
But, What Ends When The Symbols Shatter?
Death in June
Inizio da questo album a raccontarvi dei miei dischi preferiti, le mie personali pietre miliari.
Douglas Pearce, la mente dietro Death In June, è un personaggio molto particolare, complesso e contradditorio. Accompagnati da una estetica militare, un immaginario esoterico e da una iconografia con rimandi al fascismo e al nazismo decisamente provocatoria che nel corso degli anni gli ha provocato non pochi problemi, il progetto musicale dei Death in June è il capostipite di quel genere definito folk apocalittico o neofolk.
But, What Ends When The Symbols Shatter? esce nel 1992 e segna l'inizio di una nuova fase nella carriera dei Death in June. Dopo gli esordi negli anni ottanta all'insegna di un postpunk di matrice industrial (Nada) e quello che viene definita la trilogia della solitudine (The World That Summer, Brown Book e The Wall of Sacrifice), Douglas Pearce attraversa una profonda crisi creativa ed esistenziale che lo porterà a una lunga depressione. Invece di soccombere ai suoi demoni, Pearce li accoglie rimettendosi in gioco e dopo tre lunghi anni la sua anima tormentata concepisce questo album, una vera e propria ode alla bellezza.
Accontonate le percussioni in stile marziale, le sperimentazioni industriali e i riferimenti militaristici, But, What Ends When The Symbols Shatter? è una raccolta di malinconiche canzoni dove a prevalere è la chitarra acustica e la profonda voce di Douglas P. impreziosita da delicati interventi di tromba, percussioni ed eteree tastiere. Sono dodici gioielli acustici di rara bellezza, valorizzati da una produzione limpida e cristallina, che nel loro insieme creano un'atmosfera malinconica, sognante e quasi surreale capace di emozionarmi ormai ad ogni ascolto da parecchi anni. Per quanto mi riguarda l'album più ispirato dei Death in June.
Brani preferiti: "The Golden Wedding of Sorrow", "The Giddy Edge of Light", "Little Black Angel" e "Hollows of Devotion".
Musica