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venerdì, 29 agosto 2025
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Oculus - Il riflesso del male

di Mike Flanagan

Ho conosciuto e apprezzato Mike Flanagan soprattutto grazie alle serie prodotte per Netflix, in particolare The Haunting of Hill House, che considero una delle serie horror più riuscite degli ultimi anni. Fino a oggi, però, non avevo mai visto i suoi primi lungometraggi. Ho quindi deciso di colmare questa lacuna partendo da Oculus - Il riflesso del male, film uscito nel 2013 tratto da un cortometraggio che lo stesso Flanagan aveva realizzato nel 2006.

La storia ha come protagonisti Tim (Brenton Thwaites) e Kaylie Russell (Karen Gillan), fratello e sorella segnati da un passato traumatico. Dieci anni prima i loro genitori sono stati uccisi e Tim, ancora bambino, è stato ritenuto il responsabile. Dopo un lungo periodo trascorso in un istituto psichiatrico, il ragazzo cerca di lasciarsi tutto alle spalle, ma la sorella non ha mai smesso di indagare. Kaylie è infatti convinta che la tragedia sia legata a un antico specchio maledetto che si trovava nella loro casa d’infanzia. Anni di ricerche l’hanno portata a scoprire una lunga scia di omicidi e sciagure legata all’oggetto, che ora è riuscita a recuperare. Determinata a dimostrarne il suo malvagio potere, convince Tim ad aiutarla in una serie di esperimenti, con l’obiettivo di smascherare la verità.

Oculus è un omaggio al cinema gotico di un tempo, con lo specchio maledetto – oggetto che fin dai miti e dalle fiabe, da Biancaneve alle leggende popolari, ha alimentato l’immaginario come simbolo di verità distorta e presagio di sventura – che diventa il fulcro per raccontare la tragedia di una famiglia precipitata nella follia, in un vortice dove la realtà si confonde con allucinazioni e incubi.
Uno degli elementi più riusciti è la struttura temporale, che intreccia passato e presente fino a sovrapporli, trasformando la casa in uno spazio mentale abitato da memorie e presenze. Il ritmo è ben calibrato, con tensione crescente e poche concessioni a jumpscare o splatter, sostituiti da un’atmosfera costante di disagio.
Meno incisivo il cast, con le interpretazioni dei due giovani protagonisti che non restano impresse e il padre che scimiotta un po' troppo il Jack Torrence di Shining. Sicuramente meglio la madre "animalesca".
Il finale, amaro ma in parte prevedibile, suggella la sovrapposizione tra presente e passato, coerente con il percorso del film. Oculus non è destinato a entrare nel novero dei classici dell’horror contemporaneo come Sinister o The Conjuring, ma resta un’opera solida che, pur con qualche ingenuità legata all’esordio e al budget limitato, riesce a distinguersi e a centrare i suoi obiettivi.

Film
Horror
USA
2013
domenica, 17 agosto 2025
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Nymphomaniac

di Lars von Trier

Nymphomaniac, il film scritto e diretto da Lars von Trier nel 2013, che insieme ad Antichrist e Melancholia conclude la cosidetta "trilogia della depressione", è un film decisamente impegnativo. Sia per la durata, il tema e la messa in scena.
Presentato al Festival di Berlino 2014 e poi alla Mostra di Venezia, il film, a causa della sua lunghezza (all'incirca quattro ore) è stato diviso in due pellicole distinte e proiettato nelle sale con diversi tagli. Successivamente è stato distribuito, in DVD e BlueRay, la director's cut, la versione definitiva voluta dal regista danese, sempre divisa in due film, ma della durata complessiva di circa cinque ore e mezza.
Io, ovviamente, mi sono visto la versione definitiva. La versione dove, oltre ai dialoghi nella loro interezza, ci sono le scene di sesso, che tanto hanno fatto scalpore e scandalo, mostrate in modo esplicito.

Diviso in otto capitoli più un epilogo, Nymphomaniac è la storia di Joe (interpretata da Charlotte Gainsbourg), una donna che si definisce "ninfomane". Ritrovata in un vicolo, sanguinante e piena di contusioni dal vecchio Seligman (Stellan Skarsgård), accetta di essere portata a casa dell'uomo per farsi curare. Tra una tazza di tè e un letto in cui riposare, Joe decide di confidargli la sua vita, iniziando dal periodo giovanile (interpretata da Stacy Martin). Nel lungo racconto emergono le prime esperienze sessuali, i rapporti compulsivi e le relazioni emotivamente distaccate, in un percorso che ripercorre la sua evoluzione erotica fin dall’infanzia.

Dopo l’horror di Antichrist e la fantascienza apocalittica di Melancholia, con Nymphomaniac Lars von Trier affronta il tema della pornografia. Ma attenzione, non si tratta di un film pensato per suscitare eccitazione. Le scene di sesso, pur esplicite e con i genitali in primo piano, non hanno nulla di seducente o invitante. Sono atti compulsivi, freddi, quasi meccanici, più vicini a una fame bulemica che a un piacere condiviso. Von Trier utilizza il sesso come strumento narrativo e provocatorio, un’esca per attirare lo spettatore, così come il pescatore fa con i pesci. E lo fa con una consapevolezza calcolata, basti pensare alla campagna promozionale del film, con i poster degli attori ritratti nel momento dell’orgasmo, che generò scandalo e curiosità in parti uguali.
Le scene più spinte – amplessi con doppia penetrazione, fellatio, sadomasochismo – non sono state girate dagli attori principali. Come ha spiegato al tempo la produttrice Louise Vesth, questi simulavano i rapporti, mentre le controfigure (probabilmente degli attori porno) li eseguivano realmente. In fase di montaggio, grazie alla post-produzione digitale, i due materiali venivano fusi in un’unica immagine.
Tolte le scene di sesso, che rientrano nella narrazione e che dopo un pò passano in secondo piano, la scena che mette davvero alla prova lo spettatore è probabilmente quella dell’aborto autoindotto da Joe, girata senza filtri né anestesia. Una sequenza cruda e disturbante, reso ancora più insostenibile dagli inserti radiografici. È uno dei tanti esempi di come Von Trier porti il corpo femminile al limite, privandolo di qualsiasi grazia per mostrarne la sofferenza e la disperazione.

Al di là delle provocazioni, il film è un’esplorazione cupa e spietata della sessualità femminile, decisamente al negativo. Joe si racconta senza filtri, svelando un percorso segnato da alienazione, dolore e incomprensioni. È anaffettiva, egoista, crudele. Rifiuta l’amore considerandolo una debolezza, un ostacolo al desiderio. Non a caso, con Jerome – l’uomo più importante della sua vita, da cui avrà una gravidanza indesiderata – non riesce a provare orgasmo. Ciò che sperava fosse una cura alla depressione si rivela invece la malattia stessa: il sesso come dipendenza, come voragine che alimenta frustrazione e insoddisfazione. Da qui la deriva verso esperienze sempre più estreme, fino al coinvolgimento nella criminalità.
Seligman, il suo interlocutore, rappresenta l’altra faccia, quella più razionale e logica. Ascolta con calma, interviene con divagazioni filosofiche, religiose, matematiche. Paragona la vita di Joe a Bach, ai numeri di Fibonacci, al fly fishing, cercando sempre un appiglio razionale che gli permetta di assolverla, di ricondurre il caos a un ordine che in realtà non esiste.

Sul piano tecnico, Von Trier alterna cinepresa a mano, split screen, bianco e nero, sovrimpressioni, costruendo un linguaggio visivo frammentato ma coerente. A risaltare è soprattutto la direzione degli attori. Charlotte Gainsbourg offre una prova intensa, mentre Stacy Martin porta sullo schermo la fase giovanile di Joe con sorprendente naturalezza. Tra i comprimari spiccano Uma Thurman in una scena memorabile, otto minuti di pura disperazione nei panni di una moglie tradita, e Christian Slater nel ruolo del padre di Joe. Accanto a loro Shia LaBeouf che interpreta Jerome, Jamie Bell, Connie Nielsen, una giovanissima Mia Goth alla sua prima esperienza cinematografica, e l’immancabile Willem Dafoe. Un cast internazionale, eterogeneo e sorprendentemente compatto.

Arrivati alla fine di questa maratona, resta la sensazione di aver assistito a un film ambizioso, imperfetto, sfrontato. Nymphomaniac è politicamente scorretto, la protagonista viene descritta come una donna moralmente riprovevole, e il sesso non è mai liberazione ma malattia. Non stupisce che Von Trier sia stato accusato di misoginia, ma al tempo stesso bisogna riconoscergli il coraggio di spingersi oltre i confini del cinema, sfidando lo spettatore. In fondo, più che sul sesso, Nymphomaniac è un film sull’isolamento e la solitudine. Il finale, che capovolge il ruolo di Seligman, non offre alcuna redenzione. Un pugno nello stomaco che ti lascia senza fiato.
È un’opera che non lascia indifferenti. Disturbante, spietato, a tratti respingente, ma capace di imprimersi con forza. Nel bene e nel male.

Film
Drammatico
Erotico
Danimarca
2013
venerdì, 28 marzo 2025
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The Conjuring - L'Evocazione

di James Wan

James Wan non è mai stato un regista che mi appassiona più di tanto. Il suo nome è legato principalmente a Saw (di cui ha diretto il primo capitolo), e diversi horror di facile consumo fatti di jumpscare ben realizzati, un estetica da manuale e un’estrema pulizia visiva. Un regista che conosce il mestiere, ha capito cosa vuole il pubblico e sa come offrirglielo, ma il cui cinema sembra più attento al confezionamento che alla sostanza.

The Conjuring del 2013 rappresenta la sintesi perfetta delle sue abilità e dei suoi limiti, un film che prende il gotico classico, lo aggiorna con una regia moderna e lo arricchisce di jumpscare perfettamente calcolati. Il risultato è un film elegante nella messa in scena, efficace nell’intrattenimento, ma che difficilmente lascia il segno.

Il film (distribuito in Italia con il sottotitolo L'Evocazione) si basa su una delle tante indagini condotte da Ed e Lorraine Warren, celebri demonologi e studiosi del paranormale, il cui archivio di presunti casi reali ha ispirato numerosi film, tra cui il più famoso Amityville Horror.

La vicenda segue la famiglia Perron, che nel 1971 si trasferisce in una casa di campagna nel Rhode Island, ignara del male che vi si annida. Quando eventi inspiegabili iniziano a tormentare i due coniugi e le loro cinque figlie, Carolyn Perron (Lili Taylor) si rivolge agli investigatori del paranormale Ed e Lorraine Warren (Patrick Wilson e Vera Farmiga). La coppia di demonologi scopre che la casa è infestata dallo spirito di una strega, Bathsheba, e che l’entità sta prendendo il controllo di Carolyn. Mentre la possessione si intensifica, i Warren devono affrontare il male in una lotta contro il tempo per salvare la famiglia.

The Conjuring è un film che fa esattamente quello che promette. Spaventa, intrattiene e confeziona un’esperienza horror accessibile a un pubblico ampio. Wan costruisce la tensione con un ritmo perfettamente studiato, giocando con movimenti di macchina fluidi, suoni diegetici e un uso calibrato del silenzio per amplificare l’effetto degli spaventi. Ogni jumpscare è progettato con precisione matematica, e il risultato è un horror che funziona come una giostra dell'orrore. Nonostante il film sia pieno zeppo di cliché – dai battiti insistenti sulle pareti al gioco del battimani, dal carillon inquietante alla bambola posseduta – la regia attenta e il montaggio chirurgico riescono comunque a far sobbalzare lo spettatore meno smaliziato. Sul piano visivo, il film richiama il cinema gotico con le sue case scricchiolanti, le ombre minacciose e una fotografia dalle tonalità desaturate.

Rivedendolo oggi, The Conjuring si conferma un horror costruito con grande mestiere, curato nella regia e impeccabile sul piano tecnico. Funziona nell’immediato, con una tensione ben calibrata e momenti di puro spavento, ma, almeno per me, manca di quel senso di inquietudine duraturo che distingue gli horror più incisivi. Ovviamente il film ha incassato milioni, conquistato il pubblico e dato il via a un’intera saga fatta di sequel e spin-off, segno che Wan ha saputo intercettare esattamente ciò che gli spettatori volevano.

Film
Horror
Possessione demoniaca
USA
2013
Retrospettiva
martedì, 14 gennaio 2025
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Coherence

di James Ward Byrkit

Di recente mi è capitato di vedere un video che elencava i 75 migliori film di fantascienza. Più che la classifica in sé, ciò che davvero mi interessava era scoprire titoli sconosciuti. Tra questi, mi sono imbattuto in Coherence, un film del 2013 diretto da James Ward Byrkit.

Girato con un budget ridottissimo – letteralmente nella casa del regista, al suo esordio dietro la macchina da presa – Coherence è arrivato in Italia direttamente sul mercato home video, accompagnato dal sottotitolo Oltre lo spazio tempo. Nonostante i mezzi limitati, il film riesce a creare un’atmosfera e una tensione intrigante, dimostrando come l'ingegno possa supplire alla mancanza di risorse.

La trama si sviluppa quasi interamente all’interno di una casa, dove otto amici si riuniscono per una cena proprio la sera in cui una cometa transita pericolosamente vicino alla Terra. Quella che inizia come una normale serata tra brindisi e conversazioni, prende presto una piega inquietante: i cellulari si rompono senza motivo, internet e le linee telefoniche cessano di funzionare, e un blackout avvolge l’intero quartiere. In cerca di aiuto i protagonisti si avventurano verso l’unica casa con la luce rimasta accesa ma quando sbirciano dalle finestre trovano al suo interno loro stessi.

Coherence attinge a piene mani dalle teorie del multiverso e della meccanica quantistica, tirando inevitabilmente in ballo il gatto di Schrödinger – quello che, poveretto, non si sa mai se è vivo o morto. Il film si sviluppa come un puzzle mentale denso e volutamente caotico, dove i personaggi si perdono nelle loro stesse versioni alternative, trascinati in un vortice di paranoia e confusione crescente. L’idea di base è senza dubbio affascinante, e l’intreccio narrativo stimola la riflessione sulle infinite possibilità offerte da un universo frammentato in realtà parallele.

Eppure, qualche nodo non torna del tutto. La scelta di utilizzare la camera a mano – un po’ alla Lars von Trier dei tempi Dogma – si rivela più fastidiosa che immersiva, mentre la recitazione improvvisata tende spesso a scivolare nel caos, con toni urlati che non aiutano a mantenere il filo (e il doppiaggio italiano non aiuta di certo). Inoltre, il legame tra il passaggio della cometa e gli eventi straordinari che ne scaturiscono appare un po' forzato, riuscendo a essere poco credibile.

Detto questo, Coherence resta un film che merita una visione, se non altro per l’audacia dell’idea e il coraggio di sperimentare con risorse minime. Scherzando, potremmo definirlo una versione sci-fi di Perfetti Sconosciuti che si è persa in un episodio surreale di Ai confini della realtà. Un’esperienza intrigante, imperfetta, ma assolutamente da provare.

Film
Fantascienza
USA
2013
martedì, 12 marzo 2024
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Jodorowsky's Dune

di Frank Pavich

Il Dune di Jodorowsky è una delle leggende più affascinanti della storia del cinema.
Il documentario realizzato da Frank Pravich nel 2013 racconta la storia del più grande film non realizzato, la mancata trasposizione per il grande schermo del romanzo fantascientifico Dune di Frank Herbert da parte del visionario artista cileno Alejandro Jodorowsky, raccogliendo le interviste dello stesso Jodorowsky e dei vari protagonisti coinvolte all'epoca nel progetto.

Nel 1973, Alejandro Jodorowsky, scrittore, poeta e artista a tutto tondo noto per il suo stile surrealista e provocatorio, si trovava all’apice della popolarità come regista, dopo la realizzazione di due cult movie come El Topo e La montagna sacra. Il suo sogno era quello di realizzare il film più importante della storia del cinema, così, con la complicità del produttore francese Michel Seydoux che era riuscito a prendere i diritti dal libro di Herbert, decise di realizzare un film traendo spunto dalla saga fantascientifica di Dune. Jodorowsky però non voleva adattare Dune in una semplice trasposizione cinematografica, il suo film doveva essere un'odissea visiva che avrebbe sconvolto il mondo e rivoluzionato il cinema. Nel documentario Jodorowsky dice: "Volevo fare un film che avrebbe dato alla gente, che all'epoca faceva uso di LSD, le allucinazioni che si hanno con quella droga, ma senza allucinogeni. Questo film avrebbe dovuto cambiare le percezioni del pubblico ". Spinto da un incontenibile entusiasmo e grazie alla credibilità acquisita con i film precedenti, Jodorowsky inizia a reclutare una squadra di talenti e artisti di primo piano. Il primo tra questi è il fumettista francese Jean Giraud noto con il nome d’arte Moebius - probabilmente il più grande disegnatore di fantascienza di tutti i tempi - al quale Jodorowsky affida il compito di realizzare gli storyboard, ovvero le vignette delle inquadrature scena per scena. A occuparsi di disegnare le astronavi sceglie l'illustratore inglese Chris Foss , all'epoca autore di numerose copertine di libri di fantascienza. Per realizzare il mondo degli Harkonnen (i "cattivi" di Dune) viene arruolato l'artista svizzero H. R. Giger noto per le sue opere cupe e sinistre. Per la musica e la colonna sonora vengono contattati i Pink Floyd, mentre per gli effetti speciali l'incarico viene affidato a Dan O’Bannon (che aveva lavorato agli effetti speciali di Dark Star, un film di John Carpenter) dopo che Douglas Trumbull , colui che realizzò gli effetti di 2001: odissea nello spazio di Kubrik, venne scartato perchè Jodorowsky lo ritenne inadatto "spiritualmente".

Veniamo ora agli attori. Il figlio di Jodorowsky viene scelto per fare Paul, il protagonista. Gli altri attori coinvolti sono David Carradine nel ruolo del duca Leto, Gloria Swanson, Alain Delon e Mick Jagger. Ma le stelle che più di ogni altro Jodorowsky voleva nel suo film erano Orson Wells e Salvatore Dalì. Il primo avrebbe dovuto interpretare il Barone Vladimir Harkonnen (il capo degli Harkonnen, che nel romanzo è descritto come un uomo laido e obeso) mentre Dalì, che non aveva mai recitato in vita sua, doveva essere l'imperatore galattico Shaddam IV. Nel documentario c'è l'intervista di Amanda Lear, al tempo amante e musa di Dalì, la quale racconta che Jodorowsky, per convincerlo, gli propose di essere l’attore con la paga più alta "al minuto", 100.000 dollari al minuto. Jodorowsky avrebbe girato due, tre minuti mentre il resto della scena sarebbe stata affidata a un robot a lui somigliante. Dalì accetta a patto di potersi poi tenere il robot.

Composto la squadra di artisti, realizzato lo storyboard e trovati gli attori, Jodorowsky si mette alla ricerca dei fondi per girarlo, dato che quelli che aveva a disposizione non bastavano. La colossale e ambiziosa opera, della durata di oltre dieci ore e dai costi di produzione diventati altissimi, viene proposto alle maggiori case di produzione di Hollywood. I produttori, sfogliando il grande libro con la sceneggiatura illustrata da Moebius, rimangono affascinati, ma alla fine nessuno di loro se la sente di investire in un progetto così oneroso affidandolo peraltro a un regista di nicchia poco incline ai compromessi e completamente estraneo allo showbiz di Hollywood.

Alla fine il film non si fece.

Alcuni anni più tardi, come ben sappiamo, Dune venne realizzato da De Laurentis per la regia di David Lynch. Nel documentario Jodorowsky afferma di aver provato tanta frustrazione sapendo che il suo "sogno" lo stava realizzando qualcun'altro ma dopo averlo visto ammette di essere stato felice perchè il film era davvero brutto.

Alla fine del Dune di Jodorowsky rimangono le bozze di produzione di Moebius, le illustrazioni affascinanti di Giger e Foss e tutte le storie dietro le quinte che questo film mai realizzato si porta dietro. Il fermento artistico, l'energia creativa incanalata in questo folle progetto, oltre a lasciare nelle persone che ci lavorarono un segno profondissimo, negli anni successivi si è riversato in altre direzioni prendendo forme diverse. Jodorowsky insieme a Moebius è l'autore de L'Incal, una delle più interessanti e innovative space opera a fumetti, H.R. Giger ha realizzato le scenografie e le fattezze dello xenomorfo di Alien, mentre molte delle idee e delle scene presenti nello storyboard del Dune di Jodorowsky si possono ritrovare nel primo Star Wars del 1977.

Rimane la "bibbia", la sceneggiatura disegnata da Moebius del Dune di Jodorowsky. Un paio di anni fa una delle poche copie al mondo è stata comprato a una asta per 2,6 milioni di euro da un collettivo di internet (SpiceDao) con l'intento di realizzare una serie televisiva. Peccato che acquistare una copia di un libro non conferisce al compratore di avere i diritti sull'opera. In tutti i modi grazie a questa "comunità" ora, facendo le dovute ricerche nei canali dedicati, è possibile 'sfogliare' questa opera incompiuta immergendosi in una delle leggende più affascinanti e avvincenti dell'universo cinematografico.

Film
Documentario
2013

© , the is my oyster