
Primo Amore
di Matteo Garrone
Dopo il successo de L’imbalsamatore, che lo aveva imposto all’attenzione della critica come una delle voci più originali del nuovo cinema italiano, Matteo Garrone nel 2004 torna alla regia con Primo amore. Un titolo che potrebbe suggerire una storia sentimentale convenzionale ma che, al contrario, si ispira invece a un fatto di cronaca realmente accaduto alla fine degli anni novanta, narrato dal protagonista stesso nel libro "Il cacciatore di anoressiche".
La storia vede come protagonista Vittorio (Vitaliano Trevisan), un orafo vicentino, che incontra Sonia (Michela Cescon) ad un appuntamento al buio in una stazione degli autobus. La prima frase che pronuncia Vittorio è "ti immaginavo più magra". Nonostante il campanello di allarme e i dubbi sulla possibilità di riuscita del loro rapporto, i due iniziano a frequentarsi. Vittorio è attratto dalla dolcezza e l'intelligenza della ragazza ma è ossessionato dalla magrezza, il suo ideale di donna deve avere un corpo scheletrico. Sonia sembra essere attratta dal suo lato oscuro e sebbene percepisca qualcosa di dissonante in lui, accetta di dimagrire, quasi come un atto d’amore.
Quello che sembra un semplice sacrificio affettivo si trasforma gradualmente in una prigionia fisica. I due vanno a vivere insieme e Vittorio inizia a sorvegliare ossessivamente il peso di Sonia, imponendo regole di controllo estremo e nascondendole il cibo. Sonia smette di riconoscersi, vede il proprio corpo consumarsi e scivola in un incubo di deperimento e autodistruzione.
Primo Amore è la storia di due solitudini che si incontrano e si consumano dentro un’ossessione. Da un lato c’è un uomo malato, possessivo e violento, incapace di vivere un sentimento se non attraverso il controllo, dall’altro una donna fragile, che si lascia trascinare in una spirale di sottomissione psicologica fino a perdere se stessa. Dimagrendo, Sonia non perde soltanto il corpo ma anche la vitalità, l’identità e i luoghi affettivi che la definivano.
Il cuore del film sta proprio nel tentativo disperato di cambiare l’altro, di piegarlo a un ideale, di plasmarlo come fosse materia grezza. Non è un caso che Vittorio sia un orafo: la bilancia, la precisione maniacale e la ricerca della perfezione diventano simboli di un amore trasformato in ossessione. È così che il rapporto si fa lentamente perversione psicologica. Vittorio domina Sonia attraverso il controllo del corpo, mentre lei oscilla tra il desiderio di essere ammirata e quello di scomparire, divisa tra masochismo e bisogno di riconoscimento.
Molto brava la prova di Michela Cescon, che si è sottoposta pure ad un dimagrimento di quindici chili. Più debole la prova di Vitaliano Trevisan, che ha preso parte con Garrone alla sceneggiatura. Comprendo che il suo personaggio deve essere volutamente cupo e poco comunicativo, ma i suoi dialoghi sono spesso al limite del comprensibile, e non è tanto per il dialetto veneto. Sono biascicati, borbottii, confusi con i rumori di fondo. Magari sarà stata una scelta pure voluta ma io l'ho trovata penalizzante. Per la cronaca Trevisan pare avesse dei disturbi psichici e si è suicidato nel 2022.
Passando alla regia, Garrone dirige con uno stile sobrio e implacabile, fatto di inquadrature statiche e ambienti spogli che trasmettono claustrofobia. Molto belle alcune sequenze, come quella con i volti dei protagonisti sfocati, ridotti a fantasmi, mentre il resto che li circonda è perfettamente distinguibile, oppure la cena al ristorante dai toni grotteschi - ripresa da un episodio realmente accaduto, ma mache l’allucinazione delle cipolle scambiate per cosce di pollo, fino alla scena con Sonia, nuda e scheletrica, contro la parete della cantina. Una immagine che richiama drammaticamente il ricordo di un lager.
Primo Amore è un film cupo e disperato, girato con uno stile iperrealistico e personale, tratta un tema delicato senza essere troppo eccessivo.
Terminata la visione, ho voluto approfondire la vicenda reale di Marco Mariolini recuperando su YouTube la puntata di Storie maledette in cui Franca Leosini lo intervista in carcere.
Un documento agghiacciante che amplifica ancora di più la sensazione di disagio lasciata dal film.

Lovecraft. Memorie dall'abisso
Hans Rodionoff, Keith Giffen, Enrique Breccia
Howard Phillips Lovecraft è il padre dell’orrore cosmico, l’uomo che ha trasformato la paura dell’ignoto in letteratura. Le sue visioni di divinità aliene e mondi insondabili hanno influenzato generazioni di autori, rendendolo una figura mitica della narrativa horror e weird.
Di recente, Rizzoli Lizard ha ripubblicato una graphic novel dedicata a Lovecraft che mescolando biografia e immaginazione lascia intendere che il mondo orrorifico dei suoi racconti non fosse stato solo frutto della fantasia, ma presenze reali nella vita di un uomo tormentato dagli incubi. Quando l’ho vista in libreria, l’ho acquistata senza pensarci due volte. Solo una volta tornato a casa mi è venuto un dubbio che l’avevo già. E infatti, eccola lì, la prima edizione targata Magic Press, uscita nei primi anni duemila e probabilmente fuori catalogo. Vabbè, ormai il danno era fatto. Tanto valeva rilleggerla e immergermi nelle sue bellissime illustrazioni.
Tutto nasce da una sceneggiatura cinematografica scritta da Hans Rodionoff per un film su Lovecraft mai realizzato. La Vertigo, storica etichetta adulta della DC Comics, decide di trasformarla in fumetto, affidando la riscrittura a Keith Giffen, celebre co-creatore di Lobo, e le illustrazioni a Enrique Breccia, figlio del leggendario Alberto Breccia – autore del classico I miti di Cthulhu.
La storia si svolge negli anni ’20 e ci presenta un giovane Lovecraft, inconsapevole custode del Necronomicon, il famigerato tomo maledetto. Dall’infanzia difficile – con una madre soffocante che lo veste da bambina – fino ai tormenti dell’età adulta, il racconto scava nella mente di uno scrittore dannato, divorato dalle sue stesse visioni.
Se la narrazione oscilla tra biografia e incubo, anche le illustrazioni di Enrique Breccia seguono lo stesso principio. Nei momenti più realistici il tratto è dettagliato e denso, poi, quando l’orrore prende il sopravvento, la tavola esplode in un vortice psichedelico dai contorni sfumati e dai colori distorti, restituendo alla perfezione l’inquietudine visionaria delle opere lovecraftiane.
Un acquisto obbligato per tutti gli amanti del Genio di Providence. E chissà, magari un giorno qualcuno realizzerà davvero quel film.
Fumetti
Primer
di Shane Carruth
Sono sempre stato affascinato dai film dalla trama contorta e complessa, quei film psicologici che richiedono diverse visioni per poterli comprendere pienamente. Un altra mia passione sono i viaggi del tempo e i paradossi temporali. Negli anni ottanta, come tanti ragazzi delle mia età, rimasi folgorato da Back to the Future.
Primer, film scritto, diretto, interpretato e musicato da Shane Carruth, è un film sui viaggi del tempo che si contraddistingue per la sua complessità. E' un film indipendente, privo di effetti speciali, costato la bellezza di 7000$ (neanche un automobile ci compri) che ha a vinto il premio della giuria al Sundance Festival nel 2004, anno in cui è uscito.
La trama vede come protagonisti due ingegneri, Aaron e Abe, che senza volerlo costruiscono una macchina del tempo. Infilandosi in una grossa scatola ronzante che nascondono in un magazzino, i due riescono a tornare indietro nel tempo di qualche ora. In pratica si accende la macchina all'orario in cui si vuole tornare (ad esempio alle 12.00), ci si allontana per evitare di incontrare il proprio doppione, e trascorse le ore in cui si è deciso di quanto sarà lungo il viaggio a ritroso nel tempo (ad esempio di 6 ore) si entra nella scatola temporale (quindi alle ore 18:00) trascorrendo al suo interno il numero di ore pari a quando la macchina del tempo è stata accesa. Uscendo dalla scatola ci si ritroverà al punto di partenza (ovvero nel nostro esempio alle ore 12.00).

Ogni volta che si compie un viaggio nel tempo si crea una nuova linea temporale. Quindi ad ogni viaggio nel tempo corrisponde una timeline diversa che presenta differenze, seppur minime, rispetto alle altre.
Aaron e Abe decidono di sfruttare questa invenzione per arricchirsi in borsa ma quando uno dei due si mette in testa di modificare il corso degli eventi tutto sfugge di mano portando a delle conseguenze terribili e incontrollabili.
Il film è geniale, complesso e volutamente criptico. Non solo non ti viene spiegato ciò che sta succedendo, non solo le numerose linee temporali (alla fine saranno nove) si confondono e si alternano tra di loro, ma ci sono degli eventi di rilievo e dei dettagli che non vengono mostrati e che possono essere intuiti solo attraverso i dialoghi dei due protagonisti. Nonostante il budget ridotto, l'assenza di spettacolarità e la regia acerba, considero Primer il miglior film sui viaggi del tempo perchè il tema viene trattato da un punto di vista teorico e scientifico al punto da farlo apparire perfino credibile, dimostrando quanto a volte siano più importanti le idee e i contenuti che la messa in scena.
Primer è un film che necessita di esser visto tante volte (con questa per me siamo alla quarta) che può esasperare per la difficile comprensione e per come le tematiche vengono affrontate, ma che sicuramente non lascia indifferenti.
Film