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giovedì, 31 luglio 2025
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L'ombra del dubbio

di Alfred Hitchcock

L’ombra del dubbio è uno dei titoli più interessanti del primo periodo americano di Alfred Hitchcock, un thriller carico di tensione psicologica e ambiguità, dove il male si insinua silenzioso tra le pareti di casa.
Peccato non averlo visto in lingua originale — ma ci torno tra poco.

Charlotte Newton, detta "Charlie" (Teresa Wright), vive con la sua famiglia in una tranquilla cittadina americana, annoiata dalla routine e desiderosa di qualcosa che spezzi la monotonia quotidiana. L’arrivo dell’amato zio Charlie (Joseph Cotten), fratello della madre e figura carismatica del passato, sembra portare quella ventata di novità tanto attesa. Ma dietro i suoi modi affabili e il suo sorriso impeccabile, l’uomo nasconde qualcosa. Man mano che piccoli segnali incrinano l’apparente serenità domestica, la giovane Charlie inizia a sospettare che lo zio non sia affatto l’uomo che tutti credono. In un gioco di specchi tra affetto e paura, la tensione cresce fino a un confronto finale inevitabile, in cui la verità emerge e la maschera cade.

L’ombra del dubbio è forse uno dei film in cui Hitchcock scava con maggiore sottigliezza nel male quotidiano, facendolo emergere dalla superficie tranquilla della provincia americana. Al centro della narrazione c’è il legame ambiguo tra zio e nipote, entrambi chiamati Charlie. Fin dalla loro introduzione — distesi sul letto, in due scene parallele — il regista costruisce un raffinato gioco sul doppio, sull’identità riflessa, sulla tensione continua tra luce e ombra, il bene e il male. La simmetria dei nomi non è un semplice espediente narrativo, ma suggerisce una connessione profonda, quasi morbosa. L’anello che lo zio regala alla nipote è un gesto tanto affettuoso quanto inquietante.
La giovane Charlie, però, non è un’eroina classica. Esita, nega, e per gran parte del film sembra più preoccupata di mantenere le apparenze che di fermare un potenziale assassino. Ed è proprio in questo comportamento che Hitchcock affonda il colpo. La sua è una critica feroce alla rispettabilità borghese, all’ipocrisia della provincia americana dove ciò che conta davvero è che tutto sembri normale. Meglio far finta di nulla che affrontare l’orrore. Così, nella scena finale, la verità viene seppellita sotto una patina di rispettabilità, lasciando alla sola Charlie il peso di sapere cosa sia davvero accaduto.

Detto questo, ammetto che mi è difficile esprimere un giudizio positivo sul film. Non per colpa di Hitchcock oppure degli attori, ma per lo scandaloso doppiaggio italiano. Di solito guardo i film in lingua originale sottotitolata, ma in questo caso ho trovato solo la versione doppiata. Dopo cinque minuti volevo strapparmi le orecchie. Informandomi, ho scoperto che il doppiaggio fu realizzato in Spagna durante la guerra. Il risultato sembra una via di mezzo tra una soap sudamericana e una compagnia teatrale della Romania rurale. La bambina, già vagamente irritante di suo, diventa del tutto insostenibile. La protagonista ha un tono talmente forzato da rasentare il grottesco.

Il film, così com’è stato distribuito in Italia, risulta brutalmente sfigurato, uccidendo qualsiasi tensione o coinvolgimento.
Un vero peccato. Per quanto mi riguarda premio assoluto al peggior doppiaggio della storia del cinema.

Film
Thriller
Alfred Hitchcock
USA
1943

© , the is my oyster