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sabato, 2 agosto 2025
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Martyrs

di Pascal Laugier

L’horror è sicuramente il mio genere preferito. Ne ho visti tanti, continuo a guardarne, ma raramente riescono ancora a farmi davvero paura. Col tempo ho imparato ad apprezzarne le sfumature, i sottogeneri, i giochi visivi e narrativi. Ma dopo anni passati ad assorbire i meccanismi tipici del genere, la mia attenzione si è spostata altrove. Ora guardo più al modo in cui viene trattata una tematica, a una messa in scena originale, a una scelta registica fuori dal comune.

Tra i sottogeneri che ancora riescono a scuotermi c’è quello comunemente definito "torture porn". Un’etichetta forse riduttiva, ma utile per orientarsi. Da Hostel a Saw, da The Devil’s Rejects fino al giapponese Grotesque, è emersa una corrente in cui la violenza non è solo presente, ma fulcro narrativo. Viene ostentata, protratta, spinta fino al limite della sopportazione.

Martyrs, film francese del 2008 diretto da Pascal Laugier, parte da lì. Dal dolore, dalla tortura. Ma va molto oltre. Non è il solito film estremo che punta a scioccare lo spettatore. È qualcosa di più disturbante, più profondo, più spiazzante. E lascia addosso un senso di disagio che non svanisce facilmente.

Il film si apre con una bambina, Lucie, che fugge urlando da una fabbrica abbandonata, quasi nuda e ricoperta di sangue.  Per oltre un anno è stata tenuta prigioniera e sottoposta a torture fisiche e psicologiche. Gravemente traumatizzata, viene accolta in un orfanotrofio dove stringe un legame profondo con Anna, un'altra ragazza con un passato difficile alle spalle. Crescendo insieme, le due diventano amiche intime.
Quindici anni più tardi, Lucie ormai adulta (interpretata da Mylène Jampanoï), è convinta di aver finalmente individuato i responsabili delle sue sofferenze. Senza esitare, fa irruzione nella casa di una famiglia borghese uccidendola a colpi di fucile. Poi, disperata, telefona ad Anna (Morjana Alaoui) chiedendole di venire ad aiutarla. Anna si precipita, sconvolta, trovandosi di fronte a una scena devastante. Teme che l’amica abbia perso il contatto con la realtà, travolta dai propri fantasmi interiori. Lucie, infatti, continua ad autoinfliggersi ferite sostenendo di essere perseguitata da una creatura mostruosa. Ma quello che Anna scoprirà in quella casa è qualcosa che va oltre ogni sua immaginazione, oltre ogni limite. E rappresenta solo l’inizio di una spirale di orrore che non lascia vie d’uscita.

Altro non dico, perché Martyrs è costruito su una serie di svolte narrative che vanno scoperte passo dopo passo. Quella che sembra una semplice storia di vendetta alla Old Boy, si trasforma presto in qualcos’altro, spiazzante e radicale. La prima parte, intensa e brutale, è solo un preludio. È la preparazione emotiva, visiva e tematica per un secondo atto che ribalta tutto, portando lo spettatore in un territorio completamente diverso, dove l’orrore non è più solo fisico ma esistenziale. È qui che il film mostra la sua vera natura.
Martyrs non è un film piacevole. Non cerca di esserlo, nemmeno per un attimo. Non è il disgusto a prevalere, non lo schifo da corpi mutilati che spesso accompagna certo cinema estremo. Qui si prova dolore, puro e senza filtri. È un horror dell’anima, un’esperienza che annichilisce. Nero come la pece, privo di qualunque ironia o compiacimento, spinge lo spettatore dentro un abisso in cui la tortura non è mai spettacolo, ma accanimento insopportabile.
Eppure, dal punto di vista narrativo, Martyrs non cede mai. La tensione resta costante, serrata. Gli ambienti sono spogli, bui, opprimenti, e il frequente uso della camera a mano amplifica il senso di disorientamento e terrore. Tecnicamente è un film ineccepibile. Girato con rigore, orchestrato con lucidità, interpretato con una credibilità emotiva che toglie il fiato.
Pascal Laugier rilegge il torture porn, lo stravolge, lo svuota del suo compiacimento visivo per restituirci qualcosa di più intimo, più viscerale. Qui non ci sono frattaglie che esplodono sullo schermo come nei film americani. L’orrore è sottopelle, nascosto dietro l’apparenza di una società borghese, anziana e decadente, terrorizzata dall’approssimarsi della fine. Una società che sceglie di infliggere sofferenza a vittime innocenti nel disperato tentativo di trovare una risposta all’unica domanda che davvero ci accomuna: cosa c’è dopo la morte?
Il finale è stato molto discusso. C’è chi lo ha trovato vago, chi pretenzioso. Personalmente lo considero uno dei finali più potenti del cinema horror — forse non al livello di The Mist, ma non lontano. È crudele, definitivo, e probabilmente l’unico possibile. Chiude il film con una nota disturbante che rimane dentro, come un graffio che non si rimargina.

Un horror che riesce a suscitare orrore ha raggiunto il suo scopo. E Martyrs ci riesce benissimo. La prima volta che l’ho visto sono rimasto mezz’ora a fissare il soffitto prima di riuscire ad addormentarmi. La seconda volta ho messo in pausa più volte, costretto ad alzarmi e prendere fiato. È un film che non si dimentica. E proprio per questo, rimane uno dei miei horror preferiti del XXI secolo.

Film
Horror
Francia
2008
Retrospettiva
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