La vestale di Satana
di Harry Kümel
All’inizio degli anni settanta il cinema europeo attraversa una fase in cui l’horror e il mito del vampiro abbandona il gotico tradizionale per trasformarsi in un simbolo di desiderio, trasgressione ed erotismo esplicito, spesso con sfumature lesbiche. Film come Vampyros Lesbos di Jesús Franco, Vampiri amanti di Roy Ward Baker o Violenza ad una vergine nella terra dei morti viventi di Jean Rollin incarnano perfettamente questa tendenza, dove il sangue e l’erotismo si confondono, e il femminile assume una forza ipnotica e perturbante.
In questo clima nasce Les Lèvres Rouges, film del 1971 noto in Italia come La vestale di Satana, diretto dal belga Harry Kümel.
Stefan e Valérie, una giovane coppia in viaggio di nozze, fanno tappa a Ostenda e trovano rifugio in un grande hotel, deserto a causa della bassa stagione. L’atmosfera è sospesa, come se il tempo avesse smesso di scorrere. Poco dopo arriva un’altra ospite, la contessa Elizabeth Bathory (Delphine Seyrig), donna dal fascino magnetico, accompagnata dalla sua misteriosa assistente Ilona. La contessa, elegante e inquietante, esercita un’attrazione irresistibile su entrambi i giovani, mentre efferati delitti si susseguono nella zona. Man mano che Stefan sprofonda nell’attrazione per la contessa, Valérie viene risucchiata in un gioco inquietante, dove la bellezza, il desiderio e la paura si mescolano. Omicidi sanguinosi di giovani ragazze incombono, e la verità sulla vera natura della contessa diventa sempre più evidente.
Chi ama il genere e conosce il fascino oscuro del mito dei vampiri sa bene chi fosse Elizabeth Bathory, la contessa ungherese del XVI secolo che, secondo le leggende, torturava e uccideva giovani fanciulle per bagnarsi nel loro sangue, convinta che ciò le avrebbe garantito eterna giovinezza e bellezza. Harry Kümel riprende questa figura storica e la fonde con l’archetipo della vampira femminile di Carmilla di Le Fanu, dando vita – attraverso l’interpretazione magnetica di Delphine Seyrig, all’epoca sua compagna – a una donna elegante, misteriosa e pericolosa. Insieme alla sua devota assistente Ilona, sorta di schiava del piacere, la contessa riesce a soggiogare una giovane coppia di sposi ospite di un maestoso e silenzioso albergo affacciato sul mare di Ostenda.
Kümel accenna anche a una sottotrama che rimane poco sviluppata, in cui il giovane Stefan sembra nascondere torbidi segreti familiari, in particolare legati al rapporto con la madre. In una breve ma significativa scena telefonica, la madre appare come un uomo truccato, ambiguo e teatrale, dettaglio che amplifica il senso di inquietudine e doppiezza che percorre tutto il film.
La vestale di Satana vive principalmente di atmosfere, dialoghi calibrati e silenzi densi di tensione. Il ritmo è lento ma preciso, e il gusto estetico di Kümel si apprezza non solo nelle composizioni sceniche e nei costumi, ma anche nell’alternanza di colori vividi e ombre notturne. Il rosso, per esempio, simbolo di sangue, eros e morte, viene addirittura usato in diverse dissolvenze – splendido nella scena della camera da letto in cui l'assistente di Elisabath posa il suo foulard rosso sull’abat-jour e il rosso avvolge la stanza lasciando intendere una notte di passione.
È un film che seduce più con l’immagine che con la trama, più con il ritmo ipnotico e l’estetica decadente che con l’orrore esplicito. Lento, elegante e sensuale dove la paura nasce dalla bellezza e dal mistero, più che dal sangue o dal terrore.
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