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domenica, 19 ottobre 2025
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Niente

Janne Teller

Ho appena finito di leggere un romanzo breve ma particolarmente intenso, Niente di Janne Teller, autrice danese. Edito da Feltrinelli — ma in precedenza pubblicato da Fanucci con il titolo L'innocenza di Sofie — è un libro affascinante e disturbante insieme, in cui un gruppo di adolescenti si interroga sul significato della vita.

In una tranquilla cittadina danese, un ragazzo di tredici anni, Pierre Anthon, un giorno dichiara senza mezzi termini: "Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò, se niente ha senso, è meglio non far niente piuttosto che qualcosa". Da quel momento lascia la scuola e, come un moderno Barone rampante, si arrampica su un albero vicino all’edificio, deciso a non scendere più. I compagni di classe cercano di farlo tornare sui suoi passi, ma Pierre Anthon è irremovibile: "È tutto inutile! Perché tutto comincia solo per finire. Nel momento in cui siete nati avete cominciato a morire. È tutta una commedia basata sulla finzione. Si tratta solo di vedere chi è il più bravo a far finta".
Turbati da questa provocazione radicale, i suoi compagni decidono di mostrargli che si sbaglia, dando vita a un piano assurdo e inquietante. Raccolgono oggetti che "significano qualcosa" per ciascuno — all’inizio innocui, come una canna da pesca, un pallone, un paio di sandali — ma ben presto la ricerca del "significato" scivola verso il grottesco e il tragico. Le regole diventano sempre più crudeli, gli oggetti sempre più intimi, fino a toccare ciò che non si dovrebbe mai toccare.
La "catasta del significato" cresce, le tensioni si moltiplicano, e l’assenza degli adulti pesa come un giudice silenzioso. Il gioco si trasforma in un rituale collettivo di perdita e ossessione, fino all’inevitabile implosione finale.

Niente è un romanzo che disturba perché costringe a guardare dentro l’abisso del senso, o meglio, della sua assenza. Oggetto di censure in diverse parti del mondo per il suo presunto eccesso di pessimismo e nichilismo — qualcuno lo ha persino accusato di poter spingere i più fragili al suicidio — il libro è una parabola crudele e lucidissima sull’adolescenza come terreno di scoperta e smarrimento, dove il bisogno di dare significato alle cose si scontra con il sospetto che quel significato non esista affatto.
Personalmente, forse perché sono un adulto che ha imparato a convivere con il vuoto esistenziale (uno dei libri che più ho amato in adolescenza è La Nausea di Sartre, per la cronaca), non mi sono sentito particolarmente turbato da questa lettura. Ma posso comprendere come, per un adolescente più sensibile, l’impatto possa essere profondo. Nel romanzo della Teller, i ragazzi della classe sentono il bisogno di rispondere al nichilismo assoluto del loro compagno sull’albero e, in assenza di figure adulte — sempre lontane, anonime, quasi invisibili — si trasformano in una sorta di setta. La loro ricerca di verità degenera in un esperimento sociale degno de Il signore delle mosche di Golding. La "catasta del significato" diventa così il simbolo di un’ossessione collettiva, un altare su cui sacrificare pezzi di sé pur di sentirsi vivi.
Niente, titolo più che mai azzeccato, è un libro profondamente nichilista che ci mette di fronte a domande universali: se nulla ha senso, perché continuare ad andare a scuola, lavorare, procreare? Parafrasando il "produci, consuma, crepa" dei CCCP, che senso ha tutto questo? Non voglio addentrarmi in questioni troppo filosofiche — anche perché credo che, a un certo punto, ciascuno di noi trovi o si convinca di aver trovato il proprio significato. In fondo, non è proprio questo il ruolo della religione?
Il fatto che Janne Teller affidi un peso così grande a dei ragazzi, simbolo di purezza e innocenza, amplifica il disagio. La loro fame di senso si trasforma in crudeltà, fanatismo, perdita di empatia. La scrittrice mette in scena l’età dell’innocenza come un laboratorio del male necessario, un luogo dove il pensiero si fa gesto e il gesto diventa violenza.

Niente è una riflessione sulla fine dell’infanzia e sull’impossibilità di dare risposte definitive. Lascia un vuoto, non offre conforto, ma costringe a guardare il mondo con occhi nuovi — forse più disillusi, ma anche più consapevoli.

Libri
narrativa
Danimarca
2000

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