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martedì, 29 luglio 2025
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In the Mood for Love

di Wong Kar-wai

L’amore più intenso, almeno al cinema, è spesso quello che non si consuma. Quello fatto di sguardi, silenzi, gesti trattenuti. Pensiamo a L’età dell’innocenza, Lost in Translation, al recente Past Lives e, naturalmente, a In the Mood for Love — un film che ha riscritto le regole del romanticismo sullo schermo e che ancora oggi è considerato uno dei capolavori del genere.
Diretto dal regista hongkonghese Wong Kar-wai, In the Mood for Love racconta la storia d’amore trattenuta tra un uomo e una donna vittime dell’infedeltà dei rispettivi coniugi.

Hong Kong, 1962. Il signor Chow (Tony Leung) e la signora Chan (Maggie Cheung) si trasferiscono lo stesso giorno in due appartamenti adiacenti. I rispettivi coniugi sono spesso assenti per lavoro e i due si ritrovano sempre più spesso a condividere piccoli momenti quotidiani. Quando scoprono che i loro partner li stanno tradendo l’uno con l’altro, nasce tra loro un legame silenzioso, profondo, fatto di empatia e dolore condiviso. Ma entrambi decidono di non ripetere lo stesso errore, di non cedere alla tentazione, trattenendo i sentimenti e lasciando che l’amore resti sospeso.

Malinconico, struggente, elegantissimo, il film esplora il confine tra sensualità e castità, tra ciò che si dice e ciò che resta inespresso. La tensione tra i protagonisti vive nei gesti mancati, negli sguardi rubati, nei dialoghi interrotti. Un desiderio impalpabile, reso ancora più seducente da un’estetica impeccabile e da una regia che cattura due corpi che si sfiorano senza mai toccarsi.
La narrazione si affida a movimenti di macchina lenti, primi piani intimi, inquadrature che spiano i personaggi da angoli nascosti o spazi angusti. Maggie Cheung attraversa il film con grazia magnetica, avvolta nei suoi cheongsam impeccabili, troppo eleganti per una semplice passeggiata. Ogni suo gesto è incorniciato dalla fotografia sognante di Christopher Doyle, fatta di luci soffuse, cromie calde e contorni sfumati. Spesso la vediamo di spalle, o riflessa in uno specchio, come se la macchina da presa cercasse invano di trattenerla.
Accanto a lei, Tony Leung — premiato a Cannes nel 2000 — è misurato, trattenuto, sempre con i capelli perfettamente impomatati. La sua interpretazione si nutre di silenzi e dettagli minimi, una tristezza sommessa che si insinua scena dopo scena.
I due protagonisti, che abitano in un appartamento condiviso, si muovono sotto lo sguardo opprimente dei locatori, in una città che sembra sempre pronta a giudicare. È come se dovessero essere loro a espiare le colpe dei rispettivi coniugi, che non vediamo mai in volto e restano fuori campo, ridotti a voci e oggetti dimenticati.
La colonna sonora ha un ruolo centrale, spesso protagonista. Il tema ricorrente di "Yumeji’s Theme" accompagna i loro movimenti rallentati, trasformando ogni scena in un rituale dolente. I brani di Nat King Cole aggiungono sensualità e struggimento, rendendo la tensione emotiva quasi tangibile.

Il film è una riflessione sottile sul desiderio, sull’amore impossibile e sulla fragilità dei legami umani. Non tutte le storie devono compiersi per essere autentiche. A volte è proprio nell’incompiutezza che l’amore diventa eterno.

Film
Drammatico
Romantico
sentimentale
Cina
2000
Retrospettiva
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