
Loma
How Will I Live Without A Body?
Loma è il progetto musicale di Emily Cross, Dan Duszynski e Jonathan Meiburg, un trio nato in Texas all'attivo dal 2017. How Will I Live Without A Body? è il titolo del loro terzo album, registrato interamente in un'ex falegnameria sulla costa meridionale dell’Inghilterra. È lì che i tre si sono riuniti, dopo essersi sparsi in paesi diversi per seguire percorsi personali e artistici.
La musica dei Loma è riflessiva, malinconica e minimale. Un post rock con attitudini folk, che evoca atmosfere intime e sognanti. Le sonorità mi hanno ricordato i Low, mentre la voce eterea e sussurata di Emily Cross me la avvicinano alla Gibbons dei Portishead. Niente di nuovo ed eclatante, ma è proprio nella loro semplicità che queste canzoni si sono insinuate lentamente in profondità rivelando nuovi dettagli a ogni ascolto.
Brani come "How It Starts", "Swallowed a Stone", e "Unbraiding" sono quelli che ho preferito ma in realtà l'intero disco emerge per la sua crepuscolare bellezza.
Un album affascinante, ideale per un viaggio musicale notturno e contemplativo.
Musica

The Cure
Songs of a Lost World
Sono cresciuto con i Cure, la band che più di ogni altra ha segnato la mia formazione musicale. Li ho visti dal vivo numerose volte, e ogni concerto è stato un'esperienza indimenticabile. Tuttavia, il mio entusiasmo per Robert Smith e compagni si è affievolito dopo Wish, con gli album successivi che mi hanno lasciato piuttosto indifferente, per usare un eufemismo. Trent'anni senza una nuova canzone dei Cure capace di riaccendere la scintilla (l'ultima è stata From the Edge of the Deep Green Sea) sono davvero tanti. É una generazione.
Del nuovo album si parlava ormai da anni, e i continui rinvii lo avevano trasformato quasi in un oggetto misterioso. Alla fine, però, dopo sedici anni dall'ultimo lavoro in studio, è arrivato Songs of a Lost World, preceduto da due brani usciti il mese scorso. Molti dei brani presenti nell'album sono stati suonati dal vivo durante il recente tour dei Cure ed essendo stati pubblicati su YouTube i fans più accaniti hanno potuto farsi una idea di quale sarebbe stato il "mood" di questo tanto atteso album.
Il disco si apre con "Alone", una potente ballata che affronta la mortalità. Ecco, questi sono i miei Cure, quelli che riconosco e che non ascoltavo da tempo. Tutto è condensato in otto minuti, con un intro lunghissmo ed emozionante che sfocia con la voce di Robert Smith che canta l'angoscia di sapere che giovinezza e innocenza sono irrimediabilmente perdute. Il miglior brano dell'album così come il loro pezzo migliore degli ultimi trent'anni. (Sì, lo so qualcuno potrà dire ci voleva poco). Il secondo brano, "And Nothing is Forever", parte con un'atmosfera più melodica con pianoforte e archi, per poi esplodere in tutta la sua potenza. Forse un pò stucchevole. "A Fragile Thing" è il secondo singolo ed probabilmente il pezzo più leggero dell'album, anche se molto lontano dai classici brani pop dei Cure del passato. In "Warsong" Smith affronta il tema degli attuali conflitti del mondo in un brano che con quelle chitarre distorte, feedback e organo in apertura mi ha riportato indietro a Disintegration. "Drone: No Drone" è il pezzo più rock del disco, ma francamente a un primo ascolto mi dice ben poco. Il dolore personale di Smith emerge in "I Can Never Say Goodbye" un tributo straziante al fratello scomparso, Richard. Un pianoforte a scandire la linea melodica, stessa batteria secca di "Alone", ma con una composizione meno convincente. "All I Ever Am" ha un ritmo vivace e la chitarra classica di Smith in un brano che, nel complesso, risulta piacevole. L'album si chiude con "End Song", un trascinante brano di oltre dieci minuti, in cui la batteria scandisce ipnoticamente ogni battuta, culminando in un crescendo polifonico di chitarre distorte. Insieme a "Alone", è il brano più emozionante e coinvolgente dell’intero disco.
Queste sono le mie impressioni a caldo dopo un paio di ascolti, anche se molti pezzi li avevo già assimilati nelle versioni live. È un album cupo e solenne, dove il tema della morte ricorre in ogni traccia. Scritto in un periodo difficile per Smith, segnato dalla perdita dei genitori e del fratello maggiore, Songs of a Lost World è un disco che guarda al passato e che probabilmente non aggiunge nulla di nuovo a quanto i Cure hanno già fatto nei loro momenti migliori. Ma tra i tanti gruppetti che oggi popolano il sottobosco dark underground, loro rimangono gli originali e i migliori. E poi, nonostante l’aspetto segnato e il rossetto sbavato, ormai quasi una caricatura del personaggio che fu, la voce di Robert Smith è rimasta praticamente immutata.
Musica
Trentemøller
Dreamweaver
Agli esordi, il nome di Trentemøller era associato alla house, alla techno minimale e alla musica elettronica. A partire dal 2013, il compositore danese, pur mantenendo il suo sofisticato approccio elettronico, ha iniziato a virare verso sonorità indie, con influenze darkwave e shoegaze.
Da poche settimane è uscito Dreamweaver – titolo che inevitabilmente mi richiama alla mente il software che uso per lavoro – un album che presenta dieci pezzi di cui otto sono cantati da DISA (Disa Jakobs), cantante islandese che da tempo collabora con Trentemøller affiancandolo durante i suoi concerti e che porta un tocco di delicatezza e malinconia che si sposa perfettamente con le atmosfere del disco.
Ascoltando l'album, emerge chiaramente come il percorso iniziato con Lost e interrotto momentaneamente con Memoria trovi qui una nuova evoluzione. Le sonorità elettroniche che un tempo definivano l’identità di Trentemøller lasciano spazio a sfumature dreampop, dove gli echi di Beach House, Slowdive e persino This Mortal Coil si fanno sempre più presenti. Tuttavia, pur apprezzando la delicatezza onirica che permea ogni traccia, sento che manca la tensione ritmica che caratterizzava i suoi lavori precedenti e rendeva il tutto più dinamico.
Dreamweaver, per quanto raffinato e ben eseguito, rischia di perdersi nel vasto mare di produzioni simili che popolano l’attuale scena musicale. Le melodie sono piacevoli, ma non riescono a lasciare quel segno indelebile a cui mi aveva abituato. La classe di Trentemøller è indiscutibile, ma in mezzo a questi viaggi onirici e sospesi, mi sembra che una parte del suo tocco inconfondibile si sia smarrita.
Brani preferiti: In a Storm
Musica
Romance
Fontaines D.C.
Avevo apprezzato parecchio a "A Hero's Death" di qualche anno fa.
Sono passati solo quattro anni e da allora questi cinque ragazzi irlandesi guidati dal carismatico Grian Chatten ne hanno fatto di strada - dove per strada intendo tanta produzione e parecchia notorietà.
"Romance" è il quarto album in studio dei Fontaines D.C. preceduto da una manciata di singoli con altrettanti video. Il gruppo ha adottato un look sgargiante e colorato e già con il precedente album ha raggiunto una grande popolarità.
Ho ascoltato il disco una decina di volte ed evitando di fare lo snob – quelli che si allontanano da un autore nel momento in cui questo viene apprezzato da tutti – cerco di analizzare "Romance" con obiettività ed estrema sintesi.
Il disco è un buon prodotto, ben confezionato e si ascolta piacevolmente, ma a mio avviso traspare l'intenzione di voler piacere a tutti i costi al grande pubblico acquisito. La voce di Chatten che, con le sue dissonanze e quel suo modo strascicante di cantare, caratterizzava la band, si appiattisce, omologandosi al cantato di tante altre indie band inglesi del momento. I pezzi perdono di incisività e spaziano tra il brit-pop, lo shoegaze e l'indie rock più accessibile. Il breve brano di apertura, che dà il titolo all'album, è quello che preferisco, forse perché ricorda in maniera sfacciata i Depeche Mode di Black Celebration. Anche il successivo, "Starbuster", non mi dispiace. Per il resto, ci sono alcuni pezzi interessanti qua e là, come per esempio "In the Modern World", ma passando da "Sundowner", che si rifà agli Slowdive, a "Favorite", che ricorda i Cure più commerciali, in tutto questo calderone di generi quello che manca, a mio parere, è proprio la genuinità.
Se dovessi dargli un voto, sarebbe un sei e mezzo.
Musica
Lives Outgrown
Beth Gibbons
Beth Gibbons, nota per essere stata la cantante dei Portishead con i quali ha realizzato dei veri e propri capolavori, ha da poco pubblicato il suo primo album da solista, Lives Outgrown.
Fa un pò strano pensare che a parte alcune collaborazioni in trent’anni di carriera questo sia il primo album a suo nome.
Lives Outgrown ha avuto undici anni di gestazione, un periodo durante il quale l'autrice inglese ha vissuto dei lutti, accarezzando il mutamento della vita, i limiti del proprio corpo e la triste consapevolezza della inevitabile mortalità. Un momento della vita in cui immaginare il futuro non provoca più le stesse emozioni e in cui prevale una maggiore propensione alla propria accettazione.
L'album è abbastanza cupo e, come giusto che sia, non ha richiami ai Portishead. Non saprei neanche classificarlo in un genere, diciamo un folk post-rock molto stratificato. C'è la sua voce inconfondibile è questo basta già a farmelo apprezzare. I dieci brani che compongono l'album sono belli e intensi, ma come un buon vino bisogna farlo decantare. Sicuramente ha bisogno di tempo e di molti ascolti. Un disco intimo e malinconico.
Al momento mi piacciono molto Floating on a Moment, Lost Changes, vagamente pinkfloydiano, e sopratutto l'evocativo pezzo che chiude l'album, Whispering Love.

The Pilgrim, Their God and The King Of My Decrepit Mountain
Tapir!
Album di esordio di questo gruppo inglese chiamato Tapir! (come l'animale con il naso a proboscide). Provengono da Londra e sono in sei, sempre ritratti, sia nei video che nelle fotografie, con delle maschere rosse che fa molto folk horror. Il disco raccoglie tre ep presentati come tre atti e racconta la storia di una creatura immaginaria - The Pilgrim, precisamente - che si avventura in un mondo fantastico, viaggiando tra mari tempestosi e montagne popolate da strani animali e divinità. Una fiaba moderna che potrebbe collocare il disco in territori progressive se non fosse che musicalmente i dodici pezzi che compongono l'album non sono caratterizzati da particolari eclettismi e cavalcate ritmiche, tutt'altro. Sono brani folk, pacati, sognanti e bucolici che potrebbero ricordare un Nick Drake ma con inserti elettronici alla Radiohead e degli accenti postrock alla Godspeed you black emperor sopratutto nel pezzo che chiude l'album.
Brani preferiti On A Grassy Knoll (We'll Bow Together), Broken Ark e Untitled.
Musica
Effigy
Talk Show
Disco di debutto per questo gruppo inglese che suona un post-punk parecchio contaminato che attinge molto agli anni novanta.
Tra le tante proposte di questa ennesima ondata post-punk e indie-rock britannica il disco di questi Talk Show è quello che in questo periodo ascolto più volentieri.
L'album si apre con Gold, un pezzo dalla solida base elettronica bello tirato, proseguendo con altri pezzi energici, tipo Red/White, che ricorda i Fontaines DC ma virati all'elettronica, oppure Got Sold, un pezzo alla Rage Against the Machine .
I miei pezzi preferiti sono però Oil at the Bottom of a Drum, una brano "strisciante" decisamente trip-hop, la coinvolgente Small Blue World, e l'ipnotica Catalonia che chiude il disco.
Nel complesso un disco fresco e trascinante, Niente di troppo eclatante ma piacevole da ascoltare.
Musica
Idles
Tangk
Ho provato sin dal primo album a farmeli piacere ma la musica sporca, aggressiva e urlata a squarciagola da Joe Talbot, non mi ha mai preso più di tanto.
L'ultimo disco degli Idles, gruppo di Bristol che incarna la ribellione (post) punk di questi anni, si discosta un pochino dai precedenti, forse perchè meno ruvido e un pò più variegato.
Ecco quindi che tra pezzi "cafoni" come Hall & Oates e quelli da pogo sfrenato come Gratitude e Gift Horse, che sembrano essere messi lì per accontentare i fan ed essere suonati dal vivo, ci sono brani che ho trovato molto più interessanti come la "radioheadiana" Pop pop pop - si sente la mano di Nigel Godrich che produce il disco, l'accorata ballata Roy e sopratutto Grace, quello che reputo il pezzo più bello dell'album.
Ovviamente il mio giudizio è limitato alla musica e alla sensazione che mi trasmette. Salvo alcuni casi non approfondisco i testi delle canzoni che ascolto e quindi nel caso degli Idles, i cui testi e le tematiche affrontate mi dicono avere uno spessore rilevante, la mia valutazione è sicuramente parziale.

She Reaches Out To She Reaches Out To She
Chelsea Wolfe
Settimo album per la musa goth dell'attuale millennio.
Accontonato il folk acustico à-la Pj Harvey, la deriva metal delle sue ultime collaborazioni (Converge), e la partecipazione a colonne sonore (X di Ti West), la diafana compositrice californiana si ripresenta a cinque anni di distanza dal precedente lavoro di studio con un album parecchio diverso da come l\'avevo lasciata e, almeno per i miei gusti, decisamente più accattivante.
Fin dal primo ascolto mi rendo conto di trovarmi in territori a me più consoni. She Reaches Out To She Reaches Out To She è un disco colmo di synth oscuri e ritmiche rallentate dal sapore decisamente industrial. Nonostante sia quasi privo degli strati rumorosi e distorti che avevano caratterizzato le sue ultime produzioni, i brani non hanno perso minimamente di potenza. Anzi, la pulizia li rende ancora più incisivi. In pratica è come ascoltare i Nine Inch Nails al femminile e io non potevo che chiedere di meglio.
Un ritorno alle origini con la consistenza del proprio percorso.
Brani preferiti Whispers In The Echo Chamber, Everything Turns Blue, Salt e Dusk.
Musica
Wall of eyes
The Smile
Secondo disco degli Smile, il progetto parrallelo dei due Radiohead, Thom Yorke e Jonny Greenwood, insieme al batterista Tom Skinner.
Notevole, davvero. Otto brani belli coinvolgenti. Inevitabilmente troviamo qua e là echi del passato di Yorke/Grenwood perchè la matrice è quella ma l'intenzione è quella di esplorare nuovi (o quantomeno diversi) orizzonti musicali addentrandosi in territori psichedelici e per certi versi quasi progressive grazie anche alla poliedrica e felpata batteria di Skinner. Molto meno elettronico del precedente e quindi decisamente più caldo e avvolgente.
Al momento non sento la mancanza dei Radiohead.
Brani preferiti Read the Roam, Under Our Pillows e Bending Hectic.
Musica