
La frusta e il corpo
di Mario Bava
Maria Bava, con lo pseudonimo di John M. Old, realizza nel 1963 "La frusta e il corpo", un film gotico sceneggiato da Ernesto Gastaldi.
La trama del film si sviluppa attorno al ritorno del nobile Kurt (interpretato da Christopher Lee) al castello di famiglia dove viene accolto in malomodo dal fratello e dal padre che lo ha diseredato a causa della sua vita dissoluta. Il suo ritorno riaccende il rapporto sado-masochistico e l'amore morboso tra Kurt e Nevenka (Daliah Lavi), costretta a sposare il fratello su imposizione del padre. Quando Kurt viene trovato ucciso, la vita di Nevenka diventa un incubo credendo di ricevere le visite notturne e le torture dal fantasma del suo perverso amante.
Il film all'epoca è stato censurato subendo tagli dalla produzione a causa di alcune scene considerate audaci. Temi come la sottomissione, la dipendenza sessuale e il sadomasochismo non dovevano essere visti di buon occhio nei primi anni sessanta.
Tralasciando l'aspetto erotico, "La frusta e il corpo" è un film dove la narrazione è quasi secondaria e dove, tolte alcune scene, non succede praticamente nulla. I dialoghi sono ridotti all'osso e la regia, parecchio lenta, si concentra più nel riprendere i vari protagonisti camminare lungo i corridoi del tetro castello con ombre e luci colorate che sfilano sui loro volti accompagnate in sottofondo da un onnipresente sibilo del vento presente pure in posti dove non dovrebbe esserci. È evidente che Mario Bava, in questa pellicola, aveva un interesse marginale per la trama, preferendo invece far brillare la sua passione per il cinema attraverso l'uso magistrale della regia, della fotografia e della scenografia. Sono questi gli elementi che fanno di Bava un maestro del genere e con i quali riesce a catturare al meglio l'atmosfera e l'immaginario di un castello decadente e dei suoi tormentati protagonisti.

I tre volti della paura
di Mario Bava
Nel 1963 Mario Bava torna all’horror con “I tre volti della paura”. Il film è composto da tre episodi - gli ultimi due tratti da racconti di famosi scrittori russi - e si apre con un introduzione di Boris Karlof, protagonista nella seconda storia.
Ne Il telefono una donna torna a casa e riceve delle telefonate da un uomo che la minaccia di morte. Si tratta di uno scherzo della sua "amica" che però finisce male.
Dei tre episodi è il meno riuscito perchè la storia risulta abbastanza prevedibile e poco incisiva. Tuttavia, se mettiamo da parte la sceneggiatura e i dialoghi (forse l'aspetto più debole di tutta la cinematografia di Bava), e ci soffermiamo sulle inquadrature, la fotografia e i colori, ovvero la parte stilistica, ci si rende conto di quanto Dario Argento, sopratutto nei suoi primi film, sia debitore del cinema di Bava. Inoltre l'episodio si fa notare per una certa carica erotica tra le due protagoniste anticipando i tempi su alcune tematiche sessuali.
I Wurdalak è ambientato nella steppa russa e ha come protagonista un vecchio patriarca (interpretato da Boris Karloff) che tornato a casa dalla sua famiglia inizia a fare strage dei suoi cari perchè diventato un vampiro.
Questo episodio appartiene al genere gotico e insieme al successivo e uno dei gioielli del cinema horror. Qui si concentrano tutte le qualità di Bava e la sua capacità di creare, con i pochi mezzi a disposizione, tensione e atmosfera grazie a dei tagli di inquadrature e un uso del colore del tutto innovativo. Basta vedere l’alternanza di luci colorate che illuminano il volto di Karloff. Inoltre molte delle scene, inquadrature e paesaggi pieni di nebbia e oscurità mi hanno ricordato I misteri di Sleepy Hollow di Tim Burton. Non è un caso che il cineasta americano abbia più volte dichiarato di essere stato influenzato dal cinema di Bava.
La goccia d'acqua racconta di una infermiera che, nel cuore della notte, viene chiamata a vestire per il rito funebre una vecchia medium morta improvvisamente. Durante la vestizione la donna ruba un anello dal dito del cadavere, ma tornata a casa il fantasma della defunta inizia a perseguitarla.
L'episodio paranormale è quello più terrificante perchè gioca tutto sulla suggestione e i sensi di colpa della protagonista. Le apparizioni della defunta e del suo inquitante ghigno (un pò alla Joker) sono efficaci ma la staticità (credo sia un pupazzo) e l'insistenza delle inquadrature finiscono per attenuare la tensione.
Il finale metacinematografico è la vera ciliegina sulla torta. Torna Boris Karlof a cavallo nel suo ruolo di vampiro, e mentre si rivolge al pubblico salutandolo e raccomandandogli di fare attenzione a ciò che si cela nel buio, la macchina da presa arretra mostrando tutti i trucchi e l'arte dell'illusione cinematografica (Karlof su un cavallo meccanico con le maestranze che agitano rami davanti alla cinepresa) come a voler dire che non bisogna avere paura di ciò che si è visto perchè in realtà si tratta solo di finzione. Geniale
Concludiamo con l'aneddoto. Negli Stati Uniti il film è stato distribuito nei cinema con il titolo di Black Sabbath e pare che Ozzy Osbourne e compagni si siano ispirati proprio a questa pellicola per la scelta del nome della loro band.
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