
Aurora
di F. W. Murnau
Aurora, film muto del 1927, è il primo film americano di Friedrich Wilhelm Murnau.
Considerato come uno dei maggiori esponenti del cinema espressionista tedesco e autore di opere memorabili come "Nosferatu", "L'ultima risata", e "Faust", Murnau arriva a Hollywood ritrovandosi a gestire un considerevole budget per dirigere il primo dei tre film per la futura 20th Century Fox.
Sunrise: A Song of Two Humans, questo il titolo originale, trionfa alla prima edizione degli Oscar, conquistando tre statuette. Anni dopo, François Truffaut lo definirà "il più bel film della storia del cinema". Eppure, nonostante i premi e il plauso della critica, il film, forse per l'avvento del sonoro proprio in quel periodo oppure per il suo linguaggio troppo innovativo per l’epoca, non ottenne il successo di pubblico sperato rivelandosi un vero e proprio flop ai botteghini.
"Aurora" racconta la storia di un giovane contadino (George O'Brien), traviato dal fascino di una seducente ragazza di città, che si lascia convincere a progettare l'omicidio della moglie per poter fuggire con l'amante. Deciso a realizzare il suo piano, l'uomo porta la moglie (interpretata da Janet Gaynor) a fare una gita in barca con l'intento di annegarla. Tuttavia, all’ultimo momento, si arresta, pentendosi per ciò che stava per compiere. Tornati a riva, la donna, sconvolta, fugge verso un tram, mentre il marito, sinceramente pentito, la segue con il desiderio di riconquistarla. Raggiunta la città, i due riscoprono la loro intimità e riaccendono il sentimento che avevano perso, compiendo un percorso di redenzione e rinascita.
Il film di Murnau è un autentico poema visivo, carico di lirismo e intensità emotiva. Uno dei vertici assoluti del cinema muto e della poetica espressionista degli anni Venti. "Aurora" si distingue per la complessità delle tecniche di ripresa, introducendo il movimento della cinepresa, la profondità di campo e facendo un intenso utilizzo di sovrimpressioni e dissolvenze. Le didascalie vengono ridotte al minimo, lasciando agli attori il compito di comunicare emozioni potenti attraverso il gesto e l’espressione. In questo senso la Gaynor che interpreta la dolce, amorevole e indifesa moglie, personificazione della donna come centro del focolare domestico, fa un lavoro magistrale che gli è valso l'oscar come migliore attrice protagonista.
"Aurora" non è solo un racconto d’amore e tradimento, ma anche una riflessione senza tempo sui desideri e sulle vulnerabilità umane. Una pietra miliare del cinema che continua a influenzare generazioni di spettatori e registi.

Metropolis
di Fritz Lang
Capolavoro del cinema muto e primo film di fantascienza della storia del cinema (se non vogliamo contare Il viaggio nella luna di Méliès), Metropolis di Fritz Lang è un opera che a distanza di quasi un secolo mantiene intatta la sua potenza visiva e concettuale.
Uscito nel 1927, questo monumentale film di Fritz Lang, regista e sceneggiatore austriaco legato al cinema espressionista tedesco, rappresenta una delle ultime grandi opere del cinema muto. La sceneggiatura di Metropolis è stata scritta dallo stesso Fritz Lang insieme alla sua allora moglie, Thea von Harbou, basandosi su un romanzo che lei stessa ha pubblicato nel 1925. Una delle pellicole più costose mai prodotte fino a quel momento, il film ha richiesto una grande quantità di risorse economiche per realizzare gli innovati effetti speciali e costruire la città furistica in miniatura.
Le riprese di Metropolis durarono ben 17 mesi, dal 1925 al 1926, una durata eccezionale per l'epoca, e coinvolsero migliaia di comparse. Proiettato per la prima volta a Berlino nel gennaio del 1927, il film, dopo la sua anteprima, subì numerosi tagli.
Originariamente lungo più di due ore e mezza, Metropolis fu ridotto a circa 90 minuti per essere più commercialmente accettabile, con intere sottotrame e personaggi eliminati. Solo negli anni 2000, dopo la scoperta di una copia quasi completa del film in Argentina, si è riusciti a restaurare gran parte del materiale originale.
In un futuro distopico, Metropolis è una città grandiosa e stratificata, divisa tra la lussuosa superficie, dove vivono i ricchi dirigenti, e le profondità sotterranee, dove gli operai lavorano incessantemente per mantenere la città in funzione. Joh Fredersen (Alfred Abel), il padrone di Metropolis, governa con pugno di ferro, ignorando il malessere dei lavoratori. Suo figlio, Freder (Gustav Frohlich), vive una vita privilegiata fino a quando non scopre le disumane condizioni degli operai e si innamora di Maria (Brigitte Helm), una giovane donna che predica la pace e la speranza per una società più equa. Nel tentativo di soffocare qualsiasi ribellione, Fredersen si allea con lo scienziato Rotwang (Rudolf Klein-Rogge), che crea un robot capace di assumere le sembianze di Maria. Il robot viene usato per istigare il caos e distruggere i sogni di pace e armonia. Mentre la città si avvicina al collasso, Freder cerca disperatamente di fermare la rivolta e salvare sia Maria che Metropolis, riconoscendo infine che la pace può essere raggiunta solo con una riconciliazione tra il "cervello" (i dirigenti) e le "mani" (gli operai), attraverso il "cuore".



Un classico senza tempo che ha definito per sempre il linguaggio della fantascienza cinematografica. Visivamente, Metropolis è una meraviglia. Un film che all'epoca era proprio difficile immaginare. L'architettura futuristica della città, con i suoi grattacieli e il traffico aereo, sono delle vere opere d'arte in movimento. Gli effetti speciali pionieristici, come l'uso dello stop-motion per animare veicoli e aerei, le sovrimpressioni ottenute direttamente in macchina e la tecnica dello Schüfftan per creare scenografie estremamente realistiche (si tratta di proiettare i modellini e i fondali dipinti, tramite un sistema di specchi inclinati a 45 gradi), sono incredibili anche a occhi moderni. Un capolavoro di tecnica cinematografica e immaginazione che ha ispirato innumerevoli opere successive che ne hanno ripreso temi, estetica e visioni distopiche. Pensiamo ad esempio a film come Blade Runner, Brazil, Guerre Stellari e il Quinto Elemento.
Metropolis è un film che esplora una serie di tematiche complesse, che rimangono rilevanti anche oggi. Le sue riflessioni spaziano dalla disuguaglianza sociale al rapporto tra uomo e macchina, passando per simbolismi religiosi e visioni distopiche del futuro. Tematiche sociali che hanno anticipato di decenni quelle descritte nel celebre romanzo 1984 di George Orwell, confermando il valore intramontabile di questa opera.
Se proprio dobbiamo trovargli dei difetti, lasciando da parte la recitazione tipicamente esagerata del cinema muto, a mio avviso il finale eccede in un romanticismo che appare forzato, retorico e quasi didascalico. La risoluzione finale, che predica la riconciliazione tra le classi attraverso il "cuore", sembra semplificare eccessivamente la complessità dei conflitti sociali e delle tensioni che il film stesso aveva magistralmente costruito. Stiamo comunque parlando di un film degli anni venti destinato al grande pubblico, quello che potremmo considerare uno dei primi blockbuster dell'epoca.
Dal 2023, Metropolis è entrato di diritto nel pubblico dominio, il che significa che può essere riprodotto liberamente anche al di fuori delle mura domestiche. Tra le numerose versioni esistenti, vi consiglio di guardare (al seguente link) quella restaurata dalla Fondazione Murnau nel 2010, della durata di 145 minuti, che restituisce gran parte del materiale originario andato perduto dopo l'uscita del film. A mio avviso è questa la versione che merita di essere vista per apprezzare l'opera nella sua completezza e integrità.
Io, come molti della mia generazione, ho scoperto Metropolis grazie alla controversa versione degli anni '80 curata da Giorgio Moroder, quella in cui l'originale colonna sonora orchestrale fu sostituita da brani pop-rock interpretati da Freddie Mercury, Pat Benatar e Bonnie Tyler. Rivedendola oggi, il risultato appare più simile a un videoclip di dubbio gusto che snatura completamente l'atmosfera originale del film. Moroder merita comunque un plauso per aver cercato di rendere il capolavoro di Fritz Lang accessibile a una nuova generazione di spettatori, ma con il senno di poi, avrei trovato più accattivante una colonna sonora realizzata dai Kraftwerk che personalmente apprezzo di più e avrebbe conferito maggiore coerenza e un fascino senza tempo all'intera operazione.
Ovviamente, queste sono solo considerazioni personali legate ai miei gusti musicali.

Il castello degli spettri (The Cat and the Canary)
di Paul Leni
Paul Leni, tra i principali esponenti del cinema espressionista tedesco, approda in America nel 1927 per dirigere The Cat and the Canary (da noi noto come Il castello degli spettri), film che ebbe numerosi remake e che inaugura il filone cinematografico della "vecchia casa infestata".
Tratto dall'omonima pièce teatrale di John Willard, il film muto si distingue per la sua capacità di fondere mistero, tensione e una pungente ironia grottesca, creando un’atmosfera che preannuncia i futuri capolavori del cinema gotico del decennio successivo.
La trama ruota attorno alla lettura del testamento dell'eccentrico milionario Cyrus West, letto a distanza di vent'anni dalla sua morte di fronte agli eredi riuniti nella sua cadente dimora. I familiari più stretti scoprono con sorpresa di essere stati esclusi dall'eredità a favore di una giovane parente lontana, Annabelle (Laura La Plante), a patto che venga confermata la sua sanità mentale. La situazione precipita quando l'avvocato scompare misteriosamente e si diffonde la notizia della fuga di un pericoloso omicida da un manicomio, gettando la casa nel caos e nel terrore.
Mescolando brillantemente suspense e commedia, terrore e ironia, Leni realizza un film che fa da apripista ai grandi classici horror della Universal, andando a influenzare registi come James Whale e Roger Corman. Nonostante i limiti del muto, il regista tedesco compensa con una ricchezza visiva sorprendente e delle tecniche per l'epoca innovative. Pensiamo per esempio all'uso della soggettiva per simulare il punto di vista del "fantasma" che si aggira nella casa, oppure alla sovrimpressione delle immagini, e alle didascalie animate con scritte tremolanti.
Per gli amanti del cinema muto.
Film
The Lodger: A Story of the London Fog (Il Pensionante)
di Alfred Hitchcock
Inizio la mia dilatata maratona sul cinema di Alfred Hitchcock.
Considerato tra i maggiori registi cinematografici del novecento, sono parecchi i classici del "maestro del brivido" che ho visto ma altrettanto numerose sono le pellicole che ancora non conosco, sopratutto quelle più datate. The Lodger, fino a ieri, faceva parte di quest'ultima categoria.
Nato nel 1899 in un sobborgo di Londra, Hitchcock inizia la sua carriera nei primi anni '20, lavorando nel cinema muto britannico. Il suo primo successo significativo è "The Lodger: A Story of the London Fog" del 1927, un thriller muto, conosciuto in Italia come il Pensionante o anche l'Inquilino, che lo stesso Hitchcock considera il suo primo vero film. Per chi volesse vederlo The Lodger è facilmente reperibile su YouTube.
Adattamento dell'omonimo romanzo di Marie Belloc Lowndes, il film è ambientato a Londra, dove una serie di brutali omicidi ha scatenato il panico. Le vittime, tutte giovani donne bionde, sono state uccise da un misterioso assassino noto come "The Avenger". Mentre la polizia cerca di trovare il serial killer, Jonathan Drew (Ivor Novello), un uomo misterioso e tenebroso, prende in affitto una stanza nella pensione della famiglia Bunting. In breve tempo Daisy, la figlia dei Bunting che fa la fotomodella, si invaghisce del misterioso inquilino incurante degli indizi che lo accusano di essere il temuto assassino.
"The Lodger" è ispirato alla storia di Jack lo Squartatore e, oltre ad essere una feroce critica della massa - avida di notizie sensazionalistiche e pronta a dar sfogo ai propri istinti bestiali - contiene già tutti gli elementi che caratterizzeranno il cinema di Hitchcock. L'uomo innocente accusato di un crimine non commesso, l'ambiguità del protagonista che affascina ma incute timore, la capacità di mantenere lo spettatore in uno stato di tensione costante, sono tutti temi che Hitchcock svilupperà nei successivi film ma che sono già presenti in questa pellicola. Nel vedere la ragazza dentro la vasca di bagno è stato impossibile non pensare a "Psycho". Dal punto di vista stilistico, la scena che mostra dal basso verso l'alto il protagonista passeggiare nervosamente nella sua stanza è da antologia, così come ho apprezzato l'omaggio al cinema espressionista tedesco nel personaggio interpretato da Ivor Novello, attore teatrale inglese, che offre una performance carismatica e davvero affascinante.
Piccolo anedotto personale. Vedendo il film mi infastidiva parecchio la musica. Non so se si trattava dell'originale dell'epoca o meno, ma essendo il film muto, trovavo particolarmente invasiva la colonna sonora. Ho stoppato il film e, fatto una veloce ricerca su internet, ho trovato questa proposta di un collettivo diretto da Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) che ha realizzato dal vivo una colonna sonora del film decisamente più attuale e interessante.
Sì, lo so, probabilmente ho deturpato l'originale ma vi assicuro che, mettendo da capo il film e ingegnandomi a sincronizzare il tutto, l'esperienza nella sua interezza ne ha giovato notevolmente.