
Pulse (Kairo)
di Kiyoshi Kurosawa
Tra la fine degli anni novanta e l'inizio degli anni duemila il cinema horror giapponese ha invaso le sale cinematografiche di tutto il mondo sulla scia del successo di Ringu (The Ring) del 1998 e Ju-On (The Grudge) del 2002. Gli elementi comuni di questo sottogenere sono la presenza di fantasmi, bambini spettrali e maledizioni, spesso basati su leggende urbane e superstizioni giapponesi, calati in un ambientazione cupa e caratterizzati da una forte tensione emotiva.
Kairo (Pulse è il titolo usato per il mercato occidentale da non confondere con l’omonimo film americano di qualche anno più tardi che è un pessimo remake), è un film del 2001 diretto da Kiyoshi Kurosawa che, pur rientrando in questo sottogenere, si discosta nettamente dagli altri J-horror perché i fantasmi sono solo il pretesto per raccontare la solitudine del genere umano.
La trama inizia con il suicidio di un ragazzo che da giorni non si presentava a lavoro. Nel suo computer i suoi colleghi trovano delle foto inquietanti e dei riferimenti a una “stanza proibita”. Nel frattempo un altro ragazzo si collega per la prima volta a internet giungendo su un sito che mostra immagini e video di persone immobili in penombra, sono i fantasmi che urlano in silenzio l’angoscia della loro solitudine.
Il film ha un ritmo lento, forse un po’ troppo lento, ed è pervaso da un costante senso di angoscia, tristezza e rassegnazione. È un film grigio, esistenzialista, fortemente pessimista in cui l’uomo è destinato alla solitudine non solo nella vita ma anche nella morte. Molto bella la regia con dei piani sequenza lentissimi, una ottima composizione fotografica e una musica azzeccata. Ho trovato la trama poco chiara con delle ingenuità di sceneggiatura qua e là, ma in generale il film di Kurosawa risulta visivamente potente anticipando di vent’anni l’alienazione sociale dovuta alla tecnologia, internet e i vari social che invece di avvicinare le persone finisce per allontanarle.