
Asteroid City
di Wes Anderson
Da una decina di giorni è arrivato nelle sale cinematografiche Asteroid City, il film di Wes Anderson presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes.
Si tratta di una commedia surreale e grottesca caratterizzata da uno spiccato virtuosimo estetico.
Nel film, Asteroid City è la messa in scena di una commedia teatrale in tre atti e un epilogo narrata da Bryan Cranston, scritta da Edward Norton e girata da Adrien Brody. Il dietro le quinte si distinge dall'essere girato in bianco-e-nero nel formato 4:3. La commedia, ovvero la trama principale del film, è invece girata in 16:9 a colori ed è contradistinta dalla vivace fotografia ormai riconducibile allo stile del regista americano.
La storia è ambientata negli anni cinquanta ad Asteroid City, una città immaginaria nel deserto nota per un grande cratere causato dalla caduta di un meteorite migliaia di anni prima. Qui si tiene un concorso annuale per giovani aspiranti scienziati che presentano le proprie invenzioni, venendo premiati (ma anche privati dei loro brevetti) dall’esercito statunitense. Ad accompagnare i ragazzi troviamo un fotografo di guerra (Jason Schwartzman) che non ha ancora detto ai loro quattro figli della morte della madre, una attrice depressa (Scarlett Johansson) impegnata a memorizzare il suo nuovo copione, e una giovane maestrina (Maya Hawke) che guida una scolaresca. Oltre a loro ci sono il Generale Gibson (Jeffrey Wright), la Dott.ssa Hickenlooper (Tilda Swinton), il manager del motel (Steve Carell), il meccanico del paese (Matt Dillon), il suocero del fotografo (Tom Hanks), e tanti altri personaggi che si alternanano velocemente. L'inaspettato incontro ravvicinato con un alieno costringe il governo americano a mettere in quarantena la popolazione e gli ospiti delle cittadina che così si ritrovano a interagire tra di loro nel cercare di dare un significato all'esperienza che stanno vivendo.
Che dire di questo film, dal punto di vista estetico sembra di trovarsi in un quadro di Edward Hopper in movimento. La fotografia con una profondità di campo che pare infinita è piena di dettagli e tutti gli elementi visivi, compresi i personaggi, sono a fuoco, simmetrici, rendendo ogni singolo fotogramma del film una illustrazione da incorniciare. La panoramica circolare in cui ci viene presentata la cittadina all'inizio del film è spettacolare, per non parlare delle riprese con i carrelli laterali dove i personaggi si muovono staticamente nel loro spazio. Attraverso una palette cromatica ricercata e particolare, la cittadina nel mezzo del deserto sembra faccia parte di un cartone dei Looney Tunes (per un momento appare pure Beep Beep) così come è evidente l'omaggio di Anderson ai film di fantascienza degli anni cinquanta (e di conseguenza al Mars Attack di Tim Burton) con il modellino dell'astronave e il bizzarro alieno. Insomma, stilisticamente ineccepibile.
Tralasciando l’aspetto tecnico e visivo, purtroppo ho trovato il film privo di emozioni, apatico, e piatto a livello narrativo. I personaggi mi sono sembrati privi di umanità. È vero che la trama portante, la parte a colori tanto per intenderci, non è altro che una rappresentazione, ma i personaggi interpretati dagli attori all'interno del metafilm mi sono sembrati troppo distaccati, privi di empatia. Magari è voluto ma se è così non ho colto le motivazioni. Gli stessi bambini, che sono la parte più divertente del film - in particolar modo le tre bambine - sono fuori dalle righe, sembrano dei robot. Qualcuno mi potrà dire che si tratta di una volontà stilistica dell'autore, bene ma forse non è nelle mie corde anche se Grand Budapest Hotel al tempo mi era piaciuto molto.
E' un film bello da vedere, nella forma e nell'estetica, senza ombra di dubbio. Tuttavia la storia e i contenuti personalmente non mi hanno suscitato nessuna emozione.
Un film vuoto nella sua grande bellezza estetica.