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mercoledì, 21 maggio 2025
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La strada

di Federico Fellini

Federico Fellini ottiene il primo successo internazionale con La strada, nel 1954. Presentato in anteprima alla 15ª Mostra del Cinema di Venezia, inizialmente il film non fu accolto con troppo entusiasmo. Anzi, la reazione fu piuttosto fredda, se non apertamente ostile. Pubblico e critica, ancora legati al neorealismo italiano, lo giudicarono troppo sentimentale e onirico, distante dal rigore sociale e realistico dominante all’epoca, mentre numerose critiche colpirono anche l’interpretazione di Anthony Quinn e Giulietta Masina, tanto che Dino De Laurentiis, il produttore, fu tentato di interrompere la distribuzione.
Il tempo però diede ragione a Fellini e La strada vinse l’Oscar per il miglior film straniero nel 1957 (il primo film italiano a ottenere questo riconoscimento), venendo apprezzato da autori come Kurosawa, che lo considerava uno dei film più commoventi mai realizzati. Nel giro di pochi anni, il film passò da essere "incompreso" a "fondamentale", aprendo la strada a una nuova stagione del cinema italiano, più personale, metaforico, spirituale.

La trama segue le vicende di Gelsomina (Giulietta Masina), una giovane donna semplice e dallo sguardo smarrito, venduta dalla madre povera a Zampanò (Anthony Quinn), un rozzo saltimbanco girovago, affinché diventi sua moglie e lo assista durante i suoi spettacoli. Inizia così, in sella a uno sgangherato motocarro, un viaggio attraverso l’Italia più povera e desolata, fatto di strade polverose, paesaggi malinconici e cittadine di provincia, vivendo alla giornata nella speranza di racimolare qualche soldo per campare. Gelsomina, ingenua e sensibile, nonostante la brutalità dell’uomo — che la costringe a cucinare, pulire e assolvere varie incombenze coniugali — rimane devota a Zampanò. L’incontro con il Matto (Richard Basehart), un funambolo gentile e misterioso che si diverte a prendere in giro il burbero Zampanò, le apre uno spiraglio su un altro modo di esistere, dove anche le creature più fragili hanno un senso e un posto nel mondo. Ma la realtà è crudele, e il destino di questi personaggi erranti si consuma nel rimpianto e nella solitudine.

La strada è una favola sull’incomprensione, sull’impossibilità di comunicare davvero, ma anche sull’umanità irriducibile che resiste sotto la crosta della miseria e dell’abbandono. Un viaggio nell’Italia dimenticata, quella delle campagne spoglie, dei paesi di provincia, delle strade fangose, delle baracche traballanti e delle osterie fumose. Gelsomina — con il volto tondo, gli occhi spalancati e i capelli a carciofo — è un personaggio chapliniano sospeso tra la tenerezza e il dolore. Triste, ma con una grazia sghemba, mai compiaciuta. I suoi gesti timidi, i sorrisi sbilenchi, i silenzi pieni di attesa: tutto in lei incarna la purezza dell’ingenuità. È una specie di Pinocchio che non mente, ma che resta prigioniera di un Mangiafuoco muscoloso e ignorante, incapace di vedere il valore delle cose fragili.
Zampanò è un animale ferito che non sa amare e non sa chiedere scusa. Un uomo che distrugge ciò che non capisce, semplicemente perché non sa farne altro.
Il film è costruito come un racconto di formazione senza redenzione, un circo senza tende, dove ogni incontro è una possibilità sprecata. Il Matto, l'acrobata dall'animo gentile — un grillo parlante consapevole del proprio destino — è l’unico a cogliere la bellezza di Gelsomina, a dirle che tutto ha un senso, persino lei. E in quella frase («anche il sasso serve a qualcosa») c’è già tutto il Fellini che verrà. Quello sfumato e trasognato, che non si spiega ma si intuisce.
La musica di Nino Rota accompagna tutto il film con un tema diventato immortale, suonato dalla tromba stonata di Gelsomina, dal violino del Matto o fischiettato da una donna che stende i panni.
La strada è una favola amara e malinconica, un viaggio nel mondo del circo e degli artisti di strada, fatto di attese, crudeltà e piccole epifanie. E quando, alla fine, Zampanò si accascia sulla spiaggia e piange — goffo, solo, disarmato — Fellini ci ricorda che anche i più duri, i più chiusi, forse, hanno amato. Solo troppo tardi.

 

Film
Drammatico
Italia
1954
martedì, 20 febbraio 2024
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Godzilla (1954)

di Ishirô Honda

In risposta a King Kong e ai vari mostri preistorici del cinema americano, in Giappone, nel 1954, il produttore dalla Toho, Tomoyuki Tanaka affidò al giovane regista Ishirô Honda il compito di realizzare un film su un gigantesco mostro che si risveglia dalle profondità dell'oceano e inizia a devastare la città di Tokyo. Nasce Gojira, l'enorme rettile mutante conosciuto in occidente come Godzilla.

A seguito di una serie di misteriosi naufragi e distruzioni di alcuni paesi della costa giapponese, alcuni scienziati scoprono l'esistenza di un gigantesco rettile preistorico risvegliatosi a seguito di test nucleari condotti nell'oceano. I militari cercano di fermarlo in ogni modo ma la creatura, alta cinquanta metri e capace di emettere dalla bocca un raggio letale, sembra inarrestabile scagliandosi contro Tokyo e provocando panico tra la popolazione. Alla fine, solo grazie a una potente arma - che lo scienziato che l'ha inventata inizialmente non vorrebbe usare temendo possa finire nelle mani dei militari -  la minaccia di Godzilla viene fermata.

In Giappone il successo di Godzilla è tale che da questo film nasce un vero è proprio genere chiamato kaiju con un infinita serie di seguiti, remake e produzioni di ogni tipo tutti ispirati direttamente o indirettamente al film originale. Gli americani decisero di distribuire in patria la pellicola di Honda tagliandola di una ventina di minuti e inserendovi delle parti aggiuntive con l'attore Raymond Burr. Nasce così il fenomeno di Godzilla che diventa in breve tempo, oltre che una icona della cultura popolare giapponese, uno dei mostri più conosciuti del panorama cinematografico internazionale tanto da guadagnarsi la sua stella sulla walk of fame a Hollywood.

Analizzando il film, si nota chiaramente che il dolore e la devastazione causati da Godzilla rappresentano in modo metaforico le tragedie di Hiroshima e Nagasaki. Questo offre una riflessione dolorosa sulla recente guerra e sul timore che l'umanità non sia in grado di controllare le armi atomiche e le forze che ha scatenato. Oltre al suo significato, guardando il film oggi, si notano effetti speciali un po' datati, una sceneggiatura con una trama d'amore tra due dei protagonisti che appare forzata e poco integrata con la tragedia principale, e un'interpretazione talvolta esagerata, che nella sua drammaticità eccessiva può sembrare quasi comica, specialmente agli occhi degli spettatori occidentali. Tuttavia, se confrontato con i successivi capitoli, il film rimane sicuramente un punto di riferimento nel genere cinematografico fantastico, più per il suo status di pioniere che per il suo valore artistico intrinseco.

Film
Fantascienza
monster-movie
giappone
1954

© , the is my oyster