
Longlegs
di Oz Perkins
Longlegs è uno dei film più chiaccherati di questo periodo.
Se ne parla addirittura da mesi grazie a una efficace campagna marketing che ha saputo attirare l'attenzione sia da parte degli addetti ai lavori che del pubblico.
Distribuito da Neon e costato poco meno di 10 milioni di dollari il film in un paio di mesi ne ha incassato più di 100.
Il regista è Oz Penkins che ho già avuto modo di apprezzare nei suoi precedenti film, in particolar modo in "Gretel and Hansel", la rielaborazione gotica della favola dei fratelli Grimm.
Ambientato negli anni novanta, Lee Harker (Maika Monroe) è una giovane agente dell’FBI, apparentemente distaccata e priva di emozioni, che grazie alle sue straordinarie capacità percettive, viene assegnata dal suo capo, l’agente Carter (Blair Underwood), a indagare su una serie di brutali omicidi avvenuti nell'Oregon fin dagli anni settanta. Padri che senza ragione massacrano la loro famiglia, e successivamente si suicidano. Unico elemento in comune è che le figlie femmine assassinate festeggiano il compleanno il 14 del mese e che nella scena dei crimini viene sempre trovata una lettera dai caratteri incomprensibili in cui è riconoscibile solo la firma, Longlegs. Aiutata dal suo intuito, Lee riesce a decifrare il contenuto delle lettere scoprendo che il misterioso serial killer (interpretato da un irriconoscibile Nicholas Cage), è più vicino a lei di quanto pensasse.
Accostato al "Silenzio degli Innocenti" per il fatto che abbiamo una giovane agente dell'FBI che indaga su un serial killer, a "Seven", per via dell'ambientazione cupa e claustrofobica, oppure a "Zodiac" per le lettere scritte con uno strano codice, il film di Perkins, se proprio bisogna trovargli delle analogie, in realtà mi è sembrato più un incrocio tra la prima stagione di "True Detective" e un episodio dilatato di "X-Files", dove gli alieni e l'ignoto vengono sostituiti dal demonio e il culto di Satana. Diviso in tre atti, "Longlegs" parte come un classico thriller procedurale per poi sconfinare in un horror soprannaturale, dove il male si annida nelle pieghe del quotidiano, lasciando nello spettatore una sensazione di inquietudine che persiste ben oltre i titoli di coda. Tra citazioni bibliche, inquietanti bambole di porcellana e inneggiamenti a Satana, il film di Perkins non è certamente il miglior horror degli ultimi anni, e forse nemmeno del 2024, nonostante gli annunci e la grande aspettativa. Tuttavia, resta un'opera notevole, che trova la sua forza nella cura estetica del regista (inquadrature, controcampi e fotografia spettacolare) e sopratutto nell'interpretazione di un Nicholas Cage trasformato in una figura grottesca e ambigua, in cui incarna un “boogeyman” dai tratti glam-rock. Una sorta di Marilyn Manson invecchiato in versione albina. E già solo a pensare a questa immagine mi mette i brividi addosso.
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