
Frankenstein
Mary Shelley
Alla riscoperta dei classici della letteratura gotica, ho finalmente deciso di leggere Frankenstein di Mary Shelley. Nonostante le innumerevoli trasposizioni cinematografiche abbiano reso il "mostro" un'icona della cultura popolare, il romanzo originale, che avevo nella mia libreria in diverse edizioni, era rimasto per anni inesplorato. Leggendolo, ho scoperto una storia profondamente diversa da quella raccontata sul grande schermo.
Mary Shelley (1797-1851) è una scrittrice britannica dalla vita intensa e affascinante. Per chi ama i film biografici, nel 2017 è stato realizzato un lungometraggio con Elle Fanning nel ruolo di Mary Shelley, che racconta i suoi amori e le sfide che hanno segnato la sua esistenza.
Figlia di due illustri intellettuali – il filosofo e politico William Godwin e la filosofa e femminista Mary Wollstonecraft, deceduta dieci giorni dopo il parto – Mary dimostrò fin da giovane una straordinaria intelligenza e immaginazione. A soli 16 anni, fuggì con il poeta Percy Bysshe Shelley, che sposò dopo la morte della prima moglie di lui. Nel 1816 il poeta Lord Byron, che aveva intrapreso una relazione con la sorellastra di Mary, Claire Clairmont, invita Mary e Percy a trascorrere un soggiorno nella sua villa di Ginevra, dove è ospite anche lo scrittore John William Polidori. A causa di un prolungato e anomalo maltempo che li costrinse a restare al chiuso per giorni, Byron propose ai suoi amici una sfida invitandoli a scrivere ciascuno una storia dell'orrore. Ispirata da un incubo, Mary iniziò a scrivere Frankenstein che però completò e pubblicò anonimamente solo nel 1818.
Frankenstein o il moderno Prometeo – è questo il titolo originale – prende spunto dalla figura mitologica greca che plasmò l'uomo dall'argilla e che, per aver restituito agli uomini il fuoco – simbolo del progresso tecnico-scientifico – venne condannato da Zeus a una punizione eterna. Il romanzo di Mary Shelley però è ben lontano dall’essere una condanna della scienza o un manifesto contro il progresso tecnologico. I riferimenti mitologici presenti nell'opera rimangono puramente metafore letterarie, utilizzate per arricchire la narrazione. Quella di Shelley è, prima di tutto, una storia di orrore e di profonda solitudine che nasce dal rifiuto e dall'incomprensione.
Strutturato come una sorta di diario che alterna due narratori, il romanzo racconta la storia di Victor Frankenstein, giovane e ambizioso scienziato ginevrino, che ossessionato a dare la vita alla materia inanimata, crea un essere umano fatto di pezzi di cadaveri. Quando la creatura prende vita, resosi conto di aver generato un mostro, Frankenstein fugge terrorizzato. Abbandonato dal suo creatore, il “mostro” vaga per il mondo, cercando accettazione e affetto, ma trova solo rifiuto e orrore. La creatura, ferita dalla crudeltà degli uomini e dalla solitudine, decide di vendicarsi del suo creatore, dando vita a una spirale tragica che si snoda tra ghiacciai, foreste oscure e tormenti interiori.
Conoscevo solo il Frankenstein del cinema, in cui il "mostro", fin dai primi film della Universal, è sempre stato raffigurato come una creatura sì dotata di forza straordinaria, ma anche goffa, rozza e priva di intelligenza. Il Frankenstein di Mary Shelley, invece, è curioso, assetato di conoscenza, dotato di una sensibilità profonda e di un forte desiderio di apprendere. Ciò che la creatura desidera più di ogni altra cosa è essere accettata, amata, trovare qualcuno con cui condividere il proprio mondo. La sua bontà è evidente, le sue intenzioni sono semplici e genuine. Desidera solo affetto e comprensione. Tuttavia, è proprio l'abbandono da parte del suo creatore e il rifiuto di un'umanità incapace di accettare la sua diversità a trasformarlo in un "mostro". La rabbia, il rancore e il desiderio di vendetta non sono altro che il risultato di questa profonda solitudine e del dolore che gli viene inflitto.
Un romanzo che si è rivelato tutt’altro che scontato, una lettura ricca di spunti e riflessioni.
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