
Sabotatori
di Alfred Hitchcock
Certo, rivedendo i film di Alfred Hitchcock uno dopo l'altro, salta subito all’occhio il canovaccio che il regista inglese amava intrecciare nelle sue storie. Un tizio qualunque finisce nei guai per colpa di un evento più grande di lui, viene scambiato per colpevole, scappa, cerca di dimostrare la propria innocenza e, nel frattempo, si ritrova invischiato in un complotto. Ah, dimenticavo, ovviamente lungo la fuga incontra una bella ragazza che prima non gli crede, poi cambia idea e, inevitabilmente, si innamora di lui.
È il caso di Sabotatori, film del 1942, che rientra perfettamente in questo schema ma riesce comunque a rimescolarlo con energia e ritmo.
Barry Kane (Robert Cummings), operaio in una fabbrica di aeroplani in California, viene ingiustamente accusato di aver causato l'esplosione che ha ucciso il suo amico. Pur consapevole di essere stato incastrato, capisce che il vero responsabile è un certo Frank Fry (Norman Lloyd), e decide di fuggire dalla polizia per incastrarlo e provare la propria innocenza. Lungo la fuga, Barry attraversa gli Stati Uniti, dai deserti dell’Ovest fino a New York, raccogliendo alleanze insospettabili — un simpatico camionista, un vecchio cieco e sua nipote, Pat Martin (Priscilla Lane), inizialmente diffidente ma poi convinta della sua innocenza e disposta ad aiutarlo.
Ben presto Barry scopre l’esistenza di una rete di spie naziste ben radicate nella società americana, decise a portare avanti un piano di sabotaggio su larga scala.
Sicuramente Sabotatori non è tra i migliori film di Alfred Hitchcock — e a quanto pare, nemmeno il maestro del brivido ne era particolarmente entusiasta. La sceneggiatura è piuttosto confusa e a tratti forzata, e i due attori protagonisti, imposti dalla Universal (che per la prima volta produceva un suo film), non hanno quell’alchimia che spesso accompagna le coppie hitchcockiane più riuscite.
Inoltre, l'aspetto propagandistico è fortemente marcato — gli Stati Uniti erano alle soglie dell’ingresso nella Seconda guerra mondiale — e oggi il messaggio retorico dell'America come patria della libertà e baluardo della democrazia contro le forze del male suona piuttosto fastidioso, se non addirittura indigesto.
Nonostante tutto, il film non è privo di fascino. L’intreccio, pur con qualche deviazione non sempre necessaria, ha un suo ritmo, e Hitchcock riesce comunque a incastonare alcune scene davvero interessanti, come quella nella casa del vecchio cieco, l’episodio sul treno con i freaks da fiera, e soprattutto l’iconico finale sulla Statua della Libertà, entrato a buon diritto nella storia del cinema.
Da segnalare anche il primo ruolo importante per Norman Lloyd, perfetto con il suo volto tagliente e l’aria sfuggente. Un cattivo da manuale, che Hitchcock tornerà a utilizzare.
Insomma, Sabotatori è una sorta di prova generale per quello che sarà, anni dopo, il molto più riuscito Intrigo Internazionale. Se questo film è servito a tracciare il sentiero verso capolavori futuri, allora ben venga.

Il sospetto
di Alfred Hitchcock
Il sospetto, quarto lungometraggio americano di Alfred Hitchcock, è tratto dal romanzo Before the Fact di Francis Iles e rappresenta una delle prime incursioni del regista inglese nei territori del thriller psicologico domestico. Cary Grant, nel primo dei suoi quattro film con Hitchcock, interpreta il protagonista con quel suo sorriso stampato sul volto da simpatica canaglia. Al suo fianco, una convincente Joan Fontaine — al suo secondo film con Hitchcock dopo Rebecca, la prima moglie — incarna con delicatezza e inquietudine l’ansia crescente di una donna che inizia a sospettare che l'uomo che ama possa volerla uccidere.
La storia è piuttosto semplice. Lina McLaidlaw (Joan Fontaine) è una donna riservata e sognatrice che si innamora del fascinoso e spregiudicato Johnnie Aysgarth (Cary Grant), un uomo dal magnetismo irresistibile ma dai modi discutibili. I due si sposano in fretta, ma il velo del romanticismo cade presto quando la donna scopre che il marito è un imbroglione squattrinato, allergico al lavoro, ossessionato dal lusso, dal gioco d’azzardo e dal denaro. Progressivamente isolata, comincia a sospettare che Johnnie stia tramando qualcosa. Forse contro di lei.
Il sospetto è un film in cui la tensione non nasce tanto da ciò che accade, quanto da ciò che potrebbe accadere. Hitchcock costruisce l’intero impianto narrativo sull’ambiguità, reggendosi quasi esclusivamente sui dubbi di una donna circa la vera natura del marito. La prima ora scorre lenta, priva di eventi davvero rilevanti. La tensione esplode solo nel finale, tutta racchiusa nello sguardo sgomento di Joan Fontaine — che per questa interpretazione vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista — impeccabile nel dare forma alla fragilità e all’ansia della sua Lina. Memorabile la scena in cui Cary Grant sale le scale, avvolto nell’oscurità, portando alla moglie un bicchiere di latte forse avvelenato. Hitchcock vi inserì una piccola lampadina per farlo brillare nel buio, caricandolo di una tensione quasi irreale.
Non è il miglior Hitchcock, e il finale — volutamente ambiguo — rischia di lasciare più in sospeso che realmente turbati. Ma l’atmosfera trasognata, la sottile ironia che punteggia alcune sequenze, e la presenza scenica dei due protagonisti, rendono Il sospetto un film comunque godibile. Un’opera minore forse, ma capace di mostrare già allora il lato più insinuante e domestico del maestro del brivido.
Film
Il prigioniero di Amsterdam
di Alfred Hitchcock
Con Il prigioniero di Amsterdam (Foreign Correspondent), Alfred Hitchcock firma il suo secondo film hollywoodiano, un thriller di spionaggio che porta il suo marchio, ma senza il guizzo dei suoi lavori migliori. Siamo nel 1940, l'Europa è sull’orlo della guerra e Hollywood inizia a captare il vento del conflitto, producendo film che mescolano intrattenimento e propaganda. Hitchcock, che aveva già esplorato le dinamiche del complotto internazionale in Il club dei 39 e La signora scompare, riprende il canovaccio de "l'uomo comune catapultato in una cospirazione più grande di lui", una struttura narrativa che diventerà una delle sue firme distintive.
John Jones (Joel McCrea), giornalista americano pratico e disincantato, viene inviato in Europa come corrispondente estero per intervistare Van Meer (Albert Bassermann), un anziano diplomatico olandese in possesso di informazioni cruciali su un trattato segreto. Ma ad Amsterdam, all’uscita di un congresso pacifista, Van Meer viene apparentemente assassinato. Jones, con l’aiuto del collega Scott Ffolliot (George Sanders), scopre che l’uomo ucciso era un sosia e che il vero Van Meer è stato rapito da una rete di spie per estorcergli informazioni. Nel frattempo, Jones si innamora di Carol (Laraine Day), figlia del politico pacifista Stephen Fisher (Herbert Marshall), ignaro che proprio suo padre sia il burattinaio dietro le macchinazioni.
Nonostante alcuni momenti avvincenti – l’assassinio sotto la pioggia e la scena nei mulini a vento – Il prigioniero di Amsterdam non è tra i miei Hitchcock preferiti. Il film soffre di una durata eccessiva che ne appesantisce il ritmo e di diverse ingenuità narrative. Per esempio, nella scena del disastro aereo, i passeggeri si muovono in cabina come se fossero su un autobus, ignorando completamente le leggi della fisica. Anche il rapimento di Van Meer, con i cattivi che lo sequestrano perché conosce a memoria una clausola segreta di un trattato, appare un espediente narrativo parecchio forzato. A tutto questo aggiungiamo un protagonista che manca di carisma e una storia d’amore inverosimile – non si sono neanche sfiorati e già parlano di matrimonio – e il risultato è un film che, pur avendo momenti di tensione ben costruiti, fatica a coinvolgere davvero. Un thriller lontano dall'Hitchcock dei giorni migliori.
Film
Rebecca, la prima moglie
di Alfred Hitchcock
Nell'estate del 1939, mentre l'Europa è sull'orlo della guerra, Alfred Hitchcock, a quarant'anni, lascia l'Inghilterra per trasferirsi con la famiglia a Los Angeles. Qui, il maestro del brivido dirige il suo primo film americano, "Rebecca - La prima moglie", tratto dall'omonimo romanzo di Daphne du Maurier. Prodotto da David O. Selznick, celebre per il kolossal Via col vento, il film del 1940 è la pellicola più costosa girata di Hitchcock fino ad allora. Il successo al botteghino è straordinario, coronato da due Oscar: Miglior Fotografia e Miglior Film, unico titolo nella filmografia del regista a ricevere questo prestigioso riconoscimento.
Una giovane dama di compagnia senza nome (Joan Fontaine) incontra l’affascinante e tormentato aristocratico Maxim de Winter (Laurence Olivier) durante un soggiorno a Monte Carlo. In un turbine di romanticismo, i due si sposano e si trasferiscono a Manderley, la maestosa tenuta di famiglia di Maxim. Ma il sogno di una vita felice inizia presto a incrinarsi. La nuova signora de Winter si ritrova intrappolata nell’ombra opprimente di Rebecca, la defunta prima moglie di Maxim, il cui ricordo sembra dominare ogni angolo della casa. L’ossessiva e inquietante governante, la signora Danvers (Judith Anderson), non perde occasione per esaltare la perfezione di Rebecca, alimentando l’insicurezza e il disagio della giovane sposa. Man mano che la verità sul passato di Rebecca viene a galla, emergono segreti oscuri e inquietanti. In un crescendo di tensione e mistero, la nuova signora de Winter si ritrova a confrontarsi con il peso del passato per salvare il suo matrimonio e la sua sanità mentale.
Nonostante le rigide limitazioni imposte da Selznick, che esigeva una fedeltà quasi religiosa al romanzo originale, Hitchcock riuscì a trasformare una storia apparentemente priva di suspense in un’opera gotica densa di atmosfera e mistero. Pur rispettando le indicazioni del produttore, il regista riesce a infondere la sua inconfondibile impronta stilistica, creando un delicato equilibrio tra tensione psicologica e narrazione visiva. Tuttavia, il controllo creativo esercitato dal produttore limitò in parte l’espressione artistica del regista, che dichiarò di non considerare il film pienamente suo a causa dell’assenza del tipico umorismo nero che contraddistingueva i suoi lavori.
"Rebecca - La prima moglie" si articola in tre atti distinti e ben delineati. Il primo, a Monte Carlo, si concentra sull’incontro tra i protagonisti e sul rapido evolversi della loro relazione, con una narrazione che richiama il romanticismo classico. Nel secondo atto, il fulcro della storia si sposta a Manderley, la maestosa tenuta di famiglia, dove la protagonista affronta l’ombra ingombrante di Rebecca, la prima moglie di Maxim. Il terzo atto vira verso il dramma giudiziario, rivelando i segreti legati alla morte di Rebecca e smascherando verità inaspettate.
La parte centrale è indubbiamente quella più affascinante e rappresenta il cuore pulsante del film. A Manderley, con i suoi corridoi infiniti, i saloni maestosi e l’atmosfera gotica quasi surreale, la nuova signora de Winter si trova proiettata in una realtà estranea e ostile. La giovane, insicura e priva di esperienza, deve affrontare un mondo dominato dalla memoria di Rebecca, che appare come un’ombra onnipresente e opprimente. Sebbene il suo corpo sia assente, il suo spirito aleggia ovunque: negli oggetti personali, nei gesti quotidiani, persino negli atteggiamenti dei servitori. Hitchcock sfrutta magistralmente l’invisibilità di Rebecca, rendendola un personaggio centrale senza mai mostrarla, ma facendo percepire la sua influenza in ogni dettaglio.
Tra le scene più memorabili e cariche di tensione spicca quella in cui la signora Danvers accompagna la nuova padrona nella stanza di Rebecca, accarezzando con morbosa adorazione i suoi abiti e gli oggetti personali.
Hitchcock dosa abilmente suspense e dramma, costruendo una buona tensione, che però tende a dissiparsi nel terzo atto, dove la storia assume i toni di un dramma giudiziario.
"Rebecca - La prima moglie" rimane tuttavia un’opera fondamentale per comprendere l’evoluzione artistica di Hitchcock. Il film segna il passaggio a una produzione hollywoodiana di alto livello, evidenziando la capacità del regista di adattarsi a un sistema industriale senza sacrificare del tutto il suo genio creativo. Un classico intramontabile che mescola atmosfere gotiche, tensione psicologica e mistero in un intreccio di grande eleganza narrativa e visiva.
Film
La signora scompare
di Alfred Hitchcock
La signora scompare (The Lady Vanishes) è uno degli ultimi film di Alfred Hitchcock del periodo inglese. Una pellicola che mescola sapientemente giallo, spionaggio e commedia.
Basato sul romanzo "Il mistero della signora scomparsa" pubblicato nel 1936 da Ethel Lina White, il film si apre con un piano sequenza su un modellino in scala che riproduce un pittoresco paesino tra le montagne dell'Europa centrale. La cinepresa ci porta poi all'interno della sala d'attesa affollata di un albergo, dove si radunano i passeggeri di un treno diretto a Londra, costretti a una sosta forzata a causa del maltempo. In questo scenario, Hitchcock introduce una galleria di personaggi che spaziano dall’ereditiera inglese Iris Henderson (Margaret Lockwood), decisa a tornare a casa per il suo imminente matrimonio, al giovane e scanzonato clarinettista Gilbert Redman (Michael Redgrave), passando per una coppia di inglesi ossessionati dal cricket, un avvocato fedifrago in viaggio con l'amante, e un'anziana governante inglese in viaggio per l'Europa, Miss Froy. Il giorno dopo, quando il treno riprende finalmente la corsa, Iris stringe amicizia con Miss Froy. Tuttavia, dopo un improvviso malore, al suo risveglio scopre che l’anziana donna è misteriosamente scomparsa. Non solo, nessuno dei passeggeri sembra ricordare la presenza della signora a bordo. Determinata a scoprire la verità, Iris, supportata da Gilbert, si trova a dover sfidare l'incredulità generale e il crescente sospetto che qualcosa di più grande si nasconda dietro questa enigmatica sparizione.
Il film parte come una commedia per poi virare, nelle scene all'interno del treno, in un thriller carico di tensione e mistero. Il tutto però sempre dosato con una buona dose di humor e momenti di irresistibile leggerezza. L’unico cedimento è forse nella parte conclusiva, quando l’intrigo spionistico prende il sopravvento con una lunga sequenza d’azione che, pur avvincente, perde in eleganza rispetto alla costruzione serrata e meticolosa della prima parte.
Interessante la sottotrama dei due scapoli inglesi più interessati a conoscere il risultati del cricket che preoccuparsi dei venti di guerra che stavano soffiando sull’Europa. Una critica neanche troppo velata a una certa indifferenza tipicamente britannica verso le tensioni geopolitiche dell’epoca.

Sabotaggio
di Alfred Hitchcock
Sabotaggio è un film di Alfred Hitchcock del cosiddetto periodo inglese. Realizzato nel 1936 e ispirato al romanzo "L'agente segreto" di Joseph Conrad, il film rappresenta uno dei primi esperimenti del Maestro del Brivido nella costruzione di un thriller ad alta tensione. Negli Stati Uniti è stato distribuito con il nome "The Woman Alone".
La storia si svolge a Londra, dove Karl Verloc (Oskar Homolka), un uomo all'apparenza rispettabile, gestisce un piccolo cinema insieme alla moglie (Sylvia Sidney) e al giovane cognato, Stevie. In realtà, Verloc è un agente segreto al servizio di una potenza straniera, incaricato di organizzare attentati segreti senza che la moglie ne sospetti nulla. Sotto l'occhio vigile di Scotland Yard, un agente di polizia in incognito segue da vicino i movimenti di Verloc, nutrendo forti sospetti su di lui. Quando a Verloc viene affidata una nuova missione - far esplodere una bomba in un luogo strategico della città - l’uomo si trova impossibilitato a compiere l'azione di persona. Decide così di affidare il pacco esplosivo al giovane Stevie, il quale, ignaro del pericolo, si mette in cammino per le strade di Londra con la bomba nascosta nel pacco, inesorabilmente innescata e pronta a esplodere.
In "Sabotaggio" Hitchcock mette in mostra tutte le sue capacità nel creare tensione e nel giocare con le emozioni del pubblico, sviluppando una suspense quasi insostenibile per l'epoca. La scena in cui il ragazzo porta la bomba con sé, mentre il tempo scorre implacabile, non solo è realizzata in maniera magistrale ma risulta essere audace per la sua drammatica conclusione. Questa svolta lasciò il pubblico dell’epoca sconvolto e generò un'ondata di reazioni negative, al punto che Hitchcock stesso, in una celebre intervista con François Truffaut, confessò: "Ho commesso un grave errore: il ragazzino che porta la bomba... è diventato troppo simpatico al pubblico. E il pubblico non mi ha mai perdonato di averlo fatto morire."
Oltre per la bravura degli attori, il film si distingue per un finale decisamente controcorrente in cui il pubblico è portato a desiderare l'inevitabile tragedia come unica via di fuga per i protagonisti, in una crudele ironia che ribalta le aspettative del lieto fine.

Il club dei 39
di Alfred Hitchcock
Il club dei 39 è uno dei film più noti del periodo inglese di Alfred Hitchcock, un classico thriller spionistico che unisce suspense, azione e ironia.
La storia vede protagonista Richard Hannay (Robert Donat), un uomo comune che si ritrova suo malgrado coinvolto in un intrigo di spionaggio internazionale. Dopo l'incontro con una misteriosa donna, Annabella, che viene assassinata nel suo appartamento, Hannay si ritrova a dover fuggire dalla polizia e dai veri colpevoli che lo vogliono eliminare. Durante la fuga Hannay incontra una donna (Madeleine Carroll), che inizialmente non crede alla sua storia e lo vede solo come un fuggitivo. Tra una serie di circostanze, malintesi e battibecchi, i due si ritrovano insieme a dover smascherare un'organizzazione spionistica segreta chiamata "Il club dei 39", in un crescendo di colpi di scena e inseguimenti.
In questo film possiamo già riconoscere una delle tematiche chiave del cinema di Hitchcock, quella dell’innocente in fuga coinvolto in un complotto spionistico, un elemento che il regista svilupperà e affinerà nei suoi futuri capolavori. Hitchcock dimostra già la sua abilità di saper dosare perfettamente la tensione con una buona dose di umorismo. La chimica tra Robert Donat e Madeleine Carroll è vivace e in qualche modo sensuale e i loro scambi frizzanti non solo introducono un tocco di leggerezza nel film, ma mettono anche in luce l'ironia distintiva del regista inglese.
Qualche ingenuità nella trama ma film abbastanza godibile.

L'uomo che sapeva troppo (1934)
di Alfred Hitchcock
Nel 1934 Alfred Hitchcock firma un contratto con la Gaumont British Picture Corporation, casa di produzione cinematografica inglese, con la quale realizza L'uomo che sapeva troppo, il primo di una serie di film di spionaggio. La storia verrà ripresa anni più tardi dallo stesso Hitchcock - quando il regista inglese si trovava da tempo negli Stati Uniti - in un remake dall'omonimo titolo.
La trama segue Bob e Jill Lawrence, una coppia britannica in vacanza con la loro figlia Betty a Sankt Moritz in Svizzera. Durante il soggiorno, assistono involontariamente all'omicidio di un agente segreto francese che, prima di morire, rivela a Jill che un gruppo di cospiratori stanno preparando un attentato contro un diplomatico a Londra. In breve tempo la coppia si vede rapire la loro figlia Betty dai terroristi per garantirsi il loro silenzio. Bob e Jill si ritrovano così costretti a risolvere il mistero e salvare la loro figlia, affrontando i pericoli che li attendono in una Londra notturna e minacciosa.
Sarà che non sono mai stato un amante dei film di spionaggio ma a me questo film non mi ha convinto. A metà tra commedia e giallo, il film ha una sceneggiatura poco avvincente che in alcune parti appare datata, e una recitazione a tratti teatrale e poco emozionale. La sparatoia finale poi è decisamente troppo lunga e alla lunga annoia. Mi rendo conto che stiamo parlando sempre di un film della metà degli anni trenta ma alcuni film muti di Hitchcock sono invecchiati decisamente meglio. Di questo film salvo l'intepretazione di Peter Lorre, nel ruolo dell'enigmatico antagonista, e la scena nell'Albert Hall in cui il maestro della Suspense utilizza sapientemente il silenzio e la musica per creare una tensione straordinaria dimostrando una maestria che anticipa i suoi futuri capolavori.
Film
Omicidio!
di Alfred Hitchcock
"Omicidio!" (Murder!) è un film del 1930 diretto da Alfred Hitchcock, una delle prime opere sonore del maestro del brivido. Tratto dal romanzo "Enter Sir John" di Clemence Dane e Helen Simpson, il film è stato girato contemporaneamente anche con attori tedeschi uscendo l'anno successivo con il titolo di Mary (all’epoca non esisteva il doppiaggio e i film venivano girati in diverse versioni).
La storia ruota attorno al processo di Diana Baring (Norah Baring), un'attrice accusata dell'omicidio della sua collega Edna Druce. Tutti gli indizi puntano contro Diana, che viene trovata sul luogo del delitto con un'arma in mano e senza ricordare nulla dell'accaduto. Sir John Menier (Herbert Marshall), un famoso attore e membro della giuria, è convinto dell'innocenza di Diana e decide di condurre un'indagine personale per trovare il vero colpevole.
"Omicidio!" è un film giallo piuttosto canonico, in cui la scoperta del colpevole avviene con un colpo di scena finale. Hitchcock, tuttavia, non amava i gialli a enigma, i cosiddetti "whodunit", poiché riteneva che l'interesse si concentrasse unicamente sul finale. Questo film è considerato una delle sue opere minori, a causa di una trama poco avvincente e dei dialoghi lunghi e statici che ne appesantiscono il ritmo, come nella parte processuale. Nonostante ciò, "Omicidio!" contiene alcune sequenze particolari e scelte innovative per l'epoca. Un esempio è la scena in cui Sir John riflette sull'omicidio mentre si rade, con la sua voce sovrapposta ai pensieri, anticipando l'uso del monologo interiore e della voce fuori campo. Un'altra scena significativa è quella dell'ombra del cappio che si alterna alle inquadrature della detenuta angosciata che cammina nella cella. Infine da segnalare come il tema del teatro sia presente in tutto il film, sia nell'impostazione che nel gioco della simulazione, così come merita attenzione anche il tema dell'omosessualità, trattato in modo sottile in un film del 1930.
Film
Ricatto
di Alfred Hitchcock
Ricatto (Blackmail) del 1929 è il primo film sonoro di Alfred Hitchcock. Inizialmente il film venne girato come un film muto ma con l'avvento del sonoro, poco prima di concludere le riprese, Hichcock decise di rigirare alcune scene aggiungendo i dialoghi degli attori.
Protagonista del film è Alice White (interpretata da Anny Ondra) che dopo aver litigato con il suo fidanzato, il detective di Scotland Yard, Frank Webber (John Longden) ingenuamente accetta di salire nello studio di un affascinante pittore che la sta corteggiando. Quando l'uomo tenta di abusare di lei, Alice afferra un coltello e lo uccide. Sconvolta la donna cerca di cancellare le sue tracce e fugge dall'appartamento. La mattina dopo, Webber, mandato a indagare sull'omicidio, trova nell'appartamento un guanto della fidanzata e senza dire nulla ai suoi colleghi si precipata a casa della sua fidanzata per chiedergli spiegazioni. La ragazza è visibilmente scossa ma Webber, innamorato di lei, intende coprirla. La situazione sfugge di mano quando si presenta un losco individuo (Donald Calthrop), un malvivente che ha trovato l'altro guanto di Alice nei pressi del luogo del delito, il quale in cambio del suo silenzio intende ricattarli.
"Ricatto" è un'opera fondamentale per comprendere la crescita artistica di Alfred Hitchcock, capace non solo di descrivere il senso di colpa e il dramma interiore di una donna in modo magistrale ma di mostrare anche la sua grande adattibilità alla nuova tecnologia del sonoro. Un esempio iconico è la scena in cui Alice, tormentata dai sensi di colpa, sente ripetutamente la parola "coltello" durante una conversazione, che si trasforma in un elemento ossessionante e quasi claustrofobico.
Il film riscosse grande successo di pubblico e consacrò Hitchcock come il regista inglese più apprezzato del periodo.
Film
The Lodger: A Story of the London Fog (Il Pensionante)
di Alfred Hitchcock
Inizio la mia dilatata maratona sul cinema di Alfred Hitchcock.
Considerato tra i maggiori registi cinematografici del novecento, sono parecchi i classici del "maestro del brivido" che ho visto ma altrettanto numerose sono le pellicole che ancora non conosco, sopratutto quelle più datate. The Lodger, fino a ieri, faceva parte di quest'ultima categoria.
Nato nel 1899 in un sobborgo di Londra, Hitchcock inizia la sua carriera nei primi anni '20, lavorando nel cinema muto britannico. Il suo primo successo significativo è "The Lodger: A Story of the London Fog" del 1927, un thriller muto, conosciuto in Italia come il Pensionante o anche l'Inquilino, che lo stesso Hitchcock considera il suo primo vero film. Per chi volesse vederlo The Lodger è facilmente reperibile su YouTube.
Adattamento dell'omonimo romanzo di Marie Belloc Lowndes, il film è ambientato a Londra, dove una serie di brutali omicidi ha scatenato il panico. Le vittime, tutte giovani donne bionde, sono state uccise da un misterioso assassino noto come "The Avenger". Mentre la polizia cerca di trovare il serial killer, Jonathan Drew (Ivor Novello), un uomo misterioso e tenebroso, prende in affitto una stanza nella pensione della famiglia Bunting. In breve tempo Daisy, la figlia dei Bunting che fa la fotomodella, si invaghisce del misterioso inquilino incurante degli indizi che lo accusano di essere il temuto assassino.
"The Lodger" è ispirato alla storia di Jack lo Squartatore e, oltre ad essere una feroce critica della massa - avida di notizie sensazionalistiche e pronta a dar sfogo ai propri istinti bestiali - contiene già tutti gli elementi che caratterizzeranno il cinema di Hitchcock. L'uomo innocente accusato di un crimine non commesso, l'ambiguità del protagonista che affascina ma incute timore, la capacità di mantenere lo spettatore in uno stato di tensione costante, sono tutti temi che Hitchcock svilupperà nei successivi film ma che sono già presenti in questa pellicola. Nel vedere la ragazza dentro la vasca di bagno è stato impossibile non pensare a "Psycho". Dal punto di vista stilistico, la scena che mostra dal basso verso l'alto il protagonista passeggiare nervosamente nella sua stanza è da antologia, così come ho apprezzato l'omaggio al cinema espressionista tedesco nel personaggio interpretato da Ivor Novello, attore teatrale inglese, che offre una performance carismatica e davvero affascinante.
Piccolo anedotto personale. Vedendo il film mi infastidiva parecchio la musica. Non so se si trattava dell'originale dell'epoca o meno, ma essendo il film muto, trovavo particolarmente invasiva la colonna sonora. Ho stoppato il film e, fatto una veloce ricerca su internet, ho trovato questa proposta di un collettivo diretto da Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) che ha realizzato dal vivo una colonna sonora del film decisamente più attuale e interessante.
Sì, lo so, probabilmente ho deturpato l'originale ma vi assicuro che, mettendo da capo il film e ingegnandomi a sincronizzare il tutto, l'esperienza nella sua interezza ne ha giovato notevolmente.