondo le modalità dell'incubo di Carol, un tenace investigatore cerca di ricostruire la verità, domandandosi se sia possibile che Carol abbia commesso il delitto nel sonno o se qualcuno stia cercando di incastrarla. Mentre l'indagine si dipana, Carol sprofonda in un vortice di incubi, allucinazioni e depistaggi, dove nulla è come sembra e la mente si trasforma in un labirinto senza uscita.

Nonostante il titolo argentiano imposto dalla produzione, il film si concentra non tanto sulla scoperta dell'identità dell’assassino, quanto sulla messa in scena di Fulci che, alternando sequenze oniriche di grande impatto visivo, si diverte ad attaccare l'odiata psicanalisi, ritraendo l'ipocrisia della borghesia inglese, nei suoi salotti ovattati e dai dialoghi educatamente vuoti, attratta — e al tempo stesso terrorizzata — dal mondo "sporco" e sfacciato di chi vive senza freni tra sesso, droga e libertà. 
Florinda Bolkan, sensuale ma mai volgare, inquieta ma sempre elegante, regge l’intera narrazione. Anita Strindberg incarna invece il desiderio in forma pura, quasi mitologica. Intorno a loro, uomini che non capiscono, psicologi con fare rassicurante e un paio di hippie del periodo.
Accompagnato dalle dissonanti musiche di Ennio Morricone, Fulci inserisce in Una lucertola con la pelle di donna la sua vena più disturbante e personale, mescolando i generi e ritraendo una Londra visionaria, abitata da killer in impermeabile, scale vertiginose, pipistrelli isterici e cani vivisezionati. Proprio questa scena portarono Fulci in tribunale con l'accusa di crudeltà verso gli animali. Carlo Rambaldi, l'autore degli effetti speciali, dovette presentare in aula i modelli animatronici per dimostrare che nessun animale era stato realmente maltrattato, salvando così il regista da una possibile condanna. Ovviamente all'epoca il film subì numerosi tagli di censura che andarono a eliminare le sequenze più violente e le scene di sesso delle due protagoniste. Fortunamente oggi possiamo facilmente recuperare il film nella sua versione originale.

Pur con una sceneggiatura parecchio confusionaria a e qualche pausa eccessivamente dilatata che spezza il ritmo della tensione, Una lucertola con la pelle di donna colpisce per la potenza visiva delle sue sequenze oniriche, costruite con una cura e un senso dell’estetica davvero notevoli. Nel pieno fermento del thriller all’italiana, il film si distingue come una delle vette del genere, non solo per lo stile elegante e ricercato, ma anche per la capacità di muoversi fuori dai binari argentiani, scegliendo una strada più psicologica e allucinata.
Conoscevo Fulci soprattutto per i suoi film horror, ma questo lato "giallo" del suo cinema si sta rivelando una scoperta interessante. 

Film
Thriller
Giallo
Italia
1971
martedì, 8 aprile 2025
...

Il gatto a nove code

di Dario Argento

Nei primi anni settanta, dopo il clamoroso successo de L’uccello dalle piume di cristallo, Dario Argento torna dietro la macchina da presa con Il gatto a nove code, secondo tassello della cosiddetta "trilogia degli animali" – saga non ufficiale unita più dai titoli zoologici che da un vero filo conduttore. Meno impattante del suo predecessore e meno visionario del successivo Quattro mosche di velluto grigio, questo film si colloca come un’opera di transizione, un capitolo intermedio che, pur con i suoi limiti, si rivela fondamentale per la crescita stilistica e narrativa del regista romano. Un film di passaggio, sì, ma tutt’altro che trascurabile.

La vicenda prende il via con un misterioso furto in un laboratorio di genetica di Torino. Non viene sottratto nulla, ma il giorno dopo uno degli scienziati finisce sotto un treno in circostanze decisamente sospette. A interessarsi al caso sono Franco Arno (Karl Malden), un ex giornalista cieco con un fiuto da detective e una nipotina sveglia, e Carlo Giordani (James Franciscus), un reporter d’assalto pronto a tutto.I due iniziano a scavare tra piste inconcludenti, silenzi sospetti e una catena di omicidi sempre più inquietanti. Tutto sembra ruotare attorno a quell’istituto scientifico, dove si conducono ricerche d'avanguardia sulla genetica e la predisposizione al crimine.

Il gatto a nove code è un thriller dal ritmo serrato, con un montaggio dinamico e un uso costante della soggettiva dell'assassino, spesso anticipata da un inquietante primo piano di una pupilla dilatata. Gli omicidi iniziando a diventare più brutali, ma ancora relativamente “anemici” rispetto agli standard futuri di Argento. Le atmosfere sono ben costruite, ricche di tensione e con evidenti influenze hitchcockiane ma anche con una vena ironica e personaggi quasi caricaturali che alleggeriscono la tensione. Tecnicamente il film funziona. La regia è solida, la fotografia elegante e il tutto è supportato dalla colonna sonora di Ennio Morricone. Bravi Karl Malden e James Franciscus. Meno convincente Catherine Spaak, bella ma legnosa, con una scena di sesso che sembra uscita da una pubblicità vintage del dopobarba.

Certo, è un film imperfetto. A volte sbilenco, con una sceneggiatura che zoppica e un finale che lascia l’amaro in bocca più per le promesse mancate che per il colpo di scena. Ma è anche l’opera di un autore in piena evoluzione, che inizia a maneggiare con sicurezza i ferri del mestiere e che, con la sua cifra stilistica sempre più definita, comincia a lasciare un’impronta inconfondibile nel giallo all’italiana.

Film
Thriller
Giallo
Italia
1971
Retrospettiva
martedì, 25 marzo 2025
...

E non liberarci dal male

di Joël Séria

Censurato in Francia e in altri paesi per le sue tematiche provocatorie e dissacranti, E non liberarci dal male (Mais ne nous délivrez pas du mal, 1971) di Joël Séria è un film che inquieta e affascina al tempo stesso. Ispirato al caso Parker-Hulme – lo stesso che diede origine a Creature del cielo di Peter Jackson – racconta una discesa vertiginosa negli abissi della giovinezza corrotta, dove la trasgressione si confonde con la seduzione del male.

Anne (Jeanne Goupil) e Lore (Catherine Wagner), due adolescenti benestanti cresciute in un ambiente cattolico repressivo, stringono un legame di amicizia ossessivo e morboso. Tra le mura del collegio, insofferenti alle regole e annoiate da una realtà che non le soddisfa, scoprono nella trasgressione un nuovo gioco, un modo per sentirsi vive. Affascinate dall’idea del male come atto di ribellione assoluta, il loro viaggio nell'oscurità inizia con piccoli atti di disobbedienza e giochi maliziosi alla scoperta della loro sessualità, finendo – con il sopraggiungere delle vacanze – per degenerare in rituali satanici, seduzioni avventate di uomini fragili e crudeltà di ogni genere. Quando il loro universo di fantasie oscure si scontra con la realtà, l’unico epilogo possibile è una tragedia rituale che suggella il loro patto eterno.

Joël Séria costruisce un film diabolico, pervaso di erotismo e dissacrazione, che racconta il progressivo disfacimento morale di due adolescenti (in realtà le attrici erano appena maggiorenni, ma nel film dimostrano molti anni di meno), tra insofferenza religiosa, primi desideri sessuali e voglia di evasione. Anne e Lore non sono vittime di un mondo crudele, ma due ragazze che cercano di sfuggire alla monotonia della loro esistenza e alle loro famiglie borghesi, più attente alle apparenze che ai sentimenti, consegnandosi al male, a Satana e alla propria autodistruzione. Così, in una torrida estate francese, danno fuoco a una fattoria, celebrano messe nere con un giardiniere mentalmente instabile, torturano animali, si offrono agli uomini con malizia. E infine, compiono un omicidio.

Il contrasto tra la loro innocenza apparente e la brutalità delle loro azioni amplifica il senso di inquietudine. I loro sorrisi, la loro leggerezza, rendono tutto ancora più disturbante. Il film culmina in una scena finale che ha il sapore di un sacrificio blasfemo.

E non liberarci dal male ancora oggi conserva intatta la sua carica disturbante. Un film pruriginoso, provocatorio, spietato, che non offre risposte, ma affonda le mani nel torbido dell’adolescenza, portando all'estremo i suoi incubi più morbosi.

Film
Drammatico
Erotico
Francia
1971
domenica, 9 marzo 2025
...

La pelle di Satana

di Piers Haggard

La Pelle di Satana (The Blood on Satan’s Claw), diretto da Piers Haggard nel 1971, è un film inglese prodotto dalla Tigon che, pur con le sue ingenuità e un budget limitato, si è ritagliato un posto d’onore tra gli appassionati di folk horror. Stiamo parlando di un genere che, per chi non lo sapesse, mescola superstizioni, credenze e rituali arcaici legati alla natura e alle tradizioni popolari, che verrà definito un paio di anni più tardi nel più riuscito The Wicker Man di Robin Hardy.

Siamo in un remoto villaggio rurale dell’Inghilterra del XVIII secolo. Un contadino, mentre ara il campo, scopre un corpo con un braccio artigliato, appartenenti a qualcosa di decisamente poco umano. Quando mostra il ritrovamento al giudice del villaggio, i resti spariscono misteriosamente, ma da quel momento iniziano a verificarsi strani eventi. Gli abitanti del villaggio iniziano a sviluppare delle inquietanti macchie cutanee pelose, mentre altri si abbandonano a comportamenti sempre più disturbanti. La giovane Angel Blake (una Linda Hayden in stato di grazia, eterea e maledettamente seducente) emerge come la leader di una setta che, tra rituali pagani, sacrifici umani e un progressivo delirio collettivo, trascina il villaggio in un vortice di follia. Solo il giudice, interpretato con carisma da Patrick Wymark, cercherà di fermare il contagio diabolico prima che sia troppo tardi.

La Pelle di Satana è un horror imperfetto, che ha una sceneggiatura scricchiolante, sopratutto nella seconda parte, degli effetti speciali mediocri e un cast modesto. Dalla sua ha però ha una cura nel montaggio, una buona fotografia, e una ottima colonna sonora di Marc Wilkinson, anche se a volte troppo invadente. Nulla di imprescindibile dunque, ma per gli appassionati di folk horror gli ingredienti giusti non mancano. I paesaggi desolati, una buona ricostruzione storica, momenti disturbanti, come la sequenza dello stupro rituale e l’erotismo morboso che permea il personaggio di Angel Blake, censurato negli Stati Uniti per il nudo integrale di Linda Hayden. Non è paragonabile ai grandi classici dell'horror britannico, anche perchè siamo più in territorio B-movie, ma per chi ama il folk horror e le atmosfere malsane, resta un titolo da recuperare. Anche solo per vedere Linda Hayden mentre cerca di sedurre un prete con lo sguardo di chi ha già prenotato un biglietto per l’inferno.

Film
Horror
UK
1971
giovedì, 19 settembre 2024
...

Il dittatore dello stato libero di Bananas

di Woody Allen

Secondo film di Woody Allen in qualità di regista, Il dittatore dello stato libero di Bananas (in originale semplicemente Bananas) è una commedia satirica che intreccia assurdo e politica scritta da Allen insieme all'amico d'infanzia Mickey Rose.

La storia vede come protagonista Fielding Mellish (interpretato da Woody Allen), un giovane impacciato e imbranato che lavora come collaudatore di brevetti per una compagnia industriale. Un giorno incontra Nancy (Louise Lasser), una giovane attivista politica, e inizia con lei una relazione. Tuttavia, quando Nancy lo lascia perché lo ritiene immaturo e incapace di impegnarsi seriamente nelle questioni che le stanno a cuore, Fielding decide di dimostrarle il contrario. Nel tentativo di riconquistare l'ex fidanzata, Fielding si reca nello stato latino-americano di Bananas, un paese fittizio che è caduto sotto la dittatura militare del generale Vargas. Qui, tra una serie di eventi assurdi e tragicomici, viene catturato dai ribelli e, dopo rocambolesche peripezie, finisce addirittura a capo del nuovo governo rivoluzionario.

Il film è una satira al limite del demenziale sui totalitarismi e le ideologie estreme. Anche se non tutte le gag sono riuscite, alcune scene rimangono memorabili, come l'addestramento dei rivoluzionari, il sogno delle croci che litigano per il parcheggio e l'improbabile discorso al popolo del piccolo stato latino-americano. L’umorismo di Allen è spesso più buffo che brillante, e in molte scene si rifà alle comiche del muto. Tuttavia, riesce a strappare risate grazie a un ritmo scoppiettante e a trovate geniali, come la dichiarazione di nuove assurde leggi dello Stato, tra cui il celebre decreto che impone a tutti di indossare la biancheria intima sopra i vestiti.
Numerose sono le citazioni cinematografiche. La scena del collaudo ricorda l'episodio della macchina che nutre gli operai in Tempi Moderni di Chaplin, mentre la carrozzina che precipita da una scalinata è un evidente omaggio alla celebre sequenza de La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn, da noi resa celebre dalla parodia di Paolo Villaggio in Fantozzi. In una delle scene ambientate nella metropolitana, compare persino un giovane Sylvester Stallone, che interpreta uno dei teppisti.
In questo film la comicità di Woody Allen è fatta di gag e situazioni al limite del demenziale, ma nello scambio di battute con Louise Lasser (che all'epoca era la sua ex moglie) già si intravedono i primi segni della sua ironia sofisticata e intellettuale che diventerà distintiva nelle sue opere successive.

Film
Commedia
satirico
USA
1971

© , the is my oyster