Fahrenheit 451
Ray Bradbury
Alcune lacune prima o poi vanno colmate. Insieme a 1984 di George Orwell e Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury rappresenta la santissima trinità della letteratura distopica. Eppure, colpevolmente, non lo avevo ancora letto. Almeno fino ad oggi.
A far scoccare la scintilla (è proprio il caso di dirlo) è stata una splendida edizione della Mondadori, collana Oscar Cult, pubblicata per celebrare i 70 anni del romanzo. Un oggetto che ti chiama dagli scaffali. Un volume completamente rosso, persino nel taglio delle pagine, avvolto da una fascetta in plastica che urla "Pericolo d’incendio". Ironico e perfetto. L’edizione è impreziosita anche da due racconti preparatori, Molto dopo mezzanotte e Il pompiere, piccole perle che aiutano a comprendere la genesi di questo capolavoro.
Scritto nel 1953, in piena Guerra Fredda, quando l’America viveva il clima paranoico della caccia al comunismo e la televisione iniziava a entrare prepotentemente nelle case, Bradbury immagina un futuro in cui i libri non sono solo proibiti, ma sono considerati armi pericolose per la felicità (o meglio, per la placida ignoranza) dei cittadini.
Il protagonista del romanzo si chiama Guy Montag e fa il pompiere. Ma nel mondo di Bradbury, i pompieri non spengono gli incendi. Al contrario, li appiccano. Il loro compito è scovare i libri – oggetti illegali considerati pericolosi strumenti di pensiero critico e dissenso – e bruciarli a 451 gradi Fahrenheit, la temperatura a cui la carta prende fuoco e si consuma.
Montag svolge il suo lavoro con dedizione e una certa soddisfazione. Conduce una vita apparentemente tranquilla insieme alla moglie Mildred, una donna completamente anestetizzata che trascorre le giornate davanti a giganteschi schermi televisivi che occupano intere pareti, interagendo con personaggi fittizi che considera la sua “famiglia”. Assume sedativi in quantità industriale ed è incapace di provare emozioni autentiche. Tutto cambia quando il nostro protagonista incontra Clarisse, una ragazza considerata strana perché ama osservare la luna, annusare le foglie e fare domande scomode. "Lei è felice?" gli chiede. Una domanda semplice, devastante, che incrina ogni certezza e lo spinge a compiere il gesto più rivoluzionario possibile: salvare un libro dalle fiamme e iniziare a leggere.
La scrittura di Bradbury è forte, precisa, a tratti quasi onirica. Scorre veloce, appagante, ma ti lascia addosso una sensazione di claustrofobia. Non c'è luce nel mondo di Montag, solo il bagliore sinistro dei lanciafiamme e il ronzio costante dei bombardieri che passano sopra la città. Se la copertina di questa edizione è un rosso fiammante, aggressivo e vitale, l'atmosfera che si respira tra le pagine è tremendamente nera, scura, buia. C'è qualcosa di profondamente inquietante in questo futuro che l'autore dipinge, e non è tanto la distopia in sé – ci siamo abituati a mondi totalitari e oppressivi nella letteratura – quanto la consapevolezza che quel futuro non sia poi così distante dal nostro presente.
Nel romanzo si spiega che i libri sono stati banditi perché la maggioranza delle persone li trovava fastidiosi, elitari, fonte di disaccordo. Meglio eliminarli per garantire l'uguaglianza attraverso l'ignoranza universale. Meglio tenere tutti occupati con l'intrattenimento veloce e superficiale, con programmi televisivi che non richiedono alcuno sforzo mentale.
La vera genialità di Bradbury non è tanto nella censura di stato, quanto nella sua intuizione sul potere dei media. Nel 1953 temeva la televisione, quelle "pareti parlanti" che avrebbero riempito il vuoto delle persone. Oggi, quella profezia non solo si è avverata ma è stata potenziata da schermi tascabili che non ci lasciano mai soli.
La televisione di Bradbury è stata sostituita dai social, da un flusso incessante di contenuti che spesso non informano, non approfondiscono e non lasciano traccia. Senza voler fare la solita paternale da boomer, anch’io passo le mie giornate tra internet, WhatsApp, Facebook, Instagram e reel generati da un’AI, dove tutto si assomiglia e niente lascia davvero un segno. Probabilmente non è un caso che quest'anno il numero di libri che ho letto è calato vistosamente, eroso dalla distrazione facile.
Eppure, leggere Fahrenheit 451 mi ha ricordato perché è essenziale farlo. Leggere oggi significa fermare questa girandola impazzita di contenuti effimeri, scendere dalla giostra per un attimo e dedicare del tempo a stimolare la mente, l'immaginazione e la fantasia. Significa scegliere di pensare, invece di lasciare che l'algoritmo pensi per noi. Non sempre, perchè il mondo in cui viviamo, bene o male, è questo. Ma almeno farlo ogni tanto.
Fiori per Algernon
Daniel Keyes
Non conoscevo Fiori per Algernon. Eppure è in circolazione da più di mezzo secolo, ha vinto numerosi premi, ispirato adattamenti cinematografici e viene spesso definito un romanzo di fantascienza – anche se trovo questa etichetta riduttiva, quasi fuorviante. Mi è stato regalato e, una volta terminata la lettura, ho sentito il bisogno di ringraziare chi mi ha fatto scoprire questo gioiello.
Il libro è stato scritto da Daniel Keyes, psicologo e docente statunitense impegnato nel sostegno a ragazzi con difficoltà di apprendimento. Pubblicato nel 1966, nato inizialmente come racconto breve, il libro è una sorta di moderno Frankenstein che ti porta a una profonda riflessione e ti lascia addosso una malinconia difficile da scrollarti di dosso.
La storia è quella di Charlie Gordon, un uomo di circa trent'anni con disabilità intellettiva che lavora in una panetteria e sogna di essere "normale". I suoi desideri sono semplici: essere accettato, avere amici, capire il mondo come gli altri. Quando gli viene offerta la possibilità di sottoporsi a un intervento sperimentale che promette di aumentare il suo quoziente intellettivo – un'operazione già testata con successo su Algernon, un topo da laboratorio – Charlie accetta senza esitazione. Dopo l'operazione, le sue capacità mentali crescono rapidamente, trasformandolo in un genio. Tuttavia neanche il nuovo, sempre più elevato quoziente intellettivo aiuta il protagonista ad ottenere l’amicizia che desiderava. Al contrario, la consapevolezza di ciò che è stato non fanno altro che esaperare il suo isolamento, accentuato dal fatto che ora l’uomo capisce e ricorda episodi del passato, prima da lui incompresi.
Il romanzo è narrato attraverso i rapporti di progresso scritti dal protagonista, una sorta di diario che riflette la sua trasformazione. All'inizio i resoconti sono pieni di errori grammaticali e ingenuità, ma dopo l'esperimento la scrittura si fa più precisa, complessa ed emotiva. Charlie non solo comprende il mondo con occhi nuovi, ma lo analizza, lo scompone, lo giudica. Il problema è che la sua intelligenza, che lo porta a superare i suoi stessi creatori, non va di pari passo alla sua emotività. La consapevolezza che le persone che considerava amici ridevano di lui, lo sfruttavano, lo compativano, gli stessi genitori che non l'hanno mai accettato, ora si rivela con una lucidità dolorosa. E, anziché sentirsi più vicino agli altri, Charlie si ritrova più solo che mai.
Quando Algernon inizia a mostrare i primi segni di regressione, Charlie capisce che il suo destino è segnato. La presa di coscienza della propria inevitabile discesa, la consapevolezza che l’intelligenza sta sfumando, fino a regredire ad un livello ancora inferiore rispetto a quello originaria, è il momento più straziante e commovente del romanzo.
Fiori per Algernon è un libro che illumina e ferisce con la stessa intensità. Una storia che lascia il segno e che consiglio vivamente. Peccato per la copertina di questa edizione. Davvero brutta.
Il libro di Keyes ha avuto un adattamento cinematografico intitolato I due mondi di Charlie, film del 1968 diretto da Ralph Nelson.
Libri
Nottuario
Thomas Ligotti
Il nome di Thomas Ligotti viene spesso annoverato tra gli autori più rappresentativi della letteratura weird contemporanea. Scrittore e saggista americano di culto, poco incline alla visibilità e all’autopromozione, è divenuto noto in Italia soprattutto grazie a un monologo tratto, senza la sua autorizzazione, dalla sua opera "La cospirazione contro la razza umana", comparso in un episodio della prima stagione della serie televisiva True Detective. Questo saggio, uno dei suoi lavori più iconici e controversi, esplora temi di nichilismo e pessimismo cosmico che sono alla base della sua visione letteraria e filosofica.
Incuriosito dal fatto che Ligotti viene spesso accostato ad autori che amo, quali Lovecraft e Poe, e che abbia collaborato con David Tibet dei Current 93 - progetto musicale che conosco etichettato come folk apocalittico o neo-folk - recupero in libreria Nottuario, una raccolta dei suo racconti.
Il libro è diviso in tre parti: "Studi nell'ombra", "Discorso sull'oscurità" e "Taccuino notturno". Quest'ultima sezione contiene una ventina di storie di una o due pagine. Nell'introduzione chiamata "Di notte, al buio. Appunti critici sulla narrativa del mistero", lo stesso Ligotti introduce il suo pensiero affermando che "nella vita, l'esperienza del mistero è un dato di fatto inevitabile e fondamentale", e che "l'effetto principale dei racconti del mistero è la percezione della cosidetta irrealtà macabra", una visione in cui la realtà si presenta come un costrutto fragile, pronta a svelare un mondo di orrore incommensurabile.
Leggere Ligotti non è stato affatto facile. L'orrore che propone è psicologico, quasi filosofico. Alcuni racconti mi sono piaciuti, come "Conversazioni in lingua morta" e "La voce nelle ossa", ma andando avanti ho avuto la sensazione di perdermi in una matassa nera come la pece. La concentrazione si è fatta sempre più difficile e il filo narrativo mi è parso ripetersi in modo stanco, rendendo alcune storie frustrantemente simili tra loro. Ho trovato il tutto estremamente contorto e difficile da leggere al punto che in alcuni momenti il mio cervello pareva vagasse per conto suo, e l'orrore lasciava spazio alla fatica. Nella terza parte, di fronte a una sfilza di brevi racconti, ammetto di aver contato le pagine che mancavano per concludere questa lenta agonia.
Forse "Nottuario" non è il libro giusto per avvicinarsi a Ligotti per la prima volta, o forse semplicemente non è scattata la scintilla.
Proverò a leggermi "La cospirazione contro la razza umana" dal momento che l'ho già comprato, ma sicuramente, prima di avvicinarmi a Ligotti, lascerò passare del tempo.
Libri
La strada
Cormac McCarthy
La Strada di Cormac McCarthy è considerato uno dei capolavori letterari degli anni duemila. Proprio in questi giorni il New York Times ha pubblicato una classifica con i migliori cento libri del XXI secolo e il romanzo di McCarthy, al di là del valore che gli si vuole dare a questa lunga lista, si trova al tredicesimo posto. Pubblicato nel 2006, La Strada è il primo libro che leggo di quest'autore americano. Da questo romanzo è stato tratto un film omonimo (che ancora non ho visto ma che vorrei vedere prossimamente) e una recente graphic novel illustrata da Manu Larcenet.
Ci troviamo in un mondo post-apocalittico, grigio e in rovina. Un imprecisato cataclisma ha ridotto il nostro mondo in un luogo spoglio e ostile, un luogo freddo ricoperto di cenere dove ogni giorno i sopravissuti lottano per la sopravvivenza cercando di reprimere la fame e la disperazione. In questo scenario desolante troviamo i nostri due protagonisti, un padre e suo figlio, entrambi senza nome, che viaggiano in questa distesa bruciata, spingendo un carrello, con quel poco che è rimasto, lungo una strada americana. I due cercano di spostarsi verso sud nella speranza di trovare un clima più caldo, fermandosi di volta in volta tra le macerie delle case per cercare qualcosa da mangiare, facendo attenzione a non cadere vittime dei predoni e delle bande di disperati che si nutrono di carne umana.
Il libro trasmette una opprimente sensazione di angoscia e disperazione ed è basato fondamentalmente sul rapporo tra il padre e il figlio, un rapporto tenero e straziante la cui comunicazione è ridotta al minimo, ma ogni parola, persino il silenzio, è carica di significato. Il padre è un guerriero stanco che cerca disperatamente di proteggere il suo bambino, mentre il figlio, con la sua innocenza e speranza, diventa una sorta di luce in mezzo a tanta oscurità.
La grande forza di questo romanzo è la scrittura di McCarthy, la sua è una prosa cruda, scarna, e spesso priva di punteggiatura tradizionale. E' un libro essenziale, dove i giorni si ripetono l'uno dopo l'altro, sempre uguali nel loro triste grigiore e dove, in apparenza, non succede quasi nulla. E' una storia di sopravvivenza, quella fisica ma sopratutto morale. Probabilmente il finale si risolve in maniera troppo forzata e poco credibile, io nel mio pessimismo cosmico lo avrei fatto finire in un altro modo, ma capisco che per incontrare il favore dei lettori il fuoco della speranza deve ardere e il viaggio continuare.
Libri