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mercoledì, 6 agosto 2025
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Il volto

di Ingmar Bergman

In uno dei periodi più turbolenti della sua vita, segnato da tensioni artistiche e complicazioni sentimentali, Ingmar Bergman scrive e dirige Il volto — Ansiktet in originale, noto anche come The Magician. È uno dei suoi film più misteriosi e ambigui, un’opera sospesa tra teatro e cinema, illusione e realtà. Girato in un elegante bianco e nero, Il volto prende le forme di un dramma teatrale con venature da commedia grottesca, toccando temi come l’identità, la finzione e il dualismo tra razionalità e magia.

Siamo nella Svezia di inizio Ottocento. Una compagnia itinerante di illusionisti, venditori di magie, ipnosi e filtri curativi, guidata dall’enigmatico Vogler (Max von Sydow), giunge alle porte di Stoccolma a bordo di una carrozza. Alla dogana, Vogler e i suoi compagni – tra cui Manda (Ingrid Thulin), la moglie travestita da giovane assistente, la vegliarda nonna e l’affabulatore Tubal – vengono fermati e condotti in un palazzo per ordine della polizia. Per poter esibirsi, devono ottenere un lasciapassare e sottoporsi a una sorta di “esame” da parte di Vergerus (Gunnar Björnstrand), un medico scettico e nemico delle superstizioni, affiancato da un poliziotto ipocrita e da un governatore annoiato, ma affascinato dal richiamo dell’ignoto.

Il volto è un film che mette in scena un duello invisibile. Da una parte l’ignoto, la superstizione, la fascinazione per l’inspiegabile. Dall’altra la scienza, la ragione, l’ossessione per il vero. Bergman prende questi due mondi e li fa scontrare senza indicarci mai da che parte stia la verità. Anzi, fa di tutto per confondere le carte. A tratti sembra schierarsi con la magia, altre volte con la logica più spietata, ma più spesso si diverte a togliere la maschera a entrambi.
La tensione tra Vogler, il mesmerista silenzioso, e Vergerus, il medico razionalista, è il motore narrativo del film. Ma attorno a loro si muove una galleria di personaggi che sembrano usciti da un piccolo teatro dell’assurdo. Tutti nascondono qualcosa, e nel momento in cui le maschere iniziano a cadere emerge l'amara verità che nessuno è davvero ciò che sembra. La maga è solo una truffatrice. Il capo della polizia un mediocre autoritario. Vogler, alla fine, non è un uomo dai poteri straordinari, ma un povero artista spaventato, vulnerabile, lontanissimo dall’aura mitica che si era costruito. Persino Vergerus, l’incarnazione della razionalità, crolla sotto il peso di uno scherzo ben orchestrato, lasciando trapelare una crisi interna che non può più essere nascosta dietro il rigore della scienza.
Dal punto di vista visivo, Il volto è un piccolo gioiello. La fotografia in bianco e nero di Gunnar Fischer amplifica l’ambiguità del film, muovendosi tra chiaroscuri teatrali, inquadrature strette e spazi angusti che mettono i personaggi sotto pressione. Le sequenze ambientate nell’attico sembrano uscite da un horror espressionista. Bravi anche gli interpreti con un Max von Sydow perfetto nel ruolo di silenzioso illusionista, quasi disumano nel suo pallore. Sembra un vampiro.
Il volto è un film in bilico fra il drammatico e il surreale, tra grottesco e ironia. Le sottotrame sentimentali che coinvolgono i membri della compagnia e le domestiche del palazzo contribuiscono ad alleggerire la pellicola.
Bergman costruisce un'opera ambigua e stratificata che riflette sul potere dell’illusione, sull’identità dell’artista e sull’inevitabile bisogno umano di maschere.

Film
Drammatico
Ingmar Bergman
Svezia
1958

© , the is my oyster