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giovedì, 17 luglio 2025
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Final Destination

di James Wong

La morte. Nel cinema è stata rappresentata in diverse forme. Austera e filosofica ne Il settimo sigillo di Bergman, grottesca e sarcastica ne Il senso della vita, affascinante e seduttiva in Vi presento Joe Black.
In Final Destination, film del 2000 diretto da James Wong, la Morte si reinventa diventando una presenza invisibile che non ha volto né voce, una forza astratta che attraverso coincidenze, oggetti quotidiani e piccoli dettagli si riprende ciò che le è stato sottratto.

La storia ha per protagonista Alex, un liceale in partenza con i suoi compagni di classe per una gita a Parigi. Poco prima del decollo viene colto da una visione agghiacciante, l’aereo esploderà in volo. In preda al panico, viene fatto scendere insieme ad alcuni compagni e a un’insegnante. Pochi minuti dopo l’incubo si avvera, l’aereo esplode davvero, proprio come aveva previsto.
Ma la vera minaccia deve ancora rivelarsi. I superstiti scoprono presto di non essere affatto al sicuro. Uno dopo l’altro iniziano a morire in circostanze bizzarre e inquietanti, come se un disegno invisibile stesse rimettendo le cose al loro posto.
Alex intuisce che la Morte ha un piano, e che sfuggirle una volta non basta.

Final Destination nasce da un’idea di Jeffrey Reddick, inizialmente pensata per un episodio mai realizzato di X-Files. Il progetto viene poi trasformato in un film dalla New Line Cinema, con la sceneggiatura firmata da James Wong e Glen Morgan, volti noti proprio della serie di Chris Carter.
Rivedendolo oggi, il film porta addosso tutti i segni del tempo. Ingenuità narrative, un cast acerbo formato da giovani attori pescati dalle serie televisive dell’epoca, e una struttura che ricalca in pieno gli stereotipi del teen-horror di fine anni novanta. Ma l’intuizione alla base resta originale e dirompente. Togliere di mezzo il killer mascherato per affidare la strage alla morte stessa, trasformata in una presenza invisibile ma implacabile, capace di costruire incidenti come trappole a orologeria. È lo slasher che diventa soprannaturale.
Nel panorama horror post-Scream, ormai in fase calante, Final Destination cambia le regole: non importa chi uccide, ma quando e come. Il film gioca sull’attesa e sull’ingegno delle morti, restituendo una buona tensione (soprattutto nei primi quindici minuti) per poi intrattenere grazie all’inventiva della morte improvvisa, efferata e, in un certo qual modo, divertente – quella dell’insegnante resta tra le più memorabili per ironia e costruzione.
E se pensiamo che questo è solo il primo capitolo di una lunga saga (proprio in questi giorni è uscito il sesto), vuol dire che l’idea in fin dei conti non era per niente male. Una struttura semplice ma solida, capace di rinnovarsi restando fedele a un concept forte, che ha saputo parlare al pubblico giusto nel momento giusto.

Film
Horror
USA
2000
Retrospettiva
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