
The Ghoul
di T. Hayes Hunter
The Ghoul è un film horror inglese del 1933 diretto da T. Hayes Hunter.
Perduto per decenni, venne ritrovato nei primi anni settanta, inizialmente in una copia danneggiata, poi – circa dieci anni dopo – in una versione integra che fu restaurata e distribuita in home video.
Liberamente tratto da un romanzo di Frank King, il film racconta la storia del professor Morlant (Boris Karloff), egittologo ossessionato dall’aldilà, convinto che un antico gioiello possa garantirgli la vita eterna. Alla sua morte, il servitore a cui aveva dato precise disposizioni sul suo funerale, gli sottrae il prezioso manufatto. A complicare le cose, un gruppo di ospiti indesiderati – nipoti ereditieri, un avvocato viscido, un prete sospetto – si aggira per la sua tetra dimora. E quando il cadavere di Morlant esce dalla suo sarcofago e scopre che il gioiello è scomparso, l’ira del morto vivente si abbatte contro tutti i presenti nella sua casa.
Nonostante il titolo evochi creature mostruose, The Ghoul ha poco di soprannaturale. Il suo orrore si muove nella penombra della Old Dark House, tra mistery teatrale e commedia nera. È il cugino inglese di Il gatto e il canarino, ma con le suggestioni dell’antico Egitto, già viste ne La mummia di Freund, per rivestire di esotismo e inquietudine una vicenda tutta terrena fatta di avidità, superstizione e tradimenti. Prodotto dalla piccola casa britannica Gaumont, che cercava di emulare i successi dell’horror hollywoodiano, il film segna anche il ritorno di Boris Karloff nel Regno Unito. Il suo personaggio è quasi muto, ma basta la sua gestualità, la rigidità delle movenze e lo sguardo febbrile a restituire un’icona del terrore. Il resto del cast si muove tra fanciulle svenevoli e servitori dall’etica discutibile, dentro un impianto visivo dall'estetica espressionista.
Nostante una trama assai esile e un finale che smonta l’apparente soprannaturale riportando tutto al terreno, The Ghoul si lascia apprezzare per l'estetica, grazie alla fotografia firmata da Günther Krampf – già direttore della fotografia di Nosferatu – che trasforma la casa in un labirinto d’ombre, manufatti egizi e silenzi inquetanti.