
Profondo Rosso
di Dario Argento
Tornato nelle sale in versione restaurata in 4K, ho potuto vedere per la prima volta al cinema uno dei più grandi e iconici film di Dario Argento, Profondo Rosso. Anno 1975.
La trama vede come protagonista Mark Daly (David Hemmings), un pianista jazz inglese, che mentre si trova in una piazza insieme a un suo amico, volgendo lo sguardo alla facciata del palazzo in cui abita, assiste all'omicidio di una donna che viene massacrata da qualcuno che le spinge la testa contro il vetro della finestra dalla quale stava chiedendo aiuto. La vittima è una medium che poche ore prima, durante una conferenza sul paranormale, aveva percepito tra gli spettatori in sala la presenza di un assassino. Mark si precipita all’interno dell’abitazione dove trova il corpo senza vita della donna dopo aver percorso un lungo corridoio pieno di quadri in cui vi sono raffigurati dei macabri volti (uno dei quali colpisce particolarmente la sua attenzione senza conoscerne il motivo). Insieme alla polizia giunge sul posto anche Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), una frizzante e ambiziosa giornalista con la quale Mark stringe amizia. I due decidono di indagare per conto loro su chi sia il misterioso assassino che continua a compiere efferrati omicidi sulle note di un’infantile e terribile nenia.
Che dire di questo capolavoro dell'orrore e del cinema italiano?! Profondo rosso è un thriller scandito da una sequenza di omicidi che con la loro potenza visiva hanno segnato l'immaginario collettivo di una intera generazione. In questo film c'è molto Mario Bava (il grande ispiratore) ma c'è sopratutto un Dario Argento, qui all'apice della sua forma, che gira un thriller che fa paura come un horror, con delle scene violente per l'epoca disturbanti.
Ambientato in una città inesistente, sospesa e quasi onirica (in realtà il film è stato girato a Roma, Perugia e in gran parte a Torino), Dario Argento con l'aiuto dello scenografo Giuseppe Bassan ha fatto ricostruire il Blue Bar, il locale in cui si svolgono alcune sequenze del film, tale e quale ai Nottambuli, il celebre dipinto di Edward Hopper tanto che le comparse al suo interno sono quasi immobili come se fossero all'interno di un dipinto.
Mettendo da parte i vari omicidi (dall'annegamento nella vasca di acqua bollente all'iconica scena finale in cui la collana dell'assassino si impiglia nell'ascensore), sono tante le scene memorabili e, per l'epoca, particolarmente angoscianti. Mi viene in mente il manichino telecomandato (costruito da Carlo Rambaldi), l'inquietante bambina che uccide le lucertole, la villa abbandonata con il disegno nascosto dietro la parete, l'occhio dell'assassino che si cela nel buio. Un vero e proprio repertorio di tutte le paure inconsce e irrazionali dello spettatore dell'epoca concentrate in un unico film. Un film da incubo come mai si era visto prima.
Ci sarebbero dire tante altre cose ma non posso terminare la mia disanima senza menzionare la ormai mitica colonna sonora. Dario Argento era un appassionato di rock progressive, genere che proprio in quel periodo in Italia aveva raggiunto il suo apice. Non contento del risultato del compositore Giorgio Gaslini (in realtà avrebbe voluto i Deep Purple - da qui parte del titolo - e addirittura i Pink Floyd) Argento decise di affidare la musica al giovane gruppo dei Goblin di Claudio Simonetti che, avendo ricevuto come linee guida il Tubular Bells di Mike Oldfield (quello usato per l'Esorcista di qualche anno prima) confezionarono una delle colonne sonore horror più riuscite di sempre per uno dei film più paurosi del secolo scorso.
Erano i tempi in cui il cinema italiano faceva addirittura scuola.