
Anora
di Sean Baker
Sean Baker è un giovane regista americano attivo da una ventina di anni nel cinema indipendente. Non conosco il suo cinema e probabilmente se Anora non avesse vinto la palma d'oro al 77° Festival di Cannes ottenendo diverse candidature agli oscar*, sarebbe continuato a rimanere, almeno per me, uno sconosciuto.
La storia vede come protagonista Ani (Mikey Madison) una spogliarellista di origini russe che si guadagna da vivere nei nightclub di New York. Quando incontra Vanya (Mark Ejdelštejn), figlio viziato di un oligarca russo, perso tra droghe, soldi facili e un'eterna adolescenza dorata, scatta la scintilla. Lui la paga per fingere di essere la sua ragazza per una settimana, poi, in un delirio di euforia e incoscienza, le chiede di sposarlo. Una fuga a Las Vegas, un matrimonio lampo, l’illusione di un futuro diverso. Ma come in tutte le favole sbagliate, il sogno si spezza brutalmente. I genitori di Vanya, potenti e senza scrupoli, non possono tollerare che il loro figlio si sia legato a una "prostituta". Mandano i loro uomini a risolvere la questione, e Vanya, che fino a un momento prima sembrava pronto a sfidare il mondo per Ani, scappa come un coniglio, lasciando sua "moglie" nelle mani degli scagnozzi. Ani, però, non è una tipa che si lascia spazzare via senza combattere. Si dimena, protesta, si aggrappa a quell’illusione con le unghie e con i denti. Ma il suo destino è già scritto, e quello che sembrava un biglietto di sola andata per un futuro dorato si rivela un’illusione, dissolvendosi nell’aria con la stessa rapidità con cui era nato.
Scritto dallo stesso Baker, Anora è una rilettura moderna e crudele di Cenerentola, divisa in tre atti ben distinti. La prima parte sembra una versione cinica e spinta di Pretty Woman. Ma Ani non è una principessa da salvare, ma una ragazza ammaliata dalla ricchezza di un giovane e irresponsabile rampollo di un magnate moscovita, che usa il proprio corpo e la sua sensualità per sfruttare l'occasione della vita.
La seconda parte, con l’arrivo degli scagnozzi dell’oligarca russo, la favola si incrina e il film si trasforma in una commedia noir dai toni grotteschi, con echi tarantiniani e rimandi a Tutto in una notte e Una notte da leoni per ritmo e dinamiche.
Infine, l’ultima parte, il film si fa malinconico. Strappata da quel mondo di lusso che aveva solo sfiorato, Ani trova nell’unica figura umana del film, Igor (Yura Borisov), la guardia del corpo mandata a sorvegliarla, un’inaspettata spalla su cui appoggiarsi. Non c’è romanticismo, solo la consapevolezza di un vuoto che nessuna illusione può colmare. Il finale è amaro, disilluso, privo di retorica. La favola del sogno americano si sgretola sotto il peso della realtà.
Anora è un film brillante e frizzante, una storia d’amore senza amore, un’illusione che si dissolve sotto i riflettori di un'america che mastica e sputa senza guardarsi indietro. Non è un film rivoluzionario, né forse tra i più memorabili, ma ha un’energia pulsante e un ritmo che cattura. A tenere tutto in piedi c’è Mikey Madison, straordinaria nel dare anima e corpo a un personaggio che oscilla tra cinismo e disperazione, tra forza e fragilità.
(*) Nota a margine. Anora ha trionfato agli Oscar, portando a casa cinque statuette, tra cui quelle per il Miglior Film e la Migliore Attrice Protagonista. Un successo che ha acceso il dibattito sui social, con molti a mettere in discussione il reale valore del film. Come se un Oscar fosse automaticamente sinonimo di capolavoro. Del resto, il fatto che registi come Kubrick, Hitchcock o Lynch non abbiano mai vinto un oscar dovrebbe già far riflettere sul peso effettivo di questi riconoscimenti.
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